


"È vero che siamo una generazione senza Dio, e che non ci sono state date alternative se non il consumo e il lavoro". Queste sono le parole di Aixa de la Cruz, scrittrice nata a Bilbao nel 1988, che dice di non aver mai avuto contatti con alcuna religione per la maggior parte della sua vita. E continua: "Con che cosa ci si deve soddisfare? Con lavori che devono diventare identitari per poterli sopportare o con il dedicare il proprio tempo a qualcosa che non si sopporta in cambio di denaro per il consumo. Per questo cerchiamo disperatamente terapie e ritiri, per trovare una sorta di trascendenza che ci ricordi che siamo qui per qualcosa di più". Questa è stata una conversazione per El País con June Fernández, direttrice di una rivista femminista, che, dal canto suo, aveva appena confessato di essere "agnostica, orfana spirituale".
In un'altra intervista, De la Cruz sostiene che la generazione dei suoi genitori in Spagna ha rotto con il cattolicesimo soprattutto a causa di cattive esperienze con le istituzioni educative o per essersi opposta al franchismo, il che, in una società più o meno confessionale, significava rompere con lo spirituale in generale. E così i loro figli - noi - sono rimasti allo scoperto, alla mercé di qualsiasi suonatore di flauto che cantasse una melodia minimamente spirituale, o alla mercé di qualsiasi discorso pseudo-religioso che facesse appello a quella nostra sete. Papa Francesco si è riferito a questa comunità di vagabondi, che siamo un po' tutti noi, come a coloro che "cercano Dio in segreto, mossi dalla nostalgia del suo volto" (Evangelii Gaudium, n. 14).
Tornando all'inizio, ciò che lo scrittore intuisce è che, scomparsi tutti gli orizzonti spirituali, tendiamo a mettere al posto di Dio tutto ciò che abbiamo a portata di mano e che ci promette felicità: denaro, lavoro, consumo; possiamo aggiungere il sesso o lo status sociale. E questo processo finisce per inaridirci spiritualmente. In un certo senso, tutta la predicazione di Gesù - e, se vogliamo esagerare, l'intera tradizione giudeo-cristiana - mira proprio a metterci in guardia dall'idolatria, a metterci in guardia da questo movimento istintivo di sostituire l'autenticamente religioso con qualsiasi cosa.
Possiamo ricordare le parole di Gesù sull'impossibilità di servire Dio e il denaro (Mt 6,24), o le altre sul non accumulare nulla di terreno, ma lavorare per ciò che non corrode (Gv 6,27). Tuttavia, nella stessa settimana in cui leggevo Aixa de la Cruz, la chiesa nella sua liturgia ci ha fatto leggere altre parole del Vangelo più sorprendenti: un discepolo di Cristo non può essere tale se non ama Dio più del padre, della madre, della moglie, del marito, del figlio o della figlia (Mt 10,37). E ciò che inizialmente ci sembra esagerato, in un secondo momento ha senso: perché nella "generazione senza Dio" tendiamo a idolatrare anche quelle relazioni che, certo, ci riparano, ma che abbiamo sperimentato non poter caricare della responsabilità che solo Dio ha. Tutti noi sperimentiamo tanti casi di dipendenze affettive che nascono proprio perché ci aggrappiamo a qualsiasi boa che galleggi, anche se si tratta di un altro essere umano.
Forse a causa di tutto ciò, la postura che usiamo per pregare è spesso quella di piegare le mani: per non tenerci dove non dovremmo. Anche se molte volte nella Bibbia può sembrare che Dio rivendichi capricciosamente il primo posto per sé, in realtà lo fa per pura generosità nei nostri confronti: per risparmiarci l'ansia di confondere l'altare; per risparmiarci la delusione di credere di aver raggiunto il porto, ma di ritrovarci, ancora una volta, alla deriva.