Nella seconda sessione del Arteologia, Abel de Jesús confidava ai suoi studenti che un giorno, contemplando un'opera di Vermeer, si commosse fino alle lacrime. Era un'emozione serena e profonda, una di quelle che non si cercano né si pianificano, ma che accadono come un dono. L'opera che stava contemplando era “Il Geografo”. Scoprì qualcosa di più di un quadro: l'irruzione della Bellezza indisponibile, quella che non appartiene al mercato del gusto o al catalogo dell'utile.
Il geografo di Vermeer lavora concentrato, impegnato nella sua mappa, quando improvvisamente alza lo sguardo. E in quello sguardo sollevato c'è una rivelazione. È così che viviamo anche noi“, dice Abel de Jesús, ”nel calcolo, nel prevedibile, finché una luce non ci fa uscire dal calcolo e ci ricorda che siamo fatti per qualcos'altro".
Questo “altro” ha un nome: desiderio. Non il desiderio capriccioso di possedere o di consumare, ma il desiderio profondo che Dio ha inscritto in ogni persona per condurla alla realizzazione. “Che cosa desideri? -chiede Abel. Non ”cosa ti piace?“ o ”cosa ti diverte?“, ma ”cosa desideri veramente?“. Perché in questa domanda, insiste, Dio imprime la sua chiamata.
La logica della produttività
Viviamo secondo la logica dell'aritmetica: produttività, convenienza, rispetto umano. Ma il Vangelo, ci ricorda Abel, non si misura con i bilanci. Gesù non ha vissuto una vita produttiva: trent'anni di silenzio e tre di parole. Non ha fondato aziende, né ha lasciato buoni bilanci, ma la sua luce continua ad accompagnare la storia. Ci insegna che la realizzazione non è nelle prestazioni, ma nella corrispondenza d'amore con il Logos, quel principio di ordine, armonia e senso che è Dio stesso.
“La teologia del Logos”, afferma, "ci ricorda che Dio non impone ciò che non è: non ti chiede di fare qualcosa contro la tua natura. Le cose non sono buone perché Dio le vuole, ma Dio le vuole perché sono buone e belle". Questo Logos è la ragion d'essere del mondo e il cuore della rivelazione: un Dio che non agisce per capriccio, ma per amore, perché il suo essere è un traboccare d'amore.
Durante la sessione, Abel ripercorre la storia della fede come un'esposizione pedagogica: dall'occhio per occhio al perdono dei nemici, dal tempio di pietra al tempio del cuore, dal Dio lontano al Dio incarnato, che si fa uomo perché l'uomo possa recuperare la sua pienezza. L'incarnazione“, dice, ”non è un evento come un altro, come l'uscita di un disco o un evento storico. È un salto eterno: il momento in cui Dio entra nella storia e la storia tocca l'eterno".
Quel mistero ha un volto concreto: il volto di Gesù. Nel presepe di Betlemme, i primi ad adorare sono i pastori e i magi: i poveri e i sapienti, gli emarginati e gli intelligenti. “In loro è abbracciato il mondo intero: ciò che il mondo disprezza e ciò che il mondo ammira. Tutti si inginocchiano davanti a un Bambino che è Dio”.
Bellezza e croce
Nella sua lettura de «La gloria» di Hans Urs von Balthasar, Abel ricorda che Gesù non solo scende all'inferno, ma fino al punto in cui non c'è più fede né speranza, per riscattare anche quello. “La morte, il vuoto, il male non hanno l'ultima parola”. Ecco perché la Bellezza e la Luce trionfano sulle tenebre, non perché tutto vada bene, ma perché alla fine ci aspetta un amore che ci trascende.
Abele si chiede se Gesù fosse felice, o Maria, o Giuseppe. Nella misura del mondo, sicuramente no. Ma nella misura dell'amore, erano pieni. La felicità che ci viene venduta oggi“, avverte, ”è una trappola: più opzioni, più stimoli, più distrazioni. Ma più non è sempre meglio“. Ricorda i cinema di paese, dove si proiettava un solo film alla settimana ed eravamo tutti felici. Oggi ci sono molti cinema in una città e migliaia di opzioni da guardare sulle piattaforme digitali, e spesso andiamo a letto cercando di scegliere senza deciderci. La ricerca del proprio piacere non ha mai fine”, dice, "mentre donarsi agli altri può appagarci.
La croce, scandalosa per alcuni e sciocca per altri, diventa così la risposta definitiva al mistero della sofferenza umana. Non promette una vita facile, ma una vita feconda: negarsi non per annullarsi, ma per riempirsi dell'Altro. Dio distrugge i nostri castelli“, conclude Abel, ”per farci scoprire che la felicità non c'era. Anche la nostra religione può diventare un'abitudine. Tuttavia, la grazia non è forzata dal merito personale: è semplicemente accettata".
Come il geografo di Vermeer, basta alzare lo sguardo. In quella luce che filtra dalla finestra c'è tutto: desiderio, bellezza, amore. La Bellezza indisponibile di Dio continua a chiamarci, in silenzio, per ricordarci che non siamo fatti per produrre, ma per contemplare, amare e lasciarci trasformare.
Giornalista e poeta.




