Nella sua prima enciclica, Papa Leone XIV ci parla dei poveri e della predilezione che Dio ha per coloro che soffrono maggiormente. Nel corso del suo pontificato, anche Francesco ha insistito su questo tema: l'amore di Cristo verso di loro.
Ora, mentre preparo il Natale e cerco una buona macelleria dove acquistare un buon tacchino, penso a tutto questo e faccio fatica a comprenderlo appieno. Il povero, per me, è spesso una figura troppo astratta, e mi chiedo se non capisco bene i Papi o se semplicemente mi manca il cuore. Mi confondo pensando a come adempiere ai miei doveri familiari e, allo stesso tempo, occuparmi dei più bisognosi, come hanno fatto tanti santi.
So che Cristo è diventato il più povero dei poveri e che continua ad essere il più dipendente di tutti: un semplice pezzo di pane in una piccola scatola. Ma cosa posso fare io per i poveri se sono circondata da mille urgenze familiari e da persone care che richiedono anch'esse attenzione? Dopo averci riflettuto a lungo, sono giunta a una conclusione che, credo, il Papa condividerebbe.
Ogni volta che viene pubblicato un testo del Papa, non posso fare a meno di prenderlo molto sul serio. Leggendo Dilexit te e meditando sulla predilezione di Cristo per i più poveri, mi chiedo: e la mia predilezione? Verso cosa propende il mio cuore?
I poveri e i malati sono protagonisti nel Vangelo. Cosa c'è in loro che merita questa predilezione divina? C'è pura necessità. E questa predilezione mi insegna qualcosa di decisivo: la vita e la dipendenza sono equivalenti, sono la stessa realtà. La vita non inizia quando la dipendenza viene risolta. La vita non inizia quando il malato guarisce, quando il bambino cresce e diventa autonomo, quando i problemi di lavoro scompaiono, quando trovo un nuovo e migliore impiego, quando trovo una brava ragazza, quando riesco ad avere un primo figlio o un altro, quando riesco a comprarmi una casa...
Molte volte vivo pensando in questo modo: aspettando la situazione perfetta, invece di vivere con predilezione la situazione che mi capita.
La vita è proprio questo: il fastidio infinito di cambiare i pannolini, accompagnare ogni passo della crescita dei miei figli, prendermi cura dei miei malati, passare notti insonni per la tosse e la febbre dei miei piccoli, portare ogni giorno il mio figlio più piccolo alle sue terapie. La vita è ascoltare mio marito quando mi parla del suo lavoro o di ciò che lo preoccupa. A volte è più intensa, altre volte più leggera, ma rimane sempre la stessa vita.
Quando arrivano la disoccupazione, la malattia, il dolore o le difficoltà, la vita diventa più vita, più intensa. E quando tutto scorre liscio – i bambini stanno bene, la scuola va bene, il lavoro regge, il pranzo è pronto e non ci sono capricci – diciamo che abbiamo avuto una buona giornata. Ed è vero: in quei giorni la vita pesa meno. Ma entrambe le forme sono vita. Mai perfetta, ma sempre vissuta con predilezione.
Vivere tutto questo con predilezione — come Cristo ama i poveri — è ciò che mi insegna il Papa in questa enciclica.
Da un punto di vista moderno, tutto questo sembra assurdo. In L'era del vuoto, Lipovetsky descrive come vivono e interagiscono i cittadini delle società contemporanee: un individualismo che si è infiltrato nel nostro modo più elementare di relazionarci, anche con le persone che amiamo di più. Senza volerlo, conviviamo come individui che sentono il dovere di migliorare il più possibile la propria situazione personale. In questo contesto mentale, la dipendenza appare come una minaccia a una vita soddisfacente.
Ma, dal punto di vista di Cristo, questa logica non regge. E il Natale lo rende evidente. Il malato e il povero rappresentano forme estreme di dipendenza, e ora, a Natale, lo fa anche Dio stesso, che vivrà così fino alla fine.
Leggendo questa enciclica e comprendendo il posto privilegiato che i poveri occupano nel cuore di Cristo, per me non si tratta di sentirmi in colpa perché vivo bene né di idealizzare la povertà. È capire che, quando il Papa parla di povertà, parla di qualcosa di più di un gruppo sociale; parla dei legami del cuore. E questa proposta – quella di vivere con predilezione ciò che ci tocca – ci allontana dall'individualismo che intrappola tutti noi: quello che ci fa vivere desiderando una vita diversa da quella che già abbiamo.




