Chi è quell'uomo barbuto che, con un cappello a tesa larga e lo sguardo fermo, appare accanto al presidente degli Stati Uniti davanti alle voragini di Yosemite? Non è un politico, né un militare, ma un naturalista che ha fatto del contatto con la natura la missione della sua vita e che ha saputo convincere un presidente della necessità di proteggere la natura selvaggia.
John Muir, con la sua figura emaciata e la barba da profeta biblico, non solo accompagnò Theodore Roosevelt in quella famosa escursione del 1903: in realtà stava convincendo il presidente che la natura selvaggia doveva essere protetta per le generazioni future. Quella fotografia è oggi il simbolo di un momento fondamentale: quando la contemplazione della natura si trasformò in politica di conservazione.
Le origini
Muir aveva percorso una lunga strada prima di raggiungere quella vetta. Nato a Dunbar, in Scozia, nel 1838, all'età di undici anni emigrò nel Wisconsin, negli Stati Uniti. La sua vita nella fattoria di famiglia era caratterizzata dal duro lavoro imposto dal padre. Quelle ore di intenso sforzo contrastavano con i momenti di libertà, quando passeggiava con suo fratello nei prati e si fermava a contemplare un uccello o un fiore. Quell'esperienza infantile, un misto di severità e meraviglia, alimentò una sensibilità che non lo avrebbe mai abbandonato.
Contatto con la natura
Da giovane si distinse come inventore e studiò chimica, botanica e geologia all'Università del Wisconsin-Madison. Un grave incidente, nel 1867, lo rese quasi cieco, ma la sua guarigione fu l'inizio di una nuova vita: intraprese un viaggio a piedi di oltre 1.800 chilometri fino al Golfo del Messico, e da lì raggiunse la California, dove iniziò ad esplorare Yosemite. Lì trovò quello che avrebbe definito la sua vera casa. “Andare in montagna è come tornare a casa”, scriverei in Il mio primo estate in montagna (1911).
La sua vita divenne un pellegrinaggio costante. Scoprì i ghiacciai della Sierra Nevada, viaggiò in Alaska e diede il nome al ghiacciaio Muir, studiò l'ecologia delle sequoie giganti e viaggiò in Sud America, Africa e Australia. Ma tornava sempre a Yosemite, dove l'esperienza della natura selvaggia gli si rivelava come un mistero sacro.
A Le montagne della California (1894) scrisse: “Quando cerchiamo di distinguere qualcosa in sé, scopriamo che è collegato a tutto il resto nell'universo. In ogni passeggiata nella natura si riceve molto più di quanto si cercasse”. Questa convinzione di interconnessione lo portò ad affermare che la natura selvaggia non era un lusso, ma una necessità vitale. “Migliaia di persone stanche, nervose, troppo civilizzate, stanno cominciando a scoprire che la natura selvaggia è una necessità”.”ha scritto in I nostri parchi nazionali (1901).
Per Muir, questa necessità era anche un mandato interiore. In una lettera alla sua amica Jeanne Carr espresse con semplicità il suo destino: “Le montagne mi chiamano e devo andare” (La vita e le lettere di John Muir, 1924). Ma non volle tenere per sé questa rivelazione. Nei suoi diari afferma: “Oltre al pane, tutti hanno bisogno di bellezza, di luoghi dove giocare e pregare, dove la natura possa guarire e dare forza sia al corpo che all'anima”.” (Giovanni delle Montagne, 1938).
Questa vocazione pedagogica si trasformò in azione politica. Nel 1892 fondò il Sierra Club, che esiste ancora oggi, e dedicò le sue energie alla difesa dello Yosemite e dei parchi nazionali. Considerava la natura come una scuola e una maestra, capace di insegnare con più chiarezza dei libri: “Il percorso più chiaro verso l'universo è attraverso una foresta selvaggia” (Una marcia di mille miglia verso il Golfo, 1916).
Dalla natura a Dio
Per John Muir, la foresta selvaggia ci parla di Dio. Muir aveva abbandonato il calvinismo della sua famiglia, che tendeva a considerare Dio come totalmente estraneo al mondo. Sebbene avesse pochi legami con la tradizione cattolica, Muir sembra aver intuito - afferma lo studioso Tim Flinders - la presenza divina che anima il mondo naturale, “che abita l'universo e lo riempie di luce e armonia” (John Muir: Scritti spirituali, p. 24). Con il suo lavoro, i suoi scritti e la sua vita, Muir ci ha insegnato che la natura può portarci a scoprire e ad ammirare il suo Creatore.
Il suo pensiero univa spiritualità, scienza e politica: spiritualità, perché vedeva il sacro nella natura selvaggia; scienza, perché studiò con rigore la geologia e la botanica; politica, perché seppe influenzare leggi e presidenti. Credeva che la natura dovesse essere preservata. “a beneficio e godimento di tutto il popolo”, come bene comune dell'umanità.
La fotografia del 1903 a Yosemite riassume tutto questo percorso. Da un lato, Roosevelt, incarnazione del potere dello Stato; dall'altro, Muir, dallo sguardo ardente e dall'aspetto da eremita, incarnazione della voce della montagna. Tra i due, l'immenso paesaggio di Yosemite, testimone di un patto a favore della conservazione. Forse è per questo che, guardando di nuovo l'immagine, capiamo che essa non ritrae solo un presidente e un naturalista, ma l'umanità in dialogo con la natura selvaggia. Roosevelt rappresenta la forza politica; Muir, la forza spirituale. E tra i due si apre l'orizzonte della natura, che sembra ricordarci che la vera grandezza non sta nel dominio, ma nella conservazione. Lì, nel silenzio di Yosemite, risuona ancora il richiamo di Muir: le montagne continuano a chiamarci, e siamo ancora in tempo per rispondere.




