Evangelizzazione

San Giovanni Paolo II e i mezzi di comunicazione

A vent'anni dalla morte di San Giovanni Paolo II, questo articolo riletta il suo magistero sui mezzi di comunicazione, intesi come un servizio – un'autentica diaconia – alla verità, al bene comune e alla dignità della persona.

Alejandro Pardo-21 dicembre 2025-Tempo di lettura: 9 minuti
San Giovanni Paolo II

San Giovanni Paolo II ©OSV News/Joe Rimkus Jr.

Nel suo desiderio di essere presente nel mondo e di portare avanti la sua missione di evangelizzazione di tutti i popoli, la Chiesa ha prestato particolare attenzione ai mezzi di comunicazione, soprattutto a partire dalla metà del XX secolo. All'interno di questo vasto corpus magisteriale, il pontificato di San Giovanni Paolo II è stato particolarmente prolifico e intenso, non solo per quanto riguarda il numero di testi o riferimenti, ma anche per l'attenzione dei media, un fenomeno senza precedenti nella storia della Chiesa fino a quel momento. Lo dimostrano gli incontri regolari che ha tenuto con i professionisti dei media e dell'intrattenimento dall'inizio della sua missione alla guida della Sede di Pietro e che sono continuati fino alla fine, come dimostra la convocazione a Roma dei giornalisti di tutto il mondo in occasione del Giubileo del 2000.

Allo stesso modo, è stata sorprendente la sua decisione di nominare portavoce un giornalista accreditato e di affidargli la professionalizzazione della comunicazione istituzionale del Vaticano. D'altra parte, spiccano i suoi messaggi in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali e i suoi discorsi ai membri del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Tutto questo vasto corpus magisteriale è stato oggetto di diversi studi e raccolte. In questo articolo ci proponiamo di evidenziare le idee più fondamentali.

Un Papa mediatico

È evidente a tutti che San Giovanni Paolo II possedeva qualità eccezionali come “personaggio mediatico”, grazie al suo background teatrale, alla sua vasta cultura, al suo interesse per le questioni del mondo contemporaneo e alla sua costante attenzione – vera preoccupazione pastorale – verso la gente comune (giovani, operai, padri e madri di famiglia). Tutto ciò ha facilitato il suo “legame” con i professionisti dei media, tradotto in vicinanza, rispetto e ammirazione reciproci. Così lo esprime uno di loro:

“Atleta e attore, il corpo è per lui un mezzo di espressione e comunicazione. Uno strumento prezioso al servizio della missione (…). Ecco uno dei segreti di Wojtyła come fenomeno mediatico. Il suo carisma risiede nella trasparenza. Ha un fascino personale che si esprime nel suo modo di guardare, di sorridere, di muoversi. Un atteggiamento così caloroso che seduce irrimediabilmente”. Anche alcuni dei suoi biografi meno favorevoli, come Berstein e Politi, riconoscono che “Giovanni Paolo II è stato il primo Papa a comprendere l’era della televisione, il primo a padroneggiare il mezzo, a maneggiare un microfono, il primo Papa che era solito improvvisare, che non temeva di agire in pubblico”.

Dietro questa vicinanza e questa prossimità si nasconde una profonda convinzione sul ruolo che la Chiesa deve svolgere nella società contemporanea, dove i cristiani sono chiamati a essere protagonisti nella battaglia per l'anima del mondo che si gioca soprattutto nei “nuovi areopagi”, tra cui spiccano i mezzi di comunicazione. Lo sottolineava specificamente questo santo Papa: “Il primo areopago dell'epoca moderna è il mondo della comunicazione, che sta unificando l'umanità e trasformandola – come si suol dire – in un ‘villaggio globale’.

I mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza che per molti costituiscono il principale strumento informativo e formativo, di orientamento e ispirazione per i comportamenti individuali, familiari e sociali. Le nuove generazioni, soprattutto, crescono in un mondo condizionato da questi mezzi. Forse questo areopago è stato un po” trascurato: generalmente si privilegiano altri strumenti per l'annuncio evangelico e per la formazione cristiana, mentre i mezzi di comunicazione sociale sono lasciati all'iniziativa di singoli o di piccoli gruppi, ed entrano nella programmazione pastorale solo a livello secondario”. Sembra chiaro che San Giovanni Paolo II fosse ben consapevole di questa lacuna e della necessità di colmarla sin dai primi momenti del suo pontificato. Da qui la sua iniziativa di professionalizzare la Sala Stampa e creare una nuova cultura di relazione istituzionale con i mezzi di comunicazione.

Doni di Dio

In linea con quanto affermato dalla Chiesa nell'ultimo mezzo secolo, Papa Wojtyła sottolinea il carattere positivo dei mezzi di comunicazione, considerandoli doni di Dio che devono essere utilizzati per il bene: “I mezzi di comunicazione – afferma – sono il biglietto d'ingresso di ogni uomo e donna al mercato moderno, dove si esprimono pubblicamente le proprie opinioni, si realizza uno scambio di idee, circolano le notizie e si trasmettono e ricevono informazioni di ogni tipo. Per tutti questi doni rendiamo grazie a Dio...”. La conferma di questa realtà non risponde solo al desiderio di riaffermare il magistero precedente, ma è piuttosto il frutto della sua personale convinzione e della sua esperienza pastorale.

Allo stesso tempo, in linea con il Magistero, sottolinea la natura strumentale di questi doni, che come tali possono essere utilizzati al servizio dell'uomo e della società o contro di essi. “Il rapporto della Chiesa con i mezzi di comunicazione è complesso e richiede una riflessione costante”, spiega. «Da un lato, la Chiesa vede nei mezzi di comunicazione sociale un potenziale infinito, non solo per la diffusione di informazioni, la creazione e la comunicazione dell'arte e della cultura, la ricreazione e il miglioramento dello spirito umano, ma anche per la crescita e il rafforzamento del regno di Dio. Allo stesso tempo, è dolorosamente consapevole del danno che può essere inflitto agli individui e alla società dall'uso improprio di questi strumenti». In queste parole si condensano gli altri aspetti principali che sviluppa nel suo magistero e che commenteremo di seguito.

Agenti di socializzazione e acculturazione

È significativo che in uno dei suoi primi messaggi in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (1980) San Giovanni Paolo II abbia fatto riferimento al potere di influenza dei mezzi di comunicazione “nel processo di socializzazione dei giovani, facilitando una visione dell'uomo, del mondo e delle relazioni con gli altri che spesso differisce profondamente da quella che la famiglia cerca di trasmettere”.

E quello stesso anno, davanti all'UNESCO, afferma: “Dato che questi mezzi sono i mezzi ‘sociali’ di comunicazione, non possono essere mezzi di dominio sugli altri, sia da parte degli agenti del potere politico, sia da parte delle potenze finanziarie che impongono il loro programma e il loro modello. Devono diventare il mezzo di espressione di questa società che li utilizza e che ne garantisce anche l'esistenza. Devono tenere conto delle reali esigenze di questa società. (...) Devono tenere conto del bene dell'uomo, della sua dignità. Non possono essere soggetti al criterio dell'interesse, del sensazionale o del successo immediato, ma, tenendo conto delle esigenze dell'etica, devono servire alla costruzione di una vita ‘più umana’”.

Infatti, non solo “la comunicazione genera cultura”, ma “la cultura si trasmette attraverso la comunicazione”, come egli stesso sottolinea. Qui si fonda la questione cruciale che sta alla base del caso dei mezzi di comunicazione, ovvero il loro potere di influenza sociale e culturale; o, in altre parole, il loro ruolo di agenti di socializzazione e culturalizzazione. “Si tratta di un fenomeno di vaste proporzioni”, continua, "sostenuto da potenti campagne dei mezzi di comunicazione sociale, che tendono a proporre stili di vita, progetti sociali ed economici e, in definitiva, una visione generale della realtà, che erode internamente organizzazioni culturali diverse e civiltà nobilissime. Per il loro spiccato carattere scientifico e tecnico, i modelli culturali occidentali sono affascinanti e attraenti, ma mostrano, purtroppo e in modo sempre più evidente, un progressivo impoverimento umanistico, spirituale e morale".

Pertanto, i contenuti trasmessi dai mezzi di comunicazione – siano essi informativi o di puro intrattenimento – non sono mai innocui. Essi riflettono una determinata visione antropologica e sociologica. Il processo comunicativo stesso è alla base della creazione della cultura, di un modo di vedere e comprendere ciò che ci circonda e, in particolare, l'uomo stesso. Lo sottolinea anche questo santo Papa:

“La persona umana e la comunità umana sono il fine e la misura dell'uso dei mezzi di comunicazione sociale; la comunicazione dovrebbe avvenire da persona a persona, con l'obiettivo dello sviluppo integrale delle stesse”. “Perché i mass media rispondono sempre a una determinata concezione dell'uomo, sia quando trattano l'attualità informativa, sia quando affrontano temi propriamente culturali o vengono utilizzati a fini di espressione artistica o di intrattenimento; e vengono valutati in base all'accuratezza e alla completezza di tale concezione”.

Indubbiamente, questo potere influente comporta una grave responsabilità morale, come sottolinea lo stesso Papa Wojtyła: “Sappiamo che i mezzi di comunicazione sociale esercitano una grande influenza sulla formazione delle coscienze e, di conseguenza, nell'ambito della morale. Per questo dobbiamo innanzitutto prestare attenzione al fatto che i mezzi di comunicazione aiutino le persone a formare la loro coscienza e il loro atteggiamento morale in modo tale da rispettare non solo la legge di Dio, ma anche da difendere la natura umana, portatrice di una dignità innata e inalienabile che deve essere rispettata in ogni circostanza”. “Pertanto, per quanto riguarda i contenuti, è necessario fare sempre appello al senso di responsabilità dei comunicatori e al senso critico di coloro che ricevono la comunicazione”.

Al servizio della verità e del bene comune

Da quanto detto finora emerge lo stretto e necessario legame che esiste tra comunicazione e verità e, quindi, tra comunicazione e bene comune. Questo è un aspetto che San Giovanni Paolo II ha voluto sottolineare fin dall'inizio del suo pontificato: la comunicazione come servizio alla verità e al bene comune. Già in un incontro con i professionisti dei mezzi di comunicazione in Messico (1979), pochi mesi dopo essere stato eletto Papa, li definiva “ricercatori della verità” ed esortava: “Servite innanzitutto la verità, ciò che costruisce, ciò che migliora e nobilita l'uomo”.

E quello stesso anno, davanti ai professionisti del mondo della comunicazione delle Nazioni Unite, confidava loro: “Voi siete autentici servitori della verità; voi siete i suoi instancabili trasmettitori, diffusori, difensori. Siete trasmettitori devoti, che promuovete l'unità tra tutte le nazioni facendo sì che tutti i popoli condividano la verità. (...) Siate fedeli alla verità e alla sua trasmissione, perché la verità dura nel tempo; la verità non scomparirà. La verità non passerà né cambierà. E io vi dico (...) che il servizio alla verità, il servizio all'umanità attraverso la verità, è una delle cose più preziose dei vostri anni migliori, dei vostri talenti sottili e della vostra dedizione più strenua. Come trasmettitori della verità, siete strumenti di comprensione tra le persone e di pace tra le nazioni”.

Ricercatori, trasmettitori, diffusori, difensori, servitori... È difficile trovare una serie più ampia di aggettivi per descrivere il dovere dei professionisti della comunicazione nei confronti della verità. A questo proposito, è altrettanto rilevante un altro intervento del 1982, rivolto ai rappresentanti dei mezzi di comunicazione a Madrid. In esso sottolineava: “Ho pronunciato una parola ben ponderata: servizio. Perché, in effetti, con il vostro lavoro servite e dovete servire la causa dell'uomo nella sua integrità: nel suo corpo, nel suo spirito, nel suo bisogno di svago onesto, di nutrimento culturale e religioso, di un corretto criterio morale per la sua vita individuale e sociale”. E con toni forti, assicurava: “La ricerca della verità indeclinabile richiede uno sforzo costante, richiede di porsi al giusto livello di conoscenza e di selezione critica. Non è facile, lo sappiamo bene. (...) Se è difficile una completezza e una totalità oggettiva, non lo è la lotta per trovare la verità, la decisione di proporre la verità, la prassi di non manipolare la verità, l'atteggiamento di essere incorruttibili di fronte alla verità”.

Si tratta, in fondo, di una diaconia, come spiega lo stesso San Giovanni Paolo II nell'enciclica Fides et Ratio: “Tra i vari servizi che la Chiesa deve offrire all'umanità, ce n'è uno di cui è responsabile in modo particolare: la diaconia della verità”. Si tratta di una diaconia alla quale partecipano anche i mezzi di comunicazione e gli altri agenti culturali. Si arriva così ad affermare che “se i mezzi di comunicazione sociale sono ben utilizzati, costituiscono un aiuto per conoscere la verità e liberarci dall'ignoranza, dai pregiudizi, dall'isolamento e dalla violazione della dignità umana, che si produce quando i mezzi di comunicazione sono manipolati allo scopo di controllare e limitare il pensiero umano”.

Questa insistenza nella difesa della verità rimarrà immutata fino alla fine del suo pontificato. È significativo che egli vi abbia fatto nuovamente riferimento nel Giubileo dei giornalisti del 2000: “In questo grande viaggio dell'umanità si manifesta anche la verità della persona umana, creata a immagine di Dio e destinata alla comunione eterna con Lui; e si manifesta la verità, che è il fondamento di ogni etica e che voi siete chiamati a osservare anche nella vostra professione (...): siete chiamati a consacrare la vostra professionalità al servizio del bene morale e spirituale delle persone e della comunità umana”.

Una professione con un background vocazionale

Alla luce di quanto esposto, è facile comprendere la grande stima che San Giovanni Paolo II nutriva nei confronti dei professionisti della comunicazione. Da qui la sua definizione di questa professione come una “vocazione così attuale e bella”, a beneficio della “nobiltà del compito” che essi svolgono; “un servizio di incalcolabile importanza”, “un compito in un certo senso ‘sacro’”. Per questo motivo, egli si riferisce a loro non solo come “servitori della verità”, ma anche come “dispensatori e amministratori di un immenso potere spirituale”. E conclude: “Non c'è dubbio che i mass media sono oggi una delle grandi forze che modellano il mondo e che in questo campo un numero crescente di persone, dotate e altamente preparate, è chiamato a trovare il proprio lavoro e la possibilità di esercitare la propria vocazione. La Chiesa pensa a loro con affetto attento e rispettoso e prega per loro. Poche professioni richiedono tanta energia, dedizione, integrità e responsabilità come questa e, allo stesso tempo, poche sono le professioni che hanno tanta incidenza sul destino dell'umanità”.

Il mondo dei media ha subito un'evoluzione esponenziale negli ultimi decenni. Tuttavia, queste parole possono continuare a ispirare le nuove generazioni di professionisti del settore. Dopo tutto, la tecnologia evolve, il mondo cambia, ma la natura umana rimane la stessa.

L'autoreAlejandro Pardo

Sacerdote. Dottore in Comunicazione audiovisiva e Teologia morale. Professore presso l'Istituto Core Curriculum dell'Università di Navarra.

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