Nella sua ultima sessione, tenutasi lo scorso fine settimana, il “Comitato sinodale” tedesco ha approvato la creazione di una “Conferenza sinodale”. Fin dai suoi inizi, il “Cammino sinodale” tedesco ha cercato di creare un organo permanente di deliberazione e decisione congiunta tra vescovi e laici. Dopo il divieto esplicito del Vaticano di istituire un “Consiglio sinodale” - figura inesistente nel diritto canonico, come ricordato in due lettere della Santa Sede del 16 gennaio 2023 e del 16 febbraio 2024 - i promotori hanno modificato il nome; ma l'obiettivo rimane lo stesso: istituzionalizzare una struttura stabile che perpetui il Cammino Sinodale.
Già il testo base “Potere e separazione dei poteri nella Chiesa”, approvato dall'Assemblea sinodale il 3 febbraio 2022, affermava che le decisioni vincolanti per tutte le diocesi tedesche dovevano essere discusse e approvate congiuntamente dalla Conferenza episcopale tedesca (DBK) e dal Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZdK). La creazione di un organo permanente era quindi un obiettivo dichiarato fin dall'inizio.
Apparente unanimità
I promotori della “Conferenza sinodale” interpretano l'unanimità raggiunta nell'ultima sessione del Comitato sinodale come un segno di fiducia interna e di una “cultura sinodale matura”. Tuttavia, questa unanimità nasconde l'opposizione di cinque vescovi tedeschi - il cardinale Rainer Woelki (Colonia) e i vescovi Gregor Maria Hanke OSB (Eichstätt), Stefan Oster SDB (Passau) e Rudolf Voderholzer (Ratisbona) – che si sono rifiutati di partecipare a un progetto che, a loro avviso, creerebbe un organo “di fatto al di sopra” della Conferenza episcopale.
La “Conferenza sinodale” aspira a passare dalla deliberazione all'azione dopo l'assemblea del 2026. A tal fine, cerca di conciliare le aspettative romane e le aspirazioni riformiste, ma lascia aperte questioni decisive: le competenze effettive della Conferenza sinodale, la natura vincolante delle sue decisioni e i criteri di partecipazione. Senza un nihil obstat romano, la sua legittimità sarebbe gravemente compromessa.
L'indipendenza episcopale messa in discussione
Lo statuto prevede una struttura paritaria e stabile, con autonomia finanziaria e capacità di fissare la propria agenda, valutarsi autonomamente e adottare decisioni in modo collegiale. Sebbene l'autorità del vescovo diocesano sia formalmente affermata, il sistema proposto assomiglia a un modello quasi parlamentare che, nella pratica, vincola i vescovi alle decisioni prese collettivamente. Ciò contraddice il recente documento finale del Sinodo mondiale, che distingue chiaramente tra deliberazione (per tutto il Popolo di Dio) e decisione (competenza propria dei vescovi).
L'insistenza sull'unanimità assume qui una sfumatura problematica. Presentata quasi come un segno dello Spirito, rischia di diventare una pressione morale contro coloro che nutrono riserve. La sinodalità viene ridotta a un'esperienza emotiva di coesione interna, piuttosto che a un discernimento in fedeltà alla Chiesa universale. La fiducia di gruppo viene equiparata alla legittimità spirituale, ignorando gli avvertimenti romani.
Il rischio è evidente: che il nuovo organo interpreti la propria unità interna come una conferma, generando una preoccupante immunità nei confronti delle critiche. Roma ha insistito sul fatto che non è possibile creare un'istanza nazionale con competenze non previste dal diritto canonico, ma gli statuti vanno proprio in questa direzione, anche se con un altro nome. L'affermazione che “Roma è stata strettamente coinvolta” nella stesura sembra più un tentativo di pressione che un riflesso del processo reale.
Una sinodalità diversa da quella romana
Cinque anni di Cammino Sinodale hanno dimostrato che spesso le maggioranze impongono la propria agenda senza integrare adeguatamente le argomentazioni delle minoranze. In questo contesto, più determinanti degli statuti saranno i futuri regolamenti interni ed elettorali del nuovo organo, norme che non richiedono l'approvazione romana e che ne orienteranno di fatto il corso.
Il canonista Heribert Hallermann avverte che gli statuti contengono ambiguità deliberate. Sebbene la formula “deliberare e decidere congiuntamente” sia stata attenuata, l'articolo 2 continua a collegare entrambi i concetti in modo incompatibile con il Sinodo mondiale. Inoltre, consentire alla Conferenza sinodale stessa di determinare i propri temi e valutare il proprio funzionamento apre la porta a pratiche irregolari che potrebbero consolidarsi nel tempo. Hallermann ricorda che l'entrata in vigore degli statuti richiede riconoscimento della Santa Sede, cosa ignorata nel testo approvato. Ritiene improbabile che Roma dia la sua approvazione, poiché ciò significherebbe avallare un organo di governo nazionale non previsto dal diritto canonico.
In ultima analisi, sottolinea Hallermann, ogni vescovo dovrà valutare attentamente le implicazioni dottrinali e canoniche prima di approvare gli statuti, poiché il suo dovere è quello di custodire l'unità e la legalità della Chiesa, anche di fronte a pressioni interne.
Critica
L'iniziativa laica “Nuovo Inizio” (“Neuer Anfang”), critica fin dall'inizio nei confronti del processo sinodale tedesco, ha pubblicato una dichiarazione in dodici punti in cui chiede al Papa e alle autorità romane di respingere lo statuto perché contrario alla dottrina, alla costituzione e al diritto della Chiesa. Essi sottolineano che esiste già una cooperazione istituzionale tra la Conferenza Episcopale Tedesca e il Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi e mettono in guardia dal rischio di una “sovrastrutturazione” ecclesiale. Ciò che è necessario, affermano, non sono nuovi organismi, ma piccoli circoli vivaci, iniziative diaconali, missionarie e gruppi di preghiera.
Criticano inoltre la parità tra vescovi, ZdK e “altri credenti”, che vedrebbero come una pericolosa “parlamentarizzazione” del governo ecclesiastico, suscettibile di essere catturata da lobby e ideologie e di oscurare il Vangelo, contro gli avvertimenti del Vaticano e di Papa Francesco. Inoltre, accusano il progetto di strumentalizzare gli abusi sessuali attraverso il concetto di “colpa sistemica” per promuovere un programma di riforme, nascondendo le responsabilità personali.




