Il 26 giugno 2025 ricorre il 50° anniversario della morte, avvenuta a Roma, di San Josemaría Escrivá, fondatore di Opus Dei. Questa istituzione della Chiesa cattolica, che nel 2028 celebra il suo primo centenario di esistenza, è stata spesso circondata da controversie, come lo è stata la Chiesa stessa per più di 2000 anni, e come lo sono stati Gesù Cristo e i suoi apostoli fin dai loro inizi a Gerusalemme.
Il 2 ottobre 1928, San Josemaría vide a Madrid che Dio gli chiedeva una nuova fondazione nella Chiesa con il carisma di vivere con pacifico radicalismo la vocazione battesimale in mezzo al mondo (santificando il lavoro, la famiglia e tutte le buone realtà umane) per essere strumenti di Dio e trasformarlo dall'interno. A tal fine, era essenziale la collaborazione di sacerdoti e laici che vivessero un sano anticlericalismo.
Uno dei problemi della Chiesa, fin dalla sua legalizzazione da parte dell'imperatore Costantino e dalla successiva dichiarazione di religione ufficiale dell'Impero Romano da parte di Teodosio, è stata la tentazione del cesaropapismo e del clericalismo, quest'ultimo così opportunamente denunciato dagli ultimi Papi.
San Josemaría Escrivá e i laici
Insieme ad un grande amore per la sacerdozio e alla vita consacrata, san Josemaría Escrivá capì che Dio gli chiedeva di fondare un'istituzione che avesse tra le sue caratteristiche essenziali la laicità dei suoi membri, seguendo la famosa massima di Cristo "date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio"., proprio perché la Chiesa potesse vivere fedelmente la sua vocazione missionaria.
Forse è proprio questo - insieme agli errori umani che si nascondono in tutto ciò che facciamo noi uomini - che ha provocato tanta antipatia nei confronti di Escrivá e dell'Opus Dei fin dal suo inizio da parte dei nemici della Chiesa (che spesso sono più astuti dei figli della luce anche nell'individuare chi può essere più pericoloso nella lotta contro il male) e da parte di alcuni nella Chiesa stessa: il loro sano anticlericalismo.
L'inedita e scandalosa per alcuni "autonomia delle realtà temporali" proclamata dal Concilio Vaticano II implica proprio, per come la intendo io, evitare che la politica ecclesiastica e i chierici cadano nella tentazione di aggirare il diritto civile e canonico, pensando che in una parrocchia o in una diocesi il parroco abbia un'autorità assoluta su ciò che i fedeli laici fanno o non fanno nel loro lavoro, nelle associazioni, nella politica, nell'arte, ecc. Ognuno di noi nella Chiesa ha la propria missione. Forse il concetto di sinodalità, utilizzato negli ultimi anni, va in questa direzione.
Un messaggio che è stato ripreso in molti documenti conciliari, come nella Lumen Gentium, n. 33: "Ai laici spetta per vocazione cercare il regno di Dio trattando e ordinando le cose temporali secondo la volontà di Dio. Essi vivono nel mondo, cioè in ogni attività e professione, come pure nelle condizioni ordinarie della vita familiare e sociale con cui la loro esistenza è intrecciata. Lì sono chiamati da Dio a svolgere il proprio compito, guidati dallo spirito del Vangelo, affinché, come lievito, contribuiscano dall'interno alla santificazione del mondo e rivelino così Cristo agli altri, risplendendo soprattutto con la testimonianza della loro vita, della fede, della speranza e della carità"..
Amore per la libertà
Contrariamente alla caricatura che alcuni cercano di mantenere, la realtà è che San Josemaría predicò instancabilmente il suo amore per la libertà di opinione e in particolare per la libertà religiosa. Tendeva a schierarsi dalla parte dei perseguitati e aborriva la mentalità cesarista, opponendosi a chi elevava la propria opinione a dogma calpestando gli altri.
Non amava il fondamentalismo ma la coerenza e chiedeva di non confondere l'intransigenza con l'intemperanza (per non essere un "martello degli eretici"). Sapeva distinguere l'errore di chi è un recalcitrante e cedere a ciò che è aperto all'opinione per facilitare la comprensione e la convivenza. Vide il pericolo di trasformare la vita in una crociata e di vedere giganti dove ci sono solo mulini a vento, come il famoso nobile della Mancia. Un messaggio che mi sembra molto attuale in questi tempi di populismo intransigente, di muri, rimpatri e cordoni sanitari contro opzioni politiche diverse dalla propria.
Metteva in guardia dal pessimismo, perché ciò che è cristiano è piuttosto speranza e ottimismo. Ha sempre incoraggiato ad allargare gli orizzonti e ad approfondire ciò che è permanentemente vivo nella dottrina cattolica, seguendo i successi del pensiero contemporaneo ed evitando i suoi errori. Tutti i secoli hanno avuto cose buone e cattive e il nostro non fa eccezione. Ha incoraggiato un atteggiamento positivo e aperto verso la trasformazione del mondo e delle strutture sociali. Ha invitato a seminare pace e gioia ovunque, a stare dalla parte di chi non la pensa come noi.
Vedeva il buon governo come servizio al bene comune della città terrena e non come proprietà. Incoraggiava i cristiani in politica a non vivere di sola politica, a condividere le responsabilità, a circondarsi di persone di valore e non di mediocri, a prendere decisioni ascoltando chi lavora con loro. A non giudicare con leggerezza persone e situazioni senza conoscere, a imparare dagli altri, a redigere leggi giuste che i cittadini possano rispettare, pensando soprattutto ai più deboli. Non perpetuarsi al potere ed evitare il settarismo di destra e di sinistra.
Inseguimento e coraggio
Se Gesù e i suoi seguaci sono stati perseguitati dall'esterno e dall'interno della Chiesa stessa (in questo caso sempre con buone intenzioni, come diceva san Josemaría), il tempo attuale si annuncia buono per questo carisma, così necessario nella Chiesa di ieri, di oggi e di sempre.
San Josemaría Escrivá è stato - con i suoi difetti, come tutti i santi - uno dei più grandi spagnoli della storia (insieme a Isidro Labrador, Teresa di Gesù, Domingo de Guzmán, Ignazio di Loyola, Francesco Saverio e tanti altri) e sicuramente non l'ultimo. Mi sembra che una prova della sua grandezza, che è del Dio che ha lasciato fare dentro di sé, sia quanto poco sia stato valorizzato finora nell'ambito dei "trionfi" mondani ed ecclesiastici.
Il sacerdote aragonese morto a Roma mezzo secolo fa è stato un santo profondamente moderno che non ha mai cercato la gloria personale, ma piuttosto di essere fedele alla volontà di Dio e di servire la Chiesa con la sua vita e - se necessario - con il suo onore umano. Ora che stiamo accompagnando con la preghiera i primi passi di Papa Leone XIV, con il suo coraggioso appello ad essere buoni discepoli di Cristo in un mondo così bisognoso della sua luce e ad annunciare senza paura il Vangelo, potremmo trovare utili i suoi insegnamenti.