


Viviamo in un'epoca di paradossi. La fede che ha trasformato continenti e dato identità a interi popoli sembra ora relegata ai margini della vita pubblica. L'Europa, e anche gran parte dell'America, mostra chiari segni di secolarizzazione: chiese vuote, giovani che non si identificano più con nessuna religione e una crescente sfiducia nelle istituzioni.
In questo contesto, molti si chiedono: che senso ha parlare di missione?
La tentazione è quella di rispondere con la nostalgia o il lamento. Ricordare i tempi passati in cui la Chiesa ha lasciato un segno nella vita sociale, o lamentarsi che il mondo non ci ascolta più. Ma la missione non nasce dalla nostalgia, bensì dalla certezza: Cristo è ancora vivo e attivo. La Chiesa missionaria non è un ricordo, è l'identità stessa del popolo di Dio. Non c'è altra Chiesa possibile.
Oggi la missione si gioca su un terreno diverso: non nella conquista di spazi, ma nella testimonianza personale e comunitaria. Il mondo secolarizzato non ha bisogno di lunghi discorsi, ma di uomini e donne che vivano la fede che professano in modo coerente. Essere missionari oggi significa avere il coraggio di essere diversi senza cadere nell'arroganza, di vivere la gioia del Vangelo in mezzo all'indifferenza.
La missione non è nemmeno un marketing religioso. Non si tratta di progettare strategie di espansione come chi lancia un nuovo prodotto. La missione è andare incontro all'incontro, come Gesù sulle strade della Galilea: con compassione, vicinanza e verità. Si tratta di aprire spazi di ascolto, costruire ponti, mostrare che la fede illumina le domande più profonde del cuore umano.
Nelle scuole, nelle parrocchie e nelle comunità religiose, la missione si concretizza in gesti semplici: un'educazione che forma persone libere e solidali; una pastorale che non si limita ai riti, ma accompagna i processi; una comunità che accoglie, perdona e cammina con i più fragili. La missione non si misura con i numeri, ma con la capacità di seminare speranza.
La Chiesa missionaria in un mondo secolarizzato non è quella che grida più forte, ma quella che ama di più. È quella che non si vergogna di essere una minoranza, perché sa che il piccolo lievito lievita il tutto. Non si tratta di conquistare, ma di servire. Non si tratta di imporre, ma di proporre.
Insomma, essere una Chiesa missionaria oggi significa tornare all'essenziale: annunciare con la propria vita che Cristo è risorto. E se il mondo secolarizzato sembra chiuso, a maggior ragione dobbiamo mostrare che il Vangelo continua a essere la buona notizia capace di trasformare ogni cuore umano.