Dal 30 novembre al 2 dicembre 2025 Papa Leone XIV compirà il suo primo viaggio apostolico internazionale in Turchia e Libano. La notizia ovviamente ha fatto il giro del mondo: il Paese dei Cedri è una terra martoriata, ma anche un luogo dal valore simbolico unico. “Il Libano è un messaggio, […] e questo messaggio è un progetto di pace. La sua vocazione è quella di essere una terra di tolleranza e di pluralismo, un’oasi di fraternità dove religioni e confessioni differenti si incontrano, dove comunità diverse convivono anteponendo il bene comune ai vantaggi particolari”, aveva affermato Papa Francesco nel 2021, indicando la vocazione e la missione di questo piccolo Paese.
Il contesto, tuttavia, è quello che conosciamo: soffocato dal 2019 da una devastante crisi economica, con inflazione record, servizi al collasso e una popolazione stremata dall’emigrazione di massa, il Libano fatica a trovare soluzioni condivise, anche a causa della sua politica spesso immobilizzata dal rigido sistema confessionale che assegna le cariche in base all’appartenenza religiosa. Eppure, continua ad essere un laboratorio di convivenza in cui cristiani e musulmani vivono, malgrado tutto, fianco a fianco.
Già in altri articoli Per Omnes, ho affrontato il tema della ricchezza dell'identità plurale del Libano, radicata nella tradizione cristiana orientale, nonché i rischi del suo collasso. politico e economico. Ora, con la visita del Papa, questi elementi si uniscono a una dimensione spirituale incarnata nei santi e nei loro santuari.
Santi e santuari “ambigui”
A questo fenomeno ho dedicato uno studio accademico intitolato: “Il Libano con i suoi santi e santuari ‘ambigui’: un laboratorio di evangelizzazione in un mondo transculturale?”, presentato al 14° Seminario professionale sugli uffici di comunicazione della Chiesa, presso la Pontificia Università della Santa Croce.
Nel mio articolo ho analizzato il fenomeno dei cosiddetti santuari “ambigui”: luoghi di culto che, pur appartenendo a una tradizione religiosa precisa, sono frequentati e venerati da fedeli di altre fedi. In Libano questo accade in particolare con tre figure centrali della spiritualità maronita: San Charbel Makhlûf (1828 – 1898), Santa Rafqa al‑Rayès (1832 – 1914) e San Nimatullah al‑Hardinī (1808 – 1858).
Nati in villaggi del Libano settentrionale, vissero vite semplici, segnate da preghiera, insegnamento e sacrificio. Nimatullah, canonizzato nel 2004, fu maestro di teologia e guida spirituale; Rafqa, proclamata santa nel 2001, incarnò la fede trasformando la sofferenza in testimonianza; Charbel, elevato agli altari nel 1977, divenne celebre solo dopo la morte per i miracoli e il corpo incorrotto che ancora oggi trasuda olio taumaturgico.
I loro santuari, soprattutto quello di San Charbel ad Annaya, sono mete di pellegrinaggi che travalicano i confini confessionali. Migliaia di cristiani di diverse denominazioni, ma anche musulmani sciiti e sunniti, drusi vi si recano ogni anno per chiedere guarigioni, pregare, lasciare ex-voto.
Il “vivere insieme”: un bene comune
Questa devozione condivisa evoca il concetto arabo di ‘aysh al-muštarak’, il “vivere insieme”, che ha caratterizzato la storia libanese per secoli. Già in epoca islamica e poi ottomana, i luoghi santi cristiani erano frequentati dai musulmani, che riconoscevano in essi la «baraka», la benedizione divina trasmessa attraverso i «walī Allah» (“amici di Dio”).
Nonostante la nascita dei nazionalismi e le guerre civili del XX secolo, questo “dialogo dei fedeli” non si è mai spezzato. È un dialogo che non nasce da summit o incontri diplomatici, bensì dalla vita quotidiana, da gesti concreti di pietà popolare che uniscono comunità divise. È qui che il Libano si rivela davvero “messaggio di pace”: nel fatto che la fede popolare ha mantenuto legami dove la politica ha fallito.
Tre santi “eroici” e i pellegrinaggi alle loro tombe
Charbel, Rafqa e Nimatullah sono definiti santi “eroici” non per imprese spettacolari da essi compiute, ma per la radicalità evangelica che hanno incarnato. Le loro vite sono diventate modelli morali e spirituali per l’intero popolo libanese. Molti musulmani raccontano sogni in cui San Charbel appare come intercessore di pace, altri testimoniano guarigioni straordinarie. Rafqa è venerata poi come esempio di resilienza, Nimatullah (che fu maestro di Charbel) come maestro di vita spirituale.
Questi santi sono figure che trascendono i confini religiosi: non rappresentano solo l'identità maronita, ma una santità che parla a tutti, costruendo una «communitas» che supera le divisioni.
Il pellegrinaggio (ziyārah: in arabo “visita”) è una pratica comune alle grandi religioni monoteiste. In Libano assume un carattere particolare: il fedele musulmano che accende una candela davanti all’icona di San Charbel, compie riti di “deambulazione”, unzione o altro sulle tombe anche di Rafqah o Nimatullah, non fa un gesto di curiosità, ma esprime una fede genuina. In quelle pratiche – toccare reliquie, pregare per la guarigione, lasciare offerte – si manifesta un linguaggio universale, capace di oltrepassare le barriere.
Questa dimensione “ambigua”, lungi dall’essere una minaccia all’identità, si rivela una risorsa. È un’esperienza di transculturalità e perfino di “transreligiosità”, che mostra come il sacro possa essere ponte e non muro. Proprio per questo i santuari libanesi diventano segni concreti di speranza in un Medio Oriente lacerato.
Conflitto, elezioni e disarmo: il Libano sotto osservazione
Negli ultimi mesi, il Libano è stato al centro delle tensioni internazionali. Il conflitto tra Israele e Hezbollah ha vissuto un'escalation tra il 2023 e il 2024, con l'intervento diretto del gruppo sciita libanese insieme alle fazioni palestinesi, che ha portato a un accordo di cessate il fuoco il 27 novembre 2024.
Nel 2025, l’attenzione si è spostata sulla politica interna: il Parlamento ha eletto il maronita Joseph Aoun alla presidenza, ponendo fine a oltre due anni di vuoto istituzionale.
L’obiettivo dichiarato del nuovo governo è rafforzare lo Stato e riprendere il controllo di tutto il territorio. In questo contesto, è stato approvato un piano ambizioso per il disarmo della milizia Hezbollah, con l’obiettivo di rendere le forze armate dello Stato l’unico detentore di armi entro la fine del 2025. Hezbollah, pur fortemente indebolita dagli scontri con Israele, continua a rifiutare il disarmo totale se Israele non ritirerà del tutto le sue truppe.
Questo scenario, ovviamente, pregiudica la già delicata situazione del Paese: la sfida non è soltanto geopolitica, ma anche simbolica. Il Paese è a un bivio, con la sfida difficilissima di tradurre il pluralismo in reale sovranità statale, con l’esempio tuttavia di una testimonianza di unità che i santi libanesi, e la cultura “orientale” (siriaca) condivisa, hanno iniziato da decenni.
Evangelizzazione e comunicazione
L’esperienza dei santi libanesi dimostra che la comunicazione della fede non si riduce a trasmettere concetti astratti, ma significa soprattutto creare legami, intessere relazioni. Come ho sottolineato nel contesto accademico del Seminario della Santa Croce, si tratta di una vera e propria pre-evangelizzazione: un terreno fertile che prepara i cuori ad accogliere il Vangelo.
In un mondo polarizzato e frammentato, dove spesso la comunicazione si riduce a slogan, i santuari “ambigui” mostrano un’altra via: che la fede autentica non divide, ma genera incontro; che il sacro non è proprietà esclusiva di una comunità, ma può diventare terreno comune di fraternità e valori condivisi.
Il Libano, con la sua esperienza fragile ma tenace, resta dunque un laboratorio di pace e di convivenza. Il viaggio del Papa non sarà solo una visita pastorale, ma un riconoscimento di questa vocazione unica: ricordare al mondo che l’incontro con Dio genera anzitutto l’incontro tra gli uomini.




