Una delle poche opere composte da Bach in latino è, paradossalmente, una delle sue più famose e preziose: il Magnificat BWV 243, composto nei suoi primi mesi come cantore di San Tommaso a Lipsia (1723) e successivamente rielaborato (1733) nella forma in cui è oggi comunemente ascoltato. Un'opera in cui il fervente luterano Johann Sebastian Bach mette in musica le parole divinamente ispirate con cui la Vergine Maria canta a Dio: il Magnificat che la Chiesa cattolica canta ogni giorno ai Vespri.
Per un'occasione importante
A Lipsia la tradizione richiedeva che il Magnificat fosse cantato durante le funzioni serali, in tedesco nelle domeniche ordinarie e in latino nelle feste più importanti. Per questo Bach scelse di mettere in musica il testo latino tratto da Luca 1, 46-55, secondo la Vulgata di San Girolamo. Il peso della tradizione liturgica spiega perché un lettore incallito della Bibbia tedesca di Lutero abbia messo in musica un testo biblico latino.
In occasione del suo primo Natale come cantore a Lipsia, Bach presentò un Magnificat in mi bemolle maggiore, la sua prima opera liturgica di rilievo nella nuova posizione, che fu eseguita la sera di Natale del 1723 insieme alla cantata BWV 60. Questo primo Magnificat, destinato al periodo natalizio, fu composto incorporando quattro brevi inni natalizi in tedesco, che venivano intercalati tra le strofe del testo latino.
Dieci anni dopo, Bach rielaborò leggermente questo primo Magnificat, dando vita all'opera che ci interessa in questo articolo. Lo traspose in re maggiore, eliminando gli inni natalizi e modernizzando l'orchestrazione. Infatti, sostituisce i flauti dolci con gli allora recenti flauti traversi e arricchisce i fiati aggiungendo ai due oboi del 1723 altri due oboi d'amore, uno strumento che all'epoca cominciava a essere incorporato nell'orchestra e che Bach prediligeva per alcune delle sue melodie più toccanti.
Questa orchestrazione del Magnificat è, in ogni caso, davvero magnifica e comprende il più grande organico orchestrale che si potesse trovare in Sassonia nel 1733, così completo che mancano solo due corni per raggiungere il massimo orchestrale dell'inizio del XVIII secolo. Questa magnificenza fa pensare che la prima esecuzione sia avvenuta in un grande giorno di festa, probabilmente nella chiesa di San Tommaso a Lipsia per il servizio dei vespri del giorno della Visitazione del 1733, che la liturgia luterana celebrava il 2 luglio. Per la stessa occasione festiva Bach compose anche altre due cantate degne di nota in altri anni: la famosissima BWV 147 (che di solito si ascolta in quasi tutti i matrimoni) e la BWV 10 (più semplice, con il suo testo basato sul Magnificat tedesco di Lutero).
Il testo biblico è presentato in undici numeri musicali, seguiti, come è tipico della liturgia dei Vespri, da una dossologia finale. La sequenza dei numeri mostra la predilezione del compositore per la simmetria e la varietà ritmica e timbrica. Lo si può notare da quanto segue.
Un dipinto luterano della Vergine Maria
Nei versetti iniziali (Luca 1, 46-50), il testo biblico esprime con le sue parole un ritratto del Cuore di Maria, che Bach avrebbe dipinto con il colore e l'espressione della sua musica. Se non ci sono molte immagini della Vergine nell'austera iconografia luterana, questa è forse la più espressiva di tutte.
Il primo numero, come l'ultimo e centrale, è composto da un grande coro a cinque voci (due soprani, contralti, tenori e bassi), accompagnato dallo splendore dell'intera orchestra. Inizia e termina questo primo numero come un concerto, con un grande ed esultante intervento dell'orchestra, che prepara e chiude l'intervento del coro. Il coro canta la prima parola Magnificat con gioia esultante e ritmica, immagine dell'intensa gioia di Maria quando scopre il compimento della promessa divina nella gravidanza di Elisabetta.
Nel secondo numero, dove i musicisti si riducono improvvisamente a soprano e archi, la gioia della Vergine è ancora cantata, ma questa volta come se provenisse dal profondo del suo umile cuore, con un'atmosfera piena di intimità e cordialità.
Il terzo numero, il primo in modo minore, è caratterizzato dal timbro malinconico, setoso e delicato dell'oboe d'amore, che si intreccia con il soprano per esprimere la contemplazione dell'umiltà di Maria. Con una linea melodica delicata e discendente, la parola "humilitatem" dipinge la caratteristica fondamentale del Cuore di Maria in un modo che evoca splendidamente la purezza e la semplicità della Vergine. Quando il testo indica che questa Vergine umile sarà congratulata da tutte le generazioni, un tremendo coro a quattro voci (omnes generationes) irrompe su una fragorosa linea di basso, descrivendo la fervente moltitudine che nel corso dei secoli si è devotamente congratulata con la Vergine Maria.
Sempre per contrasto, il quinto numero è affidato all'organico più basso e infimo possibile: basso solo accompagnato da basso continuo. In un sorprendente minimalismo musicale, Maria loda la grandezza del Dio potente e santo, che viene incontro agli umili per favorirli con la sua Misericordia. In effetti, il numero successivo canta la Divina Misericordia in uno spirito etereo e nostalgico. Solo un duetto di contralto e tenore, con un accompagnamento molto delicato di violini muti raddoppiati dai flauti. Una serena contemplazione della Misericordia di Dio che ha mostrato la sua Potenza, la sua Bontà e la sua Sapienza nella Vergine Madre.
L'opera di Dio
Nei versetti successivi del testo biblico (Luca 1, 51-55) Maria descrive l'azione di Dio a favore dell'umile popolo dei discendenti di Abramo. Il settimo numero è quello centrale dell'intera opera e riproduce simmetricamente lo stesso modello musicale del primo, ma questa volta per provocare un intenso terremoto con tutta l'orchestra. In questa catastrofe, varie figure espressive e colorature dinamiche delle voci mostrano come i superbi siano dispersi ai quattro venti. Come se non bastasse, la fine di questo numero rallenta il tempo per esprimere come la superba mente cordis sui sia schiacciata, come evocato dai forti colpi dell'orchestra.
Nel numero successivo, una vivace aria per tenore e due violini abbatte i potenti tra i colpi discendenti della melodia del violino, per poi sollevare gli umili verso l'alto con la rapida coloratura ascendente del tenore. A calmare l'atmosfera, ma con un contenuto simile, arriva forse l'aria più famosa di questa composizione, affidata al contralto e ai due flauti. Con queste umili risorse, il nono numero conferma che gli affamati (esurientes) saranno saziati di cose buone, mentre in rapide discese musicali i ricchi vengono mandati via vuoti. La ricchezza di cui Dio ricolma i miseri è rappresentata dal lunghissimo melisma che il solista deve eseguire sulla parola implevit, il più lungo di tutta l'opera.
Le ultime strofe si concentrano maggiormente sulla gentilezza con cui Dio ha trattato il suo popolo. Così, nel numero 10, un trio di due soprani e un contralto cantano con un'armonia particolare come Dio abbia una memoria (recordatus) per il suo servo Israele, mentre due oboi all'unisono cantano la melodia del Magnificat luterano, come se evocassero un preludio corale per organo.
La chiude un coro a quattro voci con un perfetto e fluente contrappunto bachiano sulle promesse di Dio ad Abramo, al cui nome il contrappunto si sofferma per sottolineare all'unisono il nome del patriarca che è nostro padre nella fede, e quindi da cui discende la Vergine Maria.
La dossologia finale inizia con le invocazioni cantate dal coro e dall'intera orchestra all'unisono al Padre e al Figlio, in parità musicale, seguite da un'invocazione più dinamica, ma di stile simile, allo Spirito Santo, un espediente che mostra la precisa formulazione musicale con cui Bach è solito affrontare la fede nella Santissima Trinità nelle sue opere. Il tutto culmina nella ripetizione del primo numero, chiudendo così la struttura simmetrica di questa monumentale composizione, ma questa volta cantando sicut erat in principio, et nunc, et in saecula saeculorum. Amen.
Dottore in Teologia