Cultura

La Mezquita-Catedral di Cordoba, simbolo di transculturalità

Un viaggio attraverso al-Andalus, la Moschea-Cattedrale di Cordoba e l'eredità sefardita che ancora sopravvive nella storia e nell'identità del Mediterraneo.

Gerardo Ferrara-13 ottobre 2025-Tempo di lettura: 5 minuti
Moschea di Cordoba

Moschea di Cordoba ©Gabriel Trujillo

L’idea di scrivere questo articolo mi è venuta guardando in TV le terribili immagini dell’incendio alla Mezquita-Catedral di Córdoba lo scorso 8 agosto. Quelle fiamme mi hanno fatto pensare a quanto fragile possa essere un patrimonio così unico che rischia di andare distrutto per un banale incidente.
Cordoba. La Moschea-Cattedrale. L'Alcazar. I giardini. Il Guadalquivir. Tutto questo mi ha ricordato quando, durante i miei studi all'Università di Granada nel 2000 (lo stesso anno in cui avevo studiato a Tunisia) e nel 2001, nell'ambito del Dipartimento di Filologia araba, ho visitato più volte quello straordinario monumento, simbolo della convivenza tra contrasti e differenze.

E la mente è tornata anche alla città di García Lorca, al suo stile moresco, alle case bianche e azzurre del Realejo, tra le cui stradine mi piaceva perdermi al tramonto, all’Albaicín, all’Alhambra, alla Sierra Nevada. E soprattutto a qualcosa che non scorderò mai: il profumo delle zagare che inondava le narici e che, quando sono tornato un po’ di anni dopo a Granada, quasi mi commuoveva.
Sulla storia di al-Andalus, e in particolare degli ebrei sefarditi, ho poi avuto modo di parlare in spagnolo nel podcast "La storia di al-Andalus".Etzlil".

Al-Andalus: l’età d’oro

C’è una data impressa nella memoria storica della Spagna: il 711, quando gli eserciti arabi e berberi guidati da Tariq ibn Ziyad attraversarono lo stretto di Gibilterra, che da Tariq prese il nome (Jabal Tariq, in arabo: Monte di Tariq), sconfiggendo i visigoti.

Da quel momento, gran parte della Spagna (e non solo l’Andalusia) divenne al-Andalus, un ponte tra Oriente e Occidente, specialmente tra il IX e l’XI secolo: l’“età d’oro”, epoca in cui fu laboratorio di convivenza, scienza e pensiero critico: filosofi e medici musulmani, come Averroè come Abulcasis, attingevano al sapere greco, con ebrei e cristiani a tradurre testi che sarebbero poi stati fondamentali per l’Europa medievale e rinascimentale.

Nel cuore di quell’universo sorse Córdoba, capitale degli Omayyadi in esilio, che nel X secolo era una delle città più grandi del mondo: mezzo milione di abitanti, biblioteche con centinaia di migliaia di volumi, medici, filosofi, poeti e mercanti che animavano una società cosmopolita e tollerante.
Ma a un certo punto questa floridezza economica, culturale e sociale cominciò a incrinarsi, per due ragioni principali.

Il primo è stato il cosiddetto "chiusura delle porte dell'iŷtihād" (dalla stessa radice di ŷihād), lo sforzo interpretativo della Shari'a che aveva permesso all'Islam dei primi secoli di sviluppare la filosofia, la scienza, il diritto e le arti, favorendo anche un proficuo dialogo con le altre culture. Proprio tra l'XI e il XII secolo, però, prevalse l'idea che non ci fosse più nulla da sviluppare: i giuristi musulmani dichiararono chiuse le "porte dell'iŷtihād" e le grandi sintesi filosofiche di Avicenna e Averroè lasciarono il posto a una religiosità più rigida, basata sul "taqlīd", l'imitazione e la ripetizione delle interpretazioni precedenti, senza più possibilità di innovazione.

La frammentazione dei regni taifas e le invasioni degli Almoravidi e degli Almohadi resero poi il declino ancor più rapido e drammatico.

In questo contesto di crisi, anche le minoranze (cristiani ed ebrei) si trovarono in condizioni sempre più difficili.

La seconda grande ragione, favorita dalla prima, fu ovviamente la Reconquista spagnola, culminata nella presa di Granada nel 1492, stesso anno della partenza di Colombo per le Americhe e dell’Editto dell’Alhambra.

Un mosaico di culture e tradizioni

La società di al-Andalus era un vero e proprio mosaico. I musulmani erano la maggioranza, ma non tutti erano arabi, anzi, questi ultimi non erano che una minuscola élite. Le masse islamiche, specie i contadini e i soldati, erano berberi e muwalladun, cristiani iberici convertiti all’islam. Vi erano poi i mozarabi, rimasti cristiani ma assimilati agli arabi nei costumi e nel rito (che ancora sopravvive) e parlanti un idioma romanzo ricco di arabismi, e infine gli ebrei.

Cristiani ed ebrei erano considerati "dhimmiLa "ŷizya", soggetti protetti che, in cambio di una tassa speciale ("ŷizya"), potevano continuare a praticare la loro religione e organizzarsi autonomamente, pur senza godere di pieni diritti.

Le lingue che risuonavano per le strade di al-Andalus erano l’arabo classico dell’amministrazione e della cultura, il mozarabico dei cristiani assimilati, l’ebraico delle sinagoghe e della poesia e il giudeo-spagnolo (ladino).

Con la Reconquista, i mozarabi si sparsero nel resto della Spagna, influenzando architettura e lingua, mentre molti musulmani ed ebrei furono costretti a convertirsi: furono i cosiddetti mudéjar (musulmani convertiti) e marrani o conversos (ebrei), che spesso continuarono a praticare l’antica fede in segreto, divenendo bersaglio privilegiato della famigerata Inquisizione spagnola.

Gli ebrei

Tra le comunità più in vista di al-Andalus vi fu quella ebraica sefardita (da Sefarad, Spagna in ebraico). Pur se meno del 10% della popolazione, gli ebrei contribuirono in modo decisivo, da medici, mercanti, poeti e funzionari, alla vita culturale e scientifica.

Da questa comunità sono emerse figure come Mosè Maimonide (1135-1204), un grande filosofo e medico, e Rabbino Yehuda Halevi (1075-1141), medico e poeta, che cantò in ebraico e in arabo la nostalgia di Sion in versi di commovente bellezza.

Nel 1492, anno della caduta di Granada e dell’Editto di espulsione dei re cattolici, la presenza ebraica in Spagna ebbe fine: centinaia di migliaia di essi furono costretti all’esilio, portando con sé, nella loro diaspora in tutto il Mediterraneo, pochi beni materiali ma un immenso patrimonio spirituale e culturale. Il resto si convertì al cristianesimo.

Il filo rosso che tenne unite le comunità disperse fu la lingua giudeo-spagnola (ladino), uno spagnolo arcaico che accompagnava la vita quotidiana nelle nenie, nelle preghiere e nei racconti familiari.

La Mezquita-Catedral di Cordoba

La Mezquita-Catedral di Córdoba fu costruita a partire dal 785, per volontà dell’emiro Abd al-Rahman I, fuggito dalla Siria dopo la caduta degli Omayyadi a Damasco. Sorse nel punto in cui si trovava un’antica basilica visigota. L’emiro acquistò il terreno e avviò un’opera che nei secoli successivi i suoi successori avrebbero ingrandito fino a farne la più vasta moschea dell’Occidente islamico.

Colonne romane e capitelli visigoti furono riutilizzati per creare un “bosco” di archi sovrapposti, bianchi e rossi, che ancora oggi incanta i visitatori. Con al-Hakam II (X secolo), all’apogeo del califfato, fu costruito un nuovo mihrab riccamente ornato da mosaici bizantini.
Nel 1236 la città fu conquistata da Ferdinando III di Castiglia e la moschea venne consacrata come cattedrale. Nei secoli seguenti furono aggiunte cappelle e, nel XVI secolo, la navata rinascimentale che taglia in due il bosco di colonne islamiche. Carlo V, al vederla, avrebbe commentato: “Avete distrutto ciò che era unico per costruire ciò che si trova ovunque”.

Il tentativo di fondere architettura islamica e cristiana può apparire in effetti forzato, ma rende la Mezquita-Catedral un monumento unico, più un ibrido che non una moschea o una cattedrale in sé: rappresenta un monumento alla transculturalità e un simbolo di relazioni, non sempre facili, tra comunità, etnie e religioni che dimostra quanto queste possano vivere insieme ancora oggi, perché lo hanno già fatto in passato.

Se ripenso all’Andalusia, al profumo di zagara, ai paesini bianchi, alla moschea dal bosco di colonne innestato su un’antica chiesa e interrotto dalla navata di un’altra chiesa, alle sinagoghe e alle cattedrali, penso alla mia identità: un intreccio di Andalusia e Italia, di Grecia, cristianesimo, ebraismo e islam. Un’identità fatta di strati sovrapposti, a volte armonici, a volte in contrasto, come la storia stessa del Mediterraneo. È come se quei canti, ebraici, musulmani, mozarabi, bizantini, romani, risuonassero ancora dentro di me, eredità fragile e preziosa che vale la pena custodire.

Per saperne di più
Newsletter La Brújula Lasciateci la vostra e-mail e riceverete ogni settimana le ultime notizie curate con un punto di vista cattolico.