Centinaia di migliaia di giovani di tutto il mondo si riuniranno a Roma questo fine settimana per il Giubileo. Ma che motivo hanno i giovani di gioire in un mondo in crisi, che sta vivendo una guerra mondiale a tappe e che non offre loro alcuna opportunità per il futuro?
Gesù Cristo, che è colui che li ha effettivamente convocati attraverso Pietro, ha la risposta. Infatti, Gesù Cristo è la risposta alla mancanza di speranza dei giovani e, nel Vangelo, li incoraggia a non avere paura.
Lo dimostra nell'incontro, ad esempio, con il giovane ricco, un giovane formale, diremmo oggi, che aveva obbedito ai suoi genitori, che aveva adempiuto alla lettera ai suoi obblighi religiosi, che aveva aiutato gli altri e che aveva persino il desiderio di voler essere più perfetto e quindi si avvicinò a Gesù per chiedergli quale cosa buona doveva fare per ottenere la vita eterna.
A prescindere dai pregiudizi che possono esserci nei confronti dei giovani, la verità è che molti di loro sono persone molto buone, come il ragazzo che Gesù ha incontrato. Studiano, lavorano, aiutano in casa e con gli amici, fanno volontariato, si impegnano nella cura del creato, alcuni (purtroppo i più pochi) praticano la loro fede e sono uniti alla Chiesa attraverso le parrocchie, le scuole, le confraternite, le associazioni e i movimenti... Sono brave persone. Li applaudo tutti. Ma, tornando al Vangelo di Luca, tutti questi meriti non bastano a Gesù perché vuole il meglio per il ragazzo. Per questo gli dice: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi i tuoi beni, dà il denaro ai poveri - così avrai un tesoro in cielo - e poi vieni e seguimi". La lettura dice che "quando il giovane udì questo, se ne andò triste, perché era molto ricco".
Il Vangelo vuole spiegarci che non si tratta di "fare cose buone", perché "una sola è buona", ma che la vera felicità, "la vita eterna", è data dal fatto di seguire Colui che è Buono con tutto ciò che è nostro, mettendolo al primo posto e rinunciando, quindi, ai beni di questo mondo. In questo caso, il giovane era ricco, ma Gesù parla per tutti e tutti abbiamo il nostro "tesoro". Per alcuni sarà il denaro, per altri l'affetto, per altri ancora l'immagine, la carriera o l'intelligenza. Gesù non può essere un ornamento nella vita dei giovani, ma il fondamento su cui costruire la loro vocazione umana e cristiana. Ecco perché, per quanto Giubileo possano vincere, molti torneranno tristi e addirittura lasceranno la Chiesa, come quello di cui ci ha parlato Luca, perché non riescono a donarsi completamente.
Gesù è anche la risposta a molti giovani di oggi che vivono nella morte della depressione, dell'ansia, delle dipendenze, del vuoto delle ideologie disumanizzanti o del non senso che in molti casi sfocia nel suicidio. Di fronte alla morte dell'essere, perché il mondo materialista ci ha privato dell'anima, Gesù è capace di restituire la vita come ha fatto con quel giovane, il figlio della vedova di Nain. Gesù lo incontrò quando lo stavano portando a seppellire. Toccò la bara (che lo rendeva impuro secondo la legge mosaica) e disse: "Giovanotto, io ti dico: alzati". Ed effettivamente "il morto si alzò e cominciò a parlare".
Gesù non è disgustato dal peccato dei giovani, non importa quanti colori abbiano, ed è pronto a tirarli fuori da quella fossa. Sapersi amati fino all'estremo da un amore capace di sporcarsi è fondamentale per la salute mentale e spirituale dei nostri giovani (i pastori prendano nota). L'imperativo con cui Gesù risuscita il ragazzo dai morti ci parla dell'importanza della figura dell'accompagnatore-guida: genitori, catechisti, educatori, sacerdoti... Un giovane oggi non ha bisogno di persone che lo applaudano falsamente (gli applausi li fanno già a Tiktok), ma che lo spingano verso l'alto, che lo risveglino dalla letargia della morte che lo ha paralizzato, anche se questo significa metterlo a disagio. Tutti noi anziani ricordiamo qualche figura della nostra giovinezza che ci ha aiutato a uscire dalla nostra inerte passività con un "alzati! Per quanto buio possa sembrare l'orizzonte della vita, il Vangelo ci invita a fare un salto nel vuoto, a fidarci di Dio.
Ma seguire Gesù sembra un'impresa titanica: rinunciare a tutto ciò che ci lega, come il giovane ricco; risvegliarsi dalla morte dell'essere che ci rende incapaci, come il giovane figlio della vedova... Essere santi non è una vocazione solo per giovani dotati? Il Vangelo lo smentisce nel racconto dell'incontro con un altro giovane; questa volta, con il ragazzo che presentò agli apostoli i cinque pani e i due pesci che aveva portato nello zaino. Non è necessario avere poteri straordinari, ma mettere quel poco che si ha a disposizione del Signore. Lui farà il miracolo, permetterà al giovane di fare ciò che non credeva possibile: sfamare cinquemila uomini e le loro famiglie con quel poco cibo e avere dodici ceste in più. Li vuole per grandi cose.
Di fronte alla guerra, di fronte alle ingiustizie del nostro mondo, di fronte alla mancanza di opportunità, Gesù invita i giovani a rimboccarsi le maniche, a mettere i loro doni - grandi o piccoli - al servizio del bene comune, lavorando per la pace, costruendo il proprio futuro con semplicità, contribuendo alla società e alla Chiesa, e sapendo sempre che, anche se sembra che non ci siano soluzioni, la storia è nelle mani di Dio.
È esattamente quello che è successo a un'altra giovane donna che appare nel Vangelo e che ha capito, molto presto, la logica illogica di Dio che mette i suoi doni al servizio del mondo. Che molti dei pellegrini della speranza che partecipano a questo Giubileo dei giovani, al loro ritorno dal Giubileo, possano cantare con esultanza, come Maria: "L'anima mia proclama la grandezza del Signore, il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni si congratuleranno con me, perché il Potente ha compiuto in me grandi opere".
Giornalista. Laurea in Scienze della Comunicazione e laurea in Scienze Religiose. Lavora nella Delegazione diocesana dei media di Malaga. I suoi numerosi "thread" su Twitter sulla fede e sulla vita quotidiana sono molto popolari.