TribunaPaul Graas

Non si può diventare santi. Ma Dio può farlo. E vuole

Non si può diventare santi, ma Dio può farlo e lo farà. Partendo dall'amore incondizionato di Dio, tutti noi possiamo veramente aspirare alla santità, che non è altro che lasciarsi amare da Lui, permettendo a Lui di trasformare la nostra vita.

8 novembre 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

La mia generazione (la millennials) è stato educato con l'idea che si può fare tutto ciò che si vuole nella vita, purché ci si metta tutto il cuore e tutti gli sforzi. Volete diventare una stella del calcio, il presidente del vostro Paese o sradicare la povertà? Seguite la vostra passione e ce la farete! Inutile dire quante delusioni abbia portato questa idea.

Nella Chiesa rischiamo di trasmettere un messaggio simile. "Se lo vuoi, puoi diventare un santo. Dipende da te, dai tuoi sforzi e dalle tue decisioni, dalle virtù che ti forgerai. Mettici la volontà e vedrai".

Non nego che essere santi richieda sforzo, volontà e virtù. Anzi, sono indispensabili. Ma quando il cammino verso la santità viene trasmesso in questo modo, è facile cadere in errori come l'individualismo, la meritocrazia e il volontarismo. "Se non riesco a realizzare ciò che mi sono prefissato, è colpa mia, perché in fondo il mio destino è nelle mie mani. La mia felicità e il mio successo dipendono da me, dalle mie decisioni e dai miei sforzi.

Queste convinzioni possono fare molto male, perché prima o poi ci si trova di fronte a fallimenti, limiti e peccati. E se non si ha l'atteggiamento giusto, questo danneggia l'intimità e l'autostima, il che porta facilmente alla mediocrità basata sulla mancanza di speranza.

Non si può diventare santi. Ma ecco che arriva la verità più incredibile della vostra vita: Dio può. E lo vuole. Desidera con tutto il cuore che tu sia santo. E ti conosce meglio di quanto tu conosca te stesso. Sa esattamente quali limiti avete e il bagaglio che vi portate dietro dai vostri peccati e da quelli dei vostri antenati. E tutto questo non rappresenta un problema per Dio. Perché la santità non è tanto ciò che faccio, ma ciò che lascio fare a Dio nella mia vita. La santità è lasciare che Dio vi ami incondizionatamente. 

Questa verità ha un'implicazione radicale: Dio può rendere sante tutte le persone. Anche coloro che si sentono deboli, feriti e sporchi. Proprio loro. Quando si scopre la propria inadeguatezza, si può dire con Santa Teresa di Gesù Bambino: "Dio non può ispirare desideri irrealizzabili; perciò, nonostante la mia piccolezza, posso aspirare alla santità".

Credo che la più grande malattia della società sia l'individualismo. La santità è esattamente il contrario, perché è essenzialmente relazionale, come la natura dell'uomo. Non posso avanzare di un passo nella santità e, quindi, non posso dare una goccia d'amore al mio prossimo, se non viene dall'amore incondizionato di Dio. Come ha detto Josef Pieper: "Chi non è amato non può amare nemmeno se stesso". Un santo è innamorato della sua vita, perché Dio è innamorato della sua vita. Accoglie l'abbraccio di Dio, perché ha imparato gradualmente a non resistere a quell'abbraccio divino e a lasciarsi trasformare da esso. 

Questa trasformazione non passa inosservata, proprio perché si percepisce tutto ciò che l'uomo non è in grado di fare da solo. L'esempio più bello è il Magnificat della Vergine. Quando Maria entra nella casa di Zaccaria ed Elisabetta, si sente la presenza di Cristo e non può fare altro che lodare Dio, "Perché l'Onnipotente ha fatto grandi cose in me".

Le vite di santi moderni, come Carlo Acutis e Guadalupe Ortiz, e di altri giovani morti in odore di santità, come Chiara Crockett, Pedro Ballester o Chiara Corbella, sono versioni moderne del Magnificat. Sono storie di come Cristo ha gradualmente trasformato le vite di persone ordinarie, vulnerabili e peccatrici in canti di lode a Dio, ognuno in modo unico e speciale.

Credo che nel mondo di oggi ci siano tre virtù di vitale importanza per aiutare le persone a lasciarsi trasformare da Dio: umiltà, speranza e pazienza. 

Attraverso l'umiltà siamo in grado di scoprire la nostra identità più profonda: siamo figli di un Padre che ci ama incondizionatamente. 

La speranza è la ferma convinzione che Dio non abbandona mai il suo progetto di santità con una persona, per quanto grandi siano gli errori e i peccati commessi.

Grazie alla pazienza non perdiamo la gioia e la pace interiore quando ci troviamo di fronte a battute d'arresto, limiti ed errori, sapendo che lo Spirito Santo è nella nostra anima in stato di grazia.

Uno dei messaggi più importanti del Concilio Vaticano II è che tutti gli uomini sono chiamati alla santità. Mezzo secolo dopo, resta ancora molto da fare per far passare questo messaggio e per far sì che la gente ci creda. Immaginate se tutti i fedeli fossero convinti di poter essere davvero santi. Sarebbe una vera rivoluzione; una magnificat che illuminerebbe il mondo intero.

L'autorePaul Graas

Autore di "Santità per perdenti

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Iñigo Quintero dà una lezione di maturità

In una recente intervista Íñigo Quintero parla coraggiosamente delle sue convinzioni religiose.

7 novembre 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Questa settimana Eva Baroja pubblicato in un giornale spagnolo un'intervista con Iñigo Quintero in cui, tra gli altri argomenti, ha parlato anche della sua fede. La sua testimonianza è coraggiosa, tra l'altro perché riconosce di essere stato un po' codardo quando si è trattato di mostrare il retroterra cristiano della canzone che lo ha portato a diventare numero uno al mondo, con 800 milioni di ascolti su Spotify, e che gli è valsa una nomination ai Latin Grammy.

In tempi in cui sembra che il reggaeton sia la musica più orecchiabile che si possa creare, un artista sconosciuto è riuscito a portare una canzone su Dio in cima alle classifiche musicali. Nell'intervista rilasciata a El País, Quintero ammette di aver avuto difficoltà ad ammettere che il testo della canzone parlava di Dio perché "avevo paura di essere etichettato come qualcosa che non sono, perché non faccio musica cristiana. Ho semplicemente scritto di quello che avevo dentro, ma non significa che tutte le mie canzoni parlino di questo, tutt'altro".

L'intervistatore gli chiede se ammettere di essere credente susciti oggi pregiudizi. Quintero dà una risposta che potremmo sottoscrivere tutti: "è difficile parlare di Dio perché ci sono persone che lo rifiutano", cosa perfettamente comprensibile per un ventiduenne. Tuttavia, ciò che aggiunge dopo è molto interessante: "è una sciocchezza, dovrebbe essere detto di più perché è supernormale. Purtroppo oggi alcune persone si rifiutano di ascoltare la tua musica se dici qualcosa che non gli piace. Dovremmo essere liberi di parlare di quello che vogliamo".

Non è più una cosa così normale. È una vera e propria uscita dall'armadio per un artista che ha la pretesa di fare carriera nel mondo della musica. In altre dichiarazioni Quintero aveva già parlato del vero significato della canzone, ma vederlo farlo in un mezzo di comunicazione così contrario e con tanta naturalezza è una testimonianza coraggiosa, che mostra una maturità di fede che può essere un esempio per molti.

L'autoreJavier García Herrería

Editore di Omnes. In precedenza, ha collaborato con diversi media e ha insegnato filosofia a livello di Bachillerato per 18 anni.

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Stati Uniti

I vescovi statunitensi si congratulano con il presidente eletto Donald Trump

Dopo la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali statunitensi, i vescovi del Paese gli hanno inviato un messaggio di congratulazioni e, allo stesso tempo, hanno invitato i cittadini a vivere uno spirito di "carità, rispetto e civiltà".

Gonzalo Meza-7 novembre 2024-Tempo di lettura: < 1 minuto

I vescovi degli Stati Uniti hanno esteso la loro congratulazioni Il presidente eletto Donald Trump e i funzionari eletti nelle recenti elezioni statunitensi. "È ora di passare dalla campagna elettorale al governo", ha dichiarato l'arcivescovo Timothy P. Broglio, arcivescovo dei servizi militari degli Stati Uniti e presidente della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti (USCCB).

"Viviamo in una democrazia e ieri gli americani si sono recati alle urne per scegliere il prossimo presidente degli Stati Uniti. È ora di passare dalla campagna elettorale al governo in una transizione pacifica", ha detto il presule.

Broglio ha anche affermato che né la Chiesa cattolica né l'USCCB sono allineati con alcun partito politico perché, indipendentemente da chi occupa la Casa Bianca, "gli insegnamenti della Chiesa rimangono immutati e noi vescovi non vediamo l'ora di lavorare con i rappresentanti eletti del popolo per promuovere il bene comune di tutti".

A causa della narrazione anti-immigrati e bellicosa caratteristica di Donald Trump, il presidente della USCCB ha esortato la nuova amministrazione a trattare tutti con carità, compresi gli immigrati: "Come cristiani e come americani, abbiamo il dovere di trattarci l'un l'altro con carità, rispetto e civiltà, anche se non siamo d'accordo su come condurre le questioni di politica pubblica. Dobbiamo anche preoccuparci di coloro che si trovano al di fuori dei nostri confini".

Broglio ha chiesto all'Immacolata Concezione, patrona degli Stati Uniti, la sua intercessione affinché la nuova amministrazione contribuisca a "difendere il bene comune, a promuovere la dignità della persona umana, specialmente dei più vulnerabili, compresi i non nati, i poveri, gli stranieri, gli anziani, i malati e i migranti".

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Libri

La vita di Eugenio Corti, autore de "Il cavallo rosso" (I)

Eugenio Corti, autore de "Il cavallo rosso", ha vissuto una vita intensa, ricca di avventure, che ha catturato nelle sue opere. Come tutti i grandi scrittori, le sue riflessioni sulla vita quotidiana hanno fatto sì che la sua opera rientrasse nel canone dei libri classici per eccellenza.

Gerardo Ferrara-7 novembre 2024-Tempo di lettura: 6 minuti

Pochi mesi fa, a febbraio 2024, è venuta a mancare, a quasi 97 anni, Wanda Corti, moglie di Eugenio, autore di romanzi come il celebre “Il cavallo rosso”.

In più occasioni avevo avuto l’onore di parlare con la signora Corti, la quale mi aveva risposto al telefono dopo che avevo semplicemente cercato il suo nome sull’elenco. Mi ero presentato, le avevo confidato, da autore di romanzi e da storico, la mia ammirazione per la vita e per le opere di suo marito, le avevo regalato i miei libri e lei mi aveva non solo incoraggiato ad andare avanti, ma mi aveva addirittura ritelefonato dopo una mia conferenza, tenuta qualche anno fa, proprio su Eugenio Corti. 

E ora eccomi qui a scrivere di qualcuno che così tanto ha influito sulla mia vita e sulla mia vocazione di uomo e di narratore. Eugenio Corti, infatti, è per me un padre, un maestro, un modello per affrontare le sue stesse battaglie, quelle contro le delusioni che ha dovuto patire e contro le sfide che si è trovato a fronteggiare. 

Alcune citazioni delle parole di Eugenio Corti sono tratti da: Paola Scaglione, Parole scolpite. I giorni e l’opera di Eugenio Corti, Edizioni Ares, 2002

Prima parte: i primi anni e la guerra

Desidero iniziare a parlare della sua vita, che è una vera e propria epopea (un’epopea, dal greco ἐποποιΐα, composto da ἔπος, epos e ποιέω, poieo, che significa fare, è un componimento poetico che narra di gesta eroiche), attraverso quello che è considerato il suo testamento spirituale, una lettera scritta proprio alla moglie Vanda nel 1993 e che rimarca quanto fosse forte il loro sodalizio umano e spirituale:

"Vanda mia:

Parli di te stessa come di una “che non ha dato frutti”: ma non è vero, la realtà non è questa. L’allusione alla mancanza di figli della carne è evidente; anch’io un tempo li desideravo, ma noi due non eravamo chiamati a questo: la nostra unione, nei disegni di Dio, non aveva questo fine; anzi se avessimo avuto dei figli, il disegno che Dio aveva su di noi, non si sarebbe potuto realizzare.

I nostri veri figli sono i nostri libri, che non vengono solo da me, ma anche da te. Essi si reggono interiormente — come sai — su due colonne: la verità e la bellezza, e senza di te al mio fianco e sotto i miei occhi tutti i giorni, la loro bellezza non ci sarebbe stata, o sarebbe stata enormemente monca, cioè appunto, in conclusione, non ci sarebbe stata.

Perciò la tua vita non è stata qualcosa di spento, ma al contrario, di luminoso: è stata una straordinaria avventura di donna. Perché quei libri — anche questo tu lo sai — sono riusciti in pieno, e hanno un valore straordinario. Non tutti sono in grado di capirlo oggi, dato che hanno contro la falsa cultura dominante. Ma neppure di questo dobbiamo dispiacerci: anzi io prego sempre Dio che — mentre sono in vita — non mi conceda la soddisfazione del grande successo, perché a tale riguardo sono debole, e cederei con facilità alla tentazione dell’orgoglio.

Se noi continueremo a cercare il Regno di Dio, tutto ciò che ci occorre, ci sarà dato con sufficiente abbondanza, com’è accaduto finora. 

Dalla scuola alla guerra

Eugenio Corti nasce a Besana in Brianza il 21 gennaio 1921, primo di dieci figli. È figlio di un industriale del settore tessile che si è fatto da sé iniziando a lavorare come garzone ed è riuscito poi ad acquistare la fabbrica in cui lavorava, la ditta Nava di Besana, ampliandola e aprendo nuove fabbriche.

Studia a Milano, presso il collegio San Carlo, dove frequenta il ginnasio e il liceo classico. I genitori avevano stabilito di fargli ottenere il diploma di ragioniere perché potesse divenire un valido aiuto in ditta, ma il rettore del collegio, monsignor Cattaneo, si oppone energicamente, intuendo che per il giovane Eugenio la strada del liceo classico è la più adatta.

Nel 1940 gli studi s’interrompono improvvisamente ed Eugenio non può sostenere gli esami di maturità, che saranno superati d’ufficio: l’Italia entra in guerra. Il giovane Corti può iscriversi comunque all’Università Cattolica, riuscendo a frequentare solamente il primo anno di Giurisprudenza, dopodiché viene chiamato alle armi.

L’addestramento sottufficiale inizia nel come 1941 e dura un anno, alla fine del quale Eugenio Corti diviene sottotenente. Nel frattempo, inoltra la richiesta di essere destinato al fronte russo: “Avevo chiesto di essere destinato a quel fronte per farmi un’idea di prima mano dei risultati del gigantesco tentativo di costruire un mondo nuovo, completamente svincolato da Dio, anzi, contro Dio, operato dai comunisti. Volevo assolutamente conoscere la realtà del comunismo; per questo pregavo Dio di non farmi perdere quell’esperienza, che ritenevo sarebbe stata per me fondamentale: in questo non sbagliavo”.

Soggiorno in Russia

Alla fine Corti vinse e partì per la Russia. "Sono arrivato al fronte all'inizio di giugno del 1942. Per un mese il fronte non si mosse, poi ci fu la grande avanzata dal Donetz al Don, seguita da mesi di stasi. Il 16 dicembre iniziò l'offensiva russa sul Don e il 19 la nostra ritirata: quella stessa notte il mio corpo d'armata si trovò chiuso in una sacca. Ci era stato ordinato di lasciare il Don senza carburante per i veicoli, così abbiamo dovuto abbandonare tutto il nostro equipaggiamento, senza poter salvare un solo cannone, tende o provviste.

Sono i giorni più drammatici della vita di Corti: i ventotto giorni di ritiro, magistralmente narrati in "I più non ritornano". La vigilia di Natale del 1942 fece un voto a Maria: se si fosse salvato, avrebbe dedicato la sua vita a lavorare per il Regno di Dio, a diventarne uno strumento con i doni che gli erano stati dati: "Se mi salvassi, spenderei tutta la mia vita al servizio di quel versetto del Padre Nostro che dice: venga il tuo Regno".

Solo la sera del 16 gennaio pochi superstiti riescono a uscire dall’accerchiamento russo. Dell’Armata Italiana In Russia (ARMIR), che contava 229.000 uomini, i morti in battaglia e in prigionia saranno complessivamente 74.800; su circa 55.000 soldati catturati, ne torneranno soltanto 10.000. Per quanto riguarda poi il settore di Corti, di circa 30.000 italiani nel Trentacinquesimo corpo d’armata accerchiati sul Don, usciranno dalla sacca solamente in 4.000, di cui 3.000 congelati o gravemente feriti. 

Ritorno a casa

Dopo il ritorno a casa e la difficile ripresa, nel luglio 1943 rientra in caserma a Bolzano, per poi essere trasferito a Nettunia, da cui, dopo l’8 settembre, si dirige verso il sud a piedi, in compagnia dell’amico Antonio Moroni, per riunirsi all’esercito regolare. Queste vicende, e tutte quelle riguardanti la guerra di liberazione, sono narrate ne Gli ultimi soldati del re. Dopo un periodo nei campi di riordinamento, Corti entra volontario nei reparti nati per affiancare gli Alleati nella liberazione dell’Italia, per salvare la patria:

“La patria non deve essere confusa con i monumenti dei paesi o con il libro di storia: è l’eredita lasciataci dai padri, da nostro padre. Sono le persone simili a noi: i nostri familiari, gli amici, i vicini, quelli che ragionano come noi; è la casa in cui abitiamo (che sempre, quando si è lontani, torna alla mente), sono le cose belle che abbiamo intorno. La patria è il nostro modo di vivere, diverso da quello di tutti gli altri popoli”.

Pace: opere prime

Ritornato alla vita borghese, il giovane Corti ricomincia, per accontentare i suoi, a studiare svogliatamente e si laurea in giurisprudenza nel 1947. Ormai, l’orrore vissuto e l’incertezza per il domani hanno cambiato per sempre il suo approccio alla realtà che lo circonda. È un reduce, e come tale fatica a reinserirsi nella vita ordinaria, nei problemi ordinari dei giovani della sua età. Nello stesso anno pubblica con Garzanti I più non ritornano, il suo primo libro, sulla ritirata di Russia, da lui così dolorosamente vissuta. Sempre nel ‘47, in occasione dell’ultimo esame sostenuto all’università, conosce Vanda di Marsciano, colei che poi diverrà sua moglie (nel 1951).

Nel 1951 Corti comincia a lavorare nell’industria paterna: non ama quel lavoro, ma continua a svolgerlo per una decina d’anni.

Cronache di guerra

In tutte le sue cronache di guerra, importantissima è l’analisi di Corti circa il modo di combattere degli italiani, assai individualisti, istintivamente scompaginati e soggetti alla ribellione all’autorità: il comportamento degli italiani in guerra rappresenta perfettamente il loro modo di essere in patria. Il buon cuore dei nostri soldati è evidente. Altrettanto evidente è, tuttavia, la difficoltà a lavorare e unirsi per il bene comune. La pavidità dei più si alterna con l’eroismo e l’ardore patriottico di alcuni individui e di singoli corpi d’armata, particolarmente gli Alpini e i Corazzieri, soldati eccellenti e migliori persino dei tedeschi. Altre importanti considerazioni belliche e culturali riguardano appunto i tedeschi, i polacchi e i russi.

Il buon cuore dei nostri soldati è evidente. Altrettanto evidente, però, è la difficoltà di lavorare e unirsi per il bene comune. Alla viltà della maggioranza si è alternato l'eroismo e l'ardore patriottico di alcuni individui e di singoli corpi, in particolare degli Alpini e dei Corazzieri, ottimi soldati, migliori anche dei tedeschi. Altre importanti considerazioni belliche e culturali riguardano tedeschi, polacchi e russi.

In questi anni di lavoro Corti si dedica a un approfondito studio teorico e storico del comunismo: uniti alla sua personale esperienza in terra sovietica, questi studi gli faranno capire cosa esattamente stia accadendo in Russia; non solo, con lucidità intellettuale veramente unica riuscirà a spiegare i motivi del fallimento – peraltro inevitabile – dell’ideologia comunista. 

Vocazioni

Román Pardo: "Il laico corre il rischio di essere clericalizzato".

Il 6 novembre è stata annunciata la nomina di Román Pardo a nuovo decano di teologia della Pontificia Università di Salamanca. Lo abbiamo intervistato sul ruolo dei laici nel nostro tempo, a seguito del congresso che si sta svolgendo nella sua facoltà su "Laicità e testimonianza pubblica della fede".

Javier García Herrería-7 novembre 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

fa due anni di congresso organizzato dal Vaticano, non c'erano praticamente relatori e partecipanti laici. Inoltre, la conferenza sulla spiritualità laica è stata tenuta da un religioso. Questo tipo di eventi dà l'impressione che ci sia ancora molta strada da fare prima che i laici abbiano il ruolo di guida che il Concilio Vaticano II ha cercato di promuovere. Questa settimana, presso la Pontificia Università di Salamanca, si terrà una conferenza su "La spiritualità laica dei laici".Laici e testimonianza pubblica della fede". Abbiamo chiacchierato con Román Pardo, professore di Teologia morale e vicepreside della Facoltà di Teologia. 

Come è progredita la comprensione del ruolo dei laici negli ultimi decenni?

- Nel XIX secolo, laici come il beato Frédéric Ozanam e altri pensatori diedero vita in Francia a un movimento che promuoveva la teologia dei laici e fu un precursore della Rerum novarum di Leone XIII. È interessante sapere che in questo contesto c'erano persone di mentalità progressista e altre molto più conservatrici, eredi della visione dell'ancien régime. Tuttavia, entrambi avevano l'intuizione che i laici dovessero svolgere la missione ricevuta nel battesimo. 

In cosa consiste nello specifico questa missione?

- Oltre al rito dell'acqua, nel battesimo si viene unti con l'olio, il cui significato è quello di mostrare che il nuovo cristiano condivide con Cristo la triplice missione di profeta, re e sacerdote. Ciò significa che i laici, in virtù del sacerdozio comune, rendono presente il sacro ovunque si trovino; sono profeti perché parlano di Dio alle persone che li circondano e annunciano il suo Regno e la sua venuta alla fine dei tempi.

Prima di andare avanti, come definirebbe un laico?

- La migliore definizione che ho trovato dei laici è quella del dizionario VOX, che dice: "tutti i fedeli che appartengono alla Chiesa cattolica, impegnati a diffondere il messaggio di Gesù nelle normali condizioni di vita".

Passando alla situazione attuale, come vede oggi la Chiesa i laici?

- Il Cardinale Yves CongarDomenicano e teologo francese, ha promosso la teologia del laicato nella seconda metà del XX secolo. Insisteva sul fatto che "il laicato corre il rischio di essere clericalizzato", cosa che senza dubbio sta accadendo oggi. Nel Concilio Vaticano II la "Lumen Gentium" e la "Gaudium et Spes" hanno aperto nuove prospettive, ma la sensazione di molti teologi è che subito dopo ci sia stata una stagnazione. Anche nella "Christifideles laici" di Giovanni Paolo II, pubblicata nel 1988, la comprensione dei laici sembra essere subordinata alla loro inclusione nei movimenti ecclesiali che hanno proliferato nell'ultima parte del secolo scorso. 

Questo significa che il valore, il ruolo del laico in sé non è ancora compreso? 

- Ad esempio, nel percorso sinodale tedesco vediamo l'insistenza sul fatto che i laici dovrebbero partecipare maggiormente al governo della Chiesa, o che le donne dovrebbero avere un ruolo maggiore nella liturgia. Questi sono aspetti che clericalizzano i laici. 

Il laico è stato a lungo un soggetto passivo nella Chiesa. Ricevevano i sacramenti, ascoltavano la predicazione, ma da qualche tempo si sta cercando di renderli soggetti molto più attivi nella vita della Chiesa e non solo. 

Prima ha parlato dei movimenti, come valuterebbe il loro inserimento nelle parrocchie?

- Nella Chiesa esistono molte realtà eminentemente laiche, anche se non sono movimenti giuridici, dalle associazioni di fedeli alle realtà carismatiche, una prelatura personale o realtà senza una specifica configurazione giuridica, come Emmaus o Effetá. L'inserimento di tutti questi carismi nella vita parrocchiale è molto diverso, poiché dipende dalle loro caratteristiche specifiche. Tuttavia, è importante mantenere un equilibrio tra la partecipazione al proprio gruppo e alla vita della parrocchia. Il cardinale Martini sognava che i nuovi movimenti si inserissero nella parrocchia, che ne fossero una forza trainante. 

La parrocchia è il luogo del cristiano, il luogo comune dove tutti facciamo Chiesa, ma senza dimenticare che anche i laici devono essere nel luogo dove Dio li trova. E se questo avviene in una realtà diversa dalla parrocchia, ben venga. È necessario coniugare questi due aspetti nel miglior modo possibile.

Infine, quali messaggi e sfide pensa che la Chiesa debba inviare ai fedeli?

- Forse possiamo insistere sul "dove" e sul "come" deve essere. Deve essere dentro la chiesa, ma anche fuori. E all'interno della chiesa non deve essere per forza in sacrestia, anche se non c'è alcun problema se è in sacrestia. 

I laici devono essere consapevoli della consacrazione del battesimo, che li rende "sacerdote, profeta e re"; devono rendere presente Cristo in mezzo al mondo. Dobbiamo sottolineare l'identità secolare dei laici, il loro ruolo in mezzo al mondo, mentre a volte ci concentriamo sull'ecclesiologia ministeriale, che discute instancabilmente sulle funzioni possibili nella Chiesa.

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Vangelo

Dio guarda gli scartati. 32ª domenica del Tempo Ordinario (B)

Joseph Evans commenta le letture della 32ª domenica del Tempo Ordinario e Luis Herrera tiene una breve omelia video.

Giuseppe Evans-7 novembre 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Ci sono due possibili mentalità. Quella dei predatori, come gli scribi che, come dice il Signore nel Vangelo di oggi, inghiottono i beni delle vedove con l'ipocrisia. Oppure quella dei protettori: e il primo protettore è Dio, che vede la povera vedova e si prende cura di lei.

Nelle letture di oggi ci sono due vedove ed entrambe sono eroine. Questo mostra chiaramente la differenza tra la visione di Dio e quella degli uomini. Noi idealizziamo i giovani, i belli .... Agli occhi del mondo, la vedova è un rifiuto... chi si interessa a una vedova vecchia?

Ma agli occhi di Dio le vedove sono preziose. Coloro che sono meno apprezzati sulla terra sono più apprezzati da Lui. È come se dicesse: "Il mondo non vi apprezza? Beh, io ti apprezzerò ancora di più. Vi adotterò e vi farò particolarmente miei..

La vedova della prima lettura è legata al profeta Elia. C'era una carestia in tutta la regione - come punizione per l'idolatria del popolo - così questa donna non aveva cibo. Aveva solo la forza e il cibo per preparare un piccolo pasto per sé e per suo figlio, mentre si preparavano a morire. Ma Elia sfida la sua generosità. È come se dicesse: "Pensi di non avere quasi nulla; beh, dammi un po' di questo. Dona dalla tua povertà, dalla tua indigenza. Confida in Dio e non ti mancherà mai nulla". La vedova lo fa e, come ricompensa per la sua generosità, il cibo non finisce mai. Ha sempre abbastanza.

Lo stesso vale per la vedova del Nuovo Testamento. Non aveva figli, non aveva una famiglia su cui contare. Non aveva nulla. Ma diede il nulla che aveva a Dio e Dio lo vide - Gesù è Dio - e la benedisse.

Le vedove che sembrano non avere nulla da offrire al mondo hanno molto da dare. Attraverso la loro generosità, la loro fede e la loro fiducia in Dio. E Dio lo vede e lo apprezza molto. Ciò che gli uomini non vedono e non apprezzano, Dio lo vede.

I ricchi e i potenti guardavano dall'alto in basso quella vedova quando donavano le loro ingenti somme. Cristo guardava con gioia e apprezzamento ciò che lei dava: loro davano ciò che restava, e probabilmente con orgoglio, per mettersi in mostra. Lei ha dato tutto in umiltà. È sorprendente che Gesù abbia convocato i suoi discepoli per fare questa osservazione. Voleva mostrarci che aveva visto. "In verità vi dico". (notare l'insistenza), "Questa povera vedova ha messo nel tesoro più di tutti gli altri. Perché gli altri hanno messo il loro surplus, ma questa, che è nel bisogno, ha messo tutto quello che aveva per vivere".

Omelia sulle letture di domenica 32a domenica del Tempo Ordinario (B)

Il sacerdote Luis Herrera Campo offre il suo nanomiliaUna breve riflessione di un minuto per queste letture domenicali.

Zoom

La Chiesa collabora con i volontari di Valencia

In seguito alle inondazioni che hanno devastato diverse città di Valencia all'inizio di novembre, i volontari stanno aiutando le persone colpite all'interno di una chiesa.

Paloma López Campos-6 novembre 2024-Tempo di lettura: < 1 minuto
Attualità

Il Papa prega per le vittime del disastro di Valencia

Papa Francesco ha inviato il suo affetto alle vittime dell'uragano a Valencia e ha chiesto di pregare per tutti gli spagnoli colpiti.

Rapporti di Roma-6 novembre 2024-Tempo di lettura: < 1 minuto
rapporti di roma88

Papa Francesco ha inviato il suo affetto alle vittime dell'uragano a Valencia e alle altre comunità colpite in Spagna.

Il Santo Padre ha chiesto pubblicamente di pregare per tutti coloro che soffrono per la catastrofe e ha pregato il Signore di intercedere e offrire conforto al popolo spagnolo.


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Vaticano

Il Papa prega per Valencia il suo Santo Patrono

All'udienza generale, Papa Francesco ha pregato ancora una volta per Valencia. In questa occasione ha recitato un'Ave Maria con i fedeli davanti all'immagine della Santa Patrona, Nostra Signora degli Abbandonati, presente in Piazza San Pietro. Inoltre, il Santo Padre ci ha incoraggiato a pregare con il cuore e come figli di Dio lo Spirito Santo, "l'avvocato che ci difende".

Francisco Otamendi-6 novembre 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Prima di avviare il Pubblico e alla conclusione, Papa Francesco ha pregato di nuovo per le vittime, le loro famiglie e il colpiti per le recenti inondazioni di Valencia e per la sua popolazione, spiegando che l'immagine della Virgen de los Desamparados sul podio gli era stata regalata da lì.

"Saluto alla Virgen de los Desamparados, patrona della Valenciache soffre molto a causa dell'acqua, e anche altre parti della Spagna. Valencia, che è sott'acqua e soffre. Volevo che il santo patrono di Valencia fosse qui, questa immagine che i valenciani mi hanno dato", ha detto. 

"Non dimentichiamo Valencia, la Spagna", ha ribadito. "Oggi la Virgen de los Desamparados, patrona di Valencia, è con noi, vi invito a pregare un'Ave Maria".

Lo Spirito Santo e la preghiera cristiana

Nella serie di catechesi sullo Spirito Santo, che ha completato la sua sessione In dodicesimo luogo, il Romano Pontefice ha dedicato la catechesi allo Spirito Santo e alla preghiera cristiana, in cui ha seguito il testo, ma con diversi momenti improvvisati in cui ha insegnato a rivolgersi al Paraclito con il cuore, "non come pappagalli", e sapendo che "Dio è più grande del nostro peccato, perché siamo tutti peccatori".

"Lo Spirito di Dio è sia l'oggetto che il soggetto della preghiera. È l'oggetto quando preghiamo per riceverlo, quando lo chiediamo, quando lo invochiamo", ha sottolineato il Papa. "Per esempio, la Chiesa lo implora nella Santa Messa, affinché scenda e santifichi il pane e il vino, ed è il soggetto quando egli stesso prega in noi, aiutandoci nella nostra debolezza, perché, come dice San Paolo, non sappiamo pregare come dovremmo.

Lo Spirito Santo si rivela nella preghiera come Paraclito, cioè "come avvocato e difensore, che intercede presso il Padre perché possiamo gustare la gioia della sua misericordia". Ma oltre a intercedere per noi, lo Spirito Santo ci insegna a intercedere per i nostri fratelli e sorelle. E questa preghiera di intercessione piace a Dio, perché è gratuita e disinteressata. Quando preghiamo per gli altri e gli altri pregano per noi, la preghiera si moltiplica.

"Pellegrini della speranza

Nel suo saluto ai pellegrini di diverse lingue, il Papa ha aggiunto alcuni commenti. Ad esempio, ai pellegrini di lingua spagnola ha detto che "in questo tempo di preparazione al Giubileo, chiediamo allo Spirito Santo di intercedere per noi affinché possiamo essere pellegrini di speranza, pronti a seguire Gesù, che è la Via, la Verità e la Vita".

Nel suo saluto ai pellegrini polacchi ha ricordato la preghiera per i defunti, e ai pellegrini italiani ha chiesto ancora una volta di pregare per la pace nell'Ucraina martirizzata, a Gaza - ha ricordato i 153 civili mitragliati l'altro giorno -, in Israele, in Myanmar.

"Ci dà la vera preghiera".

Nella sua riflessione catechetica, il Papa ha ricordato "un altro aspetto, che è il più importante e incoraggiante per noi: è lo Spirito Santo che ci dà la vera preghiera. Lo Spirito", dice San Paolo, "ci aiuta nella nostra debolezza. Noi infatti non sappiamo pregare come dovremmo, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti ineffabili; e colui che scruta i nostri cuori sa qual è il desiderio dello Spirito, e che la sua intercessione a favore dei santi è secondo Dio" (Rm 8,26-27). (Rm 8, 26-27).

"È vero, non sappiamo pregare. La ragione di questa debolezza della nostra preghiera era espressa in passato da una sola parola, usata in tre modi diversi: come aggettivo, come sostantivo e come avverbio. È facile da ricordare, anche per chi non conosce il latino, e vale la pena tenerla a mente, perché da sola contiene un intero trattato". 

"Figli di Dio

"Noi esseri umani dicevamo: "mali, mala, male petimus", che significa: essendo cattivi (mali), chiediamo le cose sbagliate (mala) e nel modo sbagliato (male). Gesù dice: "Cercate prima il Regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" (Mt 6,33); invece, noi cerchiamo prima di tutto "l'extra", cioè i nostri interessi, e ci dimentichiamo completamente di chiedere il Regno di Dio".

"Lo Spirito Santo viene, sì, per aiutarci nella nostra debolezza, ma fa qualcosa di ancora più importante: ci testimonia che siamo figli di Dio e mette sulle nostre labbra il grido: "Abba, Padre!" (Rm 8,15; Gal 4,6)", ha sottolineato.

L'autoreFrancisco Otamendi

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Argomenti

La Chiesa nei Paesi Bassi dal XVI all'inizio del XX secolo

Iniziamo una serie di articoli sul cristianesimo olandese. In questo primo articolo una sintesi delle origini del cristianesimo nei Paesi Bassi, la Riforma protestante e la rinascita cattolica fino al 1940.

Enrique Alonso de Velasco-6 novembre 2024-Tempo di lettura: 8 minuti

Articoli della serie Storia della Chiesa nei Paesi Bassi:


I Paesi Bassi, popolarmente conosciuti come Olanda, sono una terra di contrasti: nonostante non dispongano di quasi nessuna risorsa naturale, sono una grande potenza economica grazie allo sviluppo tecnico e alla capacità lavorativa della loro popolazione, 18 milioni di abitanti che vivono in un'area dodici volte più piccola della Spagna. La densità di popolazione è una delle più alte al mondo. 

Un quinto della superficie del Paese è sotto il livello del mare ed è stato "conquistato" dal mare nel corso dei secoli. Gran parte del Paese è un delta in cui scorrono fiumi come il Reno e la Mosa. Nonostante il terreno povero e sabbioso, i Paesi Bassi hanno una notevole produzione agricola grazie a metodi di coltivazione avanzati.

Origini storiche

La lotta contro il mare e, più in generale, il controllo dell'acqua negli innumerevoli canali, fiumi e laghi, hanno forgiato il carattere olandese. La sua storia è fatta dal mare. Prima che gli abitanti di queste terre costruissero le prime dighe, scriveva lo storico romano Plinio il Vecchio (47 d.C.):

"Due volte al giorno, la marea dell'oceano travolge un'ampia distesa di terra e risolve l'eterna disputa se questa regione appartenga alla terra o al mare. Lì, questa gente vive su tumuli o piattaforme costruite sul livello più alto raggiunto dal mare. Su di essi hanno costruito le loro capanne, e quando la marea è alta sono come marinai nelle loro navi, ma quando è bassa sembrano più dei naufraghi, perché intorno alle loro capanne cacciano i pesci che si ritirano con il mare (...) Raccolgono il fango a mano, lo fanno seccare al vento e poi al sole, e usando questa terra come combustibile [torba], riscaldano il loro cibo e le loro stesse viscere, congelate dal freddo del nord. E questi popoli pretendono di essere schiavizzati quando vengono conquistati dal popolo romano". 

Plinio non riusciva a capire perché gli abitanti della zona costiera dell'odierna Olanda e Germania (i Frisoni) non volessero abbandonare la loro vita precaria e diventare sudditi dell'Impero Romano. E in effetti non lo furono mai. Quando i Romani abbandonarono queste regioni nel V secolo, lasciando il posto a diversi popoli barbari, i Frisoni rimasero indipendenti. Solo secoli dopo iniziarono gradualmente a mescolarsi con i Franchi e altri popoli, mantenendo una grande autonomia nelle zone costiere.

Cristianizzazione della terra

Sebbene il sud dell'attuale Paese fosse stato cristianizzato già nel IV secolo, solo tre secoli dopo il monaco inglese San Willibrordo sbarcò nel nord del Paese per evangelizzare i Frisoni. Nonostante ciò, gli abitanti delle zone costiere mantennero molte usanze pagane; ci vollero secoli prima che la cultura fosse veramente cristianizzata. Diversi missionari, tra cui San Bonifacio (+754), furono uccisi in Frisia.

Probabilmente già nel X secolo ogni regione si prendeva cura delle proprie dighe, con un sistema efficacemente organizzato di rappresentanti popolari che, con grande autonomia dalle autorità centrali e regionali, svolgevano le loro funzioni di controllo della qualità e di manutenzione. Il primo "Consiglio delle Acque" (Waterschap) del delta del Reno fu eretto nel 1255, riunendo diverse piccole associazioni locali. Oggi esistono 21 "Consigli" di questo tipo in tutto il Paese. 

Questi "Consigli", che eleggevano i loro leader con elezioni dirette, sono tra le più antiche istituzioni democratiche ancora esistenti in Europa; servendo le comunità locali garantendo la loro sicurezza, hanno contribuito in modo determinante allo sviluppo di una mentalità pratica, solidale e autosufficiente, con un'avversione al centralismo e all'accumulo di potere. Queste caratteristiche hanno plasmato il modo in cui gli olandesi, nel corso della storia, hanno lottato per quelli che consideravano i loro diritti, sia in ambito politico, economico, ideologico, morale o religioso.

La natura dell'Olanda

Potremmo dire che il modo di essere degli olandesi è caratterizzato da un grande amore per la libertà (a volte al limite dell'individualismo), dall'anticentralismo e dal pragmatismo. Sono più pragmatici che intellettuali. Hanno anche una tendenza moraleggiante, sulla falsariga del detto popolare: "un Paese di pastori [predicatori protestanti] e di mercanti".

L'importanza che gli olandesi attribuivano al loro diritto all'autodeterminazione (anche dal punto di vista economico) fu senza dubbio una delle ragioni del successo della rivolta nei Paesi Bassi, quando Filippo II pretese una fedeltà totale, espressa nel pagamento di tasse elevate per finanziare le molteplici guerre. Il sostegno alla rivoluzione non sembra essere stato determinato principalmente da fattori religiosi, poiché molte delle province che si staccarono dal monarca rimasero in gran parte cattoliche fino a molto tempo dopo.

Arrivo del protestantesimo

La Riforma protestante nei Paesi Bassi fu principalmente calvinista. Più che i luterani, furono i calvinisti a sostenere con maggior fervore gli interessi di Guglielmo, principe d'Orange e leader della rivolta contro Filippo II. Nel 1573, Guglielmo, su pressione dei leader calvinisti più radicali e contro le sue tendenze tolleranti, vietò il culto cattolico nelle prime due province che riuscì a strappare all'autorità spagnola.

Nel 1581, le sette province più settentrionali divennero indipendenti e formarono gli Stati Generali, che avrebbero governato il conglomerato di province riunite nella Repubblica Federale. Pur non essendo un governo confessionale, la Chiesa riformata olandese e i suoi membri godettero di una posizione privilegiata, mentre altri gruppi - cattolici, ebrei, anabattisti e altri - subirono discriminazioni.

Nonostante ciò, i cattolici olandesi rimasero in maggioranza fino al XVII secolo, costituendo la popolazione totale delle sette province settentrionali. Coloro che rimasero cattolici divennero cittadini di seconda classe. Sebbene non fossero generalmente costretti a convertirsi al calvinismo, subivano una notevole discriminazione: non potevano studiare, non potevano ricoprire cariche pubbliche, non potevano praticare il culto pubblicamente e non potevano avere gerarchie ecclesiastiche e contatti con i sacerdoti.

Terra di missione

L'Olanda di oggi è diventata a tutti gli effetti una "terra di missione", servita da chierici o da religiosi più o meno clandestini che dipendevano dalla Nunzio Papale a Colonia o a Bruxelles. Dopo decenni in cui i contatti con i sacerdoti erano quasi inesistenti e le occasioni di culto cattolico scarse, la maggioranza dei cattolici del nord dei Paesi Bassi passò gradualmente al calvinismo.

E cosa accadde nel sud? La discriminazione dei cattolici fu attuata anche nelle province meridionali, che furono poi annesse dalla Repubblica e che costituivano una zona di confine con le regioni rimaste sotto il dominio spagnolo, nell'attuale Belgio. Queste province meridionali dei Paesi Bassi, Limburgo e Brabante, le cui capitali sono Maastricht e 's-Hertogenbosch, sono rimaste in gran parte cattoliche fino alla fine del XX secolo. Tuttavia, il calvinismo come fucina culturale ha avuto una grande influenza sull'intera mentalità e cultura olandese, anche in queste aree prevalentemente cattoliche.

Il 19° secolo

L'occupazione francese (1795-1813) pose fine alla Repubblica olandese. Napoleone ripristinò, almeno legalmente, alcuni diritti civili e religiosi per i cattolici. Secondo la legge, i cattolici e altri gruppi minoritari non erano più cittadini di seconda classe, e ci fu persino un tentativo di ripristinare la gerarchia. Ma questo processo di emancipazione sarebbe durato decenni. Dopo oltre due secoli di oppressione, la parte cattolica della popolazione era costituita principalmente da contadini e mercanti con scarsa cultura, influenza e potere economico. Nel 1815, per volontà dei governatori delle varie province e con grande consenso popolare, i Paesi Bassi divennero una monarchia costituzionale, con Guglielmo I come re (discendente del principe insurrezionalista Guglielmo d'Orange).

Con il ripristino della gerarchia nel 1853, l'emancipazione dei cattolici (che allora costituivano il 38% della popolazione) ricevette un nuovo impulso. Per superare l'arretratezza economica e culturale rispetto ai loro concittadini protestanti, dovevano aiutarsi a vicenda, e lo fecero con abilità. Guidati dai vescovi appena nominati e sostenuti da numerosi ordini e congregazioni religiose, si misero letteralmente al lavoro: tra il 1850 e il 1920 costruirono circa 800 chiese, fondarono scuole e ospedali, pubblicarono giornali e avviarono una stazione radio cattolica.

Prima metà del XX secolo

Nel 1923 hanno eretto il Università Cattolica di NijmegenIl primo cattolico a diventare primo ministro entrò in carica nel 1918 e il partito cattolico che rappresentava partecipò a tutti i governi del Paese tra il 1918 e il 1945.

In alcuni casi, questa rinascita dei cattolici e la loro crescente influenza nella società hanno provocato disagio e persino proteste da parte dell'establishment protestante, che si sentiva minacciato da questo blocco, che fino a quel momento non aveva visibilità o voce o voto, ma che stava diventando una forza innegabile a tutti i livelli.

Bolle sociali

I cattolici, da parte loro, si sentivano minacciati non solo dai gruppi protestanti, ma anche da altri di orientamento illuminista, liberale o socialista. Per questo motivo i cattolici iniziarono a creare istituzioni confessionali per proteggersi e aiutarsi a vicenda. In questo modo intendevano creare un contesto adeguato per vivere la loro fede e facilitare il loro sviluppo e la loro emancipazione. La frequenza alle messe, la ricezione dei sacramenti e l'alto tasso di natalità raggiunsero livelli inimmaginabili e impensabili nella maggior parte dei Paesi cattolici.

Così, i cattolici costruirono un muro sociale attorno al "loro mondo" e si isolarono gradualmente, vedendo i non cattolici come estranei e concorrenti, se non addirittura nemici. Le cosiddette istituzioni "cattoliche" coprivano non solo gli aspetti religiosi, ma anche l'istruzione e la cultura, e gradualmente anche tutti i settori della società: la stampa, la radio e la televisione, il settore sindacale o del lavoro, le corporazioni, la politica e persino le attività ricreative e sportive.

Questo, che - anche se in misura minore - si verificò anche tra i liberali, i socialisti e i protestanti, diede origine alle cosiddette "colonne": sezioni o porzioni di popolazione autosufficienti che vivevano senza quasi alcun contatto con gli altri gruppi di popolazione (le altre "colonne"). Protestanti, liberali, socialisti e soprattutto cattolici erano così raggruppati dalla culla alla tomba e si distanziavano dagli altri gruppi di popolazione. Queste colonne erano quelle che oggi chiameremmo bolle sociali.

Colonizzazione: il processo attraverso il quale la quasi totalità della società olandese si è segregata più o meno spontaneamente e liberamente in diversi gruppi - oppure colonne-Cattolici, protestanti e, in misura minore, liberali e socialisti.

Potere umano

Secondo il famoso storico cattolico Louis Rogier, una parte importante dell'identità di un cattolico olandese nella prima metà del XX secolo consisteva in questo: "Non sono un protestante". Questo si traduceva in un efficace controllo sociale che inconsciamente favoriva la mentalità di gruppo. E chi erano i leader del gruppo? Per lo più sacerdoti e religiosi, dato che la maggior parte dei laici non era ben formata e preparata. Infatti, un gran numero di ecclesiastici non solo gestiva le parrocchie o altre istituzioni religiose, ma faceva anche parte degli organi direttivi e consultivi di giornali, stazioni radio e televisive, partiti politici, sindacati, ecc.

Il risultato non sorprende: un gruppo o un progetto abbastanza uniforme di pressione politica, sociale e mediatica. Si trattava della cosiddetta "causa cattolica" ("de Roomsche Zaak"), in cui la vita spirituale veniva gradualmente messa in secondo piano e il movimento sociale per aiutare i cattolici in primo piano. Di conseguenza, la Chiesa in generale e il clero in particolare acquisirono molto potere, che di solito usarono per aiutare la popolazione cattolica, ma non esclusivamente in campo spirituale. In alcuni casi si verificarono eccessi e partigianerie e si creò uno spirito di gruppo che poteva facilmente soffocare il legittimo desiderio di libertà nelle questioni temporali. C'era una frequente interferenza del clero negli affari temporali, che, anche se legati alla "causa cattolica", potevano sminuire la loro missione spirituale.


Articoli in uscita

In un articolo successivo vedremo come la "columnisation" nei Paesi Bassi, con la conseguente ingerenza del clero nella vita sociale, politica, familiare e personale dei cattolici, nella migliore delle ipotesi non ha favorito lo sviluppo della libertà interiore dei cattolici, soprattutto per quanto riguarda la loro pratica religiosa.

L'autoreEnrique Alonso de Velasco

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Lo Spirito Santo e la guarigione

Se riceviamo lo Spirito Santo, i suoi doni e i suoi frutti, saremo in grado di provare i sentimenti più puri e genuini per raggiungere l'altezza e la dignità dei figli di Dio. Questo è vivere una vita sana.

6 novembre 2024-Tempo di lettura: 5 minuti

Che grande promessa! Ci è stato offerto uno spirito di coraggio, di sano giudizio, di padronanza degli istinti irrazionali, per raggiungere una mente sana, una fortezza morale, la saggezza e la pace.

Celebriamo lo Spirito Santo nel giorno di Pentecoste, lo chiediamo nella cresima, ma non ci rendiamo conto che è la forza costante o il "modus operandi" di ogni giorno nel nostro cammino di fede. Perché Gesù è stato il seme di Dio sulla terra e lo Spirito Santo è il seme di Gesù nel cuore di ogni convertito e battezzato.

Il dono dello Spirito Santo

Lo Spirito Santo è il dono supremo di Gesù quando ci ha detto in Giovanni 14, 16... "Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro protettore che rimarrà sempre con voi, lo Spirito di Verità, che voi riconoscerete e che rimarrà sempre con voi". Versetto 26 e seguenti: "Lo Spirito Santo, l'interprete che il Padre vi manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi farà ricordare tutto ciò che vi ho detto". 

Il grande consolatore, il traduttore e trascrittore del Padre, ci ricorderà, ci spiegherà e ci insegnerà tutte le parole e le opere che Gesù ha detto e fatto. Se oggi abbiamo la memoria di Dio e dei Vangeli degli insegnamenti e delle opere di Gesù, è perché lo Spirito Santo ha adempiuto al suo incarico. In altre parole, in Giovanni 14 Gesù ci conferma anche che lo Spirito Santo è il maestro, il consolatore dei cuori affranti e colui che ci aiuterà a capire e a ricordare ciò che leggiamo nella Bibbia e ciò che impareremo su Dio e sulla sua Parola. 

La mente umana ha l'abitudine di ricordare il negativo piuttosto che il positivo; di ricordare prima ciò che ci ha fatto piangere piuttosto che ciò che ci ha fatto ridere. Lo Spirito Santo è stato incaricato di aiutarci a ricordare i bellissimi insegnamenti e le azioni vittoriose di Gesù, ed è anche il grande consolatore, il consigliere divino e l'aiutante della grazia di Dio nei momenti intensi di guarigione interiore dei ricordi dolorosi che ci tormentano.

L'aiuto del Paraclito

Lo Spirito dichiara la nostra fame e il nostro bisogno di Dio e ci aiuta a scoprire e a identificare la nostra vera essenza per pregare in modo più accurato. Come dice Galati 5:16: "Camminate nello Spirito e così non adempirete alla concupiscenza della carne". Abbiamo cioè bisogno dello Spirito Santo per vincere la battaglia del dominio degli istinti e delle tendenze umane. La lotta contro i desideri della carne non riguarda solo la lussuria o la perversione: si tratta anche di andare contro le tendenze al pessimismo, all'egoismo, alla violenza fisica e psicologica, all'attaccamento alle cose materiali, alla mancanza di carità e alla ribellione spirituale.

Isaia 11:2 descrive il grande dono dello Spirito Santo: "e su di lui si poserà lo Spirito di Yahweh, lo Spirito di sapienza e di intelligenza, lo Spirito di consiglio e di forza, lo Spirito di conoscenza e di timore di Dio". In altre parole, è il donatore di intelligenza soprannaturale, forza, discernimento e senso di riverenza per Dio.

In Filippesi 1:5 San Paolo desidera "che la stessa mente di Cristo sia in tutti noi". Per amare e compatire misericordiosamente come Cristo, dobbiamo abbandonare la nostra natura umana e assumere la sua natura divina. Altrimenti nascono l'egoismo, la freddezza, il giudizio severo e persino il comportamento antisociale. Amare alla maniera di Dio significa imparare a sentire come Cristo sentiva e ad agire come Lui si muoveva quando la misericordia era al centro di tutte le sue azioni.

Vivere nello Spirito

Vivere nello Spirito significa vivere con coraggio, perseveranza, gioia, resilienza e santità. È vivere nella nobiltà spirituale, con saggio discernimento, cercando la volontà di Dio. È essere disposti a ingaggiare grandi battaglie con grande coraggio, a prendere il dominio sull'umano per vivere nella dimensione spirituale. Perché se non spiritualizziamo la vita, la vita umanizzerà la nostra fede. Vivere nella dimensione spirituale significa preferire sempre le vie di Dio, le aspettative di Dio, parlare con il linguaggio della fede, pregare come hanno pregato le anime pure e sante, e provare i sentimenti più sublimi che non sono prodotti nelle menti e nei cuori feriti degli esseri umani danneggiati, ma nella mente e nelle intenzioni santificate che vediamo manifestate dagli innamorati di Dio.

Vivere nello Spirito significa lasciare andare ciò che non ci appartiene più per andare alla ricerca di ciò che è predestinato. Dare sempre la priorità alle decisioni della vita secondo l'ordine divino, optando per la verità piuttosto che per la menzogna, senza preoccuparsi di ciò che il mondo pensa, ritiene o suggerisce, ma solo di ciò che Dio vuole e desidera. In altre parole, essere e agire secondo il disegno e la volontà di Dio.

Chi cammina nello Spirito ama sempre Dio con riverenza, sottolineando la supremazia del suo amore, dichiarando fame e sete della sua parola, della preghiera, dei sacramenti, e desideroso di vivere esperienze più sublimi, spirituali e soprannaturali.

La guarigione dello Spirito Santo

Vivere nello Spirito significa essere dimensionati nella vita non dalle ferite del passato ma verso la visione del futuro: liberi da schiavitù, dipendenze, co-dipendenze e schiavitù. Perché l'unico modo in cui satana ci tiene in pugno è legandoci in una schiavitù fisica e mentale, per creare in noi uno spirito di schiavitù spirituale. A maggior ragione abbiamo bisogno di essere liberati dallo Spirito Santo. Il piacere del nemico è quello di renderci schiavi; il piacere di Dio è quello di liberarci.

Lo Spirito Santo, nel suo incarico liberatorio, vorrebbe liberarci da: 

1 - ricordi persistenti del fallimento,

2 - il dolore dell'abbandono o dell'inganno di chi ha bisogno,

3 - il senso di colpa,

4 - rancori e odi perniciosi,

5 - stigmatizzazione per abusi, stupri, violenze,

6 - perdite irreparabili,

7 - servitù, vizi, schiavitù,

8 - peccato personale o danno da peccato altrui,

9 - depressione, ansia, amarezza,

11 - senso di irrilevanza o crisi esistenziale,

12 - un senso di disperazione.

La pace che lo Spirito Santo dona

Lo Spirito Santo ci fa il grande dono della pace del cuore. È la pace che ci riconcilia con le storie e i personaggi delle nostre storie. È la pace che diventa lo strato impermeabile dell'anima di fronte all'insulto, all'offesa, al rifiuto, alla disaffezione. La pace è la sorella della fede e l'autrice della speranza. È la pace che ci dà autorità sui pensieri debilitanti e sui sentimenti militanti. La pace è il ponte verso la felicità. Senza la pace nel cuore, nessuno è felice. 

Vivere nello spirito significa vivere credendo a Dio e alle sue promesse. Isaia 43:1 dice in modo così bello: "Io ti ho creato, non temere, perché io ti ho salvato, ti ho chiamato per nome e sei mio. Se attraverserai un fiume, io sarò con te e la corrente non ti spazzerà via. Se passerai in mezzo alle fiamme non sarai bruciato, perché io sono Yahweh, il tuo Dio, e per salvarti darei Egitto, Etiopia e Saba al posto tuo, perché ti amo e sei preziosa per me".

Quando viviamo nello Spirito, possiamo sperimentare ciò che San Paolo ha detto in Romani 8:31-37, "Se Dio è per voi, chi sarà contro di voi? Chi potrà separarvi dall'amore di Dio? Né prove, né afflizioni, né persecuzioni, né carestie, né angustie, né malattie, né spade, né pericoli, né morte... da tutto questo usciremo più che vincitori... perché nulla potrà separarvi dall'amore di Dio in Cristo Gesù".

Una vita sana

Quando viviamo nello Spirito, possiamo professare ciò che San Paolo ha detto in modo eclatante in Filippesi 4:11-13: "So come vivere con umiltà e so come avere l'abbondanza: sono pronto a tutto, sia che io sia sazio o affamato, sia che io abbia l'abbondanza sia che io sia nel bisogno.

Le prescrizioni per una vita sana in tutti gli ambiti e in tutte le esperienze umane si trovano in Galati 5, 22-23. Secondo la Bibbia cattolica, i frutti dello Spirito Santo sono dodici e sono elencati come Carità, Gioia, Pace, Pazienza, Sopportazione, Gentilezza, Bontà, Mitezza, Fedeltà, Modestia, Continenza, Castità. 

Cos'altro stiamo cercando? Se riceviamo lo Spirito Santo, i suoi doni e i suoi frutti, saremo in grado di provare i sentimenti più puri e genuini per raggiungere l'altezza e la dignità dei figli di Dio. Questo è vivere una vita sana.

L'autoreMartha Reyes

Dottorato di ricerca in psicologia clinica.

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Attualità

Paco, volontario a Valencia: "Quello che sta succedendo è incomparabile quando lo si vive in prima persona".

Un giovane studente racconta a Omnes la sua esperienza di volontario che pulisce e aiuta le famiglie di Aldaia e Paiporta, danneggiate dal DANA.

Francisco Torres-5 novembre 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Tutto è iniziato con un'e-mail dell'Universitat de València: le lezioni di domani sono state cancellate a causa delle piogge. Il messaggio è arrivato mentre stavo cenando e sono rimasto molto sorpreso, perché non avevo idea della portata della situazione. Credo che nessuno lo sapesse.

La mattina successiva trascorse normalmente, il cielo era nuvoloso, ma non cadde quasi una goccia d'acqua. Valencia capitale. Come studente universitario, ho colto l'occasione per studiare, evitando la catastrofe che si stava verificando a pochi chilometri dalla mia università.

Il quadro è cambiato alle otto di sera, quando è arrivato il messaggio della Protezione Civile sul mio cellulare. La calma di non avere lezione è finita, e io ero ancora ignaro di ciò che stava accadendo.

Ho iniziato a consultare i social media e i media tradizionali per scoprire cosa stava succedendo. Le città in cui vivono i miei amici di classe erano completamente allagate, le auto venivano spazzate via e le persone erano chiuse in casa in attesa della risposta di una persona cara alla domanda: "Stai bene? Mai prima d'ora quella domanda o l'ultima connessione Whatsapp avevano avuto tanto senso. Nel frattempo, non sapendo come reagire, sono uscita in terrazza per cercare di capire cosa stesse succedendo. Ricevetti la telefonata di mia madre, voleva sapere come stavo e io risposi che andava tutto bene. Ma quando ho riattaccato il telefono mi sono chiesta se fosse così grave quello che stava succedendo. 

La mattina dopo mi sono svegliato con una sensazione molto strana. Vedevo sempre più video della tragedia. In modo del tutto spontaneo, nella hall del residence è stata organizzata una macchina per andare ad Aldaia, un paese vicino, per prestare aiuto. A poco a poco, la voce si è sparsa e altri residenti si sono offerti di guidare altre auto, finché siamo arrivati a 30 volontari che sono partiti senza sapere cosa ci aspettava o a che ora saremmo tornati. 

Quando sono sceso dall'auto ho visto la realtà di una città di 31.000 abitanti completamente devastata e sepolta dal fango. Anche se sembra che attraverso lo schermo si possa vedere ciò che sta realmente accadendo, non c'è paragone quando lo si vive in prima persona e si guarda il terreno e non si riesce a vedere la propria scarpa, perché è completamente sommersa dal fango. Ad Aldaia abbiamo girato per le strade chiedendo ai vicini se avessero bisogno di aiuto, e lì mi sono anche chiesto perché fossero loro a dover vivere questa catastrofe e non io o la mia famiglia.  

Ad Aldaia ci siamo fermati ad aiutare una casa di riposo gestita dalle suore dell'Immacolata Concezione. Quando ci hanno visto arrivare, i loro volti si sono illuminati; ancora oggi non so bene perché. Avere la forza di sorridere in quei momenti di avversità è qualcosa che sicuramente mi rimarrà impresso per tutta la vita e spero di poter seguire questo esempio. Abbiamo aiutato in ogni modo possibile, portando loro del cibo e cercando di salvare i pochi mobili ancora utilizzabili.

Lo stesso pomeriggio andai a lavorare al mio giornale, Supersport. Fu allora che mi resi conto della catastrofe che si era verificata a pochi minuti di macchina dal mio College. Colleghi che considero amici avevano perso la casa, l'auto e persino le mogli sul posto di lavoro, una delle quali era incinta di quattro mesi. Poco dopo essere arrivato, sono uscito all'ingresso per chiamare gli amici con cui vivo, molti dei quali sono ancora ad Aldaia. Abbiamo organizzato una gita per il giorno successivo a Paiporta, la città dove si è verificata la catastrofe. Abbiamo camminato per più di un'ora carichi di provviste, ma non eravamo soli: ci accompagnava un'enorme fila di migliaia di volontari, pieni di solidarietà e di affetto.

Nonostante fossimo in tanti, senza alcun desiderio di riconoscimento, nemmeno un semplice "grazie", abbiamo iniziato ad aiutare. Ero in casa di alcuni anziani, insieme a un amico basco del Colegio Mayor, a togliere il fango da una stanza. Ciò che ci ha sorpreso di più è stato vedere il muro: si potevano vedere le foto del matrimonio dei proprietari della casa macchiate di fango. La linea che segnava l'altezza dell'acqua nel fatidico giorno dell'alluvione era alta due metri e mezzo, un'altezza alla quale sarei annegato. E per qualche ragione sconosciuta, non sono stato io, ma centinaia di persone.

Quando è arrivata l'ora stabilita, siamo partiti per tornare a casa, e sulla strada del ritorno c'era ancora questa enorme fila di persone pronte ad aiutare. Ma non basta. È necessario un aiuto professionale per salvare i beni di chi ha perso tutto. E dopo un viaggio di un'ora e mezza fino a lì e un'ora e mezza al ritorno, penso davvero che le vittime, con la loro generosità e i loro sorrisi, abbiano aiutato me più di quanto io abbia aiutato loro.

L'autoreFrancisco Torres

Vocazioni

Libertà nella vocazione matrimoniale e nel celibato

Fabrice Hadjadj e José Fernández Castiella hanno tenuto una conversazione su vocazione e libertà presso la Librería Modesta.

Javier García Herrería-5 novembre 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

La fitta agenda di Fabrice Hadjadj durante la sua recente visita in Spagna ha incluso il tempo per una vivace discussione con il sacerdote José Fernández Castiella. I temi trattati sono stati il matrimonio, la libertà, la vocazione e il celibato, in relazione al libro "...".Il matrimonio, la grande invenzione divina". 

L'incontro si è svolto presso la Libreria Modesta, un momento particolarmente opportuno, perché, come ha sottolineato Hadjadj, "c'è un legame molto forte tra il matrimonio e la lettura, la lettura di belle storie. Perché il fatto che ci si possa avventurare nel matrimonio è anche perché si sono sentite delle belle storie, perché si continua a credere in questa meravigliosa avventura. Credo che ci sia un legame molto forte tra la libreria, la lettura e il matrimonio, e oggi stiamo assistendo a una perdita del senso della narrazione nel matrimonio perché abbiamo perso anche il senso della lettura. Per questo è bello essere in questa libreria 'modesta', una libreria modesta ma con un fortissimo concentrato di intelligenza e di parole".

Il racconto del matrimonio

Fabrice Hadjadj ha affrontato la natura del matrimonio dalla prospettiva della "narrazione di un dramma", in cui il peso di problemi e situazioni irrisolvibili si manifesta in molte dimensioni, tra cui la mancanza di realizzazione nell'esercizio della sessualità. Questa stessa narrazione drammatica può essere vista come un riflesso del "dramma" della storia della salvezza del popolo di Israele da parte di Dio. Fernández Castiella, da parte sua, ha portato l'argomento sul terreno antropologico, attribuendo al fine soprannaturale del desiderio umano la causa del matrimonio, che "è sempre in attesa di una pienezza da raggiungere e quindi mantiene il suo carattere proiettivo". 

La libertà personale gioca un ruolo decisivo nella configurazione della vocazione al matrimonio, perché la promessa, la relazione incondizionata e totale che origina e l'impegno per il futuro, fanno sì che il matrimonio debba essere considerato, secondo José Fernández, come "la vocazione paradigmatica che concentra gli elementi essenziali di ciò che è umano e a partire dalla quale devono essere comprese tutte le vocazioni", compresa la sua, quella di sacerdote. 

Per questo ha sottolineato la confluenza tra vocazione e libertà con una frase tratta dal libro di Hadjadj "La profondità dei sessi": "La volontà di Dio è desiderio per gli uomini".

Il celibato

Il filosofo francese ha affrontato la questione del celibato sacerdotale facendo un'analogia con la circoncisione come mutilazione e sigillo divino sul popolo di Israele, mentre l'autore spagnolo ha difeso l'idea che l'Eucaristia sia la compagnia che fa uscire il celibe dalla solitudine. Entrambi concordano sul fatto che matrimonio e celibato che si sostengono e si arricchiscono a vicenda.

La moderatrice dell'incontro, Paula Hermida, ha descritto la castità in termini di spinta all'immediatezza che caratterizza la nostra società. Mentre la tradizione cattolica - San Tommaso d'Aquino in particolare - ha trattato la castità come parte della virtù della temperanza, Hadjadj pensa che sia una parte della giustizia, poiché si riferisce alle relazioni con gli altri, e la persona casta è quella capace di "dare a ciascuno il suo".

In questo senso, l'autore francese ha spiegato che la castità intensifica la femminilità o la mascolinità, e il sacerdote ha incentrato il suo discorso sulla mancanza di castità come frammentazione che riduce la persona alla sua genitalità.

La castità

"L'educazione alla castità non consiste tanto nel reprimere una pulsione, quanto nell'allargare lo sguardo per vedere l'altro come un essere intero e una biografia completa. Questa è la fonte del rispetto. Per questo è necessaria un'educazione alla bellezza che educhi lo sguardo e recuperi il senso contemplativo che integra tutte le dimensioni", ha affermato Castiella. 

In relazione alla possibilità di essere felici in questa drammatica narrazione del matrimonio e alle paure che impediscono l'audacia di intraprendere avventure. Hadjadj ricorre ad esempi tratti dalla letteratura per rivendicare l'esemplarità, a cui Castiella sostiene l'urgenza "di assumere liberamente il ruolo di protagonista del proprio dramma biografico e ritiene che il problema della mancanza di audacia non sia la paura ma la mancanza di grandezza d'animo".

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Vaticano

Il sinodo nella tradizione della Chiesa

Questo lungo cammino di sinodalità ha arricchito le Chiese particolari e tutta la Chiesa universale, perché ha costituito un forte richiamo all'unità con i vescovi diocesani e del collegio episcopale con il Santo Padre, Pastore universale della Chiesa di Dio.

José Carlos Martín de la Hoz-5 novembre 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Con il Documento finale del Sinodo dei Sinodi si conclude il percorso sinodale, con il quale la Chiesa universale ha cercato di recuperare l'inveterata tradizione di incontro e di scambio di speranze, prima nelle diocesi o eparchie, poi insieme a tutte le Chiese particolari, nelle conferenze episcopali e, infine, nel Sinodo generale dei vescovi che si svolge ogni due anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II a Roma.

La corresponsabilità e la chiamata a sentire che siamo tutti Chiesa e la Chiesa di Gesù Cristo destinata a durare fino alla fine dei tempi, sempre giovane e sempre riformatrice, ad ascoltare lo Spirito Santo e ad essere docile alle sue indicazioni e a portare il messaggio della salvezza cristiana fino all'ultimo angolo della terra.

Documento finale

Il documento finale del Sinodo appena concluso è da pubblicare in italiano con data 26 ottobre 2024 ricorda, nei suoi primi numeri, come si è svolto il Sinodo di Roma dopo due anni di intenso lavoro e due periodi appositamente dedicati a questo compito insieme al Santo Padre.

I frutti di questo Sinodo sono espressi nel documento finale, che sarà ricordato per la sua statura, la sua profondità e la sua magistrale esposizione che unisce l'universalità di tutta la Chiesa con costanti riferimenti alla sua applicazione nelle Chiese particolari. È stato elaborato con una visione e una metodologia sinodale e dovrà essere portato a compimento nelle Chiese particolari attraverso la convocazione periodica dei Sinodi e dei Concili provinciali, come ricorda la normativa vigente (n. 129).

Sono stati due anni di Sinodo a Roma che ha studiato le conclusioni di molti Sinodi nelle Chiese particolari ed è stato risolto tornando alla tradizione della Chiesa del primo millennio, dove abbiamo camminato insieme la Chiesa in Oriente e in Occidente sotto un unico Romano Pontefice.

Collegamento con il Vaticano II

Il Documento finale del Sinodo che si è appena concluso a Roma è profondamente legato al Concilio Vaticano II e al recente magistero della Chiesa. Fin dai suoi primi numeri, riflette lo spirito di comunione di tutte le Chiese particolari con il Romano Pontefice e l'entusiasmo ecumenico, ancora una volta espresso come una supplica allo Spirito Santo. 

Indubbiamente, la sinodalità è stata ravvivata attorno alla chiamata universale alla santità, come proclamato nella Costituzione Apostolica "Lumen Gentium" (n. 11) e che San Giovanni Paolo II ha ripreso nella "Novo Milenio Ineunte" con l'affermazione "la pastorale del XX secolo sarebbe la pastorale della santità" (n. 2). Proprio durante il pontificato di Papa Francesco c'è stato un ritmo intenso di beatificazioni e canonizzazioni e anche di beatificazioni di martiri delle persecuzioni religiose del XX secolo.

Fonti di rivelazione

Il Documento Sinodale è solidamente fondato sulle Fonti della Rivelazione trasmesse al Magistero della Chiesa e rinnovate negli ultimi anni nei lavori teologici e universitari di tutto il mondo. I continui riferimenti alla Tradizione apostolica e alla Sacra Scrittura costituiscono le radici di un documento destinato a durare per molti anni. Alle fonti teologiche va aggiunta la metodologia sinodale applicata nelle fasi diocesane e nazionali e anche nell'aula del Sinodo stesso a Roma.

La prima cosa che colpisce del Documento finale del Sinodo che si è appena concluso a Roma è che il Santo Padre lo ha fatto proprio, visto che ci ha lavorato, discutendolo nell'aula sinodale stessa e, con la suprema autorità che gli corrisponde, esprime che è un frutto dello Spirito Santo.

Conversione personale

Immediatamente, il documento esprime l'importanza della conversione personale per poter produrre scritti e condurre le sessioni sinodali. La grazia della conversione era necessaria per ascoltare lo Spirito Santo che parlava a ciascuno dei padri sinodali. Come nel documento del Santo Padre di convocazione del 25° Giubileo a Roma, il documento finale del Sinodo esprime l'importanza di chiedere perdono per il male fatto al "creato, ai migranti, ai più bisognosi, alle popolazioni indigene, ai bambini, alle donne, ai malati e agli scartati" (n. 6).

Papa Francesco ci ricorderà in questo documento finale che tutta la Chiesa sinodalmente convertita deve rinnovare il suo impegno per le missioni e lo spirito missionario, anche nel primo mondo dove dobbiamo portare il seme del Vangelo e l'annuncio della salvezza (n. 11).

La sinodalità in Giovanni Paolo II

Come è noto, Papa Giovanni Paolo II nell'Enciclica "Ut unum sint" ha ricordato l'importanza di studiare l'esercizio del ministero petrino nel primo millennio della cristianità, quando non c'era ancora il Scisma d'Oriente di Michele Cerulario del 1054. Una delle conclusioni del Congresso organizzato dal Dicastero per la Dottrina della Fede per rispondere a questa sfida è stata quella di recuperare la sinodalità (nn. 18, 28, 31) che nella Chiesa ortodossa aveva continuato a essere vissuta da allora, mentre nella Chiesa cattolica era rimasta solo per l'applicazione dei grandi concili, Trento o il Concilio Vaticano II e altre occasioni previste dalla Legge (n. 129).  

Conoscere questo fatto aiuta a comprendere l'enfasi del Sinodo sulla sinodalità e l'orizzonte ecumenico di cui questo documento finale del Sinodo è profondamente intriso (n. 139).

Per saperne di più
Attualità

Novembre

Una sintesi schematica dei principali discorsi e udienze che si sono svolti in Vaticano nel mese di novembre.

Redazione Omnes-4 novembre 2024-Tempo di lettura: 6 minuti
CorrelatoNotizie correlateOttobre 202

Sábado 30

Nel suo discorso ai partecipanti al Conferenza di tutte le religioniFrancesco sottolinea il valore del dialogo in un contesto globale segnato da "intolleranza e odio".

Nel messaggio consegnato dal cardinale Koch al Patriarca ecumenico Bartolomeo I In occasione della festa di Sant'Andrea, Francesco esorta a uno sforzo comune e alla preghiera per "accogliere il dono divino dell'unità".

Jueves 28

Papa Francesco riceve la Commissione teologica internazionale e la incoraggia a sviluppare una teologia della sinodalità.

Il Papa ha detto a un'udienza che vuole recarsi a Nicea (oggi Turchia) nel 2025 per celebrare il 1700° anniversario del primo concilio.

Udienza con i religiosi e le religiose della Famiglia Calasanzio.

Mercoledì 27

All'Udienza Generale, il Papa incoraggia "evangelizzare con gioiae sostenere gli ucraini". Nel suo discorso ai pellegrini di diverse lingue, a cui presto si aggiungerà il cinese, Francesco li ha incoraggiati a irradiare la gioia, frutto dell'incontro con Gesù, nell'Avvento che inizia domenica.

Martes 26

"Piazza San Pietro"La nuova rivista in cui il Papa risponde ai fedeli. Le sue pagine affronteranno temi di attualità, dalle sfide delle famiglie alle varie forme di esclusione. In Vaticano sono state annunciate anche due nuove webcam, una sulla tomba dell'apostolo Pietro e l'altra sulla Porta Santa, per vivere il Giubileo anche "da lontano".

Lunedì 25

Il documento finale del Sinodo sarà accettato come magistero pontificio ordinario. Il Papa chiede che venga attuato nelle diocesi e che i vescovi commentino i progressi durante le loro visite "ad limina".

In un incontro con la comunità accademica del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II, Papa Francesco ha sottolineato l'importanza per la Chiesa non solo di promuovere il matrimonio come base della famiglia, ma anche di promuovere la famiglia come fondamento della famiglia. estendere la vostra cura pastorale conviventi non sposati e divorziati risposati.

Il Santo Padre partecipa ad un evento per commemorare il 40° anniversario del trattato di pace tra Argentina e Cile nel 1984, che determina la soluzione completa e definitiva della controversia sul Canale di Beagle.

Il Papa sottolinea che il dialogo è l'unica via possibile per la pace e la riconciliazione pace in Terra Santa. Il Papa ha ricevuto in udienza il Consiglio Universale della Pace, che coinvolge giovani di diverse culture e fedi nella promozione della pace in Medio Oriente.


Domenica 24

Nella Solennità di Cristo Re dell'Universo, durante la meditazione che accompagna la AngelusPapa Francesco ha sottolineato che "Gesù salva il creato, perché Gesù libera, Gesù perdona, Gesù dà pace e giustizia. Ma è essenziale ascoltare la sua voce e riconoscerlo come "Re" nel nostro cuore.

Mercoledì 20

Nel Pubblico, il Papa ha affermato che "i laici non sono una sorta di collaboratori esterni o truppe ausiliarie del clero, ma hanno carismi e doni propri con cui contribuire alla missione della Chiesa".

Papa Francesco ha annunciato questa mattina la canonizzazione del Beato Carlo AcutisIl giovane italiano, morto a 15 anni per una leucemia fulminante, era caratterizzato da un grande amore per l'Eucaristia. 

Lunedì 18

Il Papa invia un messaggio alla riunione del G20. Il testo è stato letto dal cardinale Parolin e chiede di reindirizzare i fondi militari per combattere le disuguaglianze e di prendere decisioni coraggiose per garantire dignità e cibo per tutti.


Domenica 17

Il Papa Francesco invita all'Angelus di dare alle cose "il loro giusto peso" e di riflettere su "ciò che accade e ciò che rimane nella nostra vita", ricordando che non dobbiamo essere attaccati alle cose della terra ma alle parole di Gesù che ci guidano alla vita eterna.

Il Pontefice presiede la Santa Messa in occasione del 8a Giornata mondiale dei poveri e si appella a tutta la Chiesa, ai governi degli Stati e alle organizzazioni internazionali: "non dimenticate i poveri".

Sábado 16

Il Papa incontra i seminaristi di Pamplona, Tudela e San Sebastian.

Viernes 15

Francesco invia una lettera ai sacerdoti, ai religiosi e ai chierici della sua diocesi invitando, in vista del Giubileo, le varie realtà ecclesiali a mettere a disposizione alloggi o appartamenti vuoti di loro proprietà per "fermare l'emergenza abitativa", "generare speranza" e attivare "forme di protezione" per chi è senza casa o rischia di perderla.

Alla prima assemblea sinodale delle Chiese in Italia, nella basilica di San Paolo fuori le Mura dal 15 al 17 novembre, Francesco rivolge un messaggio di incoraggiamento affinché quanto raccolto in questi anni si traduca in scelte e decisioni evangeliche, come Chiesa aperta all'ascolto dello Spirito. Esorta i vescovi a essere paterni e amorevoli, assumendosi la responsabilità di ciò che verrà deciso.

Jueves 14

Il Papa ha incontrato un gruppo di Rilasciati gli ostaggi israeliani a Gaza.

In un messaggio ai partecipanti a una riunione sul bene comune organizzato dalla Pontificia Accademia per la Vita, Papa Francesco ha sottolineato la necessità di cercare la giustizia in "ogni difesa della vita umana". Per lui, "è molto importante ricordare il bene comune, una delle pietre miliari della dottrina sociale della Chiesa".

Francesco dà il benvenuto ai partecipanti alla conferenza del Dicastero per le cause dei santi.

Mercoledì 13

Il Santo Padre ha continuato la sua catechesi sullo Spirito Santo, in questa occasione sottolineando la relazione tra il Paraclito e la Vergine Maria. Ha iniziato ricordando il detto tradizionale "Ad Iesum per Mariam", cioè "a Gesù attraverso Maria".

Martes 12

Niente di rilevante.

Lunedì 11

Il Santo Padre ricevuto in udienza i membri del Santo Sinodo della Chiesa di Siro-Malankar Mar Thoma, in visita per la prima volta alla Chiesa di Roma per scambiare l'abbraccio di pace con il loro Vescovo. A loro il Pontefice ha rivolto l'incoraggiamento a "continuare il dialogo", nella speranza "che esso affretti il giorno in cui potremo condividere la stessa Eucaristia".


Domenica 10

Durante il Angelus Domenica il Pontefice ha riflettuto sulla responsabilità sociale di ogni cristiano, basata sul Vangelo. Il Santo Padre ha chiesto ai cattolici di prendere le distanze dall'ipocrisia dei farisei che Cristo denuncia, e ha incoraggiato tutti a "fare il bene senza apparenze e con semplicità".

Sábado 9

Il Papa Francesco ha ricevuto il Patriarca Assyrian Mar Awa a trent'anni dalla firma della "Dichiarazione cristologica comune" da parte di Giovanni Paolo II e Mar Dinkha IV, che ha posto fine a 1.500 anni di controversie dottrinali tra la Chiesa cattolica e quella orientale. All'udienza hanno partecipato i membri della Commissione mista per il dialogo teologico.

In un comunicato l'Università Lateranense presenta la nuova struttura dell'università composto da molti laici. Un cambiamento in linea con gli statuti della Pul e che si articolerà su più fronti per rilanciare il suo sviluppo e la sua innata vocazione a essere un luogo di incontro e di dialogo.

Il Papa nomina frate Pasolini come nuovo predicatore della Casa PontificiaSuccede a Cantalamessa, un altro famoso francescano che ha ricoperto questo incarico dal 1980.

Jueves 7

Il Papa ha ricevuto in udienza i volontari e i senzatetto del gruppo "Il Papa e i senzatetto".Ricerca nel centro" Ha ricordato che l'aiuto è anche "un semplice sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito".

Il Santo Padre ha incontrato il seminaristi a Toledo.

Mercoledì 6

Nel Pubblico generale Papa Francesco ha nuovamente pregato per Valencia davanti all'immagine della sua Patrona, la Madonna degli Abbandonati, presente in Piazza San Pietro. Inoltre, il Santo Padre ha incoraggiato a pregare con il cuore e come figli di Dio lo Spirito Santo, "l'avvocato che ci difende".

Fernando Enrique Ramon Casas e Arturo Javier Garcia Perez sono stati nominati vescovi ausiliari di ValenciaLa diocesi ha dovuto attendere a lungo per il disastro della DANA.

Martedì 5

Il Papa tiene una lezione magistrale all'Università Gregoriana. Di ritorno dalla conferenza ha visitato Emma BoninoL'ex ministro degli Esteri italiano, recentemente dimesso dall'ospedale.

Lunedì 4

Il Vaticano annuncia che il Papa creerà un nuovo cardinale oltre a quelli già annunciati. Sarà il Arcivescovo di Napoli, Domenico Battaglia.

Il Papa saluta i partecipanti al terzo incontro del ciclo "Il Papa e il mondo".Ospedale da campo delle Chiese". Francesco li ha ringraziati per il loro impegno a favore dei rifugiati, dei poveri e dei senzatetto.


Domenica 3

Il Santo Padre continua a chiedere preghiere per Valencia e riflette nell'Angelus di questa domenica se "l'amore per Dio è il centro della mia vita".

Sábado 2

Dal Cimitero LaurenzianoA Roma, il Santo Padre presiede una Messa per tutti i fedeli defunti.

Venerdì 1

Il Papa celebra la festa di Tutti i Santi e prega per la pace durante la preghiera dell'Angelus.

CorrelatoNotizie correlateOttobre 202
Spagna

Valencia: una chiesa macchiata di fango

Le immagini delle tragiche alluvioni che hanno travolto le città della Comunità Valenciana hanno fatto il giro del mondo. Molte parrocchie e proprietà ecclesiastiche sono state danneggiate, ma da questi stessi luoghi i fedeli si sono adoperati per aiutare le persone colpite.

Redazione Omnes-4 novembre 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Più di venti sacerdoti diocesani stanno svolgendo il loro lavoro pastorale nelle zone più colpite dalla tragedia. Dai loro centri parrocchiali, a volte trasformati in centri logistici per cibo e materiali, stanno cercando di alleviare i bisogni primari delle popolazioni. Come è noto, gli aiuti tardano ad arrivare e resta ancora molto lavoro da fare in termini di ricostruzione e accompagnamento. Oltre agli aiuti diretti che migliaia di volontari hanno inviato durante questo lungo fine settimana, in molte parrocchie spagnole le raccolte di questa domenica sono state destinate alla Caritas di Valencia. Il Bizum creato da questa entità (38026) può essere un modo semplice e sicuro per collaborare.

Il delegato episcopale di Cáritas Española, Luis Miguel Rojo, ha sottolineato ad Alfa y Omega che "molti dei nostri volontari sono stati colpiti, hanno perso la casa o, peggio ancora, i parenti o gli amici. I nostri volontari fanno parte del tessuto sociale: c'erano prima, ci sono ora e continueranno a esserci anche quando quasi non ricorderemo cosa è successo".

Immagini virali

Il sacerdote Gustavo Riveiro, mostra un'immagine recuperata del Cristo reclinato della parrocchia di San Jorge: "la sua immagine con il volto pieno di fango ci ricorda gli oltre cento morti di Paiporta, il numero di dispersi ancora non quantificabile, e le loro famiglie, che è la vera tragedia, quella delle persone che hanno perso la vita. Tutto il resto sarà recuperato quando sarà possibile, e se sarà possibile...".

Un'altra immagine che ha fatto il giro del mondo mostra il sacerdote Federico Ferrando con una suora e alcuni volontari nella città di Paiporta.

Una parrocchia, un centro di campagna

La parrocchia di Nuestra Señora de Gracia a La Torre, la cui foto è in cima a questo articolo, è diventata un centro di raccolta di cibo e beni di prima necessità. È l'immagine vivente della Chiesa come ospedale da campo. Insieme alla collaborazione del Municipio e della Protezione Civile, coordina più di 200 volontari che ogni giorno portano avanti questo centro logistico che si occupa dei bisogni primari della popolazione.

L'arcivescovo di Valencia, Enrique Benavent, ha visitato la parrocchia e le principali città distrutte per accompagnare le persone colpite e mostrare la sua vicinanza e il suo sostegno. La diocesi di Valencia è grata per le espressioni di solidarietà che arrivano costantemente, sia dalla Spagna che da altri Paesi.

Le parole del Papa

Nel angelus che il Papa Domenica 3, in Piazza San Pietro, ha chiesto di continuare a pregare per Valencia, "che sta soffrendo molto in questi giorni", e ha interpellato direttamente i fedeli con due domande: "Cosa sto facendo per la gente di Valencia? Prego, offro qualcosa? Pensate a questa domanda.

Pochi giorni prima, il 31 ottobre, aveva espresso la sua solidarietà in un video inviato a Luis Argüello, presidente della Conferenza episcopale spagnola.

Gli insegnamenti del Papa

Al servizio della verità e della speranza. Il Papa in Belgio e Lussemburgo

Durante la sua visita in Belgio e Lussemburgo, Papa Francesco ha portato un messaggio di speranza e uno spirito di servizio a coloro che ha incontrato.

Ramiro Pellitero-4 novembre 2024-Tempo di lettura: 7 minuti

Papa Francesco si è recato in visita pastorale in Belgio dal 26 al 29 settembre. e Lussemburgo. 

Le lezioni emerse da questa breve e intensa visita sono state organizzate attorno a due slogan: "Servire" e "In cammino, con speranza". 

Accoglienza, missione, gioia

"Servire" era il suo motto in LussemburgoUn Paese impegnato, dopo la Seconda guerra mondiale, a promuovere l'unità e la solidarietà in Europa. 

Nel suo incontro con la comunità cattolica nella cattedrale di Notre-Dame de Luxembourg, ha inaugurato un Giubileo mariano per celebrare quattro secoli di devozione alla Vergine Maria. Maria, Conforto degli afflitti, patrona del paese. 

Si è soffermato su tre parole: servizio, missione e gioia.. In relazione al servizio, ha sottolineato lo spirito di accoglienza: "Vi incoraggio a rimanere fedeli a questa eredità, a questa ricchezza che avete, a continuare a fare del vostro Paese una casa accogliente per tutti coloro che bussano alla vostra porta chiedendo aiuto e ospitalità." (Discorso del 26-IX-2024). Un dovere di giustizia e di carità che porta, come disse Giovanni Paolo II in questo Paese nel 1985, a condividere il messaggio evangelico. "nella parola dell'annuncio e nei segni dell'amore".. Francesco ha insistito sull'unità tra la parola dell'annuncio e i segni dell'amore, in questo momento in Europa e nel mondo. 

Per quanto riguarda il missioneHa sottolineato che la Chiesa, nel contesto di una società secolarizzata come quella europea, deve progredire, maturare e crescere: "...la Chiesa, nel contesto di una società secolarizzata come quella europea, deve progredire, maturare e crescere: "...".Non si chiude in se stessa, triste, rassegnata, risentita, no; ma accetta la sfida, nella fedeltà ai valori di sempre, di riscoprire e rivalutare in modo nuovo le vie dell'evangelizzazione, passando sempre più da una semplice proposta di cura pastorale a una proposta di annuncio missionario.". 

In terzo luogo, ha sottolineato che la nostra fede ".è gioioso, "danzante", perché ci mostra che siamo figli di un Dio amico dell'uomo, che ci vuole felici e uniti, e che nulla lo rende più felice della nostra salvezza.".

Due calamità del momento

in Belgio La visita papale - un ponte tra il mondo germanico e quello latino, tra l'Europa meridionale e quella settentrionale, tra il continente e le isole britanniche - si è svolta sotto l'emblema "In cammino, con speranza".

Oltre a constatare le "due calamità" di questo momento, l'inverno demografico e l'inferno della guerra, Francesco ha sottolineato che la Chiesa è consapevole dei dolorosi anti-testimoni in mezzo a sé, vale a dire la abuso di minoriSia il Re del Belgio che il Primo Ministro vi hanno fatto riferimento nei loro discorsi. Il Papa ha indicato che è necessario chiedere perdono e risolvere questa situazione con umiltà. È necessario, ha aggiunto, "che la Chiesa trovi sempre in se stessa la forza di agire con chiarezza e di non conformarsi alla cultura dominante, anche quando questa utilizza - manipolandoli - valori che derivano dal Vangelo, ma solo per trarne conclusioni illegittime, con il conseguente carico di sofferenza e di esclusione". (Incontro con le autorità e la società civile, Bruxelles, 27-IX-2024).   

Allargare le frontiere

Lo stesso 27 settembre, il successore di Pietro incontrò i professori universitari dell'Università Cattolica di Lovanio. Ha esordito indicando il primo compito dell'università: ".Offrire una formazione completa affinché le persone acquisiscano gli strumenti necessari per interpretare il presente e progettare il futuro". In questa linea, ha sottolineato che le università dovrebbero essere "spazi generativi" di cultura, di passione per la ricerca della verità e al servizio del progresso umano".In particolare, gli atenei cattolici, come questo, sono chiamati "a portare il contributo decisivo del lievito, del sale e della luce del Vangelo di Gesù Cristo e della Tradizione viva della Chiesa, sempre aperta a nuovi scenari e a nuove proposte"." (Cost. ap. Veritatis gaudium, 3).

In questo contesto, il Papa li ha esortati a "espandere le frontiere della conoscenza".. "Non si tratta di -ha spiegato. per accrescere nozioni o teorie, ma per fare della formazione accademica e culturale uno spazio vitale, che abbracci la vita e la metta in discussione.". 

In questo modo sarà possibile superare le tentazioni del pensiero debole (e relativista) e del razionalismo scientista o materialista. Due tentazioni legate l'una all'altra da una rinuncia o da un riduzionismo rispetto alla verità.

"Da un lato, siamo immersi in una cultura segnata dalla rinuncia alla ricerca della verità; abbiamo perso l'inquieta passione di indagare, per rifugiarci nel conforto del pensiero debole - il dramma del pensiero debole - per rifugiarci nella convinzione che tutto è uguale, che una cosa vale quanto un'altra, che tutto è relativo".

"D'altra parte, quando si parla di verità in ambito universitario o in altri contesti, si cade spesso in un atteggiamento razionalista, secondo il quale solo ciò che possiamo misurare, sperimentare e toccare può essere considerato vero, come se la vita si riducesse solo alla materia e al visibile. In entrambi i casi i limiti sono ridotti".

In relazione a questi due atteggiamenti, il Papa ha parlato di "stanchezza dello spirito" e di "razionalismo senz'anima", illustrandoli con Kafka e Guardini. La ricerca della verità è certamente faticosa", ha detto, "perché ci impegna, ci sfida, ci pone delle domande; e perciò "Siamo più attratti da una 'fede' facile, leggera e confortevole, che non mette mai in discussione nulla".. D'altra parte, se la ragione si riduce alla materia, si perde la meraviglia, e allora viene meno l'itinerario del pensiero e si mette a tacere la domanda sul senso della vita, che può essere pienamente riconosciuta solo in Dio. 

È quindi necessario invocare lo Spirito Santo per allargare le frontiere, non solo dei rifugiati, ma anche della cultura e del sapere, soprattutto al servizio dei più deboli (cfr. A. GeschéDio a cui pensare, Salamanca 2010). 

Evangelizzazione, gioia e misericordia

Sabato 28 settembre, il Papa ha incontrato i vescovi, i sacerdoti e gli operatori pastorali belgi nella Basilica di San Pietro. Sacro Cuore de Koekelberg. Per affrontare il momento attuale ha proposto tre vie: l'evangelizzazione, la gioia e la misericordia.

Siamo nel mezzo di un tempo e di una crisi che ci invitano a ritornare sulla via essenziale: l'evangelizzazione. "Un tempo - la Bibbia lo chiama 'kairos' - che ci è stato offerto per scuoterci, sfidarci e cambiarci.". La crisi si manifesta nel fatto che ".siamo passati da un cristianesimo consolidato in un contesto sociale accogliente a un cristianesimo "minoritario", o meglio a un cristianesimo di testimonianza.". 

Questo, osserva Francesco, richiede il coraggio di una conversione ecclesiale, per affrontare le necessarie trasformazioni in termini di costumi, modelli di riferimento e linguaggi di fede, in modo da essere più idonei a servire l'evangelizzazione (cfr. Evangelii gaudium, 27). Concretamente, dobbiamo essere più aperti alle esigenze del Vangelo per superare l'uniformità e aprirci alla diversità, per raggiungere di più e meglio una società che non lo ascolta più o che si sta allontanando dalla fede. 

La seconda via da seguire è la gioia. "Non si tratta di -Il Papa spiega. delle gioie legate a qualcosa di momentaneo, né di abbandonarsi a modelli di evasione o di divertimento consumistico; ma di una gioia più grande, che accompagna e sostiene la vita anche nei momenti bui o dolorosi, e questo è un dono che viene dall'alto, da Dio.". 

È dunque la gioia del cuore che il Vangelo suscita: "...".È sapere che lungo il cammino non siamo soli e che anche nelle situazioni di povertà, peccato e afflizione, Dio ci è vicino, si prende cura di noi e non permetterà alla morte di avere l'ultima parola.". Dio è vicino, la vicinanza. 

A questo punto, Francesco ha citato una frase di Joseph Ratzinger prima di diventare Papa, quando scrisse che una regola di discernimento è la seguente: "dove muore l'umorismo, non c'è nemmeno lo Spirito Santo (...) E viceversa: la gioia è segno della grazia." (Il Dio di Gesù Cristo, Brescia 1978). 

In terzo luogo, c'è l'itinerario della misericordia., La misericordia è necessaria per cambiare i nostri cuori di pietra di fronte alla sofferenza, specialmente quella delle vittime di abusi o di coloro che sono imprigionati per errori commessi, perché nessuno è perduto per sempre. 

Prima di congedarsi, il Papa ha evocato un quadro del pittore belga René Magritte, intitolato L'atto di fede: "Rappresenta una porta chiusa all'interno, ma con un'apertura al centro, aperta verso il cielo. È un'apertura che ci invita ad andare oltre, a guardare avanti e in alto, a non chiuderci mai in noi stessi, a non chiuderci mai in noi stessi.". 

Ha aggiunto: "Vi lascio con questa immagine, come simbolo di una Chiesa che non chiude mai le sue porte - per favore, non chiude mai le sue porte - che offre a tutti un'apertura all'infinito, che sa guardare oltre. Questa è la Chiesa che evangelizza, che vive la gioia del Vangelo, che pratica la misericordia.".

Sviluppo integrale e ricerca della verità

Il Papa ha gioito dell'incontro con gli studenti universitari nell'aula magna dell'Università Cattolica di Lovanio (28-IX-2024). Lo hanno salutato con un inno che alludeva all'enciclica Laudato si' in stile jazz. Gli è stata poi letta una lettera che esponeva alcune sfide, tra cui la critica di alcuni aspetti della dottrina cattolica. Francesco, nella sua risposta, ha ripreso le preoccupazioni per il futuro e le ansie per l'incertezza, sottolineando però come la speranza sia una nostra responsabilità.

In riferimento allo sviluppo integrale, ha sottolineato che "si riferisce a tutte le persone in tutti gli aspetti della loro vita: fisici, morali, culturali, socio-politici; e si oppone a tutte le forme di oppressione e di rifiuto. La Chiesa denuncia questi abusi, impegnandosi innanzitutto nella conversione di ciascuno dei suoi membri, di noi stessi, alla giustizia e alla verità. In questo senso, lo sviluppo integrale fa appello alla nostra santità: è una vocazione a una vita giusta e felice, per tutti.". 

Dopo aver accennato al ruolo delle donne nella Chiesa e all'importanza dello studio, ha fatto riferimento alla ricerca della verità, senza la quale la vita perde di significato. "Lo studio ha senso quando cerca la verità, quando cerca di trovarla, ma con spirito critico [...]. E nel cercarla, capiamo che siamo fatti per trovarla. La verità si fa trovare, è accogliente, disponibile, generosa. Se rinunciamo a cercare insieme la verità, lo studio diventa uno strumento di potere, di controllo sugli altri". Ha aggiunto: "E confesso che mi rattrista trovare, in qualsiasi parte del mondo, università che cercano solo di preparare gli studenti al profitto o al potere. È troppo individualista, senza comunità". 

Voleva anche sottolineare il legame tra verità e libertà: "Volete la libertà, siate cercatori e testimoni della verità! Cercando di essere credibili e coerenti attraverso le più semplici decisioni quotidiane.".

Infine, nell'omelia della Messa di domenica 29 settembre, il Papa ha sviluppato il trinomio apertura, comunione e testimonianza. E ha annunciato che avrebbe avviato il processo di beatificazione di Re Baldovino, affinché "con il suo esempio di uomo di fede illuminare i governanti".. Il giorno prima, sulla tomba di questo sovrano cattolico (che nel 1992 abdicò per 36 ore per non firmare la legge sulla legalizzazione dell'aborto procurato), Francesco ci ha chiesto di imitare il suo esempio in un momento in cui la ".leggi penali". e ha auspicato che la sua causa di beatificazione vada avanti.

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Libri

Giochi di potere nella Chiesa in Spagna

Recensione del libro recentemente pubblicato da José Francisco Serrano Oceja, Chiesa e potere in Spagnauna sintesi per comprendere lo sviluppo della Chiesa nell'ultimo secolo.

José Carlos Martín de la Hoz-4 novembre 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

José Francisco Serrano Oceja. Chiesa e potere in Spagna. Dal Vaticano II a oggi. Arzalia ediciones, Madrid 2024, 375 pp. 

José Francisco Serrano Oceja (Santander, 1968), professore di giornalismo presso l'Universidad San Pablo-CEU di Madrid e docente di storia contemporanea, ha appena pubblicato un interessante saggio sul rapporto tra Chiesa e società civile dal Concilio Vaticano II a oggi. Vediamolo brevemente.

In questo saggio, il professor Serrano Oceja mostra una naturale fusione tra il suo aspetto di storico e quello di comunicatore religioso, riuscendo a raggiungere una sintesi accettabile sia per quanto riguarda lo stile di scrittura sia per la diversa trattazione dei temi.

Il XIX secolo

Il libro inizia infatti con una straordinaria esposizione delle relazioni tra Chiesa e Stato nel XIX secolo, il secolo più complicato della nostra storia. Da un lato, descrive questa parte della storia del XIX secolo concentrandosi sulle relazioni tra liberali conservatori e liberali progressisti e sul loro costante riflesso nel corso del secolo nella comune ostilità verso la Chiesa cattolica. Infatti, da parte di chi era al potere, si praticò la scristianizzazione di un Paese che non aveva attraversato il vero illuminismo. 

Lo sgretolamento della fiducia nella Chiesa, la graduale distruzione degli argomenti cattolici nella vita sociale e culturale e la graduale distruzione degli argomenti cattolici nella vita sociale e culturale diventeranno sempre più evidenti. 

Si cercò di cambiare il modo di pensare attraverso Costituzioni, cambi di governo, disprezzo nella stampa, nei teatri e attraverso le bestemmie e, soprattutto, un atroce anticlericalismo misto a successivi disinganni che lasciarono la Chiesa cattolica spagnola incapace di esercitare la carità verso i bisognosi o di provvedere ai loro bisogni più precari.

XX secolo: prima metà

Dall'arrivo del XX secolo e dall'avvento del krausismo e della formazione di una nuova intellighenzia, verranno compiuti sempre più passi che porteranno a una guerra civile di sterminio e distruzione fraterna. Il Paese sarà diviso fino al midollo, famiglia per famiglia e ambiente per ambiente. 

Lo studio di Serrano Oceja sul XX secolo e sulla guerra civile spagnola è accurato, breve e incisivo. Le cose non potevano che andare così, perché tutto era perfettamente calibrato per trasformare la Spagna in un banco di prova per quello che sarebbe stato l'emergere delle ideologie e il loro scontro all'ultimo sangue prima nella penisola iberica e poi nel vecchio continente europeo.

Alla fine della Seconda guerra mondiale, sia la Spagna che l'Europa si stavano ricostruendo, e la Spagna era frenata dalla presenza di una dittatura e dalla connivenza della Chiesa con un regime che non aveva altra arma per sostenersi se non quella di evitare a tutti i costi la libertà politica.

XX secolo: seconda metà

A partire dagli anni Sessanta, il libro diventa uno studio dei rapporti dei vescovi con un regime che veniva sconfitto dalla cultura e dalle strade, sia nell'università che nella classe operaia che gli voltava le spalle. 

Come ha affermato il professor Julio Montero, sia gli intellettuali che i professionisti liberali hanno vissuto ai margini della politica fino alla morte del dittatore, quando hanno preso il potere.

La base documentaria con cui l'autore affronta la seconda parte del libro, dal Concilio Vaticano II a oggi, è tratta dal saggio pubblicato nel 2016 con Pablo Martín de Santa Olalla (Encuentro, 294 pp). Da qui la sicurezza con cui esprime, in particolare, la difficile situazione della Chiesa sotto i governi di Felipe González, soprattutto in materia di educazione.

L'Assemblea congiunta

Innanzitutto, va lodato il delicato trattamento dell'Assemblea congiunta di vescovi e sacerdoti che si sarebbe conclusa nel settembre 1971 e il cui verbale il cardinale Tarancon avrebbe consegnato allo stesso Paolo VI prima dell'inizio del Sinodo dei vescovi di quell'anno. 

Il fenomeno della contestazione e della manipolazione dei voti portò a conclusioni che non corrispondevano al pensiero della maggioranza del clero, ma di alcuni che avrebbero finito per abbandonare il ministero sacerdotale. 

L'autore si sforza di cercare di spostare la colpa e di avvicinarsi all'origine della divisione del clero in Spagna e all'inizio dell'astio di parte del clero contro l'Opus Dei, a causa della questione del "documento romano". Chiaramente, le stesse persone che hanno capitalizzato la manovra hanno finito per sopprimere la condanna del Dicastero al clero, in cambio dell'insabbiamento della Congiunta. 

Logicamente, Serrano Oceja, evita di entrare nel merito del fenomeno della protesta che si è verificata dopo il conclusione del Vaticano II e che Papa Benedetto XVI ha riassunto con il dilemma tra l'ermeneutica della continuità con la tradizione della Chiesa e l'ermeneutica della rottura, come quella dei neomodernisti che esistono ancora oggi, metamorfosati nella "dittatura del relativismo".

Domande aperte

Alla fine di questo lavoro dobbiamo chiederci perché la Chiesa e, nello specifico, i vescovi, non hanno quasi più eco nell'opinione pubblica e perché i loro documenti hanno perso interesse e influenza tra gli intellettuali spagnoli. Forse la spiegazione è dovuta alla secolarizzazione della società spagnola, come rifletterà Serrano Oceja parlando di una società che ha votato successivamente per il PSOE, pur accogliendo con grande entusiasmo le visite di San Giovanni Paolo II in Spagna. Può anche darsi che la Chiesa debba presentare le sue proposte ai problemi con maggiore chiarezza, basandosi sulla rivelazione cristiana e facendo appello alle radici cristiane dell'Europa, come hanno ricordato sia Giovanni Paolo II che Francesco.

Vaticano

Weekend dei santi, dei defunti, della preghiera per Valencia e dell'amore per Dio 

La petizione a "Maria, Regina dei Santi, affinché ci aiuti a "fare della nostra vita un cammino di santità"; la preghiera per i defunti, in particolare per i bambini non nati, e per Valencia, con la domanda "cosa sto facendo per il popolo di Valencia"; e la riflessione nell'Angelus di questa domenica se "l'amore per Dio è il centro della mia vita", segnano questi giorni di Papa Francesco.

Francisco Otamendi-3 novembre 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

Il Vaticano, le istituzioni ecclesiastiche come la Caritas e molte altre, con Papa Francesco in testa, abituate all'inclemenza e alla guerra, sono state e continuano ad essere molto attente alla dura situazione della Comunità Valenciana, causata da una goccia fredda o da una Dana, che ha portato via centinaia di persone, le loro case, i loro beni e le loro proprietà, lasciando tante famiglie sofferenti e rovinate.

Oggi all'Angelus, il Romano Pontefice ha dedicato l'ultima parte dell'Angelus a chiedere che "le armi tacciano, che i colloqui vadano avanti" (per la pace), che "si preghi per i martiri dell'Ucraina, della Palestina, di Israele, di Myanmar, del Sud Sudan", e che "si continui a pregare per Valencia, e per gli altri popoli della Spagna che soffrono tanto in questi giorni". Cosa sto facendo per la gente di Valencia? Prego, offro qualcosa? Pensate a queste domande", ha detto il Santo Padre.

Videomessaggio, conversazioni con l'arcivescovo: la vicinanza

La notte del 29 ottobre e le prime ore del 30 hanno segnato la vita e la morte di centinaia di spagnoli, vittime della Dana. Il Romano Pontefice ha inviato un videomessaggio e ha parlato telefonicamente con l'arcivescovo di Valencia, monsignor Enrique Benavent, nel quale ha ribadito il suo "....prossimità alla popolazione di Valencia".

Il venerdì di Ognissanti, il 1° ottobre, alla preghiera All'Angelus, il Papa ha pregato "per i defunti e i loro cari e per tutte le famiglie. Il Signore sostenga coloro che soffrono e coloro che li aiutano. La nostra vicinanza alla popolazione di Valencia. 

Allo stesso tempo, migliaia di volontari si sono mossi per aiutare, come mostrano le immagini, da molte parti della Spagna e anche dalla vicina Francia.

Il Beato Carlo Acutis, il nostro "sì".

Poco prima di recitare la preghiera mariana del AngelusNel suo discorso, il Papa aveva sottolineato che "oggi, solennità di Tutti i Santi, nel Vangelo Gesù proclama le Beatitudini, documento di identità del cristiano e cammino di santità (cfr. Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, 63)". 

"Ci mostra una via, la via dell'amore, che lui stesso ha percorso per primo facendosi uomo, e che per noi è sia un dono di Dio che la nostra risposta". E poi, dopo aver citato il beato Carlo Acutis, Francesco ha detto che "questo ci porta al secondo punto: la nostra risposta".

"In effetti, il Padre celeste ci offre la sua santità, ma non ce la impone. La semina in noi, ce la fa gustare e vedere la sua bellezza, ma poi aspetta e rispetta il nostro "sì". Ci lascia la libertà di seguire le sue buone ispirazioni, di lasciarci coinvolgere nei suoi progetti, di fare nostri i suoi sentimenti (cfr. Dilexit nos, 179), mettendoci, come ci ha insegnato, al servizio degli altri, con una carità sempre più universale, aperta e rivolta a tutti, al mondo intero". 

San Massimiliano Kolbe, Santa Teresa di Calcutta, San Oscar Romero...

Questo servizio lo vediamo nella vita dei santi, ha aggiunto il Papa. "Pensiamo, ad esempio, a san Massimiliano Kolbe, che ad Auschwitz chiese di prendere il posto di un padre di famiglia condannato a morte; o a santa Teresa di Calcutta, che spese la sua vita al servizio dei più poveri tra i poveri; o al vescovo Oscar Romero, ucciso sull'altare per aver difeso i diritti degli ultimi contro i soprusi dei delinquenti.

"In loro, come in tanti altri santi - quelli che veneriamo sugli altari e quelli "della porta accanto", con cui viviamo ogni giorno - riconosciamo fratelli e sorelle modellati sulle Beatitudini: poveri, miti, misericordiosi, affamati e assetati di giustizia, operatori di pace. Sono persone "piene di Dio", incapaci di rimanere indifferenti alle necessità del prossimo; testimoni di percorsi luminosi, possibili anche per noi".

E poi le domande: "Chiedo a Dio, nella preghiera, il dono di una vita santa? Mi lascio guidare dagli impulsi buoni che il suo Spirito suscita in me? E mi impegno personalmente a praticare le beatitudini del Vangelo negli ambienti in cui vivo? Che Maria, Regina di tutti Santici aiuti a fare della nostra vita un cammino di santità". 

Deceduti, preghiera per i bambini non nati

Questo sabato, il Papa ha celebrato la liturgia del 2 novembre in commemorazione del deceduto al Cimitero Laurenziano di Roma. Prima si è fermato nel Giardino degli Angeli, un'area dedicata alla sepoltura dei bambini che non hanno visto la luce, dove ha pregato davanti alle lapidi circondate da giochi e statuine e ha salutato un padre che ha perso la figlia. La Messa non ha avuto un'omelia, ma un momento di meditazione e preghiera.

Angelus: "la fonte di tutto è l'amore".

Nel Vangelo di questo Domenica XXXI del Tempo Ordinario, la liturgia ci presenta una delle tante discussioni che Gesù ebbe nel Tempio di Gerusalemme. Uno degli scribi si avvicina a lui e gli chiede quale sia il primo di tutti i comandamenti, ha spiegato il Papa all'inizio del suo discorso prima della recita della Angelus

"Gesù risponde mettendo insieme due parole fondamentali della legge mosaica: 'Amerai il Signore tuo Dio e amerai il tuo prossimo'". La domanda è essenziale anche per noi, per la nostra vita e per il nostro cammino di fede: dove posso trovare il centro della mia vita", ha continuato Francesco.

Riconoscere la presenza del Signore negli altri

"Gesù ci dà la risposta unendo due comandamenti che sono quelli principali: amerai il Signore tuo Dio e amerai il tuo prossimo. Questo è il cuore (...) Gesù ci dice che la fonte di tutto è l'amore, che non dobbiamo mai separare Dio dall'uomo. Tutto deve essere fatto con amore. Il Signore ci chiederà prima di tutto dell'amore".

 "Facciamo il nostro esame di coscienza quotidiano e chiediamoci: l'amore per Dio e per il prossimo è al centro della mia vita? Riconosco la presenza del Signore nel volto degli altri? La Vergine Maria, che ha portato la legge di Dio impressa nel suo cuore immacolato, ci aiuti ad amare Dio e i nostri fratelli", ha concluso il Papa prima di recitare l'Angelus con i romani e i pellegrini in Piazza San Pietro.

L'autoreFrancisco Otamendi

Cosa sta facendo Internet alla nostra mente?

Dobbiamo adottare uno stile di vita in cui coltivare tutte le nostre capacità e crescere come esseri umani. Questa è una delle più grandi sfide sociali che dobbiamo affrontare nell'era di Internet.

3 novembre 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

Nicholas Carr, nel suo libro del 2010 "Superficiale, cosa sta facendo internet alla nostra mente?", analizza come l'avvento di internet abbia influenzato il nostro modo di pensare. Una delle conclusioni a cui giunge l'autore è che, come indica il suggestivo titolo del libro, internet ci ha resi più superficiali.

Nella sua riflessione Nicholas Carr lamenta di aver perso la capacità di concentrarsi. La sua mente era come un piccone che concentrava tutta la sua energia sulla punta per farsi strada attraverso la terra. Ora è diventata una palla d'acciaio che, quando colpisce la terra, disperde tutta l'energia in una miriade di punti ed è incapace di aprire una trincea. Può solo ammaccare il terreno.

Internet e capacità di attenzione

Il fatto è che, per quanto ci venga detto e anche valutato positivamente, le persone non sono multitasking. Non possiamo occuparci di più fronti contemporaneamente. Possiamo concentrare le nostre capacità solo su uno. Il resto delle azioni che compiamo in quel momento lo facciamo automaticamente. In realtà, quando diciamo di svolgere più operazioni contemporaneamente - ciò che definiamo multitasking - non facciamo altro che dirigere la nostra attenzione da un compito all'altro in modo alternato, sprecando molta energia in ogni cambiamento. Con l'aggravante che, come molti autori hanno descritto, questo modo di usare la nostra mente la rende più fragile e dispersiva.

Ecco perché la comparsa di Internet ha influenzato la nostra capacità di attenzione. Analizzando la propria esperienza, Nicholas Carr ha commentato che la vita su Internet ha cambiato il modo in cui il suo cervello cercava informazioni, anche quando era "offline", cioè quando non era su Internet e cercava, ad esempio, di leggere semplicemente un libro. Ha scoperto che la sua capacità di concentrazione e di riflessione si riduceva perché ora desiderava un flusso costante di stimoli.

In effetti, abbiamo tutti sperimentato come la lettura di testi sul web ci porti costantemente a prestare attenzione alle notizie collegate. Saltiamo da una notizia all'altra, senza finirle. Ci disperdiamo. Ecco perché spesso iniziamo a leggere un articolo, ma finiamo per navigare in rete per molto tempo prima di finire di leggere quello che era il nostro primo intento.

Nicolas Carr lo riassume in una frase significativa: "In passato ero un sommozzatore in un mare di parole. Ora scivolo sulla superficie come un uomo su una moto d'acqua". Sono sicuro che molti di noi si rispecchiano in questa affermazione.

L'avvento dello smartphone

Questa situazione si è solo moltiplicata dall'anno di pubblicazione di questo libro. Il 2010 è l'anno dell'arrivo massiccio dello smartphone nelle nostre tasche. Da quel momento, con i cellulari di ultima generazione, abbiamo avuto Internet sempre a portata di mano. Dalla tasca al comodino. Da allora, abbiamo potuto navigare in quel sesto continente, come l'ho chiamato io. Benedetto XVILa nuova tecnologia è molto più semplice rispetto al passato, quando era necessario un computer per potersi collegare alla rete.

L'arrivo dello smartphone nelle nostre vite è stato un cambiamento rivoluzionario. Sta davvero cambiando le nostre menti e sta avendo conseguenze che riusciamo appena a intravedere. Forse la più drammatica è l'impatto che sta avendo sulla salute mentale dei nostri giovani.

Jonathan Haidt, autore del libro "La generazione ansiosa"., analizza l'impatto che questo dispositivo ha avuto sui giovani. Studiando le statistiche, conferma l'aumento esponenziale dei suicidi e dei problemi di salute mentale tra i giovani negli ultimi anni. Indica proprio il 2010, anno in cui il cellulare con internet è stato incorporato in modo massiccio, come il momento in cui questa statistica è salita alle stelle.

Il telefono cellulare abilitato a Internet ha avuto un grande impatto su tutti noi. Ha plasmato le nostre menti e le nostre vite. A partire dal fatto più semplice. L'immensa quantità di tempo spesa, che ha tolto tempo all'interazione sociale. Ma ha anche tolto il tempo per dormire a tutti noi, soprattutto ai più giovani. L'accessibilità dello smartphone, presente sul comodino quando andiamo a letto, le serie della piattaforma, che consumiamo compulsivamente, in brevi capitoli, uno dopo l'altro, disturbano seriamente il sonno. Questa diminuzione del sonno è uno dei fattori che ha contribuito maggiormente allo tsunami di malattie mentali negli adolescenti. 

Non dobbiamo dimenticare che i social network, e Internet in generale, sono progettati per creare dipendenza. Hanno un processo comportamentale perfettamente studiato per agganciarci e tenerci agganciati il più a lungo possibile. Squadre di psicologi, esperti di marketing, soldi a bizzeffe sono dall'altra parte dello schermo alla ricerca di modi per generare questa dipendenza e per farci avere la necessità di essere costantemente connessi. E per un semplice motivo. In Internet nulla è gratuito. Noi stessi, il nostro tempo, le nostre informazioni sono il pagamento che sostiene il business. 

Oltre alle numerose possibilità che questa rete di reti ci offre, è sempre più evidente la necessità di imparare a gestirne l'uso, se non vogliamo naufragare navigando nelle sue tempestose acque virtuali. È necessario adottare alcune regole di convivenza tra tutti noi. Dobbiamo coltivare un'ascesi nel suo utilizzo che ci renda veramente liberi e padroni della situazione, e non il contrario. Dobbiamo, insomma, adottare uno stile di vita in cui coltivare tutte le nostre capacità e che ci faccia crescere come esseri umani.

Questa è una delle più grandi sfide sociali che dobbiamo affrontare nel nostro tempo. Credo che valga la pena di prestare attenzione. E non sarà facile perché c'è un grande business costruito intorno a Internet, ai social network, alle piattaforme e ai cellulari, che muoverà le sue leve per bloccare qualsiasi iniziativa che ritenga contraria al suo business. Questo è stato il caso della recente cancellazione da parte di META (Facebook) dei conti della prestigiosa educatrice Catherine l'Ecuyer, solo per aver osato proporre un approccio educativo in cui l'uso della tecnologia è razionalizzato.

Parafrasando il detto che la tecnologia è fatta per l'uomo e non l'uomo per la tecnologia. È ora di svegliarsi dal torpore e di rendersi conto della posta in gioco.

L'autoreJavier Segura

Delegato all'insegnamento nella diocesi di Getafe dall'anno accademico 2010-2011, ha precedentemente svolto questo servizio nell'arcivescovado di Pamplona e Tudela per sette anni (2003-2009). Attualmente combina questo lavoro con la sua dedizione alla pastorale giovanile, dirigendo l'Associazione Pubblica dei Fedeli "Milicia de Santa María" e l'associazione educativa "VEN Y VERÁS". EDUCACIÓN", di cui è presidente.

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Libri

Celibato: amicizia o matrimonio con Cristo?

Spiegare cosa sia il celibato, soprattutto quello dei laici non consacrati, non è un compito semplice. In "Una seduzione misteriosa" Javier Aguirremalloa propone una spiegazione di questo concetto, intendendolo come una relazione coniugale.

Javier García Herrería-2 novembre 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Ci sono libri brevi che gettano molta luce su questioni rilevanti ancora da illuminare. "Una seduzione misteriosa"L'argomento che approfondisce è la natura del celibato, in particolare quello dei celibi che vivono la loro vita come cristiani comuni, cioè senza entrare nello stato religioso o nel sacerdozio.

Quest'opera ha un approccio molto personale, di quelli che impegnano un autore, anche se difficilmente fornisce le proprie testimonianze. Aguirreamalloa combina una buona dose di teologia biblica, patristica, magistero della Chiesa, antropologia filosofica e cultura contemporanea (brillanti le citazioni di Bono, Paul McCartney, William Faulkner e Aleksandr Solzhenitsyn). La lettura è molto scorrevole e lascia intravedere il passato dell'autore come sceneggiatore e critico cinematografico. 

Spiegare la propria identità

Nell'introduzione dichiara lo scopo del saggio, spiegare a se stesso la propria identità, trovare un "logos", una risposta della ragione, per la vita di chi, come lui (un laico celibe dell'Opus Dei) sceglie la via del celibato.

La spiegazione del celibato L'autore sottolinea la natura sponsale della sua proposta, che può sorprendere molti laici, perché la sponsalità con Gesù è un concetto spesso applicato allo stato religioso. Tuttavia, la logica argomentativa del testo è convincente ed è certamente un erede del suo libro precedente, "La più grande storia d'amore mai raccontata", un'esposizione sistematica del cristianesimo.

La natura sponsale del celibato

Una delle spiegazioni abituali del celibato è l'analogia con l'amicizia, poiché Cristo chiama i suoi discepoli amici. Tuttavia, Aguirremalloa sottolinea che l'amicizia non richiede l'esclusività o la frequenza giornaliera, ma il matrimonio sì. Nell'amicizia non si cerca di innamorarsi, nel matrimonio sì, quindi ha senso ampliare la comprensione del celibato in questo senso.

In contrasto con i paradigmi alternativi del celibato laico (celibato come identificazione con Gesù celibe o come amicizia con Gesù), "Una seduzione misteriosa" sostiene che il celibato laico è sponsale. Per l'autore, infatti, la nuzialità è una caratteristica fondamentale di ogni cristiano, in quanto membro della Chiesa, la sposa di Cristo.

Se l'aspetto più essenziale del cristiano (il suo "cosa") è la filiazione divina, l'essere figlio di Dio, il "come" di questa relazione è un "come" sacramentale, eucaristico. E quindi sponsale. Qui Aguirreamalloa si inserisce in un'ampia tradizione della Chiesa (messa all'angolo per secoli e recentemente rivitalizzata) che ha visto nell'Eucaristia (attualizzazione del mistero pasquale) il "sacrum connubium" (le nozze sacre) che produce l'"admirabile commercium" (lo scambio mirabile) delle nature umana e divina. 

Solitudine e guarigione

È a questo punto che appare la maggiore originalità del libro. Se il nucleo del matrimonio è la presenza del coniuge per curare la solitudine dell'essere umano ("Non è bene che l'uomo sia solo. Io gli darò un aiuto adeguato", Gen 2, 18), il suo parallelo nella vita del celibe è un'altra presenza, non quella di un altro, ma quella dell'Altro; quella di Gesù nell'Eucaristia.

Presenza reale per curare la solitudine, cura che non sarà più necessaria in cielo, presenza pura dell'Altro senza alcuna mediazione, perché nella vita eterna non c'è matrimonio maschio-femmina, non c'è sacramento dell'Eucaristia. Questo è il cuore della questione, che necessariamente tralascia mille sfumature e altri preziosi tesori presenti nel libro. 

Discernimento vocazionale

Una seconda parte del libro (intitolata "Celibato o matrimonio") è dedicata al discernimento vocazionale. Anche in questo caso l'approccio è fresco e originale. Molti hanno detto che la libera scelta di vita di chi ha la giusta intenzione e le attitudini minime per il cammino in questione è una manifestazione della vera vocazione divina.

Ma, secondo l'autore, questo non solo è compatibile con il "Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi..." ma, di fatto, è la via più coerente con la natura divina del rapporto tra le libertà di Dio e dell'uomo. È una prospettiva attraente, costruita su due suggestive (e poco battute) visioni della libertà, una proveniente dalla filosofia e l'altra dalla teologia.

Humus

La vera riflessione non è sulla società, su ciò che le manca o che le manca, ma su come siamo noi, su ciò che c'è dentro ognuno di noi, su quale sia la nostra vera natura.

2 novembre 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Giovedì scorso, 24 ottobre, è stato presentato a Madrid il libro "The book of the future". Lupi travestiti da pecore. Pensare agli abusi della Chiesa (Encounter, 2024), del pensatore francese Fabrice Hadjadj, in occasione di un evento organizzato dalla rivista Omnes e la casa editrice che porta alla luce il saggio.

Lì, HadjadjIn un brutale esercizio di onestà, si è spinto a dire a uno dei partecipanti qualcosa del tipo: "Non ho mai abusato di una donna, eppure so che nel profondo del mio cuore ci sono tutte le condizioni necessarie per farlo. Questo e molto altro".

Mentre questo accadeva, un certo portavoce di un gruppo parlamentare che sosteneva la lotta femminista si è dimesso dal suo incarico, proprio a causa delle accuse di abusi sessuali su diverse donne. Riassunta un po' a modo nostro, ma senza perdere un punto dell'originale, la sua dichiarazione direbbe qualcosa del tipo "ho abusato di una donna, eppure so che nel profondo del mio cuore non ci sono le condizioni per farlo", il che porta inevitabilmente alla battuta "la colpa è fuori di me, non dentro di me".

La politica, il patriarcato, gli anni della dittatura, l'aroma di machismo in cui siamo stati cresciuti. Fuori le palle, non dentro.

Certo, ci sarà chi oggi lincia chi ieri ammirava, così come chi elogia il gesto delle dimissioni, come se cercasse disperatamente di salvaguardare la reputazione dell'uomo che idolatrava e che ora si ritrova caduto dall'altare che altri - e non solo lui - gli avevano costruito. Ma restare lì significherebbe perdere un'occasione preziosa per una riflessione vera, che deve partire dall'onestà con se stessi e che non mira tanto a dire com'è - o come dovrebbe essere - la società, cosa le manca o cosa ha di troppo, ma piuttosto come siamo, cosa c'è dentro ognuno di noi, qual è la nostra vera natura.

E solo da lì, conoscendo l'humus, il fango che tutti portiamo dentro di noi, sarà possibile iniziare a costruire qualcosa che non si sgretoli al primo tentativo.

L'autoreJuan Cerezo

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Mondo

L'imposta ecclesiastica tedesca

A differenza di altri Paesi, dove la Chiesa è sostenuta da altri sistemi, in Germania la Chiesa è finanziata da un'imposta ecclesiastica obbligatoria per tutti coloro che ne fanno parte. Rinunciare a questa tassa ecclesiastica significa formalizzare la propria apostasia.

José M. García Pelegrín-1° novembre 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

Il sistema di finanziamento delle chiese in Germania ha caratteristiche proprie, la cosiddetta tassa sulle chiese ("Kirchensteuer"), che garantisce il mantenimento sia della Chiesa cattolica che di quella evangelica, come stabilito dalla Costituzione tedesca. L'imposta viene riscossa dallo Stato, in particolare dagli uffici fiscali. L'aliquota è generalmente pari a 9 % dell'imposta sul reddito (IRPF) nella maggior parte dei Länder, ma in Baviera e nel Baden-Württemberg è ridotta a 8 %.

Secondo il sito web del Conferenza episcopale tedesca (DBK), la tassa sulla chiesa è definita come "un contributo che i membri della chiesa danno per finanziare la loro comunità religiosa. Non si tratta di un sussidio statale, ma di un meccanismo con cui la chiesa ottiene risorse direttamente dai suoi membri.

Origine storica

Questo sistema è dovuto a ragioni storiche, in particolare alla "secolarizzazione" dei beni ecclesiastici in Germania, un fenomeno noto in Spagna come "desamortización".

Durante le guerre napoleoniche, i territori tedeschi a ovest del Reno furono incorporati alla Francia e, come compensazione per la perdita dei beni, la Dieta del Sacro Romano Impero, nella sessione del 1803 - l'ultima che si tenne prima della sua dissoluzione - approvò la risoluzione (ratificata dall'imperatore Francesco II il 27 aprile dello stesso anno) chiamata "Reichsdeputationshauptschluss", con la quale venivano espropriati i beni della Chiesa. In cambio, gli Stati tedeschi si assunsero l'obbligo di garantire la missione delle Chiese attraverso dotazioni statali.

Dal XIX secolo

Tuttavia, fattori economici e politici portarono all'introduzione della tassa ecclesiastica nel XIX secolo. La crescita della popolazione e le conseguenze dell'industrializzazione aumentarono le esigenze della chiesa e la crescente separazione tra Stato e Chiesa, iniziata con la Rivoluzione francese, consolidò questo sistema. Dal 1827, a partire da Lippe-Detmold, fu istituita la tassa ecclesiastica, trasferendo la responsabilità del finanziamento delle chiese statali ai loro membri.

Nel corso del XIX secolo, gli altri territori adottarono questo sistema, la Prussia fu l'ultima a farlo nel 1905. L'imposta divenne parte della sovranità statale e fu incorporata nella Costituzione della Repubblica di Weimar nel 1919 e, dopo la Seconda guerra mondiale, nella Legge fondamentale della Repubblica federale di Germania. L'articolo 140 di questa legge incorpora le disposizioni della Costituzione di Weimar, compreso il diritto delle confessioni religiose di imporre tasse. Pertanto, l'art. 137 della Costituzione del 1919 rimane in vigore: "Le confessioni religiose che sono corporazioni di diritto pubblico hanno il diritto di riscuotere le imposte sulla base delle liste fiscali civili in conformità con le disposizioni della legge statale".

Anche per gli stranieri

Questo sistema, ancorato nella Costituzione, stabilisce che chiunque sia membro di una comunità religiosa riconosciuta dallo Stato, come la Chiesa cattolica, deve pagare l'imposta sulla chiesa se paga le tasse statali. Tuttavia, la DBK afferma: "Chi non paga l'imposta sul reddito non è nemmeno un contribuente ecclesiastico", il che esenta i disoccupati o i pensionati senza altre fonti di reddito. Anche i residenti e i contribuenti stranieri in Germania sono obbligati a pagare l'imposta sul reddito, anche se non esiste un obbligo simile nel loro Paese d'origine.

Sebbene ci siano state iniziative per abolire questo sistema, sia la Chiesa che lo Stato lo considerano vantaggioso. Nel 2023, la Chiesa cattolica ha incassato circa 6,51 miliardi di euro, 5 % in meno rispetto all'anno precedente, mentre la Chiesa evangelica ha incassato 5,9 miliardi, 5,3 % in meno. Inoltre, lo Stato beneficia della riscossione di questa imposta attraverso i suoi uffici fiscali per un importo compreso tra 2 e 4 miliardi di euro. Inoltre, se lo Stato dovesse farsi carico delle attività assistenziali e sanitarie che la Chiesa finanzia con queste entrate, il costo sarebbe notevolmente superiore.

Critica

Uno degli aspetti più criticati della situazione attuale è il fatto che l'appartenenza alla Chiesa rende obbligatorio il pagamento dell'imposta ecclesiastica. Ciò significa che una persona che, per qualsiasi motivo, non voglia più pagare l'imposta ecclesiastica - ad esempio per motivi puramente finanziari, dato che, a differenza di altri Paesi, non è tenuta a utilizzare l'% o l'% aggiuntivo della sua imposta sul reddito per altri scopi - deve ritirarsi dalla Chiesa ("Kirchenaustritt") davanti a un'autorità statale. A seconda del Land, ciò avviene presso il tribunale locale o presso l'ufficio del registro.

Dopo anni di dibattiti, nel 2012 il Tribunale amministrativo federale ha stabilito che non è possibile dissociarsi dalla Chiesa come società giuridica e allo stesso tempo rimanere membri della comunità religiosa. In altre parole, la dissociazione implica formalmente l'apostasia.

D'altra parte, la tassa sulla chiesa è un pilastro fondamentale per mantenere l'unità della Chiesa in Germania con Roma. Durante il cosiddetto "Tedesco "Cammino sinodaleIn caso di scisma, sono state sollevate delle preoccupazioni. Nell'ipotetico caso in cui tale scisma si concretizzasse e la Chiesa cattolica in Germania rompesse la sua comunione con Roma, perderebbe anche il suo status di "società di diritto pubblico" (per questo è la "Chiesa cattolica romana"), uno status che le consente di ricevere l'imposta sulla chiesa riconosciuta dallo Stato. La nuova entità risultante dallo scisma sarebbe privata della sua base economica, a meno che non riesca a ottenere il riconoscimento statale, che sarebbe un processo complicato.

Libri

Riportare il significato nel dibattito sugli animali

Ediciones Cristiandad ha pubblicato un saggio del filosofo britannico Roger Scruton (1944-2020), "Gli animali hanno diritti? Tra diritti e torti". Il libro è breve ma con una chiarezza che si apprezza soprattutto in un momento in cui sembra difficile distinguere tra un chihuahua e un figlio.

Paloma López Campos-1° novembre 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Gli animali hanno dei diritti? Questa è la domanda che si pone Roger Scruton in un test ora pubblicato in spagnolo da Ediciones Cristiandad. In quest'opera il filosofo britannico dimentica volutamente i tecnicismi, per lasciare spazio a una spiegazione accessibile e incredibilmente luminosa di questo dibattito, attualmente così acceso.

Gli animali hanno diritti? Tra diritti e torti

AutoreRoger Scruton
Editoriale: Cristianesimo
Numero di pagine: 230
Lingua: Inglese

L'importanza dei concetti

Fin dalle prime pagine, la discussione verte sullo scivoloso concetto di diritti. Federico de Montalvo scrive una prefazione che evidenzia già uno dei principali ostacoli alla questione: "Il paradosso del discorso sui diritti umani è che la proliferazione incontrollata di nuovi diritti e di nuovi titolari di diritti avrebbe molte più probabilità di contribuire a una svalutazione seriale della moneta dei diritti umani che di arricchire in modo significativo la copertura complessiva fornita dai diritti esistenti".

L'importanza di prendersi cura dei concetti è sottolineata anche da Roger Scruton nella prefazione, denunciando la perdita di valori di cui soffriamo in Occidente: "Le vecchie idee di anima, libero arbitrio e giudizio eterno, che rendevano la distinzione tra animali e persone così importante e così chiara, hanno perso la loro autorità e non sono state sostituite da idee migliori".

Questa mancanza di chiarezza è ciò che l'autore vuole risolvere. Per questo motivo, non ha paura di affrontare temi come il sacrificio animale, la corrida, gli zoo o la caccia, sviscerando concetti che abbiamo confuso in un discorso in cui il sentimentalismo è più importante della ragione o di una morale ben definita.

Animali domestici e altri animali

Il lettore non deve essere ingannato nel pensare che Scruton non apprezzi gli animali e che sia votato alla superiorità dell'uomo. Sebbene egli sottolinei che l'uomo ha effettivamente un ruolo dominante nella gerarchia della natura, questo ruolo richiede anche responsabilità.

E all'interno della stessa categoria animale ci sono anche dei livelli. Un leone non è la stessa cosa del cane nano del vostro vicino, che vi piaccia o no. Un cane è un animale domestico, definito da Roger Scruton come "un membro onorario della comunità morale, sebbene esente dal peso del dovere che tale condizione normalmente richiede".

Affezionarsi al proprio gatto è normale e sano, sapere che ha bisogno di voi per svilupparsi significa prendere coscienza della vostra responsabilità nei suoi confronti. Questa idea è importante per riconoscere che non basta non fare del male agli animali e lasciarli vivere in pace. L'autore chiarisce che "se la moralità non fosse altro che un meccanismo per minimizzare la sofferenza, sarebbe sufficiente tenere i nostri animali domestici in uno stato di sonnolenza coccolata, svegliandoli di tanto in tanto con un piatto delle loro leccornie preferite. Tuttavia, abbiamo una concezione più completa della vita animale, che si collega, anche se in modo distante, alla nostra concezione della felicità umana".

Chiarezza nel dibattito sugli animali

Capitolo per capitolo, Scruton affronta le questioni chiave del dibattito sugli animali. La discussione si apre a livello filosofico, toccando la metafisica e la morale. Per coloro che cercano una comprensione più approfondita, l'autore fornisce anche appendici sull'allevamento, la caccia e la pesca, oltre a un glossario di termini filosofici.

La cosa migliore del libro è che non dimentica che, in effetti, pensate che il vostro cane sia carino e lasciarlo per strada abbandonato al suo destino non sembra essere un'opzione. Ma le formiche vi disgustano e calpestarne una per strada non vi dà alcun fastidio. Questo non fa di voi degli ipocriti, ma ha un significato profondo che, se ben orientato, ci aiuta a vivere la responsabilità che abbiamo nei confronti delle altre creature.

Senza sentimentalismi, senza estremismi e con una coscienza ecologica, Roger Scruton è riuscito a far luce su un dibattito complesso di cui chiarisce i termini in un libro breve e altamente raccomandabile.

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Halloween e la vera religione

Halloween è, nel giorno di Ognissanti, come la reazione infantile di coprirsi le orecchie e canticchiare ad alta voce una canzone per non dover ascoltare ciò che non ci interessa.

31 ottobre 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

"Se non credo nella mia religione cattolica, che è la vera religione, quanto meno crederò nella vostra? La frase paradossale con cui si dice che un anziano signore abbia risposto alla coppia di mormoni che aveva bussato alla sua porta ci aiuta a capire il successo altrettanto paradossale di Halloween nei Paesi di tradizione cattolica.

La citazione originale sembra provenire dal presidente colombiano Tomás Cipriano de Mosquera, anticlericale del XIX secolo, contro i protestanti, ma la cultura popolare ha preso l'idea per indicare qualsiasi circostanza in cui una persona deve confrontarsi con le sue credenze tradizionali con nuove proposte, anche se per lei la fede non è più (o non è mai stata) particolarmente significativa nella sua vita quotidiana.

È bene che noi, nella Chiesa, analizziamo cosa abbiamo sbagliato perché tanti abbiano abbandonato la fede trasmessa loro dai genitori, dai nonni, dalle parrocchie o dalle scuole; è bene che rivediamo il modo in cui presentiamo il Vangelo con le parole e con i fatti per evitare di perdere i fedeli; ma il noto aneddoto rivela che c'è anche un gran numero di loro che rifiuta consapevolmente Dio, perché non è interessato a Lui. Pur avendo (almeno) intuito la verità rivelata da Gesù Cristo, preferiscono mantenere un basso profilo, vivere come se Dio non esistesse, senza bagnarsi e, naturalmente, senza che questa fede li porti ad agire di conseguenza. È il doppio standard del fariseo, ma al contrario.

In questo terreno fertile, Halloween ha attecchito rapidamente perché, dopo tutto, la festa delle zucche è tutta una presa in giro della morte, della trascendenza e dell'aldilà. È una festa per divertirsi con spaventi che rimangono tali. È più comodo per noi che dover riflettere sull'inevitabilità della morte, quella realtà che ci terrorizza e ci riempie di incertezza. Perché dover riflettere su ciò che ci ha detto Gesù Cristo e su ciò che dice la Chiesa al riguardo significherebbe dover cambiare la nostra vita, smettere di guardare a noi stessi e iniziare a guardare agli altri come ci insegna la Chiesa. parabola del povero Lazzaro e del ricco Epulone. Halloween è, a Ognissanticome la reazione infantile di coprirsi le orecchie e iniziare a canticchiare una canzone ad alta voce per non dover ascoltare ciò che non ci interessa. Così, dopo i primi giorni di novembre, nessuno si ricorderà della morte fino all'anno prossimo e..: "a qualcos'altro, farfalla".

Hollywood e Halloween

Un'altra prova che smaschera i due pesi e le due misure di una società che dice di non credere, ma che in fondo sa che il messaggio del Vangelo è molto serio, è fornita dai film horror hollywoodiani che stanno diventando sempre più popolari in questi giorni. Nei film "horror" c'è sempre una vecchia chiesa, una suora o un prete, se possibile un esorcista. È curioso, perché il numero di cattolici negli Stati Uniti è ancora una minoranza, ma funziona in termini di pubblico, perché il grande pubblico sospetta che la forza spirituale della Chiesa, anche se alcuni dei suoi membri non sono un esempio di nulla, abbia molto di vero.

Per far uscire allo scoperto tutti gli atei o gli agnostici, c'è anche il dato relativo al numero di persone che chiedono un funerale religioso per sé o per i propri parenti. Nove spagnoli su dieci scelgono un addio "dalla Chiesa", nonostante solo cinque su dieci si dichiarino cattolici. E il fatto è che, quando si tratta di morire, è meglio non scherzare, per evitare che...

L'iconico attore francese Alain Delon, morto quest'estate, deve aver pensato qualcosa di simile quando si è fatto seppellire dopo un funerale cattolico nella cappella privata che aveva fatto costruire nella sua tenuta, anche se non era noto per la sua pratica religiosa. Egli affermava di avere una passione per la Vergine Maria e di parlare spesso con lei - Maria deve avergli dato una mano a raggiungere suo Figlio!

Infine, quando si parla di farisei al contrario - esteriormente non credenti ma interiormente credenti - mi piace sempre ricordare l'aneddoto che un mio vecchio amico giornalista mi raccontò di quando stava coprendo la guerra del Sahara con un altro reporter che si vantava del suo ateismo. Un giorno furono sorpresi dal fuoco incrociato e dovettero rifugiarsi nel sottoscocca di un veicolo per cinque interminabili minuti durante i quali si videro morire. "Non ho mai sentito pregare un Padre Nostro con più fede e devozione", ha ricordato il mio amico, "di quello che ho sentito recitare quel giorno dal mio collega, quello che si vantava di essere ateo.  

L'autoreAntonio Moreno

Giornalista. Laurea in Scienze della Comunicazione e laurea in Scienze Religiose. Lavora nella Delegazione diocesana dei media di Malaga. I suoi numerosi "thread" su Twitter sulla fede e sulla vita quotidiana sono molto popolari.

Vangelo

Amare Dio. 31ª domenica del Tempo Ordinario (B)

Joseph Evans commenta le letture della 31ª domenica del Tempo Ordinario e Luis Herrera tiene una breve omelia video.

Giuseppe Evans-31 ottobre 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Nel mondo antico, trattare con gli dei era un affare delicato. Bisognava placarli, tenerli buoni; era un gioco di equilibri che metteva l'uno contro l'altro. Uno dei due poteva diventare geloso: Giove poteva non gradire che Venere ricevesse troppe attenzioni.

L'antico Israele capì che esisteva un solo vero Dio, un Dio che si preoccupava di rivelare e mostrare il suo amore a loro. L'Antico Testamento è pieno di belle dichiarazioni d'amore di Dio, ma, con alcune eccezioni come l'autore del salmo di oggi (Sal 17), che dice a Dio: "Ti amo, Signore, tu sei la mia forza".Israele non ha mai compreso appieno il messaggio che doveva essere ricambiato a Dio. L'ebreo pio poteva mostrare un'enorme fedeltà e fede in Dio, ma non un tenero amore per Dio. Dio cercava di corteggiare Israele, ma Israele non ha mai "capito" il livello di romanticismo che ci si aspettava.

Possiamo essere un po' così. Dio offre e chiede amore, come fa nella prima lettura di oggi - cerca una relazione d'amore - e noi restituiamo solo il rispetto. Ci ha fatti per amore, per amore e per amare. Il nostro "DNA" è l'amore. È la nostra identità fondamentale. E Dio ci chiede con urgenza di ricambiare il suo amore: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, con tutto il tuo essere"..

"Amerai il Signore tuo Dio". Non solo comanda, ma in un certo senso chiede amore. Gesù ripete e conferma questo messaggio dell'Antico Testamento nel Vangelo di oggi, ma in modo ancora più potente se consideriamo che egli stesso è Dio fatto uomo.

E questo è ciò che è fondamentalmente diverso nel cristianesimo, perché non è una religione inventata dall'uomo. L'uomo non avrebbe potuto nemmeno immaginarla. Perché la realtà va ben oltre la nostra comprensione. La realtà è che Dio è amore: la sua stessa vita è amore. Per questo la dottrina della Trinità non è un dogma astratto: ci parla della vita intima di Dio, che è comunione, relazione, amore.

Nessuno avrebbe mai potuto immaginare una religione in cui Dio stesso diventasse vulnerabile, perché diventare vulnerabili è una parte essenziale dell'amore e una parte essenziale del cristianesimo. Se non si diventa vulnerabili, non si ama. Se non si rivela all'altro il proprio cuore, i propri sentimenti, persino la propria debolezza, correndo il rischio del rifiuto o del tradimento, non si ama. E il cristianesimo consiste nel fatto che Dio si rende vulnerabile per guadagnarsi il nostro amore. Amare Dio perché Dio ci ha creati e poi si è fatto uomo, affinché noi potessimo amarlo a nostra volta.

Omelia sulle letture della 31ª domenica del Tempo Ordinario (B)

Il sacerdote Luis Herrera Campo offre il suo nanomiliaUna breve riflessione di un minuto per queste letture domenicali.

Cultura

Oscar Wilde. Leggere il "De Profundis" 125 anni dopo

La lettura della lunga lettera che Oscar Wilde scrisse dal carcere nel 1897 al giovane Bosie - che era stato suo amante nei cinque anni precedenti - non lascia indifferenti, perché mostra con ammirevole profondità come il dolore possa condurre al sacro.

Maris Stella Fernández e Jaime Nubiola-31 ottobre 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

Oscar Wilde nacque il 16 ottobre 1854 e dedicò la sua vita alla letteratura, alla poesia e, in particolare, al teatro. Le sue opere -L'importanza di chiamarsi Ernesto, Il ventaglio di Lady Windermere, Il ritratto di Dorian Gray e molti altri, ebbero un enorme successo nella società inglese del loro tempo e vengono letti o rappresentati ancora oggi.

Molto meno nota, invece, è la lunga lettera a Lord Alfred Douglas, soprannominato "Bosie", il giovane con cui ebbe una storia d'amore distruttiva e per il quale sarà accusato di sodomia e condannato a due anni di reclusione (1895-1897). I sentimenti di Wilde si riflettono in questa lettera, datata dal carcere di Reading nel gennaio-marzo 1897. Il titolo De Profundis è dovuta all'amico Robert Ross che l'ha pubblicata in parte nel 1905. 

Dopo aver lasciato il carcere Wilde si trasferì sul continente e morì di meningite a Parigi il 30 novembre 1900, all'età di 46 anni, dopo essere stato battezzato. sub conditione nella Chiesa cattolica dal passionista Cuthbert Dunne, anch'egli di Dublino come Wilde.

Il valore del dolore

Copio quello che scrive un giovane laureato, colpito dal testo di Wilde: "Non c'è vita che possa essere estranea al dolore. Tuttavia, una vita guidata da uno sguardo verso il soprannaturale è in grado di trasformare quel dolore in un oggetto prezioso. In altre parole, quando il dolore riesce a trasformarsi in amore, la sofferenza viene vista sotto una luce nuova e migliore. Quell'amore ha la capacità di colorare ogni cosa - senza nasconderne la realtà - e ci costringe a concentrarci sulla bellezza, a volte nascosta, che il mondo ci offre. Come la luce che brilla da sotto una porta chiusa, agisce come una campana trionfale che annuncia l'arrivo di tempi migliori.

Quando ho letto questo testo per la prima volta, mi aspettavo di trovare un atteggiamento di lamentela e lamento per le ingiustizie subite. Tuttavia, sono rimasta molto sorpresa nello scoprire che ciò che usciva dalla penna di Wilde era la speranza e il desiderio di aggrapparsi al bene. Oggi l'idea che qualcuno venga condannato al carcere a causa delle sue inclinazioni sessuali è allarmante, ma in passato non era così. Mi ha colpito il fatto che, anche nel mezzo del suo dolore, Wilde sia stato in grado di vedere e continuare a vedere con uno sguardo amorevole coloro che lo avevano ferito così tanto.

Assenza di rancore

"Per quanto riguarda il suo rapporto con Bosie, -Continua. Wilde riconosce che è stato molto dannoso per entrambi. Come spesso accade nelle relazioni cosiddette "tossiche" di oggi, le persone si sentono fuori controllo a causa del rapporto, che porta alla distruzione reciproca. Nonostante sia stato gravemente danneggiato da Bosie, Wilde non esita a scaricare la colpa sulle proprie spalle: "Né tu né tuo padre, moltiplicati per mille, potreste rovinare un uomo come me; che mi sono rovinato da solo e che nessuno, grande o piccolo, può essere rovinato se non per mano sua".

Sono assolutamente disposto a dirlo. Sto cercando di dirlo, anche se al momento non mi credete. Se lancio questa accusa implacabile contro di voi, pensate a quale accusa spietata lancio contro me stesso. Per quanto terribile sia stato quello che mi hai fatto, è stato molto più terribile quello che ho fatto a me stesso" (p. 105).

Trovo questo passaggio particolarmente illuminante perché illustra la totale assenza di rancore di Wilde. Una lettura superficiale dell'opera potrebbe collocarla nella categoria della letteratura del dolore o del dispetto. Tuttavia, il dolore che traspare dalle belle parole di Wilde non equivale all'odio. Egli è stato ferito da ciò che è accaduto perché solo quando è arrivato in prigione si è reso conto della sua triste realtà. Si rese conto del dolore che stava causando alla sua famiglia e di come si fosse lasciato trasportare dalle vanità e dai piaceri momentanei.

Questo è il dolore che si sente parola per parola. Ma non va confuso con il dolore di un uomo ferito dal tradimento e che attende amaramente il momento in cui restituirà il danno. Tra i rimpianti per le sue malefatte, è evidente anche il desiderio di Wilde di essere un uomo migliore, di amare sua moglie e di recuperare il tempo perduto nella cura dei suoi due figli piccoli".

La riflessione cristologica di Wilde

"Nella sua lettera Wilde afferma anche di essere stato confortato dalla figura di Cristo. Nella sua riflessione cristologica sostiene che il Figlio di Dio intende il dolore e il peccato come un percorso verso la perfezione umana. Per questo motivo Cristo non disprezza mai i peccatori, perché vede oltre i peccati che contaminano le loro anime e si concentra con uno sguardo amorevole e compassionevole sul miglioramento che possono sperimentare a causa di quel peccato (pp. 125-148). 

Il dolore nel corso della vita è un'esperienza inevitabile e trasformativa. Se viene vissuto in chiave di speranza, può diventare un punto di incontro con la cosa più sacra di cui possiamo essere partecipi: l'amore"..

Questo è ciò che mi scrive Maris Stella Fernández, che dimostra che vale la pena leggerlo De Profundis 125 anni dopo che Wilde scrisse quella lettera, ci invita a riflettere sul dolore e sull'amore. "Era" -citazione di Pearce (p. 379) - "il messaggio della sua anima alle anime degli uomini"..

L'autoreMaris Stella Fernández e Jaime Nubiola

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Vaticano

La cresima deve essere "inizio, crescita" non "addio", esorta il Papa

Si dice che dopo la Cresima i giovani "escano" dalla Chiesa e non si vedano più fino al matrimonio. Il sacramento della Cresima dovrebbe essere un "inizio e una crescita" nella vita cristiana, e non un "addio" alla Chiesa fino al matrimonio", ha esortato il Papa nell'udienza di mercoledì. Ha anche ricordato la festa di Tutti i Santi.

Francisco Otamendi-30 ottobre 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Dopo la catechesi sul Spirito Santo sul matrimonio e la famiglia mercoledì scorso, "oggi continuiamo la nostra riflessione sulla presenza e l'azione dello Spirito Santo nella vita della Chiesa attraverso i Sacramenti", Papa Francesco ha iniziato la sua catechesi sulla Pubblico generale mercoledì 30 ottobre, in una mattinata di sole in Piazza San Pietro.

"L'azione santificante dello Spirito Santo ci giunge innanzitutto attraverso due canali: la Parola di Dio e i Sacramenti. E tra tutti i Sacramenti, ce n'è uno che è, per eccellenza, il Sacramento dello Spirito Santo, ed è quello su cui vorrei soffermarmi oggi. Si tratta, come avete capito, del Sacramento del Crisma o della Cresima", ha detto.

Dei sette sacramenti, "la cresima è il sacramento dello Spirito Santo per eccellenza". Nel Nuovo Testamento vediamo alcuni elementi del sacramento della confermazione. Per esempio, quando si parla di "imposizione delle mani", che comunica lo Spirito Santo in modo visibile e carismatico. Troviamo anche l'"unzione" e il "suggellamento" che manifestano il carattere indelebile di questo sacramento".

Battesimo, nascita; cresima, crescita

Possiamo dire che se il Battesimo è il sacramento della nascita alla vita in Cristo, la Cresima è il sacramento della crescita", ha detto il Romano Pontefice. Questo significa l'inizio di una fase di maturità cristiana, che comporta la testimonianza della propria fede". 

Per portare avanti questa missione, è importante non smettere di coltivare i doni dello Spirito che abbiamo ricevuto".

Che cosa sia il sacramento della Confermazione nella comprensione della Chiesa, mi sembra", ha aggiunto il Papa, "è descritto, in modo semplice e chiaro, dal Catechismo per gli adulti della Conferenza Episcopale Italiana. Vi si legge: "La Cresima è per ogni fedele ciò che la Pentecoste è stata per tutta la Chiesa. [Rafforza l'incorporazione battesimale a Cristo e alla Chiesa e la consacrazione alla missione profetica, regale e sacerdotale. Comunica l'abbondanza dei doni dello Spirito [...]".

"Se dunque il Battesimo è il sacramento della nascita, la Cresima è il sacramento della crescita. Proprio per questo è anche il sacramento della testimonianza, perché è strettamente legato alla maturità della vita cristiana".

Che la Cresima sia "iniziazione", non "estrema unzione".

Il problema è come fare in modo che il sacramento della Confermazione non si riduca, nella pratica, all'"estrema unzione", cioè al sacramento dell'"uscita" dalla Chiesa, ma piuttosto che sia il sacramento dell'iniziazione di partecipazione attiva alla loro vita, ha proseguito il Pontefice.

"È un obiettivo che può sembrare impossibile, vista la situazione attuale di quasi tutta la Chiesa, ma questo non significa che dobbiamo smettere di perseguirlo. Non sarà così per tutti i cresimandi, siano essi bambini o adulti, ma è importante che lo sia almeno per alcuni che poi diventeranno gli animatori della comunità", ha detto.

"Aiuto dai fedeli laici".

A questo scopo, "può essere utile essere assistiti, in preparazione alla Sacramentoda fedeli laici che hanno avuto un incontro personale con Cristo e hanno fatto una vera esperienza dello Spirito", ha detto.

Nel suo saluto ai pellegrini di diverse lingue, il Santo Padre ha incoraggiato: "Chiediamo allo Spirito Santo di riaccendere il fuoco dell'amore nei nostri cuori e di spingerci a dare una gioiosa testimonianza della sua presenza nella nostra vita. Che Gesù vi benedica e la Vergine Santa vegli su di voi".

Tutti i Santi: coloro che ci hanno preceduto vogliono aiutarci

Concludendo le sue parole in italiano, prima del "Pater Noster" latino della Benedizione finale, ha fatto riferimento al fatto che "siamo già vicini alla solennità della festa della Madonna degli Angeli. Tutti i SantiVi invito a vivere questa festa dell'anno liturgico in cui la Chiesa vuole ricordarci un aspetto essenziale della sua realtà: la gloria celeste dei fratelli e delle sorelle che ci hanno preceduto nel cammino di questa vita presente e che ora, nella visione del Padre, vogliono essere in comunione con noi per aiutarci a raggiungere la meta che ci attende".

"Cosa c'entrano i bambini con la guerra?".

E infine, come di consueto, il Papa ci ha chiesto di "pregare per la pace, che è un dono dello Spirito Santo". La pace nella martoriata Ucraina, in Palestina, in Israele, in Myanmar e in tanti Paesi che stanno vivendo un periodo di guerra". "Ieri ho visto 150 innocenti mitragliati: cosa c'entrano i bambini con la guerra? Sono le prime vittime. Preghiamo per la pace. E a tutti la mia benedizione".

L'autoreFrancisco Otamendi

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Cinema

"Il grande avvertimento" e "I padroni dell'aria", i consigli di questo mese

Le serie e i film consigliati per questo mese sono "The Big Warning" e "Masters of the Air", due produzioni diverse ma molto interessanti.

Patricio Sánchez-Jáuregui-30 ottobre 2024-Tempo di lettura: < 1 minuto

Vi consigliamo le nuove uscite, i classici o i contenuti che non avete ancora visto sulle vostre piattaforme preferite.

Il grande avvertimento

Il grande avvertimento

DirettoreJuan Carlos Salas
Categoria: Documentario
Dove guardare: Cinema

Tratto dal romanzo "The Warning", bestseller per tre anni consecutivi, "The Big Warning" è un documentario che ci porta nel mondo dell'inspiegabile attraverso interviste dirette, intriganti e dinamiche. Queste interviste raccontano le esperienze di persone rilevanti e interessanti.

Attraverso queste storie, scopriamo profezie passi biblici che si vivono o si sono realizzati oggi, unendo persone di diversi continenti. Una visione accattivante che susciterà l'interesse di tutti gli spettatori, mettendo in discussione la nostra perfezione della realtà e aumentando la nostra attesa per il futuro.

Padroni dell'aria

Padroni dell'aria

DirettoreJohn Shiban e John Orloff
AttoriAustin Butler, Callum Turner e Anthony Boyle
SceneggiatoreDavid Hemingson
Categoria: Serie
Dove guardare: Apple tv

"Masters of the Air" racconta la storia del 100° Bomb Group, un'unità di bombardieri pesanti durante la Seconda Guerra Mondiale, e segue gli equipaggi dei bombardieri in pericolose missioni per distruggere obiettivi nell'Europa occupata dai tedeschi.

Lo spettacolo ritrae l'intensità della guerra, i pericoli affrontati dagli aviatori e le amicizie e le relazioni che si sviluppano.

Creato da e per Apple TV+. Basata sull'omonimo libro del 2007 di Donald L. Miller, la serie è stata promossa come compagna di "Band of Brothers" (2001) e "The Pacific" (2010). È composta da nove episodi.

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Cultura

Albania, la ricchezza culturale di un piccolo paese

La posizione geografica dell'Albania e il suo status di terra di confine tra Oriente e Occidente ne fanno un Paese ricco di tradizioni culturali.

Gerardo Ferrara-30 ottobre 2024-Tempo di lettura: 7 minuti

Da un punto di vista puramente etnico, l'Albania è un Paese abbastanza omogeneo. Infatti, l'etnia albanese costituisce la maggioranza assoluta della popolazione, circa il 98 % della popolazione totale di circa 2,8 milioni di persone. Il loro tratto distintivo è innanzitutto la lingua albanese, una lingua indoeuropea ma appartenente a un ramo isolato dagli altri (a differenza delle lingue neolatine o germaniche, per esempio). Le origini della lingua albanese sono controverse, anche se si pensa che derivi dall'illirico o dal tracio antico.

Una caratteristica tipica dell'albanese è quella di essere diviso in due varianti principali che hanno la stessa dignità (almeno un tempo), in modo simile al norvegese (le cui due varianti, Bokmål e Nynorsk, sono co-ufficiali in Norvegia).

Nel caso dell'albanese, abbiamo il Tosk (nel sud) e il Gégois (nel nord dell'Albania, nel Kosovo, nella Macedonia settentrionale e in parte del Montenegro). Esistono notevoli differenze tra Tosk e Gégois, soprattutto nella fonetica, ma anche nella morfologia e nella sintassi.

Adozione forzata della lingua

Come accennato nell'articolo precedente, il regime comunista di Enver Hoxha (durato dal 1944 al 1985), con il suo delirio di onnipotenza e onnipresenza in tutti gli aspetti della vita albanese, applicò una "standardizzazione" linguistica forzata, al fine di uniformare culturalmente il Paese, e impose la variante tosk per lo sviluppo di una lingua albanese "standard" ("shqipja standarde"). Fu scelta anche perché Hoxha era originario di Gjirokastra, nel sud, una zona in cui si parla questa variante, e il Partito Comunista aveva le sue basi storiche e culturali nel sud.

Ovviamente, l'adozione forzata di una lingua basata sulla variante di una parte della popolazione ha penalizzato l'altra parte e ha alimentato divisioni e tensioni all'interno della nazione, anche a livello religioso (ad esempio, i cristiani ortodossi sono concentrati nel sud, i cattolici nel nord, ecc.)

Il tosco è anche la variante parlata dagli albanesi d'Italia (chiamati "arbëreshë" in arbërisht, la lingua degli italo-albanesi), una comunità stabilitasi nel sud della penisola tra il XV e il XVIII secolo dopo l'invasione ottomana dei Balcani. Tuttavia, questa lingua presenta caratteristiche arcaiche che non si ritrovano più nell'albanese moderno, oltre a essere fortemente influenzata dai dialetti italiani e dell'Italia meridionale. L'"arbërisht" è riconosciuto e tutelato in Italia come lingua minoritaria. Gli albanesi rappresentano anche il 92,9 % della popolazione del Kosovo (uno Stato con riconoscimento limitato, rivendicato dalla Serbia come parte del suo territorio), quasi il 9 % della popolazione della Repubblica del Montenegro e il 25 % della Macedonia del Nord.

Minoranze etniche in Albania

La più grande minoranza etnica presente in Albania è quella dei greci, che rappresentano circa il 2 % della popolazione. Sono concentrati soprattutto nel sud del Paese, in particolare nelle regioni di Gjirokastra e Saranda, vicino al confine con la Grecia. Si tratta di una comunità con origini molto antiche, che risalgono all'epoca delle colonie greche sulla costa ionica. Ad oggi, i greci albanesi godono di un certo grado di autonomia culturale e linguistica, nonostante siano stati al centro di diverse tensioni con la Grecia, soprattutto durante gli anni del regime di Hoxha, che ha soppresso ogni forma di autonomia culturale, linguistica e religiosa.

Altre minoranze includono i macedoni (di lingua slava, imparentati con il bulgaro), circa lo 0,2 % della popolazione, nel sud-est del Paese (vicino al confine con la Macedonia del Nord); gli armeni (che parlano una lingua neolatina molto simile al rumeno e si dice discendano dalle popolazioni romanze, cioè latinizzate, della zona) nelle montagne meridionali (tra qualche migliaio e 30.000 individui); i rom (tra 10.000 e 100.000) che, come in altri Paesi europei, vivono in condizioni economiche e sociali spesso precarie.

La religione degli albanesi è l'"albanesità".

Un detto albanese recita: "La religione degli albanesi è l'albanesità" ("Feja e shqiptarit është shqiptaria"). Questo perché il sentimento di appartenenza a un gruppo etnico più che religioso è molto forte nel Paese, e anche la cultura della tolleranza e della convivenza pacifica tra le diverse comunità è molto sviluppata, sebbene in epoca ottomana ci sia stata una progressiva islamizzazione seguita dalla soppressione del diritto alla pratica religiosa sotto il regime comunista, in particolare dal 1967 in poi, che ha imposto l'ateismo di Stato fino al 1991. Dopo questa data, la pratica religiosa è ripresa, ma la società è rimasta essenzialmente laica.

L'Islam

L'Islam è la religione più diffusa in Albania, con circa il 58,8 % della popolazione che si dichiara musulmana (secondo il censimento del 2011, l'ultimo censimento ufficiale disponibile). La maggioranza dei musulmani è sunnita (circa il 56,7 % degli albanesi), soprattutto nel centro e nel sud del Paese.

Esiste anche una minoranza sciita Bektashi. I Bektashi fanno parte di una corrente (o confraternita) sufi sciita e rappresentano tra il 2 % e il 5 % della popolazione, il che li rende una piccola minoranza; Tuttavia, la loro comunità (la cui dottrina si è sviluppata nel XIII secolo in Anatolia e si è poi diffusa nei Balcani) ha radici storiche e culturali così importanti in Albania che diversi leader politici albanesi sono o sono stati Bektashi (tra cui lo stesso Enver Hoxha, che tuttavia istituì un sistema di almeno 31 lager, secondo un rapporto di Amnesty International del 1991, che prendeva di mira gli oppositori e i membri degli ordini religiosi, cioè sacerdoti cattolici e ortodossi, imam, ecc.)).

La comunità Bektashi è un esempio particolare di coesistenza pacifica e tolleranza religiosa, entrambe promosse dalla sua dottrina, e ha svolto un ruolo importante nel mantenere l'equilibrio interreligioso del Paese. 

Durante il dominio ottomano, i Bektashi erano legati ai giannizzeri, le truppe d'élite della Sublime Porta, ma con l'arrivo di Atatürk, il Bektashismo fu bandito in Turchia (1925) e i suoi membri furono costretti a lasciare il Paese, trovando rifugio in Albania, con l'appoggio del monarca locale dell'epoca, Zog I.

È a Tirana, infatti, che si è trasferito il centro spirituale mondiale bektashi (Tekke) e, nel Paese balcanico, la confraternita sufi ha continuato a promuovere valori di apertura e dialogo interreligioso, trovando terreno fertile perché l'Albania non ha mai sviluppato un'identità nazionale basata sull'appartenenza a una fede piuttosto che a un'altra e il dialogo interreligioso era già una realtà collaudata.

Nel settembre del 2024, il primo ministro Edi Rama (cattolico di battesimo, ma agnostico dichiarato) ha proposto la creazione di un microstato bektashi a Tirana (una sorta di Vaticano strutture religiose e residenziali in miniatura di 27 acri) al fine di fornire alla comunità uno spazio autonomo per praticare la propria fede e preservare le proprie tradizioni. Nelle intenzioni dell'attuale governo, questo sarebbe anche un modo per garantire maggiore voce e visibilità a una visione più tollerante dell'Islam. Tuttavia, la proposta ha suscitato critiche, sia perché l'Albania non è propriamente un Paese islamico, sia perché i Bektashi non rappresentano nemmeno la maggioranza dei musulmani, sia perché, infine, il secolarismo è un elemento fondante della società e della cultura della piccola nazione balcanica.

Cristianesimo

I cristiani albanesi rappresentano circa 16,9 % della popolazione, divisi tra cattolici (10 %) e ortodossi (6,8 %).

I cattolici sono concentrati soprattutto nelle regioni settentrionali. La tradizione cattolica in Albania ha radici profonde che risalgono all'epoca in cui il Paese faceva parte dell'Impero Romano. La Chiesa cattolica albanese si distingue, secondo le parole dell'arcivescovo di Tirana, mons. Arjan DodajÈ stata una Chiesa martire nel corso della sua storia, perseguitata in epoca romana, in epoca ottomana e, soprattutto, sotto il regime comunista. È molto presente nella vita del Paese, in costante sintonia con le altre confessioni religiose, con le quali mantiene un dialogo e una cooperazione basata su iniziative comuni in vari campi.

Gli ortodossi, invece, sono concentrati soprattutto nelle regioni meridionali intorno al confine con la Grecia. Anche la Chiesa ortodossa ha una lunga tradizione (risalente all'epoca bizantina) ed è legata al Patriarcato di Costantinopoli, ma ha ottenuto l'autocefalia (autonomia ecclesiastica) nel 1937.

Tradizioni culturali

Mentre meno del 90 % degli albanesi dichiara di avere un'affiliazione religiosa, più del 10 % non si riconosce in alcuna religione (è uno dei Paesi europei con la più alta percentuale di atei e agnostici). Molti si descrivono quindi come principalmente albanesi e poi come aderenti a un culto particolare.

Tra le altre cose, una curiosità di questo piccolo Paese è la presenza di un antico codice di leggi consuetudinarie, il Kanun (dall'arabo "qanun", legge), tramandato oralmente per secoli ma ordinato per iscritto nel XV secolo da Lekë Dukagjini, un leader del XV secolo contemporaneo di Scanderbeg. Il Kanun regola vari aspetti della vita sociale e familiare, affrontando questioni come i diritti di proprietà, l'onore e la vendetta.

Una delle sue nozioni chiave è la "besa", basata sulla parola d'onore e sull'ospitalità sacra, concetti fondamentali nelle comunità albanesi, soprattutto quelle rurali. Il Kanun regola anche la vendetta di sangue ("gjakmarrja"), dando regole precise su come e quando esercitarla (se un membro del clan viene ucciso, la famiglia ha il diritto e il dovere di vendicarsi, cosa che spesso porta a lunghi conflitti tra clan rivali, ma il Kanun pone limiti precisi all'esercizio della "gjakmarrja"), e tutela l'onore delle donne, che però hanno un ruolo subordinato nella società tradizionale.

Negli anni più recenti, l'influenza del kanun è diminuita, ma rimane una parte fondamentale dell'identità culturale albanese, soprattutto nelle regioni montuose del nord, e comune a tutte le confessioni religiose.

"Communitas" in Albania

Anche questo potrebbe essere un esempio di "communitas", un concetto che, secondo l'antropologo Victor Turner, rappresenta una sorta di "antistruttura", una condizione in cui gli individui trascendono le divisioni religiose per formare legami comunitari attraverso altri elementi. Nel caso dell'Albania, quindi, esistono anche culti, feste e santuari condivisi dalle diverse confessioni. Ne è un esempio San Giorgio (si pensi anche all'importanza del nome Scanderbeg, anch'esso Giorgio, o al fatto che i musulmani spesso identificano San Giorgio con Al-Khadr, il profeta verde, che compare nella Sura XVIII per aiutare Mosè, o i Bektashi lo conoscono come Hidrellez, legato alla primavera e alla fertilità). In effetti, secondo lo storico Frederick William Hasluck, esistono "santuari ambigui" che spesso simboleggiano un sincretismo culturale e religioso che trascende le singole dottrine.

In conclusione, in un territorio minuscolo come l'Albania convivono tradizioni culturali e religiose incredibilmente ricche. Per questo, da italiano, mi vergogno di non esserci ancora stato!

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Vangelo

Purificati da ogni male. Tutti i defunti (B)

Joseph Evans commenta le letture per Tutte le Anime (B) e Luis Herrera tiene una breve omelia video.

Giuseppe Evans-30 ottobre 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

La Chiesa cattolica ha sviluppato la sua comprensione della realtà del purgatorio con l'aiuto dei testi scritturali che parlano della purificazione delle anime dopo la morte (cfr. 2 Macc 12, 39-45) e di un fuoco purificatore (1 Cor 3, 12-15). 

Il libro dell'Apocalisse (Ap 21,27) ci dice anche che nulla di impuro entrerà in cielo e, poiché nessuno muore totalmente pulito, totalmente senza peccato, ciò suggerisce una qualche forma di purificazione spirituale dopo la morte, affinché i giusti possano poi entrare in cielo. Questa idea è stata rafforzata dagli insegnamenti dei Padri della Chiesa e dagli scritti - e dalle visioni - dei santi.

Papa Benedetto XVI, in Spe Salvi 2007 (cfr. nn. 45-48), in uno spirito rinfrescante ed ecumenico, esplora la possibilità che questo fuoco salvifico sia lo sguardo ardente e purificatore di Cristo (cfr. Ap 1,14).

La nostra stessa esperienza di vita conferma ulteriormente questo senso di purificazione dopo la morte. Tutti noi che cerchiamo sinceramente Dio sappiamo che se morissimo oggi, nonostante tutti i nostri sinceri desideri, avremmo comunque bisogno di una purificazione dopo la morte per essere pronti a vederlo. "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio".. Sappiamo che i nostri cuori non sono ancora abbastanza puri per questo: hanno bisogno di una completa purificazione e la nostra vista ha bisogno di una "rimozione della cataratta". Il castigo spirituale consiste nel togliergli le squame dagli occhi, come a Tobit in passato furono tolte le squame dagli occhi (cfr. Tobit 3,17; 11,10-15). C'è anche una giusta punizione da subire. Dio ha perdonato i nostri peccati ma, per una questione di giustizia e perché possiamo essere pienamente consapevoli del male che abbiamo fatto (e quindi con intento terapeutico), abbiamo bisogno di una punizione temporanea per compensare le nostre malefatte. 

Il purgatorio è anche come la sofferenza di guardare il sole: Dio abita nella gloria e la nostra povera vista deve cominciare ad abituarsi a quella luce prima di potersi alzare pienamente per condividerla. Infine, il purgatorio ci libera dalla nostra schiavitù, come la sofferenza che un tossicodipendente deve provare per lasciarsi andare alla dipendenza e godere così della libertà di una vita senza di essa.

I testi possibili per le letture della Messa di oggi sono molteplici, ma tutti puntano in modo diverso sulla realtà della morte e sulla vittoria di Cristo su di essa. La giornata di oggi - e il mese successivo - è anche una grande occasione per pregare per i nostri cari defunti e per tutte le anime del Purgatorio, vivendo così concretamente la dottrina della Comunione dei Santi ed esercitando una squisita carità verso chi non può fare a meno di noi, così come saremo profondamente grati a chi pregherà per noi quando arriverà il nostro momento in Purgatorio.

Cinema

"Benedetto XVI, in onore della verità", Premio Emmy a New York

Il documentario "Benedetto XVI, in onore della verità" sulle dimissioni del Papa tedesco ha vinto un Emmy Award.

Teresa Aguado Peña-29 ottobre 2024-Tempo di lettura: < 1 minuto

Questo fine settimana si è svolta a New York la cerimonia di premiazione degli Emmy. Il documentario di Rapporti di Roma Benedetto XVI, in onore della verità", promosso da Siamo Community Care è stato il vincitore.

Il lungometraggio include testimonianze di persone che hanno assistito al suo pontificato e spiega le ragioni delle sue dimissioni, una pietra miliare nella storia della Chiesa cattolica. È stato trasmesso da più di 15 canali in diversi Paesi e in precedenza aveva vinto il premio per il miglior documentario al Festival Mirabile Dictu in Vaticano.

Ramón Tallaj, presidente dello sponsor del documentario, ha ritirato il premio con queste parole: "Prima di tutto, grazie all'Accademia per questo onore. E lo dedichiamo a tutti i dipendenti di SOMOS Community Care. Ma soprattutto speriamo che possa tornare la pace in questo mondo e che possa nascere di nuovo la comprensione tra gli esseri umani, indipendentemente dalla loro religione. Amen.

L'autoreTeresa Aguado Peña

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Vaticano

Tutela Minorum" esorta a un "percorso di guarigione" dagli abusi

La Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori ("Tutela Minorum"), incaricata da Papa Francesco, ha presentato il primo rapporto annuale del Vaticano sulle politiche e le procedure di tutela della Chiesa, un "viaggio di conversione" per rimediare e curare gli abusi, ha dichiarato il cardinale Sean O'Malley. Le sue raccomandazioni mirano a migliorare l'accoglienza e il seguito delle denunce e a creare una "cultura della protezione".

Francisco Otamendi-29 ottobre 2024-Tempo di lettura: 5 minuti

"Voglio assicurare a tutte le vittime e ai sopravvissuti (agli abusi) che faremo tutto il possibile per continuare ad accogliervi, per assistervi nell'affrontare tutte le sofferenze che avete sopportato. Rispettiamo la vostra coraggiosa testimonianza e riconosciamo che potreste essere stanchi di parole vuote", ha dichiarato il relatore speciale delle Nazioni Unite. Il cardinale O'MalleyPresidente di "Tutela minorum", durante la presentazione del premio Rapporto.

"La vostra sofferenza ci ha aperto al fatto che come Chiesa non siamo riusciti a prenderci cura delle vittime, siamo stati riluttanti a capirvi, e tutto ciò che faremo non sarà sufficiente a riparare tutti i danni che avete subito", ha aggiunto.

Ci auguriamo che questo rapporto e i successivi, insieme all'aiuto delle vittime, contribuiscano a far sì che questi terribili eventi non accadano più". Questo Rapporto, che giunge in occasione del decimo anniversario della Commissione, rappresenta un'istantanea di quello che è il viaggio di conversione che abbiamo intrapreso.

"È un cammino verso un ministero della protezione trasparente e responsabile", ha detto il cardinale, "verso una maggiore vicinanza, accoglienza e sostegno alle vittime e ai sopravvissuti nella loro ricerca di giustizia e guarigione".

Un periodo di "tradimento" e "non professionalità".

Il presidente di "Tutela Minurum" ha distinto due tappe nell'itinerario "del nostro cammino come Chiesa", dopo "le esperienze dolorose che abbiamo vissuto". "La prima l'ho vissuta ininterrottamente per quasi 40 anni come vescovo, attraverso la vicinanza personale alle vittime, alle loro famiglie, ai loro cari e alle comunità. Ho ascoltato potenti testimonianze di tradimento cosa si prova a essere maltrattati da una persona in cui si è riposta fiducia e le implicazioni di tale abuso per tutta la vita. 

"Sono enormemente grato alle vittime per la loro apertura", ha proseguito, "che mi ha permesso di camminare con loro. Le loro storie rivelano un periodo di sfiducia in cui i leader della Chiesa hanno tragicamente deluso coloro che siamo chiamati a seguire. È stato anche un periodo in cui la professionalità non regnava".

Ora, "un percorso di guarigione e una cultura della protezione".

"Stiamo iniziando una seconda fase, che vediamo prendere forma in molte parti del mondo, in cui la responsabilità, l'attenzione e la cura per le vittime iniziano a far luce sull'oscurità. È un periodo in cui esistono forti sistemi di denuncia, che ci permettono di ascoltare e rispondere alle vittime, con un approccio informato sui traumi.

È un periodo in cui i protocolli di gestione del rischio e il monitoraggio informato promuovono ambienti sicuri. La Chiesa ora fornisce servizi professionali per accompagnare le vittime in questo percorso di guarigione e promuovere una cultura della protezione". "Questo è un periodo in cui la Chiesa abbraccia pienamente il suo ministero di protezione".

Il deficit di dati del Messico

Tuttavia, ci sono ancora punti oscuri. Ad esempio, durante l'udienza, i membri della Pontificia Commissione hanno confermato un punto del rapporto: solo il 20% delle diocesi messicane ha risposto al questionario inviato. Il segretario della Commissione ha confermato questo dato, ma ha aggiunto che alcune conferenze episcopali, inizialmente in ritardo, hanno poi fornito maggiori informazioni. Il cardinale O'Malley ha espresso la sua "delusione per la mancanza di risposte messicane".

"Non c'è alcun legame tra celibato e abusi".

In risposta a un'altra domanda, il cardinale O'Malley ha detto di non aver visto alcuno studio serio che colleghi il celibato sacerdotale agli abusi sui minori, "non c'è alcun legame". "Il celibato non causa la pedofilia", ha aggiunto. "I bambini devono essere rispettati e protetti", ha aggiunto un altro membro della commissione.

Testimonianza di una vittima

Al briefing con i media vaticani era presente una vittima che sta lavorando alla commissione, Juan Carlos. Nelle sue parole, ha detto che gli è servito molto lavorare su questa commissione e che spera di aiutare altre vittime a seguire questo percorso. Ha anche elogiato l'atto per le vittime organizzato dall'arcivescovo di Madrid, il cardinale José Cobo, qualche giorno fa, in particolare quando ha sottolineato che "non abbiamo intenzione di voltare pagina".

Commissionamento e alcune linee guida del rapporto

"Ascoltare e imparare dalle vittime/sopravvissuti: dal 2014 al 2024 e oltre", è il titolo della parte conclusiva del Rapporto recentemente presentato, dopo aver ricordato all'inizio che si tratta di una commissione della Papa FrancescoIl Papa ha affermato che "senza progressi (nella protezione dei minori e degli adulti vulnerabili), i fedeli continuerebbero a perdere fiducia nei loro pastori, rendendo sempre più difficile l'annuncio e la testimonianza del Vangelo" (Papa Francesco, 29 aprile 2022).

Infatti, "le lezioni apprese da questi impegni diretti con le vittime/sopravvissuti sono alla base dell'analisi presentata in questo rapporto annuale. La Commissione è pienamente impegnata a continuare ad ampliare la partecipazione delle vittime/sopravvissuti al processo di questo rapporto ciclico", si legge.

Il modello di "giustizia e conversione" del Rapporto si articola in cinque pilastri principali: conversione dal male, verità, giustizia, riparazione e garanzie di non ripetizione.

Miglioramento dei processi, iniziativa "Memorare

Il Cardinale Presidente ha riassunto il contenuto di questo primo rapporto "Tutela Minorum" in due o tre aspetti. In primo luogo, "il miglioramento dei processi canonici di accoglienza e follow-up delle denunce, a favore delle vittime/sopravvissuti e delle loro famiglie, che rispettino, contemporaneamente: il diritto di accesso alle informazioni, il diritto alla privacy e il diritto alla protezione dei dati personali".

In secondo luogo, "la professionalizzazione di coloro che sono coinvolti nella protezione dei minori e degli adulti vulnerabili nella Chiesa, fornendo loro opportunità accademiche formali e risorse adeguate". 

A questo punto, ha menzionato l'iniziativa "Memorare", la prima parola del Memorare alla Beata Vergine, che, su richiesta del Santo Padre, sviluppa i compiti di protezione nel Sud Globale, in conformità con il programma del Ministero della Salute. Moru Proprio Vos estis lux mundi.

Giurisdizione nella Curia romana, semplificazione

Tra gli altri punti salienti delle osservazioni della Commissione vi sono i seguenti.

- La necessità di una chiara determinazione della giurisdizione dei vari dicasteri della Curia romana, cercando di assicurare una gestione efficace, tempestiva e rigorosa dei casi di abuso sessuale riferiti alla Santa Sede".

- La necessità di un processo semplificato, ove giustificato, per le dimissioni o la rimozione di un leader della Chiesa". 

- La necessità di sviluppare ulteriormente il magistero della Chiesa sulla protezione dei minori e degli adulti vulnerabili, in una prospettiva teologico-pastorale integrale, che promuova la conversione della Chiesa rispetto alla dignità del bambino e ai diritti umani, e al loro rapporto con gli abusi".

"Gestione rigorosa delle riparazioni".

- La necessità di essere consapevoli delle politiche di risarcimento e di indennizzo che promuovono una gestione rigorosa delle riparazioni, come parte dell'impegno e della responsabilità della Chiesa di sostenere le vittime/sopravvissuti nel loro percorso di guarigione".

Come ricordato all'inizio, la Pontificia Commissione "si impegna ad ampliare ulteriormente la partecipazione delle vittime/sopravvissuti al processo di questo rapporto ciclico".

Il numero di settembre della rivista Omnes di quest'anno, dedicato agli abusi, il cui editoriale è intitolato "Tempo di guarire", presenta articoli di esperti che anticipano alcuni aspetti del rapporto odierno.

L'autoreFrancisco Otamendi

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Evangelizzazione

EncuentroMadrid: un congresso per placare un mondo polarizzato

Più di 12.000 persone e 500 volontari hanno attraversato il Mirador de Cuatro Vientos in un congresso che è diventato un punto di riferimento.

Javier García Herrería-29 ottobre 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Dal 25 al 27 ottobre si è svolta la ventunesima edizione del EncuentroMadridL'obiettivo della conferenza è stato quello di verificare se, nonostante il contesto attuale, che a volte può essere visto negativamente, si possa affermare che "il tessuto della vita è prezioso". La frase tra virgolette è di Takashi Nagai, un medico giapponese che ha subito la caduta della bomba atomica e ha comunque trovato nella fede cristiana l'impulso per dare una grande speranza al popolo giapponese in un contesto molto drammatico per la nazione. 

Altoparlanti di alto livello

Il filosofo francese Fabrice Hadjadj è stato uno dei relatori principali. Seguendo le proposte di immortalità provenienti dal transumanesimo, nella sua conferenza si è chiesto perché vogliamo preservare la vita a tempo indeterminato quando non accettiamo il rischio di metterla in gioco. "Vogliamo creare persone immortali perché possano poi suicidarsi", ha detto provocatoriamente Hadjadj, spiegando che se cerchiamo solo di preservare la vita, questa è persa.

Andrés Aziani, uno dei protagonisti della mostra "La Plaza del encuentro", "la cosa più bella è il coraggio con cui ognuno deve riprendere il proprio cammino per poter dire sì alla vita", con tutte le sue sfide e implicazioni. 

La proposta di Giussani

Seguendo la proposta di Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, gli organizzatori di EncuentroMadrid propongono una crescita e una maturazione nella fede basata sul dialogo e sull'amicizia con persone di mentalità molto diverse.

Questo congresso è uno spazio di dialogo e di riconoscimento reciproco con persone di diverse tradizioni etiche e culturali. Come ha detto il professor Diego Garrocho, "le parti sono porose... non si tratta di vincere, ma di trovare quel millimetro di verità che si trova nella posizione dell'altro. La differenza va sempre rispettata, ma meglio ancora sarebbe farne un oggetto di conversazione". 

Riflessioni sull'arte

La giornata centrale di EncuentroMadrid 2024 ha visto la presenza di due dei migliori relatori di questa edizione: gli artisti Antonio López, pittore della generazione realista madrilena, e Pedro Chillida Belzunce, anch'egli artista e figlio e collaboratore del padre, Eduardo Chillida.

L'incontro, presentato dall'architetto Enrique Andreo, è stato preceduto da un video documentario da lui realizzato in cui Chillida padre e figlio hanno parlato del loro rapporto con l'opera. 

Il video affronta anche il rapporto dell'artista basco con la fede, in un parallelismo tra creazione artistica e Creazione con la maiuscola. "La parola 'creazione' è troppo grande per l'uomo. Io concepisco la creazione solo a livello di Dio. È stata una fioritura naturale: ho avuto fede per tutta la vita, e gli squilibri tra ragione e fede mi hanno sempre aiutato. La vera importanza della ragione sta nel potere che ha di farci capire i suoi limiti. Se non mi fossi posto questo problema, sicuramente il mio lavoro non avrebbe preso la direzione che ha preso... e nemmeno io", riflette Eduardo Chillida.

Messa di chiusura con Cobo

Il cardinale José Cobo ha chiuso l'EncuentroMadrid con una Messa in cui ha sottolineato ai presenti che "avete nel vostro DNA due parole chiave che sono più necessarie che mai: comunione e liberazione". Da lì ha esortato a continuare a comunicare questa vita in mare aperto, soprattutto a coloro che sono lontani o più vulnerabili, per continuare a tessere una rete di vera fraternità in cui ognuno possa trovare il senso e l'accoglienza di cui ha bisogno e che si aspetta.

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Vaticano

Le chiavi dell'enciclica "Dilexit Nos".

Il 24 ottobre Papa Francesco ha pubblicato la sua quarta enciclica "Dilexit Nos", un documento che invita i cattolici a concentrare lo sguardo sul Sacro Cuore di Gesù.

Rapporti di Roma-29 ottobre 2024-Tempo di lettura: < 1 minuto
rapporti di roma88

Papa Francesco ha pubblicato la sua quarta enciclica "Dilexit Nos" il 24 ottobre.

L'intero documento si basa sulla devozione al Sacro Cuore di Gesù e invita i cattolici a vivere nell'apertura verso gli altri e a riconoscere la dignità intrinseca di ogni persona.


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Risorse

Il lavoro duro come amore per il lavoro

Il lavoro duro è la virtù che ci insegna ad amare il lavoro che Dio dispone per la nostra vita e ci aiuta a portare i frutti che Dio si aspetta.

Manuel Ordeig-29 ottobre 2024-Tempo di lettura: 12 minuti

È noto che l'operosità è una virtù che porta a lavorare bene, a impiegare bene il proprio tempo, a mettere amore (per Dio e/o per il prossimo) nel proprio lavoro, ecc. Ma tutto questo non è possibile se non si ama anche il proprio lavoro in qualche modo. Il dizionario definisce l'operosità come "inclinazione al lavoro", ma non come una palla che rotola in discesa - da sola - ma come un alpinista è attratto dalla montagna. Entra in gioco il ruolo attrattivo dell'amore. Pertanto, l'operosità implica l'amore per il lavoro, il lavoro che corrisponde a ciascuno di noi: il lavoro in sé, indipendentemente da eventuali riconoscimenti o retribuzioni.

Un uomo industrioso è colui che ama il suo lavoro e cerca di farlo al meglio delle sue possibilità. Ciò dimostra che lo ama e che questo amore gli fa sopportare con gioia le difficoltà e gli sforzi che ogni lavoro comporta. Si stanca di lavorare, ma non si stanca di lavorare. Senza il lavoro, la vita sarebbe noiosa e vuota per lui. Quando si riposa, lavora in modo diverso: su qualcos'altro, con un ritmo diverso, con una gioia diversa; non capisce bene l'idea di riposare "senza fare niente". La gioia di creare - un'idea, una cosa, un risultato - compensa ampiamente il dolore che si nasconde in questa nascita.

Il significato trascendente del lavoro

Numerosi autori di oggi lo hanno scoperto e reso noto a un vasto pubblico: "Il vostro lavoro occuperà gran parte della vostra vita, e l'unico modo per essere veramente soddisfatti è fare un ottimo lavoro. E l'unico modo per fare un ottimo lavoro è amare ciò che si fa" (Steve Jobs). "Quando ami il tuo lavoro, diventi il miglior lavoratore del mondo" (Uri Geller). "Per avere successo, la prima cosa da fare è innamorarsi del proprio lavoro" (Mary Lauretta). "Ogni giorno amo ciò che faccio e credo che amare il proprio lavoro sia un dono e un privilegio" (Sarah Burton). Queste e altre frasi simili sono il risultato di esperienze umane feconde, oggi condivise dalla rete globale.

Se a ciò si aggiunge un senso trascendente, il risultato è che amando il lavoro si ama Dio e il prossimo. La fede e la speranza colorano in modo inequivocabile questo amore e introducono la persona che lavora nella sfera soprannaturale a cui l'essere umano è destinato. San Josemaría Escrivá diceva: "Svolgete i vostri compiti professionali per amore: svolgete tutto per amore, insisto, e vedrete - proprio perché amate... - le meraviglie che il vostro lavoro produce".

Ci sono casi in cui può sembrare difficile - persino scioccante o contraddittoria - quella pretesa di amare il lavoro a cui abbiamo fatto riferimento: o perché si soffre per un lavoro ingrato (per qualsiasi motivo), o perché la propria situazione personale (salute, ecc.) lo fa sembrare impossibile, o perché si giudica che l'amore debba essere riservato a cose più alte. Si potrebbe ipotizzare che tutti gli uomini debbano lavorare, ma che non sia obbligatorio farlo con piacere. 

Ovviamente, l'amore non può essere imposto. Il punto è che la persona laboriosa, quella che impara ad amare il proprio lavoro - a volte con fatica e a poco a poco - ha molta strada da fare per essere felice e per rendere felici coloro che la circondano. "Chi è laborioso sfrutta al meglio il suo tempo, che non è solo oro, è la gloria di Dio! Fa ciò che deve ed è in ciò che fa, non per routine, né per occupare le ore... Per questo è diligente [e] diligente deriva dal verbo 'diligo', che significa amare, apprezzare, scegliere come frutto di un'attenzione accurata e attenta" (San Josemaría Escrivá).

Inoltre, il lavoro è di per sé il principio delle relazioni personali e sociali. E la persona al centro di queste relazioni deve, con esse, adempiere ai ragionevoli doveri di convivenza che ogni uomo ha nei confronti della società. In questo caso, quanto sarebbe difficile per chi lavora controvoglia - in opposizione - essere gentile, paziente, rispondere con dolcezza e persino comprendere e perdonare gli altri! Il lavoro duro permette di trasmettere intorno a sé la visione ottimistica di chi ama il proprio lavoro e sa godere delle gioie che gli procura.

Anche al di fuori della sfera professionale, il cattivo umore sul lavoro può involontariamente diffondersi nella famiglia o nella sfera più intima! Una cosa è tornare a casa stanchi dal lavoro e cercare un riposo naturale, un'altra è scaricare le proprie frustrazioni professionali sugli altri. Se, oltre ad amare il proprio lavoro, si ama Dio e il prossimo, il necessario riposo aiuterà anche chi ci è più vicino nella vita a riposare.

Amare il lavoro

Quando si parla di amore per il lavoro, è necessario specificare che il termine amore contiene un concetto analogo. Si possono amare persone, animali, cose, idee, atteggiamenti, sentimenti... ma non si amano allo stesso modo. La cosa più propria dell'amore è amare le persone: tra queste, Dio. Le altre applicazioni del termine devono essere comprese correttamente. Ma, con questa precisione, si può dire che anche altre cose sono amate.

Come ha spiegato Benedetto XVI, l'amore ha una prima dimensione di "eros": che comprende l'attrazione, il desiderio di possesso. E una seconda dimensione di "agape": in quanto il vero amore implica la donazione, il dono, il dono di sé. Ogni amore ha una proporzione di ciascuno di questi aspetti. L'amore per le persone, se è grande, comporta una buona dose di donazione, fino alla donazione totale nell'amore coniugale. L'amore per le cose e le idee è, in modo dominante, un amore erotico: di possesso e di godimento.

Tuttavia, è legittimo chiamare amore, all'interno dell'analogia, quello che si ha, ad esempio, per un animale domestico, un luogo (di nascita, di vita familiare...), un certo paesaggio, l'arte, lo sport, il calcio... Questo è l'amore che ci riempie di gioia quando riusciamo a soddisfarlo, anche se richiede uno sforzo (raggiungere una vetta...) o anni di preparazione sacrificale (un'Olimpiade...).

Inoltre, tale amore è anche quello che permette di sviluppare al meglio il compito in questione. Ad esempio, un musicista che non amasse la musica non sarebbe mai più di un mediocre pianista o violinista; anche se riuscisse a suonare le note giuste, mancherebbe di "spirito" e di espressività; solo un intenso amore per la musica stessa può portare qualcuno a essere un musicista straordinario. O ancora, in un altro campo, solo un buon cacciatore - un grande amante della caccia - può eccellere in quell'attività. Gli esempi potrebbero essere moltiplicati.

Se si obietta che questi esempi si riferiscono piuttosto a hobby o gusti, ma non propriamente a lavori "professionali", si può controbattere che lavorare è una condizione umana quasi universale, che si applica in modo speciale ai fedeli laici della Chiesa, come riflette il Concilio Vaticano II in "...".Gaudium et spes". In questo contesto, Giovanni Paolo I arrivò a scrivere: "Anche Francesco di Sales sostiene la santità per tutti, ma sembra insegnare solo una spiritualità dei laici, mentre Escriva vuole una spiritualità laica. Cioè, Francesco suggerisce quasi sempre ai laici gli stessi mezzi praticati dai religiosi con opportuni adattamenti. Escrivá è più radicale: parla di materializzare - nel senso buono del termine - la santificazione. Per lui, è il lavoro materiale stesso che deve essere trasformato in preghiera". Tutto il lavoro, anche quello intellettuale, presuppone - prima o poi - dei risultati materiali che lo dimostrino. La suddetta materializzazione presuppone di amare, in un certo senso, sia il lavoro che la materialità che contiene.

L'operosità

Come abbiamo già detto, l'operosità è, appunto, l'amore per il lavoro che ognuno di noi deve svolgere. Certo, è possibile lavorare senza amore per il lavoro: come un obbligo sgradevole che non si ha altra scelta che adempiere. Non sono poche le persone che lavorano in questo modo. In questo caso è molto difficile lavorare con soddisfazione, per non parlare della perfezione.

Naturalmente, l'amore (per Dio, per la propria famiglia, per il proprio Paese, per il denaro...) può essere messo in qualsiasi lavoro. E in tal caso, il lavoro sacrificato e sgradevole sarà svolto con la gioia di compiere il proprio dovere, che non è di poco valore. Ma non è questo amore che è coinvolto nel concetto di operosità, anche se nasconde una certa relazione con esso.

Nell'operosità si ama il proprio lavoro, qualunque esso sia. Si ama l'atto di lavorare, il modo di farlo e il suo frutto. E poi il lavoro è profondamente soddisfacente. E, sebbene sia sempre possibile svolgere un lavoro serio e professionale, solo con l'amore sarà pienamente realizzato: solo allora sarà lodevole. L'amore per Dio o per la famiglia può rendere un lavoro sacrificale e utile, ma è difficile renderlo umanamente piacevole se non si ama il lavoro stesso.

Solo il lavoro duro permette di lavorare con costanza, giorno dopo giorno, senza alcun riconoscimento immediato (finanziario o di altro tipo). E di farlo con totale rettitudine d'intenti; cioè di sentirsi "pagati" per il solo fatto di lavorare, di svolgere il compito, anche se nessuno lo vede. Questo non significa, ovviamente, rinunciare alla giusta retribuzione, ma semplicemente che l'amore per il lavoro mette in secondo piano altri interessi materiali.

Come ogni virtù, l'operosità ammette gradi: è possibile amare il lavoro troppo poco o troppo. Infatti, è possibile peccare contro questa virtù per eccesso, se il lavoro arriva a danneggiare la salute o il tempo dovuto alla famiglia o a Dio. E anche per difetto, quando la pigrizia, il disordine o la routine trasformano il lavoro in un mero "adempimento" materiale con ripetute imperfezioni.

Cioè, l'amore per il lavoro deve essere ordinato, come tutto il resto. Di solito è la virtù della prudenza, umana e soprannaturale, che si occupa di mettere il lavoro al suo posto, all'interno della complessità di interessi che compongono la vita di una persona. Non bisogna aspettare indicazioni esterne per capire quando il lavoro ingombra la propria vita.

In breve, la persona operosa, oltre ad amare Dio e gli altri nel lavoro, ama il lavoro stesso: come mezzo, non come fine, ma lo ama. Negare questa dimensione amorosa all'operosità significa ridurla a un mero insieme di linee guida, per lo più negative: non perdere tempo, evitare il disordine, non rimandare a domani ciò che va fatto oggi....

E nella vita di ogni essere umano, poiché tutte le virtù sono unite in un certo modo, l'operosità facilita virtù apparentemente lontane come la temperanza: la castità, la povertà, l'umiltà... D'altra parte, l'ozio - l'estremo opposto dell'operosità -, come riassume il detto ascetico, è l'origine di molti vizi.

L'amore per il lavoro, insieme all'amore per Dio e per il prossimo, porta le persone alla maturità. Facilita quella maturità umana che si manifesta nei dettagli concreti dello spirito di servizio, dell'aiuto reciproco, dell'altruismo, del mantenimento delle promesse, ecc. In conclusione, rende le persone più umane: "con la loro conoscenza e il loro lavoro rendono più umana la vita sociale, sia nella famiglia che nell'intera società civile" (Concilio Vaticano II, "Gaudium et spes").

D'altra parte, per il lavoro vale lo stesso discorso fatto per altre realtà umane. Nel caso di chi è costretto a cambiare Paese, per lavoro, per motivi familiari, ecc. è importante - per lui - che impari ad amare il nuovo Paese. Se il soggiorno si protrae per anni ed egli non impara ad amare i costumi, il carattere e i modi del luogo, sarà sempre un disadattato. Sarà molto difficile per lui essere felice di vivere in un ambiente che non ama, o addirittura rifiuta. Allo stesso modo, un caso parallelo sarebbe quello di chi è costretto a cambiare lavoro e ad assumere una nuova mansione che, all'inizio, non sembra attraente: più o meno rapidamente, dovrà iniziare ad apprezzarla e ad amarla, altrimenti si stabilizzerà come un perenne disadattato.

Lavoro e santificazione del lavoro

L'insegnamento di San Josemaría Escrivá, da lui così spesso esposto, sulla santificazione del lavoro e della vita ordinaria, è ben noto, in vista della chiamata alla santità a cui tutti i battezzati sono chiamati. Per dirla con le sue parole: "per la grande maggioranza delle persone, essere santi significa santificare il proprio lavoro, santificare se stessi nel proprio lavoro e santificare gli altri attraverso il proprio lavoro, incontrando così Dio nel cammino della propria vita".

Nello stesso libro che abbiamo appena citato, l'intervistatore gli chiede cosa intende San Josemaría per "lavoro santificante", dato che le altre espressioni sono più facili da interpretare. Risponde che tutto il lavoro "deve essere compiuto dal cristiano con la massima perfezione possibile: ... umana... e cristiana... Perché così fatto, questo lavoro umano, per quanto umile e insignificante possa sembrare, contribuisce all'ordinamento cristiano delle realtà temporali e viene assunto e integrato nella prodigiosa opera della Creazione e della Redenzione del mondo".

Inoltre, "la santità personale (santificarsi nel lavoro) e l'apostolato (santificarsi attraverso il lavoro) non sono realtà che si realizzano in occasione del lavoro, come se il lavoro fosse esterno ad esse, ma proprio attraverso il lavoro, che viene così innestato nella dinamica della vita cristiana e quindi chiamato ad essere santificato in sé".

Tenendo presenti queste affermazioni, è chiaro che chi ama il proprio lavoro troverà nella sua esecuzione un duplice motivo di soddisfazione: il lavoro stesso e la convinzione che, con esso, non solo sta percorrendo la strada della santità, ma che il lavoro che ama è come il "motore" per avanzare su questa strada. Sempre con la grazia di Dio, naturalmente.

Di fronte a queste affermazioni, ci si potrebbe chiedere: come è possibile santificare il lavoro se non lo si ama? Perché non si tratta di una santificazione soggettiva - santificarsi nel lavoro - ma di santificare l'esercizio e la componente materiale del lavoro stesso: di santificare quella cooperazione con l'azione creatrice divina, che ha lasciato la creazione "incompleta" perché l'uomo potesse perfezionarla con il suo lavoro.

E viceversa, come può un cristiano non amare questo compito divino-umano di perfezionare il mondo, contribuendo alla sua redenzione in unione con Gesù Cristo, "le cui mani sono state esercitate nel lavoro manuale, e che continua a lavorare per la salvezza di tutti in unione con il Padre". Con questo amore, "gli uomini e le donne (...) con il loro lavoro sviluppano l'opera del Creatore, servono il bene dei loro fratelli e contribuiscono in modo personale al compimento dei piani di Dio nella storia".

Per questo San Josemaría aggiunge: "Vediamo nel lavoro - nella nobile fatica creativa degli uomini e delle donne - non solo uno dei più alti valori umani, un mezzo indispensabile per il progresso... ma anche un segno dell'amore di Dio per le sue creature e dell'amore degli uomini tra loro e per Dio: un mezzo di perfezione, un cammino verso la santità. Questo è, in sostanza, ciò che ama la persona industriosa quando ama il suo lavoro.

Perché il lavoro è un mezzo, non un fine, come abbiamo già detto. Il fine è Gesù Cristo, l'instaurazione del Regno di Dio: la Chiesa, finché siamo in questo mondo. Ma quanto sarà difficile raggiungere il fine per chi non ama i mezzi per raggiungerlo! Gesù stesso, in obbedienza al Padre, ha amato la sua Passione e Morte come via per la Redenzione dell'umanità. Sebbene non si possa dire che Cristo abbia amato il dolore in sé, si può dire che sia morto amando la Croce e i chiodi che lo fissavano ad essa, come strumenti della Volontà del Padre.

"Il sudore e la fatica, che il lavoro necessariamente comporta nella condizione attuale dell'umanità, offrono al cristiano (...) la possibilità di partecipare all'opera che Cristo è venuto a compiere. Quest'opera di salvezza è stata compiuta attraverso la sofferenza e la morte sulla croce. Sopportando la fatica del lavoro in unione con Cristo crocifisso per noi, l'uomo collabora in un certo modo con il Figlio di Dio alla redenzione dell'umanità. Egli si dimostra un vero discepolo di Gesù portando la sua croce quotidiana nell'attività che è stato chiamato a svolgere". (San Giovanni Paolo II, "Laborem ecvercens").

Ancora una volta, solo l'amore per quel lavoro trasformerà il dolore e la fatica non solo in una realtà redentiva, ma in una realtà profondamente soddisfacente: come Cristo muore contento di dare la vita per gli uomini. Il contrario, soffrire con disgusto e negazione, non si addice né a Cristo né al suo discepolo.

Le difficoltà

L'obiettivo è alto e, come tale, comporta molte difficoltà. Molte di esse sono esterne: circostanze avverse, concorrenza leale o sleale, limiti di salute... e mille altri motivi che non dipendono dalla volontà della persona che lavora. Ma non sono le uniche, né le più difficili. All'interno del soggetto umano hanno luogo i conflitti più strettamente legati a questa operosità, di cui abbiamo parlato.

Papa Francesco riassume in poche pagine di singolare lungimiranza i problemi "interiori" che sorgono nel compito ministeriale. Si rivolge ai sacerdoti, ma le sue considerazioni sono valide in ogni campo. Se "non sono contenti di ciò che sono e di ciò che fanno, non si sentono identificati con la loro missione". ("Evangelii Gaudium"). "Non si tratta di una stanchezza felice, ma di una stanchezza tesa, pesante, insoddisfacente e, alla fine, inaccettabile". "È così che si crea la minaccia più grande, che 'è il grigio pragmatismo della vita quotidiana'... si sviluppa la psicologia della tomba... che ci trasforma in pessimisti lamentosi e disincantati con la faccia d'aceto". Sembra molto negativo, forse esagerato, ma è una caricatura di quel lavoratore che non è contento di quello che fa, che si sacrifica ma senza amore: senza amore per Dio e per il prossimo, e senza amore per quel compito concreto che la volontà di Dio - spesso attraverso intermediari umani - ha messo nelle sue mani.

È chiaro che il duro lavoro - l'amore per il lavoro - spesso non è sufficiente per risolvere i problemi. Ci sono ostacoli che possono rimanere insormontabili per il momento. In questi casi, non c'è nulla da guadagnare a lamentarsi e a recriminare; ma se cerchiamo di amare la situazione - il lavoro e le sue circostanze - un po' di più ogni giorno, alla fine riusciremo a ridurre significativamente il disagio che subiamo e che comunichiamo agli altri. Si verifica una ben nota circolarità: l'amore facilita la dedizione e il sacrificio, e questi aumentano sempre di più l'amore. Come ogni virtù, l'operosità si sviluppa e cresce proprio nell'infermità: nella prova e nella debolezza (cfr. 2 Cor 12,9). 

"Siamo chiamati a essere persone-canarini per dare da bere agli altri"; a diffondere a chi ci circonda la speranza e la gioia che nessun lavoro costoso può diminuire, se impariamo ad amarlo con l'aiuto di Dio. Infatti, pur essendo una virtù umana, solo la carità soprannaturale ci permette di raggiungere quell'altezza che, al di là delle ragioni della logica, ci fa superare ogni inconveniente umano. "Quando comprenderai questo ideale di lavoro fraterno per Cristo, ti sentirai più grande, più saldo e più felice che puoi essere in questo mondo" (San Josemaría Escrivá, "Solco").

E poi non solo dice, come San Martino, "non recuso laborem" ("non rifiuto il lavoro"), ma ringrazia Dio di poter lavorare sempre, ogni giorno, fino all'ultimo giorno della sua vita.

Conclusione

Quanto detto sull'operosità e sul lavoro offre un chiaro parallelo con altre dimensioni della vita umana. Ad esempio, la pietà: la persona pia ama tutto ciò che la avvicina a Dio e ai suoi dettagli. La preghiera sarà più o meno fruttuosa, forse anche arida a volte, ma non gli importa: sa essere felice alla presenza di Dio, anche se non "sente" nulla. Se non è pio, ogni azione liturgica sarà per lui pesante e lunga; se ama Dio, la farà per Lui, con un sacrificio che ha valore in sé. Ma solo se è pio - se ama i gesti e le parole - godrà delle preghiere proprie e liturgiche.

La nota parabola dei talenti (cfr. Mt 25, 14-29) ci insegna che colui che aveva ricevuto un solo talento non amava il compito affidatogli dal padrone. Gli altri due, invece, entusiasti dei talenti ricevuti, sapevano come farli fruttare. Amavano il compito affidato loro e ne traevano frutto.

La laboriosità è la virtù che ci insegna ad amare il lavoro che Dio dispone per la nostra vita e ci aiuta a portare i frutti che Dio si aspetta. Dobbiamo imparare a essere laboriosi, come tante altre virtù; ma, una volta imparata, ci dà un'intima soddisfazione in ciò che facciamo, che ci aiuta a essere felici.

L'autoreManuel Ordeig

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Vangelo

La santità viene da Cristo. Tutti i Santi (B)

Joseph Evans commenta le letture di Ognissanti (B) e Luis Herrera tiene una breve omelia video.

Giuseppe Evans-29 ottobre 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

I santi menzionati nella prima lettura di oggi sembrano essere martiri. L'angelo dice a San Giovanni: "Questi sono quelli che escono dalla grande tribolazione: hanno lavato e reso candide le loro vesti nel sangue dell'Agnello". Prima ci vengono presentati i giusti di Israele, poi tutti i santi del cielo: "una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di tutte le nazioni, razze, popoli e lingue".. Li abbiamo anche sentiti celebrare il trionfo di Cristo, "Gridano a gran voce: 'La vittoria appartiene al nostro Dio, che siede sul trono, e all'Agnello'.. Infine, apprendiamo un dettaglio significativo: un angelo grida ai suoi compagni di ritardare la loro opera di devastazione della terra finché questi giusti non siano stati sigillati: "Non danneggiate la terra, né il mare, né gli alberi, finché non avremo sigillato sulla fronte i servi del nostro Dio"..

Tutto questo ci dà una preziosa visione della festa di oggi, Ognissanti, che celebra tutti i santi sconosciuti in cielo. Tutti sono stati lavati "nel sangue di CristoCioè nel battesimo, o battesimo di desiderio per coloro la cui vita, senza una conoscenza esplicita di Cristo, dimostrava una reale ricerca di Dio. I salvati, come abbiamo visto, comprendono i giusti ebrei e quindi, per estensione, tutti i giusti non cristiani che hanno seguito veramente la loro coscienza senza godere della piena rivelazione di Cristo. Noi, come cristiani, saremo giudicati più severamente per aver ricevuto questa rivelazione. 

Questo lavaggio "pulito nel sangue". Suggerisce anche la volontà di soffrire: come disse il martire inglese Thomas More alle sue figlie, non possiamo entrare in paradiso su un letto di piume. Può trattarsi di un martirio esplicito e cruento o del martirio della vita quotidiana, come l'abnegazione quotidiana dei bravi genitori per i propri figli o i sacrifici di uomini e donne fedeli che rifiutano ogni male e seguono così la propria coscienza.  

La santità è sapere che la nostra salvezza viene da Cristo. Non possiamo contare su noi stessi. La santità è la pienezza della salvezza, non la pienezza dei nostri risultati. Ma poi, nella loro umiltà, i santi salvano il mondo. Come gli angeli non potevano nuocere alla terra finché i santi non erano stati sigillati, così la presenza di uomini e donne santi trattiene il giusto castigo di Dio. Il Vangelo di oggi ci dà il manifesto, il programma della santità: le Beatitudini, che possono sembrare leggere e facili, ma più le consideriamo, più vediamo quanto siano necessarie e doverose.

Vaticano

Francesco spera che "il Sinodo ci incoraggi a essere la Chiesa come Bartimeo".

Nell'omelia della Messa di chiusura della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Papa Francesco ha esortato domenica 27 ottobre a "non rimanere fermi di fronte alle sfide del nostro tempo, all'urgenza dell'evangelizzazione e alle tante ferite che affliggono l'umanità". E che "il Sinodo ci spinga a essere Chiesa come Bartimeo".

Francisco Otamendi-28 ottobre 2024-Tempo di lettura: 5 minuti

In una solenne celebrazione eucaristica, con "il maestoso baldacchino Il Romano Pontefice ha meditato sul passo evangelico del cieco Bartimeo, seduto sul ciglio della strada, che gridò a Gesù e fu da Lui guarito.

Il Santa Messa di questo Domenica XXX del Tempo Ordinario si è svolta nella Basilica di San Pietro. Presieduta da Papa Francesco e concelebrata all'altare dal cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo, e da altri presuli, con circa cinquemila fedeli presenti.

"Per non rimanere immobili nella nostra cecità".

"Di fronte alle domande delle donne e degli uomini di oggi, alle sfide del nostro tempo, all'urgenza dell'evangelizzazione e alle tante ferite che affliggono l'umanità, non possiamo rimanere seduti", ha detto il Papa in occasione del omelia della Messa di chiusura del Sinodo dei Vescovi, la cui Documento finale è stato approvato ieri da un'ampia maggioranza di padri e madri sinodali.

"Una Chiesa che, quasi senza rendersene conto, si ritira dalla vita e si mette ai margini della realtà, è una Chiesa che corre il rischio di rimanere nella cecità e di accomodarsi nel proprio malessere. E se rimaniamo immobili nella nostra cecità, continueremo a non vedere le nostre urgenze pastorali e i tanti problemi del mondo in cui viviamo", ha ammonito Francesco.

"Raccogliere il grido delle donne e degli uomini della terra".

Ricordiamoci invece che il Signore passa, il Signore passa sempre e si ferma per prendersi cura della nostra cecità. Ho la capacità di seguire le orme del Signore, si è chiesto il Papa.

"Sarebbe bello se il Sinodo ci incoraggiasse a essere la Chiesa come Bartimeo, cioè la comunità dei discepoli che, sentendo passare il Signore, percepiscono l'urto della salvezza, si lasciano risvegliare dalla forza del Vangelo e cominciano a gridare a Lui". 

"E lo fa raccogliendo il grido di tutte le donne e gli uomini della terra: il grido di coloro che vogliono scoprire la gioia del Vangelo e di coloro che se ne sono allontanati; il grido silenzioso di coloro che sono indifferenti; il grido di coloro che soffrono, dei poveri e degli emarginati; la voce rotta di coloro che non hanno nemmeno la forza di gridare a Dio, perché non hanno voce o perché si sono rassegnati".

"Non una Chiesa paralizzata e indifferente".

E in modo solenne, il Successore di Pietro ha sottolineato: "Non abbiamo bisogno di una Chiesa paralizzata e indifferente, ma di una Chiesa che ascolta il grido del mondo e si sporca le mani per servirlo". 

"Passiamo quindi al secondo aspetto", ha aggiunto. "Se all'inizio Bartimeo era seduto, vediamo che alla fine lo segue sulla strada. Questa è un'espressione tipica del Vangelo il cui significato è che divenne suo discepolo, cominciò a seguirlo".

"Quando lo ebbe invocato, Gesù si fermò e lo chiamò. E Bartimeo, da seduto a terra com'era, balzò in piedi e subito riacquistò la vista. Ora può vedere il Signore, può riconoscere l'opera di Dio nella sua vita e, finalmente, può seguirlo". 

"Come Bartimeo: tornare sempre al Signore e al suo Vangelo".

"Così anche noi", ha proseguito il Papa. "Quando ci sediamo e ci accontentiamo, quando come Chiesa non troviamo la forza, il coraggio e l'audacia di alzarci e rimetterci in cammino, ricordiamoci di tornare sempre al Signore e al suo Vangelo". 

"Sempre e ancora, al suo passaggio, dobbiamo ascoltare la sua chiamata, che ci rimette in piedi e ci fa uscire dalla nostra cecità. E poi seguirlo di nuovo, camminare con lui lungo la strada. 

"Lo seguì lungo il cammino. Immagine della Chiesa sinodale".

Vorrei ripetere, ha ribadito Francesco. "Il Vangelo ci dice che Bartimeo 'lo seguì sulla strada'. Questa è un'immagine della Chiesa sinodale: il Signore ci chiama, ci solleva quando siamo seduti a terra o siamo caduti, ci dona una nuova vista, affinché, alla luce del Vangelo, possiamo vedere le preoccupazioni e le sofferenze del mondo; e così, rimessi in piedi dal Signore, sperimentiamo la gioia di seguirlo lungo la strada. Ricordiamoci sempre: non camminare da soli o secondo i criteri del mondo, ma camminare insieme dietro a Lui e con Lui".

La Chiesa che il Papa vuole

Su questo punto, il Papa ha indicato chiaramente la Chiesa che desidera. "Fratelli e sorelle: non una Chiesa che siede, ma una Chiesa che sta in piedi. Non una Chiesa muta, ma una Chiesa che ascolta il grido dell'umanità. Non una Chiesa cieca, ma una Chiesa illuminata da Cristo, che porta la luce del Vangelo agli altri. Non una Chiesa statica, ma una Chiesa missionaria, che cammina con il Signore sulle strade del mondo.

Reliquiario della Cattedra di San Pietro, baldacchino del Bernini

Ha poi fatto riferimento all'antica cattedra di San Pietro e al baldacchino del Bernini. "Oggi, mentre rendiamo grazie al Signore per il nostro cammino insieme, possiamo ammirare e venerare la reliquia dell'antica Cattedra di San Pietro, meticolosamente restaurata. Contemplandola con lo stupore della fede, ricordiamo che questa è la cattedra dell'amore, dell'unità e della misericordia, secondo il comando che Gesù diede all'apostolo Pietro, di non dominare gli altri, ma di servirli nella carità. 

E guardando il maestoso baldacchino del Bernini più splendente che mai, scopriamo che esso incornicia il vero punto focale di tutta la Basilica, cioè la gloria dello Spirito Santo". 

La Chiesa sinodale

"Questa è la Chiesa sinodale", ha concluso il Papa. "Una comunità il cui primato è nel dono dello Spirito, che ci rende tutti fratelli in Cristo e ci eleva a Lui. Continuiamo il nostro cammino insieme con fiducia. Anche oggi la Parola di Dio ci ripete, come a Bartimeo, 'Coraggio, alzati! Egli ti chiama" (v. 49). Mi sento chiamato? Chiedo aiuto?", si è chiesto.

"Mettiamo da parte il mantello della rassegnazione, consegniamo la nostra cecità al Signore, alziamoci e portiamo la gioia del Vangelo nelle strade del mondo".

Angelus: "Avvicinandosi a un povero, Gesù si avvicina a noi".

Prima della recita del AngelusIn Piazza San Pietro, il Papa ha riflettuto ancora una volta sul passo evangelico del cieco Bartimeo, e ha ricordato che il povero Bartimeo "ascolta e viene ascoltato", e "Gesù lo vede e lo ascolta, e gli dice: cosa vuoi che io faccia per te?

Il Papa ha guardato al grido, alla fede, e lo ha seguito lungo il cammino. E ha chiesto se ignoriamo i mendicanti, come se non esistessero, e se dimentichiamo il loro grido. Ha anche chiesto come guardo un mendicante, se lo ignoro o se lo guardo come ha fatto Gesù. Ha anche sottolineato che "quando vi avvicinate a un povero, è Gesù che si avvicina a voi nella persona di quel povero".

Preghiera per il Sinodo e per la pace

Dopo aver recitato l'Angelus, il Romano Pontefice ha chiesto di "pregare affinché ciò che abbiamo fatto in questo mese (al Sinodo) possa continuare per il bene della Chiesa".

Ha anche ricordato due anniversari: i 50 anni dalla creazione, da parte di San Paolo VI, della commissione per le relazioni religiose con l'ebraismo. "E domani è l'anniversario della dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II", sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane. "In questi tempi di grande sofferenza, incoraggio coloro che sono impegnati nel dialogo e nella pace.

Domani inizia a Ginevra una conferenza internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa. "Possa questo evento risvegliare le coscienze affinché durante i conflitti armati siano rispettate la dignità della persona umana e dei popoli e l'integrità delle strutture civili e dei luoghi di culto, nel rispetto del diritto internazionale umanitario. È triste vedere come ospedali e scuole vengano distrutti in guerra.

Il sacerdote ucciso in Chiapas, nelle Filippine, e il rispetto per la vita umana

Il Santo Padre si è unito alla Chiesa del "Chiapas nel piangere la morte del sacerdote Marcelo Perez, assassinato domenica scorsa. Un grande servitore del Vangelo e del Popolo di Dio, come altri sacerdoti assassinati che hanno prestato servizio nel ministero".

È stato anche vicino alle popolazioni delle Filippine colpite dal ciclone. "Che il Signore sostenga questo popolo pieno di fede.

Infine, il Papa ha pregato di continuare a "pregare per la pace in Ucraina, Palestina, Israele e Libano, affinché questa escalation di violenza si fermi". Le prime vittime sono le popolazioni civili. Preghiamo per tutti loro.

L'autoreFrancisco Otamendi

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Vocazioni

Mariolina Ceriotti: "Per far durare una relazione bisogna amarla davvero".

Mariolina Ceriotti parla con Omnes della complessa realtà delle relazioni coniugali e di alcuni punti di "tensione" che ogni coppia sperimenta nel corso della sua vita insieme.

Maria José Atienza-28 ottobre 2024-Tempo di lettura: 6 minuti

Con titoli Mariolina Ceriotti, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta per adulti e coppie, è una delle autrici più note nel campo delle relazioni familiari e, in particolare, coniugali, con i suoi libri "La coppia imperfetta", "Sposami... di nuovo" e "Genitori e figli", e le numerose conferenze che tiene ogni anno in tutto il mondo. 

In questa intervista Ceriotti parla con Omnes della complessa realtà delle relazioni coniugali e di alcuni punti di "tensione" che ogni coppia sperimenta durante la vita insieme.

Prima di parlare di matrimonio, dobbiamo guardare al corteggiamento, a volte un "argomento dimenticato". Come si svolge una buona preparazione al matrimonio?

- A livello psicologico, credo che oggi la cosa più importante nella preparazione al matrimonio sia riflettere sul significato della promessa che si sta per fare.

Con il matrimonio non promettiamo all'altra persona di provare per sempre la stessa sensazione di "innamoramento", ma promettiamo una presenza che possa resistere agli assalti della vita. 

Le emozioni e i sentimenti sono qualcosa di mutevole, che non possiamo controllare semplicemente con la nostra volontà; quindi, dobbiamo realisticamente prevedere che verso la persona che abbiamo scelto e che amiamo proveremo nel tempo molti sentimenti contrastanti; a volte, inevitabilmente, anche negativi, perché nella vita insieme le differenze sono, per tutti, una potenziale fonte di fatica e di conflitto.

Con il matrimonio, ci promettiamo che anche nei momenti in cui i sentimenti faticano a sostenerci, nei momenti in cui faremo fatica ad andare d'accordo e saremo tentati di arrenderci, saremo invece presenti e ci sforzeremo di trovare tutto il bene nella nostra relazione.

Ma per poter fare una promessa così impegnativa, è necessario comprendere e riconoscere che l'altro - pur con i suoi inevitabili limiti - è una persona davvero "unica". L'altro rappresenta la nostra sfida esistenziale, quella di cui abbiamo bisogno per diventare pienamente noi stessi. Per un credente, l'altro è la persona "scelta per me", ed è parte integrante della mia vocazione.

La serietà di questa promessa è l'unica garanzia in una relazione senza garanzie. Nel matrimonio compiamo un atto di fiducia reciproca senza precedenti, perché ci diciamo: "Mi fido di te perché mi fido della tua promessa".

Questa fiducia è incondizionata e senza garanzie; è un dono gratuito, il vero e grande dono del matrimonio.

Perciò, per prepararci bene al matrimonio, dobbiamo riflettere seriamente sulla portata di questa promessa, che ci dona l'uno all'altro. Certo, non è qualcosa che si può capire una volta per tutte... ma è di grande importanza perché rappresenta il cuore e la specificità della relazione matrimoniale.

È vero che ogni cinque anni c'è una svolta nella vita matrimoniale?

- Non credo molto a questo tipo di statistiche, ma di certo il matrimonio non è una relazione statica, perché si tratta di mantenere un rapporto tra due persone che cambiano ed evolvono nel tempo.

La sfida del matrimonio è trovare continuamente un equilibrio tra continuità e cambiamento. Ognuno di noi, anche in coppia, ha una vocazione personale ed è giusto che ci impegniamo affinché i nostri talenti fioriscano e continuino a crescere nel tempo. Io cambio e l'altro cambia: non dobbiamo imprigionarli nella relazione, ma cercare di diventare alleati, lavorando insieme per loro e per la loro riuscita umana, professionale e spirituale. Affinché realizzi la sua vocazione e diventi la bella persona che è.

Nello sviluppo concreto della vita, affinché entrambi crescano veramente, saranno spesso necessari adattamenti e talvolta persino rinunce da parte dell'uno o dell'altro, ma nel quadro dell'alleanza possiamo vivere le diverse opzioni in modo positivo, prendendo insieme le decisioni migliori.

Che cosa apportano l'uomo con la sua mascolinità e la donna con la sua femminilità alla relazione coniugale?

- È difficile dare una risposta a questa domanda, perché la mascolinità e la femminilità si declinano in modo personale e diverso in ognuno di noi.

In generale, la mascolinità pienamente sviluppata porta gli uomini alla competizione paterna, così come la femminilità predispone le donne alla competizione materna. 

Il materno e il paterno rappresentano il massimo sviluppo del femminile e del maschile; sono dimensioni che richiedono il superamento della posizione narcisistica, perché implicano l'allargamento del proprio baricentro, per prendersi cura anche del bene dell'altro.

Sviluppando la competenza materna, le donne imparano a nutrire, a occuparsi dell'altro come persona, a prendersi cura di lui concretamente, a proteggere le sue vulnerabilità. Sviluppando la competenza paterna, gli uomini possono usare le loro capacità e la loro forza per promuovere generosamente il bene dell'altro, per incoraggiarlo e sostenerlo, per favorire la sua crescita senza temere rivalità. 

Le competenze paterne e materne che siamo in grado di sviluppare in noi stessi ci rendono generosi e attenti agli altri, non solo nei confronti di eventuali figli, ma anche nel lavoro e nella collaborazione: ci aiutano a prenderci cura degli altri in modo concreto, andando oltre noi stessi e la soddisfazione dei nostri bisogni.

L'arrivo dei figli è un piccolo "terremoto" nella vita di ogni famiglia. Cosa si può fare perché la genitorialità non sostituisca la vita matrimoniale?

- L'arrivo di un figlioAnche se desiderata, non è una sfida facile, soprattutto per le donne. Il figlio ci unisce in modo forte e spesso mette in discussione le nostre priorità; la sua nascita è una grande gioia, ma è anche qualcosa che genera discontinuità nella nostra vita e ci chiede di trovare nuovi equilibri. Se per i padri la nascita di un figlio è innanzitutto una complessità organizzativa da affrontare e risolvere, per le madri il bambino rappresenta una rivoluzione copernicana, che va ben oltre le questioni organizzative. È necessario comprendere questa differenza tra maschile e femminile se non vogliamo che nella coppia si creino tensioni eccessive dopo la nascita di un figlio.

La madre ha bisogno di tempo per trovare un nuovo equilibrio e per distribuire le energie nel modo che ritiene più adatto a lei, e ha bisogno che il marito la sostenga in questa ricerca con pazienza, che sappia ascoltare le sue ansie senza volersi sostituire a lei o metterle fretta. Più che di "soluzioni" precostituite, la donna in questa fase della sua vita ha bisogno che il padre del bambino la ascolti davvero.....

Ma è anche necessario tenere sempre presente che la migliore garanzia di benessere per i nostri figli è che la relazione di coppia sia il più possibile stabile e ricca; perché ciò sia possibile, dobbiamo sempre prenderci cura di loro, senza dimenticare che il "noi" della coppia va coltivato, mantenendo viva la comunicazione, la sessualità e la condivisione di interessi e momenti vitali, anche in presenza di figli.

Lei parla spesso di "imperfetto", c'è l'idea sbagliata che il matrimonio perfetto non abbia problemi?

- Il limite è la cifra normale dell'essere umano, e con il limite c'è naturalmente l'imperfezione. Non si tratta di "accontentarsi", ma di imparare che nelle relazioni sono sempre necessarie la pazienza e il buon umore, che ci permettono di disinnescare molte situazioni di fatica o di conflitto e di ripartire.

L'amore può ricominciare ogni giorno: riconoscere che siamo tutti un po' imperfetti non è una scusa per adattarci o per imporre i nostri difetti agli altri, ma un modo per riconoscere che le difficoltà sono inevitabili per tutti, e che la presenza di incomprensioni e stanchezza non significa in ogni caso fallimento o mancanza di amore.

In Occidente, quasi il 40 % dei matrimoni finisce con la rottura. Cosa sta succedendo?

- Succede che non siamo più in grado di comprendere la potenziale bellezza di una relazione per sempre.

Il matrimonio è un'avventura straordinaria, che coinvolge tutte le dimensioni della persona: il suo corpo, la sua storia, i suoi pensieri, i suoi progetti, le sue relazioni. È un'avventura che richiede coraggio, creatività, pazienza, buon umore ....

È come leggere un romanzo di valore: ci sono pagine che ti avvolgono, che ti emozionano e che non vorresti mai finire, ma ci sono anche pagine noiose che vorresti saltare; ci sono pagine che ti fanno ridere e altre che ti fanno piangere. Ma per capire davvero la bellezza del libro, la sua ricchezza, il suo messaggio, bisogna leggerlo fino alla fine.

Oggi la maggior parte delle persone preferisce la dimensione meno impegnativa del racconto breve, per evitare la fatica di pagine più impegnative... Ma non si rende conto di come questo impoverisca la propria vita.

È più difficile avere un matrimonio duraturo oggi rispetto al passato?

-Non credo che sia "di per sé" più difficile portare avanti un matrimonio per tutta la vita, perché le relazioni sono sempre state complesse. Oggi, però, abbiamo la possibilità di rompere un matrimonio molto facilmente, e questo rende necessaria una maggiore consapevolezza, una volontà più chiara da parte di uomini e donne. 

In passato, se qualcosa non funzionava, non era così comune che le persone lavorassero sulla loro relazione per migliorarla: spesso l'idea era di adattarsi, di sopportare, di sopportare la croce....

Oggi, se qualcosa non funziona, siamo più chiaramente di fronte a un bivio: possiamo chiudere la relazione o, se vogliamo, possiamo provare a rilanciarla, magari con l'aiuto di un'altra persona. La possibilità reale di separarsi rende più chiara la possibilità di scelta e quindi ci invita più chiaramente a prendere posizione.

Alla domanda "Cosa fa durare un matrimonio?", la risposta è quindi che la prima condizione perché una relazione duri per sempre è, molto semplicemente, amarla davvero?

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Siamo tutti chiodi storti

Siamo tutti chiodi storti, ma il Signore si serve di noi.

28 ottobre 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

I social network sono il riflesso della condizione interiore dell'uomo di oggi. C'è confusione, litigi, discussioni e dissertazioni che dovrebbero essere presentate per trovare la verità ma che, in fondo, sono un tentativo di imporre i propri criteri agli altri. Ci sono giudizi che contrappongono i buoni ai cattivi, i fedeli agli infedeli, i coraggiosi ai vili, coloro che hanno la verità a coloro che sono nell'inganno.... 

In tempi di polarizzazione sociale, c'è un rimedio efficace da considerare: meno arroganza e più umiltà.

Le unghie storte

Qualche tempo fa ho parlato con un caro amico che stava attraversando un momento difficile a causa di una diffamazione. L'ho ascoltato con attenzione e compassione. Mi addolorava sapere cosa stava affrontando. Alcuni giorni dopo, ho ricevuto un meme con l'immagine di 5 chiodi. Uno di essi era completamente dritto e gli altri 4 erano storti. Sopra il chiodo dritto è apparso un martello, l'immagine suggeriva che stava per essere piantato a martellate. Una frase alla base dell'immagine diceva: "Quello più dritto viene sempre colpito".

Appena l'ho vista, ho pensato al mio amico, che considero di gran lunga una persona integerrima. Gliel'ho inoltrata con un messaggio di solidarietà. Era un modo per dirgli che ero con lui. 

La sua risposta inaspettata, tuttavia, mi ha fatto riflettere profondamente. Mi rispose saggiamente: "Ti ringrazio molto. Penso che siamo tutti chiodi storti, ma il Signore si serve comunque di noi".

È vero! Siamo tutti unghie storte, siamo tutti luci e ombre, siamo tutti giusti e sbagliati, commettiamo tutti errori e rinsaviamo troppo tardi. Nessun essere umano è perfetto. Accettare questa realtà ci condurrebbe a relazioni umane armoniose, sane ed edificanti.

Semina e raccolta

L'orgoglio, invece, ci inganna facendoci credere di avere il controllo di tutto, di sapere già tutto, ci rende arroganti e violenti.

Mi sono ricordato della risposta che San Giovanni della Croce diede a una suora che gli aveva scritto per dargli tutto il suo sostegno quando San Giovanni fu portato in prigione per decisione dei suoi stessi fratelli carmelitani. Gli disse che avrebbe fatto tutto il necessario per tirarlo fuori. San Giovanni rispose: "Non si preoccupi per me, sorella, Dio si prenderà cura di me... benedica i miei persecutori e li ami, perché 'dove non c'è amore, semina amore e raccoglierai amore'". 

Una delle frasi luminose del nostro santo viene consegnata al mondo in mezzo all'ingiustizia e al dolore! 

Questo è il modo umile di affrontare le sfide, restituendo il bene al male. È una follia per gli standard umani, ma è una risposta saggia quando sappiamo abbracciare gli standard cristiani.

Uscire per incontrare persone

È importante smettere di contribuire alla polarizzazione dell'ambiente praticando questa virtù fondamentale. È umile chi non ha bisogno di imporsi agli altri, chi non ha bisogno di avere ragione, chi non si descrive come il buono, l'intelligente, il campione della storia, perché sa che questo posto appartiene solo a Dio. 

Non sta a noi dimostrare di essere migliori, ma amare! 

Amare significa andare incontro agli altri, soddisfare i loro bisogni materiali e spirituali, preoccuparsi del loro benessere generale e fare qualcosa di concreto per loro. Impegnarsi in discussioni in rete toglie tempo a chi soffre e a chi è solidale. Anche se questi sono dogmi di fede. Li condividiamo, li proponiamo con rispetto senza cercare di imporli. Sarà la nostra coerenza di vita, la calamita che attirerà le anime al cuore di Gesù.

Meno litigi e più azioni per chi ha bisogno di noi. Inondiamo le reti di iniziative di benedizione, diffondiamo la buona notizia, quella che ci incoraggia a perseverare nella costruzione di una civiltà dell'amore. 

Gesù ci ha istruiti così: "Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime" (Mt 11, 29 b).

Vaticano

Il Papa lancia il documento sinodale come "guida per le Chiese locali".

Con il canto del Te Deum, il documento finale, "e una gioia che si poteva toccare", si è conclusa sabato 28 ottobre 2023 la prima sessione della XVI Assemblea del Sinodo della Sinodalità. Un anno dopo, questo 26/27 ottobre, si è conclusa la seconda e ultima Sessione del Sinodo, con le Chiese locali al centro dell'orizzonte missionario, in un Documento in 155 punti che il Papa ha deciso di varare senza Esortazione Apostolica.

Francisco Otamendi-27 ottobre 2024-Tempo di lettura: 7 minuti

Dopo più di tre anni di Sinodo della sinodalità, di ascolto, e un anno dalla conclusione della Prima sessioneL'Assemblea sinodale di questo ottobre ha concluso i lavori della sua seconda sessione con un Documento finale votata da più di due terzi dei partecipanti. La Messa conclusiva, presieduta dal Romano Pontefice, avrà luogo domenica 27 in Piazza San Pietro.

Il testo sviluppa un'esperienza di Chiesa in cui il processo sinodale non si esaurisce, ma continua con le Chiese locali al centro della missione e, come ha sottolineato l'agenzia ufficiale vaticana, "con tutte le strutture al servizio, appunto, della missione con i laici sempre più al centro".

Papa Francesco, che ieri ha presieduto un Te Deum di ringraziamento e impartito la Benedizione ai membri del Sinodo, ha deciso che il Documento finale, senza attendere l'Esortazione Apostolica, essere diffusi immediatamente affinché possa ispirare la vita della Chiesa. "Il processo sinodale non si conclude con la fine dell'Assemblea, ma comprende la fase di attuazione.

Punto 9: "missionari della sinodalità".

Data la sua rilevanza, in quanto citato anche nella relazione introduttiva, il punto 9, in spagnolo, del documento viene trascritto di seguito:

"9. Il processo sinodale non si conclude con la fine dell'attuale Assemblea del Sinodo dei Vescovi, ma comprende la fase di attuazione. Come membri dell'Assemblea, sentiamo il compito di impegnarci nella sua animazione come missionari della sinodalità all'interno delle comunità da cui proveniamo. 

Chiediamo a tutte le Chiese locali di continuare il loro cammino quotidiano con una metodologia sinodale di consultazione e discernimento, individuando percorsi concreti e itinerari formativi per una tangibile conversione sinodale nelle varie realtà ecclesiali (Parrocchie, Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica, Aggregazioni di fedeli, Diocesi, Conferenze Episcopali, gruppi di Chiese, ecc.) 

Si dovrebbe anche prevedere una valutazione dei progressi compiuti nella sinodalità e nella partecipazione di tutti i battezzati alla vita della Chiesa. Suggeriamo che le Conferenze episcopali e i Sinodi delle Chiese sui iuris dedichino persone e risorse per accompagnare il cammino di crescita come Chiesa sinodale in missione e per mantenere i contatti con la Segreteria generale del Sinodo. Vi chiediamo di continuare a garantire la qualità sinodale del metodo di lavoro dei Gruppi di studio".

"Un banchetto per tutti i popoli".

Il Documento finale, come noto, consta di 155 punti, suddivisi in un'introduzione di 12 paragrafi; 5 parti; e una conclusione, intitolata "Un banchetto per tutti i popoli". Si tratta di qualche punto in più rispetto ai 112 punti del documento finale. Instrumentum Laboris

La Parte I, intitolata "Il cuore della sinodalità", tratta, tra l'altro, della chiamata dello Spirito Santo alla conversione, della Chiesa come popolo di Dio e dell'unità come armonia. La Parte II, "Insieme nella barca", si occupa di "nuove relazioni", "carismi, vocazioni e ministeri per la missione" e "insieme per la missione".

La parte III, "Gettare la rete", tratta, tra gli altri aspetti, il "discernimento ecclesiale per la missione", "L'articolazione dei processi decisionali" o "Trasparenza, responsabilità, valutazione". 

La Parte IV, "Una pesca abbondante", comprende "Condividere i doni", "Collegamenti per l'unità: conferenze episcopali e assemblee ecclesiali" e "Il servizio del vescovo di Roma". La Parte V, "Anch'io vi mando", si occupa di "Formare un popolo di discepoli missionari".

Diaconato femminile e altre questioni: "pause, silenzio, preghiera".

Il punto 60 della Parte II del Documento si riferisce interamente alle donne, e la questione del loro diaconato è stata affrontata da Papa Francesco nel suo discorso ai membri del Sinodo, senza menzionarlo espressamente, prima della benedizione. Si tratta di un tema che è stato oggetto di pressioni durante il Sinodo e anche di numerose domande nei briefing quotidiani dei media, come ad esempio ha riportato Omnes.

Il Papa ha detto ieri: "Su alcuni aspetti della vita della Chiesa indicati nel Documento, come pure sui temi affidati ai dieci gruppi di studio, è necessario che essi mi offrano delle proposte in un lavoro in libertà, per arrivare a scelte che coinvolgano tutta la Chiesa. Continuerò quindi ad ascoltare i vescovi e le chiese a loro affidate". 

E poi ha aggiunto: "Non è un modo classico di rimandare le decisioni all'infinito; è quello che corrisponde allo stile sinodale, in cui si esercita anche il ministero petrino: ascoltare, convocare, discernere, decidere e valutare. E in questi passaggi sono necessarie pause, silenzi e preghiera. È uno stile che stiamo imparando insieme. A poco a poco. Lo Spirito Santo ci chiama e ci tiene in questo apprendistato, che dobbiamo intendere come un processo di conversione. La Segreteria generale del Sinodo e tutti i dicasteri della Curia mi aiuteranno in questo compito".

"Armonia". "Un dono per tutto il popolo di Dio".

Il Santo Padre ha anche parlato del Sinodo come di un dono. "Tutto ciò che è stato vissuto nell'Assemblea sinodale è un dono dello Spirito. È Lui che crea l'armonia, Lui è l'armonia, e spero che l'armonia continui a emergere anche da quest'Aula, e che il soffio del Signore risorto ci aiuti a condividere i doni che abbiamo ricevuto".

"Quello che abbiamo vissuto è un dono per tutto il popolo fedele di Dio, nella varietà delle sue espressioni. Non tutti lo leggeranno, ma sarete soprattutto voi, insieme a molti altri, a renderne accessibile il contenuto nelle chiese locali.

"Non possiamo tenerlo solo per noi", ha aggiunto in un altro momento. "L'impulso che viene da questa esperienza, di cui il Documento finale è un riflesso, ci dà il coraggio di testimoniare che è possibile camminare insieme nella diversità", ha sottolineato anche in altre occasioni in questo processo sinodale, "senza condannarsi a vicenda".

"Nel Documento ci sono indicazioni molto concrete che possono essere una guida per la missione della Chiesa nei diversi continenti", ha detto il Papa. "Per questo lo metto subito a disposizione di tutti e non c'è bisogno di una 'Esortazione apostolica'", ha sottolineato.

Accettazione del documento finale

"C'è una poesia di Madeleine Delbrel, la mistica delle periferie, che ci esortava soprattutto a non essere rigidi. La rigidità è un peccato che tanto spesso entra nei chierici, nei consacrati, nelle consacrate", ha proseguito Francesco.  

 "Fa' che viviamo la nostra vita come una festa senza fine, dove l'incontro con te si rinnova, come una danza, come un ballo, tra le braccia della tua grazia, con la musica universale dell'amore", scriveva Madeleine Delbrel.

"Bisognerà prendere delle decisioni.

"Questi versi possono diventare il sottofondo musicale per accogliere il Documento finale. E ora, alla luce di quanto emerso dal cammino sinodale, si devono e si dovranno prendere delle decisioni. In questo tempo di guerre, dobbiamo essere testimoni di pace, imparando anche a dare forma reale alla convivenza delle differenze.

Pertanto, non intendo pubblicare un'esortazione apostolica. È sufficiente quello che abbiamo approvato". Nel Documento ci sono indicazioni molto concrete che possono essere una guida per la missione delle Chiese, ha ribadito, nei diversi continenti, nei diversi contesti. Per questo lo metto ora a disposizione di tutti". (Applausi). "Desidero così riconoscere il valore del cammino sinodale compiuto, che consegno con questo Documento al Popolo santo e fedele di Dio".

"Testimoniare il Vangelo. Praticare l'ascolto".

"Il Signore risorto ci chiama a essere testimoni del suo Vangelo con la vita più che con le parole. Il Documento sul quale abbiamo espresso il nostro voto è un triplice dono. Un dono per me, Vescovo di Roma, che, nel convocare la Chiesa di Dio in Sinodo, ero consapevole di aver bisogno di voi, vescovi e testimoni del cammino sinodale. Grazie.

"Perché anche il Vescovo di Roma, come spesso ricordo a me stesso e a voi, ha bisogno di esercitarsi nell'ascolto. Anzi, vuole esercitarsi nell'ascolto, per poter rispondere alla Parola che gli viene ripetuta ogni giorno: "Conferma i tuoi fratelli e sorelle, pasci le mie pecorelle".

"Il mio compito, come ben sapete, è quello di custodire e promuovere, come ci insegna San Basilio, l'armonia che lo Spirito continua a diffondere nella Chiesa di Dio, nelle relazioni tra le Chiese, nonostante tutti gli sforzi, le tensioni e le divisioni che caratterizzano il loro cammino verso la piena manifestazione del Regno di Dio".

"Un banchetto preparato da Dio per tutti, tutti, tutti".

"Che la visione del profeta Isaia ci inviti a immaginare come un banchetto preparato da Dio per tutti i popoli, tutti, con la speranza che non manchi nessuno, tutti, tutti, tutti. Nessuno fuori, tutti", ha concluso il Papa. 

E la parola chiave è questa: armonia, ciò che lo Spirito fa dalla prima forte manifestazione la mattina di Pentecoste, è armonizzare tutte queste differenze, tutte queste lingue, tutte queste cose, armonia. Questo è ciò che insegna il Concilio Vaticano II, quando dice che la Chiesa è come un sacramento, è segno e strumento dell'attesa di Dio, che ha già preparato la tavola e aspetta.

"Amplificare il sussurro dello Spirito Santo, senza creare muri".

La sua grazia, attraverso il suo Spirito, sussurra parole d'amore nel cuore di ciascuno di noi. A noi è dato di amplificare la voce di questo sussurro, senza ostacolarlo, in modo da aprire le porte, senza costruire muri. Quanto male fanno gli uomini e le donne di Chiesa quando costruiscono muri, quanto male. Non dobbiamo comportarci come dispensatori di grazia che si appropriano del tesoro legando le mani al Dio misericordioso.

Ricordate che abbiamo iniziato questa Assemblea sinodale chiedendo perdono, provando vergogna, riconoscendo che siamo stati tutti misericordiosi.

C'è una poesia di Madeleine Delbrel, la mistica delle periferie, che ci esorta soprattutto a non essere rigidi. La rigidità è un peccato che così spesso entra nei chierici, nei consacrati, nelle consacrate". "Facci vivere la nostra vita come una festa senza fine, dove l'incontro con te si rinnova, come una danza, come un ballo, tra le braccia della tua grazia, con la musica universale dell'amore", scriveva Madeleine Delbrel.

"Testimoni di pace, che alle parole corrispondano i fatti". 

"Questi versi possono diventare il sottofondo musicale per accogliere il Documento finale. E ora, alla luce di quanto emerso dal cammino sinodale, ci sono e ci saranno decisioni da prendere. In questo tempo di guerre, dobbiamo essere testimoni di pace, imparando anche a dare forma reale alla convivenza delle differenze.

"Veniamo da tutte le parti del mondo, segnate dalla violenza, dalla povertà, dall'indifferenza, ha ricordato Papa Francesco, ma tutti insieme, con la speranza che non delude, uniti nell'amore di Dio riversato nei nostri cuori, ha indicato il Pontefice, possiamo non solo sognare la pace ma impegnarci con tutte le nostre forze perché, magari senza tante chiacchiere di sinodalità, la pace si realizzi attraverso processi di ascolto, dialogo e riconciliazione. La Chiesa sinodale per la missione ha ora bisogno che le parole condivise siano accompagnate dai fatti".

"Comunione di Chiese che camminano e vivono".

Quando i cardinali Mario Grech, Segretario Generale, e Jean-Claude Hollerich, Relatore Generale, insieme ai Segretari Ricardo Battocchio e Giacomo Costa SJ, si sono presentati, quasi tutto era stato detto dal Papa. 

Al termine, la risposta del cardinale Grech a una domanda ha fatto riferimento al punto 134, relativo all'esercizio del ministero petrino in chiave sinodale, e don Costa ha parlato di una "comunione di Chiese che, insieme, camminano e vivono". Si veda il documento.

L'arcivescovo di Valladolid, monsignor Luis Arguello, presidente della Conferenza episcopale spagnola, che ha partecipato al Sinodo, detto che "il processo sinodale segna un prima e un dopo nella Chiesa". Sono parole grosse, e la diagnosi è condivisa da diversi partecipanti ai briefing della Sala Stampa vaticana.

Perché l'impressione è che il Sinodo iniziale "consultivo" del 2 ottobre si sia trasformato in qualcosa di più importante. Il tempo lo dirà. 

L'autoreFrancisco Otamendi

Vocazioni

Fabiola Inzunza: "La vocazione è una chiamata a essere felici".

Fabiola Inzunza, 28 anni, membro della Comunità Cattolica Shalom, spiega in Omnes la spiritualità di questa associazione privata di fedeli e parla di cosa significa "avere una vocazione".

Leticia Sánchez de León-27 ottobre 2024-Tempo di lettura: 8 minuti

Fabiola Inzunza è membro della Comunità cattolica Shalom. È nata a Culiacán (Messico) 28 anni fa, in una famiglia cattolica dove, come dice lei stessa, "regnava l'amore di Dio e questo si rifletteva nell'amore reciproco dei miei genitori, nella loro fedeltà reciproca e nella loro fedeltà ai valori cristiani che avevano promesso di trasmetterci. Fin da piccola ho imparato l'importanza di un rapporto personale con Gesù Cristo, grazie a loro, che mi hanno insegnato a pregare.

All'età di 13 anni Fabiola ha vissuto una forte esperienza spirituale durante un ritiro di iniziazione cristiana, dove ha sperimentato in modo profondo che Gesù era una persona viva e viveva in lei: "È stato da questa esperienza che ho iniziato a voler saperne di più sulla fede, non perché me l'avessero detto i miei genitori, ma perché ora io stessa volevo trovare la strada che Dio aveva progettato per me". 

A soli 13 anni ci si rende conto di aver bisogno di avvicinarsi a Dio?

- Lo penso anch'io! Nel mio caso ho sentito il bisogno di essere più vicina a Lui dopo aver ascoltato una coppia di missionari che erano venuti nella mia parrocchia per dare testimonianza delle missioni estive che si svolgono ogni anno nella diocesi di Culiacán. La gioia che trasmettevano era qualcosa che non avevo mai visto prima, soprattutto quando parlavano di annunciare Cristo in un luogo semplice e in mezzo a tante sfide.

Qualcosa si è risvegliato dentro di me e ho chiesto di andare in missione con la diocesi. Avevo solo 15 anni, ma è stata un'esperienza che mi ha cambiato la vita: condividere l'amore di Dio con gli altri è senza dubbio la missione più bella del mondo. Volevo continuare a farlo e Dio ha ascoltato le mie suppliche. A 19 anni sono andato a lavorare e studiare a Boston, negli Stati Uniti, e lì il Signore mi ha sorpreso molto. Pensavo che sarebbe stato difficile per me mantenere la fede, come dicevano tante persone, perché lì non c'erano tanti cattolici o gruppi di preghiera come in America Latina. Tuttavia, il Signore mi ha fatto conoscere i missionari del Comunità cattolica ShalomSono diventato un missionario laico che dedica la sua vita a servire Dio nell'evangelizzazione dei giovani. Lì ho iniziato il mio processo di discernimento vocazionale in questo meraviglioso carisma, una nuova vocazione per la Chiesa e per i tempi di oggi.

Che aspetto ha questo processo interiore?

- Dopo un processo di discernimento vocazionale durato due anni, un tempo di continui ritiri, di ascolto di Dio, di accompagnamento spirituale, di molte forti esperienze di conversione - che continuano tuttora - e, soprattutto, grazie al rapporto personale che ho costruito con Gesù in ogni adorazione eucaristica, ho capito che la mia vocazione era quella di essere "Shalom": una missionaria laica, dedicata all'evangelizzazione dei giovani nel mondo di oggi.

Essere nel mondo senza essere del mondo. Oggi sono 5 anni che vivo come missionario, attualmente vivo a Roma e il mio apostolato è quello di accogliere i gruppi di pellegrini che vengono a Roma. RomaIl Centro Internazionale Giovanile San Lorenzo. Qui possiamo portare Gesù a tutte le nazioni, perché Roma è visitata da tutto il mondo. Attualmente sono anche responsabile di un gruppo di preghiera e accompagnatore spirituale di 8 giovani.

Cosa significa avere una "vocazione"?

- Per me la vocazione è "missione": è con i miei genitori che ho iniziato a capire cosa significa amare e appartenere a Gesù, perché dicevano sempre che ognuno ha una missione in questo mondo. Per me la parola vocazione è proprio questo, missione: la chiamata personale e autentica che ognuno di noi ha per essere pienamente felice e per portare gli altri a esserlo, sia a livello professionale, sia nella Chiesa o nella società. Trovare la propria vocazione è... trovare il proprio posto!

Come si concretizza questa chiamata nella vita quotidiana?

- Le persone chiamate a questa vocazione sono chiamate a proclamare la pace con la loro vita e la loro testimonianza. "Essere Shalom" significa, con la forza dello Spirito Santo, essere discepoli e ministri della Pace e portare Cristo stesso a coloro che sperano in Lui. A coloro che sono stati chiamati a corrispondere alla vocazione, Dio concede la via della contemplazione, dell'unità e dell'evangelizzazione". 

Il suo carisma si può riassumere in queste tre parole: contemplazione, unità ed evangelizzazione. Come le concretizza quotidianamente?

- Prima di tutto, la contemplazione si realizza pregando. Preghiamo per 2 ore. Una di studio biblico in cui meditiamo la Parola di Dio attraverso il metodo della "lectio divina" e lì, in quell'esperienza intima con la Parola e con lo Spirito Santo, chiediamo la grazia di vivere ciò che leggiamo e meditiamo, aprendoci a nuovi propositi per crescere in tutti gli ambiti della nostra vita, umanamente e spiritualmente. L'altra ora è dedicata alla preghiera personale, un dialogo, un colloquio con Gesù.

"Essere Shalom" significa andare a Messa ogni giorno per unirci cuore a cuore con l'Amato delle nostre anime. Significa meditare quotidianamente con Maria i misteri del Rosario e intercedere con Lei per tutte le intenzioni che ci vengono affidate nella nostra vita quotidiana. 

I frutti della vita contemplativa ci portano alla vita fraterna, a coltivare relazioni in cui regnano la misericordia, la pazienza, il perdono, l'ascolto attivo, a dare il massimo in cucina e a cucinare per i fratelli e le sorelle della mia casa comunitaria, a fare una passeggiata e a essere felici nella semplicità, nella gioia di stare insieme e non in quello che potremmo pagare con il denaro.

La vita di unità si riferisce a questa intima unione con Dio attraverso le persone più vicine. È approfittare di ogni momento per crescere nella fraternità, per far sapere che non si è soli, a scuola, al lavoro, nella vita di fede. La vita fraterna ci permette di celebrare con immensa gioia il dono della vita di ciascuno, con le sue virtù e i suoi difetti, ricordando che siamo chiamati ad andare in Paradiso insieme.

Infine, l'esperienza della contemplazione e dell'unità porta frutti concreti nell'evangelizzazione. Se le persone lontane da Dio vedono che la pace si trova nella preghiera e nei sacramenti, e che la gioia di chi afferma di essere "tutto di Dio" è coerente e autentica, allora si apriranno a ricevere l'annuncio del Vangelo nella loro vita. Chi è "Shalom" nasce per evangelizzare, cioè per portare Gesù dentro e fuori dal tempo, nelle conversazioni, nei divertimenti, nel modo di vestire, di parlare, di relazionarsi, di abbracciare la povertà, la castità e l'obbedienza.

Quale contributo possono dare al mondo le persone che seguono questo carisma?

- Come "Shalom" possiamo portare speranza! Credo che vivere una vita con Dio al centro sia dare speranza, soprattutto vivendo da laici. Essere "Shalom" significa dire al mondo che si può desiderare di essere santi non per presunzione, ma per vocazione e grazia di Dio.

Credo che con la nostra vita missionaria possiamo dire che la vita religiosa e il sacerdozio non sono le uniche vie alla santità nella Chiesa, ma anche nelle famiglie, in una vita totalmente dedicata a Dio nel lavoro, nell'università, nelle amicizie, nei media secolari, nelle arti, nei media. Credo che come "Shalom" possiamo dire che è possibile vivere una vita contemplativa e attiva se ci lasciamo amare da Dio e lasciamo che Lui ci indichi dove andare.

È chiaro che questo modo di vivere non è alla moda; spesso viene frainteso o addirittura rifiutato con poca o nessuna conoscenza. A queste persone che rifiutano questo modo di vivere, come spiegherebbe la loro scelta?

- Direi che è come una persona che ha ricevuto la notizia più bella del mondo e ha deciso di lasciare tutto per condividerla con il mondo intero. È come scoprire la medicina che cura tutte le malattie e decidere di essere portatore di questo grande bene per tutti. La scelta di questa vocazione, le rinunce e le grazie che ho sperimentato sono senza dubbio la cosa migliore che mi sia capitata nella vita. È come gridare dai tetti: "Ho trovato il mio posto in questo mondo e il mio posto è al di là di questo mondo, così ho deciso di staccarmi da tutto ciò che mi lega a questa terra passeggera per ancorare la mia vita a ciò che non passerà mai: la vita eterna".


Comunità cattolica Shalom

La Comunità Cattolica Shalom è un'Associazione Privata di Fedeli, con personalità giuridica, riconosciuta dalla Santa Sede (Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita) con Decreto del 22 febbraio 2007. Nella stessa data, nel 2012, sono stati approvati definitivamente i suoi statuti.

Presente in decine di Paesi del mondo, la Comunità cattolica Shalom è composta da uomini e donne che, nella diversità delle forme di vita presenti nella Chiesa, partecipano a una vita comunitaria e missionaria con l'obiettivo di portare il Vangelo di Gesù Cristo a tutti gli uomini e a tutte le donne, soprattutto a coloro che sono lontani da Cristo e dalla Chiesa.

Nata in mezzo ai giovani, Obra Shalom ha iniziato con un'ispirazione audace: creare un collegamento che parlasse la lingua dei giovani, per stabilire un ponte tra loro e un'esperienza personale con Gesù Cristo e la sua Chiesa. Così è nata la "Caffetteria del Signore", il 9 luglio 1982, a Fortaleza (Brasile). Un luogo attraente dove i giovani hanno avuto l'opportunità di vivere momenti di preghiera, fraternità e missione, crescendo così nel loro cammino di fede.

Per portare l'esperienza di Gesù Cristo a molti altri, in mezzo alla diversità dei popoli, delle culture e dei contesti sociali, Shalom svolge azioni di evangelizzazione diverse e multiformi tra i giovani, le famiglie, i bambini, i più poveri e bisognosi, i professionisti di diversi settori, i media, il mondo delle arti, delle scienze, della cultura e della promozione umana, attraverso opere di misericordia che toccano le sofferenze delle persone.

Il fondatore

Moysés Louro de Azevedo Filho è fondatore e moderatore generale della Comunità Cattolica Shalom, consulente del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita dal 2007 e del Dicastero per l'Evangelizzazione dal 2011. Nato il 4 novembre 1959 a Fortaleza (Brasile), è cresciuto in un ambiente cattolico e, fin da giovanissimo, ha iniziato a guidare gruppi di preghiera per giovani. Nel 1976 ha fatto una forte esperienza dell'amore di Dio attraverso il contatto con il Rinnovamento Carismatico Cattolico.

Nel 1980, fu scelto dall'allora arcivescovo di Fortaleza, monsignor Aloísio Lorscheider, per offrire un dono a Papa Giovanni Paolo II a nome dei giovani dell'arcidiocesi. Pregò Dio per avere un dono degno del Santo Padre e decise di scrivere una lettera offrendo la sua vita per l'evangelizzazione dei giovani.

Il 9 luglio 1982, esattamente due anni dopo l'incontro con il pontefice, è nata la Comunità cattolica Shalom.

La sua predicazione è caratterizzata da un acceso amore per Dio e da un'instancabile evangelizzazione delle persone, soprattutto dei giovani. Vive ad Aquiraz, nella Diaconia, dove esercita il governo generale della Comunità Shalom, al servizio della Chiesa e dell'umanità. 

Maria Emmir Oquendo Nogueira è cofondatrice e formatrice generale della Comunità Cattolica Shalom. Sposata e madre di quattro figli, è nata a Fortaleza (Brasile). Appartenente a una famiglia cattolica, non si è mai allontanata dalla fede. Tuttavia, dopo il matrimonio nel 1973, la sua pratica religiosa si è limitata alla Messa domenicale fino a quando, nel 1976, ha partecipato al Cursillo de Cristiandad, invitata dal marito Sérgio Nogueira, che aveva già preso parte all'incontro mesi prima. Nel 1977, entrambi parteciparono al Seminario di Vita nello Spirito Santo e continuarono a sostenere i giovani dell'arcidiocesi di Fortaleza.

Nel 1978, nell'ambito dell'apostolato giovanile, incontra Moysés Azevedo. Divennero grandi amici, uniti dall'amore per il Signore che li avrebbe poi ispirati a fondare la Comunità Cattolica Shalom, frutto di sogni comuni volti all'evangelizzazione dei giovani e alla gloria di Dio. Nel 1986 è entrato a far parte della Comunità di Vita Shalom. 

È autrice di articoli e libri sulla spiritualità, gli studi biblici e la formazione umana. Dedica molto del suo tempo all'insegnamento attraverso i media, la predicazione e le conferenze in Brasile e in altri Paesi. Vive ad Aquiraz, nella Diaconia, dove lavora con la formazione generale di Shalom.

L'autoreLeticia Sánchez de León

Cultura

Fabrice Hadjadj: "Il cristianesimo non è interessato solo alle vittime, ma anche ai peccatori".

Il pensatore francese Fabrice Hadjadj parla con Omnes della realtà degli abusi nella Chiesa, della grazia, del perdono e della necessità di un esame personale della propria vita cristiana.

Maria José Atienza-26 ottobre 2024-Tempo di lettura: 5 minuti

Parlare con Fabrice Hadjadj (Nanterre, 1971) significa entrare in una dinamica di pensiero impegnativa. Considerato uno dei maggiori filosofi cattolici del nostro tempo, questo francese di origine ebraica si è convertito dopo una giovinezza completamente lontana dal cristianesimo ed è oggi una delle voci cattoliche più influenti del nostro tempo.

Hadjadj accoglie Omnes poco prima dell'inizio del Forum Omnes in cui ha parlato del tema centrale del suo ultimo libro pubblicato da Encuentro Lupi travestiti da pecore, in cui, con una prospettiva dirompente, affronta il peccato dell'abuso nella Chiesa - non di minori e non solo di natura sessuale - ma gli abusi che sono derivati da una specifica "mistica" che ha sostenuto questo tipo di pratica. 

Hadjadj affronta infatti questo tema partendo dalla consapevolezza di essere lui stesso un peccatore e dalla convinzione che l'abusatore che disprezza è anche un prossimo e un destinatario della salvezza di Cristo. L'unica vittima completa, sottolinea Hadjadjè Cristo, e la chiave del cristianesimo è che "non si prende cura solo delle vittime, ma anche dei peccatori".

In "Lupi travestiti da pecore", pone la controversa questione di come giudicare se tutti abbiamo la possibilità di cadere. C'è un eccesso di giudizio, all'interno degli stessi cattolici, e una carenza di misericordia? 

-Abbiamo la tendenza, in una certa retorica cristiana, a contrapporre giudizio e misericordia, ma vorrei ricordarvi che il giudizio è l'atto proprio dell'intelligenza, e quindi ogni giudizio non può essere abbandonato in nome della misericordia.

Il mio libro contiene un certo numero di giudizi. La posta in gioco non è dire "Chi sono io per giudicare", come fanno alcuni, sottraendosi così a questa responsabilità. 

Ci sono abusi che oggettivamente devono essere denunciati. Ovviamente non posso giudicare la condanna della persona che ha commesso quegli abusi. Ma ciò che è propriamente cristiano è il fatto che la luce che mi fa vedere il male, si rivolge anche verso di me e mi fa vedere il mio male.

Sant'Agostino, nel decimo libro della Confessioni distingue tra il veritas lucens e il veritas red arguens; cioè la verità che illumina e la verità che accusa. Ed è vista come Sant'Agostino si accusa e cerca di conoscere il proprio peccato. Tali abusi sono quindi un'occasione per essere più attenti a noi stessi. 

Non significa rinunciare al giudizio, bisogna giudicare i fatti con obiettività, ma quando si tratta di persone, la mia responsabilità viene prima di tutto. 

Fabrice Hadjadj durante l'intervista con Omnes. Foto: ©Lupe de la Vallina

Lei sostiene che forse abbiamo perso la "storia biblica", che dimostra che Dio costruisce su fondamenta di spazzatura. Non le sembra che la realtà degli abusi sia troppo brutta perché Dio possa costruire qualcosa? 

-Non sono qui per dare prescrizioni. Il mistero cristiano è sempre drammatico. Quando un padre affida ai figli una missione, i figli possono abusare di questa fiducia e di questa generosità che ricevono. L'amore non è quindi ciò che impedisce il dramma. Se non amo nessuno, non sono vulnerabile. Se non amo niente e nessuno, posso vivere con oggetti morti e non con persone libere che possono tradirmi.

Spesso pensiamo che "l'amore è una soluzione". Ma la Bibbia dice chiaramente che l'amore è un'avventura. E questa storia d'amore, che è la storia di Dio con l'umanità, è la storia della possibilità di molti tradimenti.

Cercare di abolire la possibilità di abuso significa anche abolire una storia d'amore. È quello che fa la nostra società, ad esempio, abolendo l'adulterio. Dove non c'è più adulterio, non c'è più matrimonio possibile, il matrimonio è la condizione dell'adulterio. E abolendo il matrimonio, si abolisce anche l'adulterio. Per questo non posso dare una ricetta, è una storia drammatica.

¿Come simpatizzare - riprendendo la seconda parte del suo libro - con chi ha commesso questo crimine danneggiando gli altri, se stesso e la Chiesa?

-Non sono un pastore. Gli abusi commessi dai sacerdoti devono essere affrontati dai pastori. È un compito molto complicato, molto difficile, perché bisogna tenere conto delle vittime, ma non si può cadere nella religione vittimista. Perché il cristianesimo non è interessato solo alle vittime, ma anche ai peccatori. E un pastore deve prendersi cura anche dei suoi sacerdoti peccatori.

A volte vedo in alcuni vescovi una gestione mediatica che entra nella logica della vittimizzazione, e una dimenticanza della vicinanza ai sacerdoti e ai fedeli. Perché cosa fare con un sacerdote abusivo? Ovviamente va portato davanti alla giustizia civile, ma se i fatti sono prescritti, cosa facciamo? Lo rinchiudiamo in una comunità religiosa? La vita nelle comunità religiose è già abbastanza difficile. Non è la loro vocazione accogliere sacerdoti che hanno commesso abusi.

C'è una difficoltà pastorale reale. Ci sarà sempre la possibilità di abusi nella Chiesa. L'unica cosa che volevo fare è dire che la Bibbia parla già di questi abusi e che questi abusi confermano la verità della rivelazione.

Per esempio, nel libro dei Giudici dell'Antico Testamento, vediamo persone a cui viene affidata la missione di salvare il popolo dall'idolatria. Poi diventano orgogliosi del loro potere e cadono essi stessi nell'idolatria. È anche la storia della caduta del diavolo. Si "ubriacano" della bellezza che Dio dona loro. Queste storie sono anche le nostre storie, a un altro livello. E così, quello che volevo invitare a vigilare sulla mia vita. 

Essere cristiani significa chiedersi cosa sto facendo per essere un vero testimone di Cristo. E non dire all'altra persona "sii testimone di Cristo" e rimanere in silenzio. 

La seconda parte del libro parla della differenza tra il giudizio della "pancia" e quello del cuore. Il primo non ha pazienza e non ha trascendenza, mentre il cuore raggiunge il male intrinseco. Quale prevale oggi? 

-Questa è una distinzione di George Bernanos. La nostra società è quella che Bernanos chiama la trippa. In altre parole, l'emotività immediata. E ciò che è molto interessante è che questa emotività immediata è anche strettamente legata al funzionamento dei social network. Clicco su un pulsante e vedo un dramma..., e cerco il pulsante per cancellare il dramma. Sono esposto a orrori sui quali non ho alcuna influenza e chiedo a una macchina di risolvere il problema. 

Esiste quella che potremmo definire una cultura, anche se si tratta più che altro di una anticultura-che ci spinge permanentemente verso l'immediatezza. Tutto il sistema informatico è progettato per esaltare l'istantaneità dei risultati e quindi per rimanere sempre in superficie, in una sorta di sovraeccitazione. E si perde quella che è la pazienza del cuore, la profondità del cuore, la capacità analitica del cuore.

Siamo in un mondo di falsa compassione, che inizia con una compassione molto emotiva, ma che cerca subito quella che chiamiamo "compassione". soluzioni finali. È questo il passaggio immediato dalla compassione allo sterminio. Questo vale, ovviamente, per le questioni dell'aborto e dell'eutanasia, ma anche per la guerra in Ucraina o per ciò che sta accadendo in Israele. 

Quando si scopre nelle società europee il rinnovarsi dell'antisemitismo in modo inimmaginabile, è proprio perché siamo chiusi in questo mondo. tecnocompassionale dove vediamo immagini della Striscia di Gaza distrutta, della sofferenza, e poi ci chiediamo: "Dov'è il pulsante per eliminare gli ebrei? E non capiamo la complessità della situazione. Un mondo di viscere, di impulsi, e l'impulso è sia l'emotività immediata, ma anche il dito che si posa sul pulsante dello sterminio. 

Esperienze

Fabrice Hadjadj: "Può darsi che gli abusatori comunichino vere e proprie grazie".

"La categoria di abusante e abusato non funziona affatto" nei casi di abuso spirituale, ha affermato Fabrice Hadjadj durante il forum Omnes. La conversazione del filosofo con la giornalista Joseba Louzao ha affrontato temi come l'infantilizzazione della vita spirituale, la filiazione divina e il mistero dell'Incarnazione.

Paloma López Campos-25 ottobre 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Il pomeriggio del 24 ottobre, il campus post-laurea dell'Università di Navarra a Madrid ha visto la sua aula magna riempirsi di persone venute ad ascoltare Fabrice Hadjadj, scrittore e filosofo francese.

Hadjadj è autore di opere come "La fede dei demoni", "Il paradiso alle porte" e "La fede dei demoni".Lupi travestiti da pecore". In questo ultimo libro, il pensatore riflette sugli abusi spirituali nella Chiesa e cerca di svelare le cause di questo male.

Durante il Forum, organizzato insieme al Master in Cristianesimo e Cultura Contemporanea dell'Università di Navarra e Ediciones Encuentro, Fabrice ha conversato con la giornalista Joseba Louzao. Le domande poste al pubblico sono state diverse e profonde e hanno spaziato dall'infantilizzazione della fede alla filiazione divina e, naturalmente, all'abuso spirituale.

Categorie ambigue

Hadjadj ha fatto notare che alcuni giornalisti hanno detto che il suo libro sugli abusi spirituali non si schiera con le vittime. "Non lo faccio perché ci sono già libri che assumono questa prospettiva. Io ho fatto un'altra cosa, ho affrontato la questione dalla parte degli autori. C'è una posizione facile che voglio evitare, che è quella di schierarsi dalla parte delle vittime. Sono ebreo, ma non ho mai voluto prendere le parti delle vittime e non lo farò ora. Siamo coinvolti in una sorta di religione delle vittime: perché sono una vittima sono innocente. Poiché sono una vittima, quello che dico è la verità assoluta. Ma, da un lato, c'è solo una vittima e un innocente, che è Cristo e, dall'altro, il trauma può far scivolare in una posizione violenta".

Negli ultimi minuti della conversazione, Fabrice ha parlato del rapporto tra vittima e abusante, osservando che nei casi di abuso spirituale "la categoria di abusante e abusato non funziona del tutto". Questa differenziazione è "più oscura" e pone la domanda: "Qual è la nostra parte in cui c'è stato il consenso?

In una relazione spirituale padre-figlio, ha spiegato Fabrice, anche se possiamo affermare che c'è un abuso da parte del padre, dobbiamo anche riconoscere che il figlio in molti casi acconsente a certe avances. E quando iniziamo a discernere cosa è successo, ha detto Hadjajd, "non possiamo pensare che chi è vittima sia direttamente innocente".

Il risarcimento non è la guarigione

D'altra parte, Fabrice ha sottolineato che i risarcimenti non sono sufficienti a salvare le vittime. Questi pagamenti sono soluzioni civili che non completano la conversione spirituale necessaria affinché la persona che ha subito un abuso possa guarire.

L'intervento di Cristo e della sua parola è necessario, essenziale. Una parola, quella di Gesù, che è purificata, non come quella della vittima o come le parole che usiamo per parlare di abusi.

La purificazione della parola

Nello stesso senso, "la parola che nasce dal trauma è una parola che deve anche essere purificata". Purificata, e non solo per quanto riguarda l'abuso subito, ma anche per quanto riguarda l'intera esperienza spirituale. "Il male che la persona abusata spiritualmente ha subito fa sì che la visione stessa della spiritualità di quella persona sia deformata", ha continuato Hadjadj, "dobbiamo ascoltare quella parola, ma non possiamo dimenticare la parola di Cristo e dobbiamo compiere la purificazione".

La parola di Cristo ci permette anche di "liberarci di tutte le nostre ambiguità" quando si tratta delle suddette categorie di abusante e abusato. Questo si ottiene confidando in Gesù come "vittima che viene a salvarci".

Fabrice ha concluso il suo intervento sottolineando che dobbiamo "riconoscere che le persone che hanno abusato possono essere state in grado di comunicare vere grazie alle persone". In questo senso, dobbiamo "conservare il bene, rifiutare il male e sapere che siamo salvati dal momento in cui riconosciamo di non essere solo vittime".


Gli abbonati alla rivista Omnes potranno leggere un resoconto completo con tutti i dettagli della conversazione con Fabrice Hadjadj nel nuovo numero di novembre 2024. Se non siete abbonati alla rivista e desiderate ricevere il prossimo numero, potete abbonarvi al prossimo numero. qui.

Il buon senso si farà strada nei programmi di educazione sessuale ed emotiva?

Le infezioni sessualmente trasmesse sono aumentate in Spagna negli ultimi anni, colpendo soprattutto i giovani. Potrebbe essere un buon momento per valutare l'efficacia dei programmi di educazione sessuale.

25 ottobre 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Le infezioni sessualmente trasmesse (IST) sono in crescita allarmante in Spagna: sono aumentate di 84% negli ultimi 5 anni. I giovani sono i più colpiti da questo tipo di patologia. L'anno scorso sono stati diagnosticati 36.983 casi di clamidia (20,71 PT3T in più rispetto a due anni prima); 34.401 casi di gonorrea (un aumento di 42,61 PT3T); e 10.879 casi di sifilide (un aumento di 24,11 PT3T). Questi dati sono riportati nel rapporto annuale "Infezioni sessualmente trasmissibili Sorveglianza epidemiologica"dell'Instituto de Salud Carlos III.

Numeri così allarmanti dovrebbero indurre l'opinione pubblica a riflettere: cosa sta succedendo, come siamo arrivati a questo punto? Senza dubbio gli stili di vita promossi attraverso i social network o le serie televisive possono spiegare una parte importante del problema. Ecco perché è più che mai necessario offrire un'educazione affettivo-sessuale nelle scuole per dare a bambini, adolescenti e genitori gli strumenti per affrontare questo fenomeno. È quanto sembra voler fare la recente campagna del Ministero dell'Uguaglianza spagnolo, i cui manifesti e pubblicità recitano come segue: 

"Parliamo di pornografia. 90% degli adolescenti consumano pornografia, a partire dall'età di 8 anni. Tuttavia, 90% dei genitori ritiene che i propri figli non guardino pornografia".

È senza dubbio una proposta molto interessante, anche se c'è ancora molta strada da fare per denunciare tutte le cause che ci hanno portato a questo punto: la liberazione sessuale senza limiti, la cultura edonistica, gli attacchi all'autorità genitoriale, ecc. Come dice Juan Manuel de Prada, non possiamo "innalzare troni alle cause e impalcature alle conseguenze".

Affrontare tutte le cause di un problema non è facile. Lo sanno bene gli epidemiologi, che da anni spiegano che la promozione del preservativo aumenta le gravidanze indesiderate e le infezioni sessualmente trasmissibili. Per capire questo fenomeno, basta leggere le istruzioni su una scatola di preservativi. Si legge che i preservativi falliscono tra il 4% e il 7%. E poiché l'uso del preservativo viene pubblicizzato come "sesso sicuro", questa falsa sicurezza porta a un aumento del numero di rapporti e della promiscuità con diversi partner. In altre parole, si moltiplicano le possibilità di rimanere incinta o di contrarre un'infezione. 

Si spera che l'opinione pubblica prenda provvedimenti per migliorare l'educazione affettivo-sessuale. Per il momento, il dibattito su pornografia sembra essere qui per restare e si può dire che sia "mainstream" se è stato acquistato dal Ministero dell'Uguaglianza. 

L'autoreJavier García Herrería

Editore di Omnes. In precedenza, ha collaborato con diversi media e ha insegnato filosofia a livello di Bachillerato per 18 anni.

Stati Uniti

Hosffman Ospino: "La presenza degli ispanici dà vita alla Chiesa".

La Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti ha pubblicato un piano nazionale per il ministero ispanico per rafforzare l'attenzione verso questa comunità, che rappresenta più della metà dei cattolici del Paese.

Paloma López Campos-25 ottobre 2024-Tempo di lettura: 7 minuti

Secondo uno studio condotto dal Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati UnitiLa comunità ispanica rappresenta la grande maggioranza dei cattolici del Paese. Consapevoli di questa realtà, i vescovi statunitensi hanno lanciato un piano nazionale per abbracciare il "momento ispanico" che la Chiesa negli Stati Uniti sta vivendo.

Data la presenza di laici di origine ispanica, il 99 % delle diocesi ha una parrocchia che celebra la Messa in spagnolo. Tuttavia, la presenza di ministeri a orientamento ispanico è molto bassa. Questo è uno degli elementi che il Piano nazionale dei vescovi vuole migliorare per servire meglio i bisogni dei cattolici nelle diocesi.

L'indagine pubblicata dalla Conferenza episcopale mostra che c'è ancora molto lavoro da fare, un'idea con cui concorda Hossfman Ospino, dottore in Teologia. Nei suoi studi, il dottor Ospino ha studiato l'impatto della comunità ispanica nelle parrocchie e nelle scuole, per cui partecipa spesso a qualsiasi tipo di dibattito che abbia a che fare con l'inclusione dei cattolici ispanici.

In questa intervista a Omnes, Ospino fa una radiografia del "momento ispanico", evidenziando i punti di forza e di debolezza dei piani della Conferenza episcopale degli ultimi anni e spiegando l'impatto che la cultura ispanica ha sulla Chiesa cattolica.

Perché è così importante, in questo momento storico, che i vescovi statunitensi elaborino un piano specifico per il ministero ispanico?

-Prima di tutto, va notato che il lavoro che i vescovi stanno svolgendo con la comunità ispanica avrebbe dovuto iniziare 100 anni fa. La popolazione ispanica negli Stati Uniti è cresciuta, soprattutto a partire dagli anni Sessanta. Ogni dieci anni la popolazione ispanica negli Stati Uniti raddoppia e negli anni '60 vivevano in questo Paese circa sei milioni di latinos. Oggi siamo tra i 63 e i 64 milioni.

La maggior parte di questi latinos, soprattutto gli immigrati, si identificano come cattolici. Naturalmente, ci si aspetta che il Comunità cattolica negli Stati Uniti Il piano pastorale per la pastorale ispano-latina per l'anno 2023 non è il primo a farlo. Infatti, nel 1986 è stato redatto anche un piano che è stato il frutto del cosiddetto Terzo Encuentro Nazionale di Ministero Ispanico e che è stato pubblicato nel 1987.

Si trattava di un piano pastorale che, per la prima volta nella storia del Paese, era stato realizzato per rispondere e accompagnare meglio la comunità ispanica. Era in vigore da quasi 35 anni ed era giunto il momento di rinnovarlo. Ora utilizziamo l'esperienza del V Encuentro Nacional de Pastoral Hispana per riprendere alcuni punti e proporre un piano rinnovato.

Quali punti di forza e di debolezza vede nei piani pastorali per il ministero ispanico proposti dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti?

-È molto positivo che le strutture ecclesiastiche guardino al potenziale della comunità ispanica, non solo come comunità da servire, ma come comunità che ha molto da offrire nel processo di rinnovamento ecclesiale e nella costruzione di comunità cattoliche negli Stati Uniti.

La popolazione ispanica è molto giovane, con un'età media di 29 anni. La comunità ispanica è anche molto dinamica, soprattutto a livello di migranti. Abbiamo esperienze cattoliche provenienti da tutto il mondo di lingua spagnola che coincidono in questo Paese. Le persone sono molto entusiaste di venire qui e di avere l'opportunità di vivere e praticare la loro fede.

Il piano pastorale evidenzia compiti urgenti, come l'attenzione ai giovani. 94 % dei giovani latini sono nati negli Stati Uniti. Il piano pastorale sottolinea il ruolo della famiglia, l'importanza della formazione della leadership, la necessità di sacerdoti e consacrati, ecc. Credo che sia molto importante che questo piano proponga un quadro per organizzare la pastorale a diversi livelli.

In termini di critica costruttiva, mi sembra che sia un piano molto lungo e che non stanzi risorse economiche per andare avanti. È molto difficile andare avanti con un piano che chiede alle persone di fare delle cose, ma non stanzia o fornisce le risorse necessarie per portare a termine le azioni. Credo che questa sia stata una delle sfide del piano pastorale pubblicato nel 1987. La visione era molto interessante, ma alla fine l'attuazione è a livello locale e molte diocesi sono in bancarotta. Molte comunità che servono i cattolici ispanici sono anche comunità povere e la comunità ispanica in quanto tale non ha molte risorse finanziarie. Qui sta la grande sfida.

L'altra critica costruttiva che vorrei fare è che gran parte del nuovo piano pastorale ripete l'ovvio. Sottolinea l'evangelizzazione, la formazione, i giovani... Sono cose che le parrocchie fanno già e non c'era bisogno di un piano che dicesse alle parrocchie che devono prestare attenzione a questi aspetti. In questo senso, il piano pastorale è un po' ripetitivo.

Tuttavia, credo che gli aspetti positivi superino quelli negativi, perché è vero che il piano pastorale ci dà un punto di riferimento per organizzare il ministero ispanico.

Quali sono i contributi della comunità ispanica che arricchiscono la vita della Chiesa cattolica negli Stati Uniti?

-Attualmente, circa il 40-45 % di tutti i cattolici degli Stati Uniti sono ispanici. Se la comunità ispanica dovesse scomparire, la Chiesa cattolica del Paese si ridurrebbe letteralmente della metà. La presenza degli ispanici è di per sé rinnovatrice, dà vita alla Chiesa.

Uno dei contributi è la gioventù. La comunità ispanica nella Chiesa cattolica americana ha un'età media di 29 anni, mentre l'età media dei cattolici europei-americani di lingua inglese è di 55 anni, ed è chiaro che il potenziale dei giovani e dei bambini ispanici è impressionante.

In ogni parrocchia in cui esiste un ministero ispanico, la stragrande maggioranza dei battesimi, delle prime comunioni, delle cresime e delle attività giovanili si concentra in modo particolare sulla comunità ispanica. Possiamo dire che questo inietta un'aria di vita nuova, giovane e speranzosa in una Chiesa cattolica euro-americana che sta invecchiando strutturalmente e ha le sue difficoltà ad andare avanti.

In molte parti degli Stati Uniti, parrocchie, scuole e ospedali cattolici stanno chiudendo. Tuttavia, nei luoghi in cui la comunità ispanica è accolta o presente, ci sono segni di vita, rinnovamento e crescita. Penso che questa sia una grande opportunità per costruire la Chiesa.

A parte questo, c'è l'energia e la saggezza degli agenti pastorali nelle comunità ispaniche. Hanno teologi, professionisti con molti doni e molte persone che hanno la capacità di contribuire ad avviare e sostenere progetti.

Nel "momento ispanico" c'è un movimento di rinnovamento che, se la Chiesa istituzionale oserà abbracciarlo, si rinnoverà. Tuttavia, dobbiamo riconoscere che ci sono molti settori della Chiesa cattolica che ancora non si adattano all'idea che la comunità ispanica sta crescendo o che la Chiesa americana sarà sempre più ispanica. Ma se non ci adattiamo, corriamo il rischio di perdere un'intera generazione di cattolici che non trovano il loro posto nella Chiesa non essendo accolti.

Quali indicazioni ci sono nell'attuale piano pastorale per una migliore comprensione della comunità cattolica ispanica?

-Tendo a non considerare questi aspetti dal punto di vista della gerarchia. Per me la gerarchia è generalmente concentrata sugli aspetti programmatici e di costruzione delle istituzioni. A livello gerarchico non vedo grandi cambiamenti, anche se è vero che ora c'è, per esempio, più diversità.

Il piano pastorale è il frutto del discernimento delle comunità ispaniche su ciò che è necessario per le persone di fede, non necessariamente della Conferenza episcopale. I cambiamenti a cui stiamo assistendo sono il frutto di un cambiamento di contesto. Più della metà degli ispanici negli Stati Uniti è nata in questo Paese e questo significa che la Chiesa deve cambiare i suoi campi d'azione per adattarsi alla situazione attuale.

In risposta a ciò, siamo passati da un ministero ispanico che si concentrava principalmente sul servizio alla comunità ispanica a un ministero che serve la comunità ispanica e il resto della Chiesa. Per esempio, i sacerdoti latini non servono più esclusivamente gli ispanici, ma servono l'intera parrocchia. Questo dimostra un cambiamento di mentalità.

Come si fa a svolgere il ministero in una comunità particolare, come quella ispanica, senza favorire la divisione tra i credenti di diverse etnie e provenienze?

-C'è stato un tempo in cui si insisteva molto sui ministeri separati e sulla segregazione delle comunità. Dove c'è segregazione pastorale, c'è segregazione di risorse. Dagli anni '40 in poi, c'è stato uno sforzo soprattutto a livello locale, perché ogni diocesi decidesse come gestire il servizio pastorale ai diversi gruppi.

La tendenza è stata quella di creare parrocchie multiculturali. Ciò implica che il personale parrocchiale deve sviluppare una serie di competenze interculturali, come parlare diverse lingue o saper investire le risorse in modo che tutti i gruppi ne beneficino. Ciò richiede una visione aperta a livello pastorale che vada oltre la separazione dei gruppi.

Non si può negare che le parrocchie più povere abbiano meno risorse. Questo è il tallone d'Achille della pastorale multiculturale. Ci sono parrocchie con più di 50 operatori pastorali, mentre in un'altra parrocchia c'è il parroco e altre due persone. Dobbiamo essere consapevoli che questa realtà influisce sul modo in cui viene svolta la pastorale.

Il ministero ispanico è stato discusso nel processo sinodale statunitense e a quali conclusioni siete giunti?

-I processi delle riunioni di cui il piano pastorale è il frutto sono essi stessi processi sinodali. Comportano consultazione e dialogo. Il piano pastorale per la pastorale ispanica è il frutto di uno sforzo sinodale che ha accompagnato il V Encuentro nazionale per la pastorale ispanica.

I vescovi degli Stati Uniti hanno ripetutamente detto e riconosciuto che la comunità ispanica, nel suo modo di discernere la propria presenza e azione pastorale, lo fa in modo sinodale. Nei Paesi dell'America Latina questo processo sinodale è in corso da molto tempo.

Allo stesso modo, penso che la comunità ispanica sia andata avanti in questi processi sinodali in modo molto umile. Molte comunità sono povere, non hanno alcuna influenza politica o economica. Ma hanno la forza dello Spirito Santo e questo ha permesso loro di creare spazi sinodali di dialogo in cui non ci si aspetta interessi economici o istituzionali, ma piuttosto un sincero desiderio di imparare a creare una Chiesa migliore.

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Spagna

La campagna diocesana per la Giornata della Chiesa si concentra sulle vocazioni

In linea con il Congresso delle vocazioni che si terrà nel febbraio 2025, la Conferenza episcopale spagnola ha scelto lo slogan "E se quello che cerchi fosse dentro di te?" per la campagna diocesana della Giornata della Chiesa.

Paloma López Campos-24 ottobre 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

La mattina del 24 ottobre si è tenuta una presentazione presso la sede di Conferenza episcopale spagnola la campagna diocesana della Giornata della Chiesa. Quest'anno le vocazioni hanno un ruolo centrale, per cui il motto scelto dal Segretariato per il sostegno alla Chiesa è "E se quello che stai cercando fosse dentro di te?

Vicente Rebollo, vescovo di Tarazona e membro della segreteria, José María Albalad, direttore di questa commissione e José Gabriel Vera, direttore dell'ufficio informazioni della Conferenza episcopale.

Mons. Rebollo ha spiegato che la campagna di quest'anno è "incentrata sulle vocazioni", in linea con il congresso vocazionale che si terrà nel febbraio 2025. Inoltre, l'obiettivo della campagna 2024 è quello di incoraggiare tutti i fedeli cattolici a "progredire nel cammino verso le vocazioni". corresponsabilità e sinodalità", dimostrando così che la campagna "è un bene per la Chiesa e per la società".

La società assetata

Con i materiali pubblicati dal segretariato, la Chiesa spagnola vuole rispondere alle esigenze di una "società assetata di vita piena e di vuoti esistenziali". È questa società che la Chiesa "è pronta ad accogliere e servire".

In questa linea si colloca lo slogan della campagna, che vuole porre l'attenzione sul fatto che sebbene "ci siano molte vite vuote, Dio può riempirle tutte". Per dimostrarlo, la campagna della Giornata della Chiesa diocesana mostra la ricerca di sette persone diverse, che finiscono per trovare nella loro vocazione "un dono unico di Dio" che le rende felici. Come ha detto José María Albalad, "ascoltare la chiamata di Dio trasforma l'intera esistenza", non solo quella personale ma anche quella ecclesiale. Secondo le parole del direttore del segretariato, "vivere la propria vocazione ha un impatto diretto sul sostegno della Chiesa".

Le vocazioni come possibilità

Tuttavia, durante la conferenza stampa hanno sottolineato di non aver realizzato "una campagna vocazionale", ma piuttosto di aver esposto "una gamma di possibilità per ogni battezzato di assumere la propria missione di vita".

Sul fronte economico, il Pagina Il sito web della segreteria offre i dati finanziari per il 2023 suddivisi per diocesi. Inoltre, sul sito si possono trovare diverse risorse per prepararsi alla Giornata ecclesiale diocesana (10 novembre).

Vaticano

"Dilexit nos", un ritorno a Gesù Cristo di fronte a spiritualità prive di una relazione personale con Dio.

Papa Francesco pubblica la sua quarta enciclica, "Dilexit nos", sulla devozione al Sacro Cuore di Gesù.

Javier García Herrería-24 ottobre 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

"Dilexit nos" è la quarta Enciclica di Papa Francesco e invita i credenti a rinnovare la loro devozione al Cuore di Gesù. Le parole che danno il titolo al testo sono tratte dalla Lettera di San Paolo ai Romani, quando sottolinea che "Egli ci ha amati" (Rm 8,37), in riferimento all'amore di Cristo per gli uomini.

In occasione del 350° anniversario della prima dimostrazione del Sacro Cuore di Gesù Nel 1673, il Papa, nell'omelia a Santa Margherita Maria Alacoque, si rifà alle riflessioni dei testi magisteriali precedenti e all'esperienza di diversi santi per proporre questa devozione a tutta la Chiesa di oggi. 

L'enciclica sottolinea l'amore di Dio per i suoi figli e lo contrappone ad altre forme di religiosità che si stanno moltiplicando ai nostri giorni "senza riferimento a una relazione personale con un Dio d'amore" (87). Di fronte a queste idee, Papa Francesco propone un nuovo approfondimento dell'amore di Cristo rappresentato nel suo Cuore santo.

L'importanza del cuore

Una volta scoperto l'amore di Cristo dopo l'incontro personale con Lui, l'uomo è capace "di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prendersi cura insieme della nostra casa comune", idee esposte nelle encicliche sociali. Laudato si' ' y Fratelli tutti. Il Papa chiede al Signore di avere compassione e di riversare il suo amore su un mondo che "sopravvive tra guerre, squilibri socio-economici, consumismo e uso antiumano della tecnologia".

Il primo capitolo affronta il rischio di "diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato" (2). Esorta a tornare alle domande fondamentali sul senso della vita, sulle mie scelte e su chi sono davanti a Dio (8).

Il Papa sostiene che l'attuale svalutazione del cuore deriva dal "razionalismo greco e precristiano, dall'idealismo e dal materialismo post-cristiano", che ha enfatizzato concetti come "ragione, volontà o libertà", a scapito del "cuore". Per il Pontefice, invece, dobbiamo riconoscere che "io sono il mio cuore, perché è quello che mi distingue, mi forma nella mia identità spirituale e mi mette in comunione con gli altri" (14). 

Una riflessione sul cuore umano, alla luce del cuore di Gesù e della rivelazione cristiana, può farci uscire dall'individualismo. La spiritualità di molti santi mostra che "davanti al Cuore di Gesù, vivo e presente, la nostra mente, illuminata dallo Spirito, comprende le parole di Gesù" (27). Questa riflessione ha conseguenze sociali, perché il mondo può cambiare "partendo dal cuore" (28).  

Gesti e parole d'amore

Il secondo capitolo analizza diverse scene evangeliche per trarre conclusioni sui gesti e le parole di Cristo, che sono pieni di "compassione e tenerezza" (35). 

Nel terzo capitolo, il Pontefice passa in rassegna le varie riflessioni sul Cuore di Cristo nel corso della storia. Citando l'Enciclica "Haurietis aquas" di Pio XII, spiega il significato di questa devozione, incentrata "sull'amore del Cuore di Gesù Cristo, che non comprende solo la carità divina, ma si estende ai sentimenti dell'affetto umano" (61). Per citare Benedetto XVI, contiene un triplice amore: l'amore sensibile del suo cuore fisico "e il suo duplice amore spirituale, umano e divino" (66).  

Il Cuore di Gesù, sintesi del Vangelo

Le visioni di alcuni santi devoti al Cuore di Cristo "sono dei bei stimoli che possono motivare e fare molto bene", ma "non sono qualcosa che i credenti sono obbligati a credere come se fossero la Parola di Dio". Tuttavia, come ci ricorda Pio XII, non si può nemmeno dire che questo culto "debba la sua origine a rivelazioni private". Al contrario, "la devozione al Cuore di Cristo è essenziale alla nostra vita cristiana, in quanto significa la piena apertura della fede e dell'adorazione al mistero dell'amore divino e umano del Signore, al punto che possiamo affermare ancora una volta che il Sacro Cuore è una sintesi del Vangelo" (83). 

L'esposizione di queste idee permette al Papa di proporre la devozione al Sacro Cuore per contrastare "le nuove manifestazioni di una 'spiritualità senza carne' che si stanno moltiplicando nella società" (87). Al contrario, il Papa propone un'esperienza spirituale personale legata a un impegno comunitario e missionario (91), partendo dalla meditazione del costato trafitto di Cristo e degli enormi frutti spirituali che ha prodotto. 

La devozione dei santi

L'enciclica cita molti santi che hanno condiviso i frutti spirituali della devozione al Cuore di Gesù. Oltre alla già citata Santa Margherita Maria Alacoque, il testo include anche Teresa di Lisieux, Ignazio di Loyola, Faustina Kowalska, Claude de la Colombiere, Francesco di Sales, John Henry Newman, Charles de Foucauld, Paolo VI e Giovanni Paolo II. Sottolinea inoltre l'importanza della Compagnia di Gesù nella diffusione di questa devozione.

Dal Cuore di Cristo a tutti gli uomini

Il quinto e ultimo capitolo approfondisce la dimensione comunitaria, sociale e missionaria della devozione al Cuore di Gesù. Guardando alla storia della spiritualità, il Pontefice ricorda che l'impegno missionario di san Charles de Foucauld lo rese "fratello universale": "lasciandosi plasmare dal Cuore di Cristo, volle accogliere nel suo cuore fraterno l'intera umanità sofferente" (179). 

L'Enciclica ricorda ancora una volta con San Giovanni Paolo II che la consacrazione al Cuore di Cristo "deve essere assimilata all'azione missionaria della Chiesa stessa, perché risponde al desiderio del Cuore di Gesù di diffondere nel mondo, attraverso le membra del suo Corpo, la sua totale dedizione al Regno" (206). Si rivolge anche a San Paolo VI per mettere in guardia dal rischio che nella missione "si dicano molte cose e si facciano molte cose, ma non si riesca a realizzare un incontro felice con l'amore di Cristo" (208). Abbiamo bisogno di "missionari nell'amore, che si lasciano ancora conquistare da Cristo" (209).

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Vaticano

I cardinali Ambongo e Radcliffe protagonisti della fase finale del Sinodo

I briefing sinodali si sono conclusi con una precisazione del cardinale Ambongo, presidente del Simposio delle Conferenze episcopali dell'Africa e del Madagascar, sul diaconato femminile; un'altra dello stesso cardinale su un presunto commento del cardinale eletto p. Radcliffe su ipotetiche pressioni sui vescovi africani; una precisazione di p. Timothy Radcliffe; e la presentazione di oltre mille emendamenti alla bozza finale.

Francisco Otamendi-24 ottobre 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

La Commissione per la comunicazione del Sinodo dei Vescovi ha inviato ai media una comunicazione del Cardinale eletto Timothy Radcliffe OP, riguardante la risposta del Cardinale Fridolin Ambongo, Arcivescovo di Kinshasa (RDCongo), alla domanda di un giornalista durante il briefing di ieri.

Il cardinale eletto p. Radcliffe dice:

"La risposta del cardinale Ambongo non si riferiva all'articolo pubblicato su L'Osservatore Romano, ma a quello di Phil Lawler su Catholic Culture del 17 ottobre. Questo è l'articolo che il Cardinale mi ha mostrato sul suo telefono e di cui abbiamo discusso.

2. La lettura di Lawler dell'articolo dell'Osservatore ha frainteso ciò che avevo scritto. Non ho mai scritto o suggerito che le posizioni assunte dalla Chiesa cattolica in Africa fossero influenzate da considerazioni finanziarie. Ho solo riconosciuto che la Chiesa cattolica in Africa è sottoposta a forti pressioni da parte di altre religioni e di chiese ben finanziate da fonti esterne.

3. Sono molto grato al cardinale Ambongo per la sua esplicita difesa della mia posizione".

Tanto per la nota ufficiale del cardinale eletto p. Radcliffe, che riconosce che "la Chiesa cattolica in Africa è sottoposta a forti pressioni da parte di altre religioni e chiese".

Cosa ha detto il cardinale Ambongo

Per comprendere meglio questa nota, è utile sapere cosa è successo alla conferenza stampa del giorno prima.

Durante la conferenza stampa di ieri al Sinodo, un giornalista ha chiesto al cardinale Fridolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa (RDCongo) e membro del Consiglio dei cardinali (C9) che consiglia il Papa sul governo della Chiesa: "Eminenza, sull'Osservatore Romano, p. Radcliffe ha fatto un commento sulla risposta di 'Fiducia Suplicans', in cui ha menzionato il denaro proveniente dalla Russia e dai Paesi del Golfo, che ha a che fare con la risposta africana a 'Fiducia Suplicans'. Radcliffe ha fatto un commento sulla risposta di 'Fiducia Suplicans', in cui ha menzionato il denaro proveniente dalla Russia e dai Paesi del Golfo, che ha a che fare con la risposta africana a 'Fiducia Suplicans'. Può dirci qualcosa? Perché lei è stato coinvolto nella risposta.

Il cardinale Ambongo aveva già risposto alla domanda sul diaconato femminile, che è stata ripetuta in quasi tutti i briefing, e che vedremo tra poco, ed è riuscito a sviare la domanda, tra l'altro perché probabilmente nessuno, o pochissimi, conoscevano l'articolo citato dall'Osservatore Romano.

"Non riconosco p. Radcliffe in quello che abbiamo letto".

Tuttavia, ha affrontato la questione e ha risposto come segue, secondo le note personali: "È importante chiarire le cose, perché altrimenti la gente pensa che stiamo nascondendo qualcosa. Abbiamo letto anche questo articolo, in cui ci si accusa di aver ottenuto denaro dalla Russia, dalle monarchie del Golfo e dagli Stati Uniti attraverso le chiese pentecostali.

"Tuttavia", ha aggiunto il cardinale di Kinshasa, "noi siamo nel Sinodo, e seguiamo la predicazione e gli insegnamenti di padre Radcliffe (cardinale eletto), e non riconosco affatto padre Radcliffe in ciò che abbiamo letto scritto in quell'articolo".

"Oggi p. Radcliffe è venuto a trovarmi perché aveva letto l'articolo di ieri, ed era scioccato (shocked) di leggere queste cose attribuite a lui. E siccome è il loro lavoro di giornalisti dire le cose giuste", rispondo che "p. Radcliffe non ha mai detto questo, non corrisponde minimamente alla sua personalità".

Il cardinale Ambongo ha poi ribadito: "Vi assicuro che questo non corrisponde a quanto può aver detto padre Radcliffe. Non so chi abbia scritto questo articolo. Credo che l'intenzione di questo articolo fosse quella di creare un incidente. Fortunatamente non è successo.

Agenzia Vaticana: è stato pubblicato su "The Tablet", tradotto in italiano e ristampato.

In seguito alla sequenza, poche ore dopo, l'agenzia ufficiale vaticana, sul suo cronaca Sul briefing della giornata al Sinodo e sulle domande poste dalla stampa, ha riferito così: "Un'altra domanda ha poi ruotato intorno alle riflessioni del teologo Timothy Radcliffe, pubblicate su 'The Tablet' in aprile, tradotte in italiano nel numero di luglio della rivista 'Vita e pensiero' e riprodotte sull'Osservatore Romano del 12 ottobre, in cui si citano le "forti pressioni degli evangelici, con soldi americani; dagli ortodossi russi, con soldi russi, e dai musulmani, con soldi dei ricchi Paesi del Golfo" a cui sarebbero stati sottoposti i "vescovi africani".

"Non riconosco affatto padre Radcliffe in ciò che è stato scritto", ha detto il cardinale Ambongo Besungu, riferendosi a un incontro in cui il teologo si è detto "scioccato" dalla pubblicazione di "cose di questo tipo attribuite a lui". Padre Radcliffe non ha mai detto questo", ha ribadito il porporato africano".

Come è noto, la Dichiarazione Fiducia suplicans ha aperto la porta alla "possibilità di benedire coppie in situazioni irregolari e coppie dello stesso sesso", a determinate condizioni. Tuttavia, il cardinale Ambongo ha sostenuto che la riflessione sulla "Fiducia supplicans" continuerà nelle Chiese africane, che ribadiscono la loro "incrollabile adesione" al Papa, ma ha sottolineato la libertà di scelta di ogni vescovo nella propria diocesi, ha riferito. Notizie dal Vaticano.

Il card. Ambongo: nei primi secoli era diverso

Prima di questa domanda, un altro giornalista ha chiesto al cardinale Ambongo del diaconato femminile e la sua risposta ha fatto luce, forse in linea con quanto detto poche ore prima dal cardinale Fernández, sul pensiero di Papa Francesco in merito: egli ritiene che "al momento la questione del diaconato femminile non è matura e ha chiesto che non ci si soffermi ora su questa possibilità".

Il cardinale di Kinshasa ha sottolineato che nei primi secoli del cristianesimo c'erano donne diacono, "ma erano legate al servizio, non era la prima tappa del sacerdozio".

La Commissione studierà la questione teologica e noi ci atterremo a ciò che dice il Santo Padre", ha detto.

Cardinale Prevost, e documento finale

Nell'ultimo briefing, il Prefetto del Dicastero per i Vescovi, il Cardinale Robert Prevost, ha sottolineato nelle sue risposte a diverse domande che la selezione dei vescovi è stata discussa al Sinodo, e continuerà ad esserlo, e che l'autorità è il servizio. Ha anche aggiunto che l'autorità dottrinale delle Conferenze episcopali ha dei limiti e non è autonoma, e deve essere coerente con la Sede di Pietro.

Tra oggi, domani e dopodomani si svolgerà la fase degli emendamenti alla bozza del documento finale (ne sono già stati presentati più di mille), secondo il prefetto del Dicastero per la Comunicazione, Paolo Ruffini, ed è molto probabile che il documento finale venga approvato sabato mattina, per essere inviato a Papa Francesco.

L'autoreFrancisco Otamendi

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