Evangelizzazione

La bellezza come rivelazione del mistero: San Giovanni Paolo II e l'arte

San Giovanni Paolo II mostra come la via della bellezza permetta all'arte di rivelare il sacro e all'artista di assumere la missione di interpretare il mistero della creazione e della verità divina.

Alejandro Pardo-7 novembre 2025-Tempo di lettura: 9 minuti
Giovanni Paolo II

San Giovanni Paolo II ©OSV News/Joe Rimkus Jr.

Non è esagerato dire che il rapporto di San Giovanni Paolo II con l'arte è stato unicamente intimo, al punto da essere chiamato “il Papa artista” (così come è stato chiamato anche “il Papa filosofo”). Ciò è dovuto in gran parte alla sua particolare sensibilità artistica, che ha manifestato fin da giovanissimo e che ha coltivato per tutta la vita, soprattutto attraverso la poesia e il teatro.

Infatti, fin dall'inizio della sua carriera nella coltivazione delle arti e del sapere, Papa Wojtyła ha cercato di percorrere la strada della bellezza (la via pulchritudinis) come mezzo per arrivare alla verità e al bene dell'umanità. Lo ha confermato il cardinale Giovanni Ravasi, a lungo presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, riferendosi all'ultima opera poetica del pontefice polacco, Trittico romanoQuando il Papa scriveva questi versi, alle sue spalle si dispiegava in ambito culturale non solo il suo personale itinerario filosofico e teologico, ma anche un percorso di altezza che non aveva mai abbandonato, quello dell'arte. Dalla poesia al teatro, passando per l'ammirazione per il genio artistico, aveva vissuto ininterrottamente la ricerca della bellezza...“.”

È spesso ricorrente rivolgersi al Lettera agli artisti (1999) come fonte primaria del pensiero di San Giovanni Paolo II sull'arte. Tuttavia, c'è un testo precedente di singolare importanza. Si tratta degli esercizi spirituali che l'allora arcivescovo di Cracovia rivolse a un gruppo di artisti polacchi nella Chiesa della Santa Croce a Cracovia durante la Settimana Santa del 1962, pubblicati con il titolo di Il Vangelo e l'arte. I due testi sono strettamente correlati e rivelano il consolidamento di un pensiero maturato nel tempo.

Oltre a questi, Papa Wojtyła ha tenuto discorsi in occasione di incontri con artisti e rappresentanti del mondo della cultura durante i suoi viaggi pastorali presso la Sede di Pietro, e altri discorsi occasionali, come l'ottava edizione della Giornata Mondiale della Cultura. Riunione di Rimini (1987), il Giubileo degli Artisti (2000) o i discorsi ai membri delle Accademie Pontificie e del Pontificio Consiglio per i Beni Culturali della Chiesa, da lui stesso creati. Da tutto questo magistero si possono trarre i suoi principali insegnamenti sull'arte e sulla ricerca della bellezza.

L'arte, un'apertura trascendente al mistero

Seguendo la concezione classica, San Giovanni Paolo II intende la bellezza come irradiazione della verità e del bene, in particolare della Verità Suprema e del Bene Ultimo, che si identificano con Dio. Si tratta quindi, come lui stesso la definì nel 1962, di una “scintilla divina”, che si cristallizza in “una conoscenza particolare (...) non astratta, puramente intellettuale, ma speciale”. In questo modo, conclude, “la bellezza è la chiave del mistero e un richiamo al trascendente”. Lo ha sottolineato in un incontro con gli artisti a Venezia (1985): “L'arte è (...) conoscenza tradotta in tratti, immagini e suoni, simboli che la mera concezione intellettuale non può riconoscere come proiezioni sul mistero della vita, perché sono al di là dei propri limiti: aperture, quindi, alla profondità, all'altezza, all'esistenza ineffabile, percorsi che mantengono l'uomo libero verso il mistero e che traducono l'anelito che altre parole non possono esprimere”.

Con parole di singolare bellezza, esprime questa stessa idea all'inizio del libro Lettera agli artistiNessuno meglio di voi, artisti, geniali costruttori di bellezza, può intuire qualcosa del pathos con cui Dio, all'alba della creazione, contemplava l'opera delle sue mani. Un'eco di quel sentimento si è riflessa innumerevoli volte nello sguardo con cui voi (...) avete ammirato l'opera della vostra ispirazione, scoprendo in essa per così dire la risonanza di quel mistero della creazione a cui Dio, unico creatore di tutte le cose, ha voluto in un certo senso associarvi”. Si tratta quindi di un talento per cogliere quell'alone divino che chiamiamo bellezza, a cui l'artista ha accesso attraverso una speciale sensibilità, per scoprire la vera natura delle cose. Così, la bellezza artistica “come riflesso dello Spirito di Dio” diventa “un crittogramma del mistero”.

La vocazione dell'artista come mediatore tra la bellezza e il mondo

Se l'arte, in quanto canale di espressione e contemplazione della bellezza, permette di intravedere il mistero trascendente, l'artista - dotato di quella singolare sensibilità - diventa un mediatore o un interprete privilegiato; oppure, seguendo la similitudine del crittogramma, un decrittatore di tale mistero. Infatti, come spiega Papa Wojtyła, “nella ‘creazione artistica’ l'uomo si rivela più che mai come ‘immagine di Dio’”, partecipa a quella “sorta di scintilla divina che è la vocazione artistica” attraverso la quale “può comprendere l'opera del Creatore e, insieme ad essa, accogliere in sé, nella sua fecondità creativa, l'impronta della gratuita creatività divina”. Si comprende così che l'artista vive “un rapporto speciale con la bellezza”, tanto che si può concludere che “la bellezza è la vocazione a cui il Creatore lo chiama con il dono del ‘talento artistico’”. In queste idee sta l'alta vocazione e la missione dell'artista, chiamato ad essere interprete dell'ineffabile mistero che circonda Dio e la sua opera creativa.

San Giovanni Paolo II considera questa funzione di mediazione esercitata dall'artista tra il mondo terreno e la realtà trascendente così sublime - soprattutto se si tratta di un artista cristiano - da paragonarla a una sorta di sacerdozio: “Sia l'individuo che la comunità devono interpretare il mondo dell'arte e della vita, far luce sulla situazione del loro tempo, comprendere l'altezza e la profondità dell'esistenza. Hanno bisogno dell'arte per affrontare ciò che è al di là della sfera puramente utile e che quindi promuove l'uomo (...) Secondo un profondo pensiero di Beethoven, l'artista è in un certo senso chiamato a un servizio sacerdotale”. In particolare, l'artista/sacerdote diventa un “annunciatore” o “riconoscitore” della pulchrum divino e, accanto ad esso, del verum e il bonum dell'Essere per Essenza. 

Qui vediamo la sequenza elezione-vocazione-missione, che questo santo Papa applica al caso dell'artista: Dio chiama gli artisti a una missione particolare, che è quella di riconoscere e riflettere la bellezza divina presente nel mondo - e, insieme ad essa, la verità e la bontà della creazione - e per questo dà loro un talento singolare. Questo talento“, spiega, ”è un bene speciale, una distinzione naturale. È un dono del Creatore. Un dono difficile. Un dono per il quale si deve pagare con tutta la vita. Un dono che comporta una grande responsabilità“. Questa missione implica un impegno esistenziale, perché l'artista sente la responsabilità di farla fruttare. Chi percepisce in sé questa sorta di scintilla divina che è la vocazione artistica", aggiunge, "allo stesso tempo si rende conto che ha la responsabilità di farla fruttificare. l'obbligo di non sprecare quel talento, ma di svilupparlo per metterlo al servizio degli altri e dell'umanità intera”.

Secondo Papa Wojtyła, non si tratta di un percorso facile, perché l'artista si trova di fronte a due pericoli che minacciano il corretto impiego di questo talento: da un lato, la tentazione di credersi superiore a Dio stesso, di divinizzare le proprie opere; dall'altro, quella di staccare l'arte dal suo vero scopo, che è quello di riflettere la verità e la bontà della creazione, cioè di staccare la creazione artistica dalla ricerca della verità sull'uomo stesso e sulla sua felicità. Da queste considerazioni si evince la naturale relazione tra arte e santità - la necessità per il vero artista di aspirare a una vita di realizzazione spirituale - per poter creare e manifestare la bellezza e cercare di contribuire al bene del mondo e dell'umanità. La bellezza“, conclude San Giovanni Paolo II, ”deve essere unita alla bontà e alla santità di vita, in modo che il volto luminoso di Dio, buono, ammirevole e giusto, risplenda nel mondo“. Infatti, il suo discorso in occasione del Giubileo degli Artisti del 2000 è "un invito a praticare la bellezza". la raffinata ‘arte’ della santità".

L'arte, una via di evangelizzazione e di salvezza

Se l'arte è un “rivelatore della trascendenza” o un “crittogramma del mistero”, essa porta in sé la capacità di condurre all'esistenza di Dio. Già nelle meditazioni che tenne nel 1962 a Cracovia agli artisti polacchi, l'allora arcivescovo Wojtyła sottolineò l'efficacia dell'arte come mezzo per rivelare l'esistenza di Dio. via pulchritudinis per arrivare alla conoscenza di Dio. “Sì, in effetti, la bellezza di tutte le creature e delle opere della natura e delle opere d'arte è solo un frammento, qualcosa di limitato, un sintomo o un riflesso, e la sua versione piena e assoluta non esiste da nessuna parte, quindi dobbiamo cercare questa versione assoluta della Bellezza al di là delle creature. Siamo allora sulla strada che ci porta a comprendere che Esiste. Quella Bellezza, che è assoluta e totale, perfetta da ogni punto di vista, è proprio Lui”.

In un certo senso, queste parole dell'allora arcivescovo di Cracovia erano premonitrici del messaggio che San Paolo VI voleva rivolgere agli artisti alla fine del Concilio Vaticano II: “Questo mondo in cui viviamo ha bisogno di bellezza per non cadere nella disperazione”. San Giovanni Paolo II avrebbe fatto eco a questo messaggio conciliare in diverse occasioni. Così, ad esempio, prendendo spunto dalla nota frase di un'opera di Dostoevskij - “La bellezza salverà il mondo” - ha sottolineato a un gruppo di artisti a Salisburgo (1988): “In questo contesto, la bellezza deve essere interpretata come il riflesso della Bellezza, dello splendore di Dio. Di fronte alla realtà schiacciante del mondo contemporaneo, si dovrebbe davvero ampliare questa frase e dire: ‘La bontà, la bontà, l'amore salveranno il mondo’. I cristiani esprimono con questo l'amore di Dio, che in Gesù Cristo si è manifestato nella sua pienezza salvifica e ci chiama all'emulazione. Egli alluderà anche a questo potere dell'arte nella Lettera agli artisti, in cui esprime la sua speranza per l'emergere di “una rinnovata ‘epifania’ di bellezza per il nostro tempo”, che risveglierà “quell'arcano desiderio di Dio”.

Su questa “via della bellezza” sarebbe tornato alla fine del suo pontificato in un discorso ai membri delle Accademie Pontificie, sei mesi prima della sua morte nel novembre 2004, in cui avrebbe definito la "via della bellezza" nei seguenti termini via pulchritudinis “come itinerario privilegiato per l'incontro tra la fede cristiana e le culture del nostro tempo, e come strumento prezioso per la formazione delle giovani generazioni”. E ha esortato: “Se la testimonianza dei cristiani vuole incidere sulla società di oggi, deve essere alimentata dalla bellezza, affinché diventi una trasparenza eloquente della bellezza dell'amore di Dio”. Solo così si può promuovere “un nuovo umanesimo cristiano, capace di percorrere la strada dell'autentica bellezza e di indicarla a tutti come via di dialogo e di pace tra i popoli”. In effetti, un paio di anni dopo, il Pontificio Consiglio della Cultura ha raccolto questo invito e ha prodotto un ampio documento, ricco di riflessioni stimolanti, intitolato La “Via Pulchritudinis”, un percorso di evangelizzazione e dialogo.

A questo punto, e all'interno di questa dimensione salvifica dell'arte, San Giovanni Paolo II distingue due aspetti che costituiscono due facce della stessa medaglia: l'intima connessione che esiste tra bellezza, verità e bene e, di conseguenza, l'efficacia dell'arte come veicolo di catechesi. Per quanto riguarda il primo aspetto, in un incontro con gli artisti, ha affermato: “Come ci insegnano gli antichi, il bello, il vero e il bene sono uniti da un legame indissolubile”. Questa triade ontologica, che permea profondamente tutta la realtà creata, sfida il talento dell'artista che, grazie all'ispirazione divina, è in grado di cogliere e interpretare questi segnali di trascendenza emessi dall'universo creato in tutto il suo splendore. Questa è la sua missione di mediazione, come abbiamo visto: una mediazione che rivela la triplice impronta divina presente nel mondo e che attrae la mente e il cuore umano attraverso la bellezza. Con parole bellissime lo stesso Papa Wojtyła lo esprime nella sua Lettera agli artisti, L“‘ispirazione autentica ha una certa vibrazione di quel ’soffio' con il quale lo Spirito creatore ha permeato l'opera della creazione fin dall'inizio” e che consiste in “una sorta di illuminazione interiore, che unisce allo stesso tempo la tendenza al bene e al bello, risvegliando in lui le energie della mente e del cuore, e rendendolo così adatto a concepire l'idea e a darle forma nell'opera d'arte”.

Qui sta il fondamento dell'efficacia catechetica dell'arte, a cui San Giovanni Paolo II ha fatto riferimento in varie occasioni. In particolare, egli usa l'espressione “mediazione catechistica”, che riprende da San Gregorio Magno, e che si basa su questa capacità che l'arte possiede di rivelare quegli scorci della presenza di Dio nel mondo. Infatti,“ dice questo santo Papa nella sua Lettera agli artisti- il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha portato nella storia dell'umanità tutta la la ricchezza evangelica di verità e bontàe con esso ha anche dichiarato una nuova dimensione della bellezza, di cui è pieno il messaggio evangelico”. Per questo, parafrasando alcuni artisti e scrittori, ha definito la Sacra Scrittura come una sorta di “immenso vocabolario” (P. Claudel) e di “atlante iconografico” (M. Chagall) che è servito da ispirazione per i coltivatori delle arti più diverse. In breve, gli artisti che riconoscono in sé questo talento saranno in grado di offrire “opere d'arte che apriranno in modo nuovo gli occhi, le orecchie e i cuori delle persone, siano esse credenti o cercatori”.

“Nel nome della Bellezza”

Si può concludere che Karol Wojtyła/Giovanni Paolo II abbia contemplato, praticato e percorso la via pulchritudinis della sua giovinezza, riflettendo anche su di essa. All'età di diciannove anni, in una delle sue lettere al suo rapsodico insegnante di recitazione, Mieczysław Klotarczyk, intitolò in modo molto eloquente: “Ti saluto con il Nome della Bellezza, che è il profilo di Dio, la causa di Cristo e la causa della Polonia”. Da quel momento in poi avrebbe coltivato le arti della parola (poesia e teatro) per tutta la vita, culminando nella pubblicazione, alla fine del suo pontificato, del suo lascito poetico Trittico romano.

Non sorprende che il cosiddetto “papa poeta” abbia sviluppato una singolare sensibilità verso il mondo artistico e culturale e che abbia addirittura elaborato una propria ontologia dell'arte come apertura verso la trascendenza. L'arte diventa così un “crittogramma del mistero”, una forma di conoscenza, una manifestazione della presenza divina nel mondo. Un mistero che l'artista è chiamato a svelare attraverso la sua particolare vocazione. Un mistero che si incarna attraverso l'espressione della bellezza, convertita in un percorso di rivelazione salvifica (via pulchritudinis).

Dal suo posto nella Casa del Padre, questo santo Papa continua a ricordare agli artisti di tutti i tempi: “Che la vostra arte contribuisca al consolidamento di un'autentica bellezza che, quasi come un lampo dello Spirito di Dio, trasfiguri la materia, aprendo le anime al senso dell'eterno”.

L'autoreAlejandro Pardo

Sacerdote. Dottore in Comunicazione audiovisiva e Teologia morale. Professore presso l'Istituto Core Curriculum dell'Università di Navarra.

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