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Il Papa in Libano: un messaggio di pace

Il Papa in Libano è un messaggio di pace e di convivenza in un Paese ferito dalla crisi, dove santi e santuari interculturali ispirano l'unità tra cristiani e musulmani.

Gerardo Ferrara-26 novembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Dal 30 novembre al 2 dicembre 2025 Papa Leone XIV compirà il suo primo viaggio apostolico internazionale in Turchia e Libano. La notizia ovviamente ha fatto il giro del mondo: il Paese dei Cedri è una terra martoriata, ma anche un luogo dal valore simbolico unico. “Il Libano è un messaggio, […] e questo messaggio è un progetto di pace. La sua vocazione è quella di essere una terra di tolleranza e di pluralismo, un’oasi di fraternità dove religioni e confessioni differenti si incontrano, dove comunità diverse convivono anteponendo il bene comune ai vantaggi particolari”, aveva affermato Papa Francesco nel 2021, indicando la vocazione e la missione di questo piccolo Paese.

Il contesto, tuttavia, è quello che conosciamo: soffocato dal 2019 da una devastante crisi economica, con inflazione record, servizi al collasso e una popolazione stremata dall’emigrazione di massa, il Libano fatica a trovare soluzioni condivise, anche a causa della sua politica spesso immobilizzata dal rigido sistema confessionale che assegna le cariche in base all’appartenenza religiosa. Eppure, continua ad essere un laboratorio di convivenza in cui cristiani e musulmani vivono, malgrado tutto, fianco a fianco.

Già in altri articoli Per Omnes, ho affrontato il tema della ricchezza dell'identità plurale del Libano, radicata nella tradizione cristiana orientale, nonché i rischi del suo collasso. politico e economico. Ora, con la visita del Papa, questi elementi si uniscono a una dimensione spirituale incarnata nei santi e nei loro santuari.

Santi e santuari “ambigui”

A questo fenomeno ho dedicato uno studio accademico intitolato: “Il Libano con i suoi santi e santuari ‘ambigui’: un laboratorio di evangelizzazione in un mondo transculturale?”, presentato al 14° Seminario professionale sugli uffici di comunicazione della Chiesa, presso la Pontificia Università della Santa Croce.

Nel mio articolo ho analizzato il fenomeno dei cosiddetti santuari “ambigui”: luoghi di culto che, pur appartenendo a una tradizione religiosa precisa, sono frequentati e venerati da fedeli di altre fedi. In Libano questo accade in particolare con tre figure centrali della spiritualità maronita: San Charbel Makhlûf (1828 – 1898), Santa Rafqa al‑Rayès (1832 – 1914) e San Nimatullah al‑Hardinī (1808 – 1858).

Nati in villaggi del Libano settentrionale, vissero vite semplici, segnate da preghiera, insegnamento e sacrificio. Nimatullah, canonizzato nel 2004, fu maestro di teologia e guida spirituale; Rafqa, proclamata santa nel 2001, incarnò la fede trasformando la sofferenza in testimonianza; Charbel, elevato agli altari nel 1977, divenne celebre solo dopo la morte per i miracoli e il corpo incorrotto che ancora oggi trasuda olio taumaturgico.

I loro santuari, soprattutto quello di San Charbel ad Annaya, sono mete di pellegrinaggi che travalicano i confini confessionali. Migliaia di cristiani di diverse denominazioni, ma anche musulmani sciiti e sunniti, drusi vi si recano ogni anno per chiedere guarigioni, pregare, lasciare ex-voto.

Il “vivere insieme”: un bene comune

Questa devozione condivisa evoca il concetto arabo di ‘aysh al-muštarak’, il “vivere insieme”, che ha caratterizzato la storia libanese per secoli. Già in epoca islamica e poi ottomana, i luoghi santi cristiani erano frequentati dai musulmani, che riconoscevano in essi la «baraka», la benedizione divina trasmessa attraverso i «walī Allah» (“amici di Dio”).

Nonostante la nascita dei nazionalismi e le guerre civili del XX secolo, questo “dialogo dei fedeli” non si è mai spezzato. È un dialogo che non nasce da summit o incontri diplomatici, bensì dalla vita quotidiana, da gesti concreti di pietà popolare che uniscono comunità divise. È qui che il Libano si rivela davvero “messaggio di pace”: nel fatto che la fede popolare ha mantenuto legami dove la politica ha fallito.

Tre santi “eroici” e i pellegrinaggi alle loro tombe

Charbel, Rafqa e Nimatullah sono definiti santi “eroici” non per imprese spettacolari da essi compiute, ma per la radicalità evangelica che hanno incarnato. Le loro vite sono diventate modelli morali e spirituali per l’intero popolo libanese. Molti musulmani raccontano sogni in cui San Charbel appare come intercessore di pace, altri testimoniano guarigioni straordinarie. Rafqa è venerata poi come esempio di resilienza, Nimatullah (che fu maestro di Charbel) come maestro di vita spirituale.

Questi santi sono figure che trascendono i confini religiosi: non rappresentano solo l'identità maronita, ma una santità che parla a tutti, costruendo una «communitas» che supera le divisioni.

Il pellegrinaggio (ziyārah: in arabo “visita”) è una pratica comune alle grandi religioni monoteiste. In Libano assume un carattere particolare: il fedele musulmano che accende una candela davanti all’icona di San Charbel, compie riti di “deambulazione”, unzione o altro sulle tombe anche di Rafqah o Nimatullah, non fa un gesto di curiosità, ma esprime una fede genuina. In quelle pratiche – toccare reliquie, pregare per la guarigione, lasciare offerte – si manifesta un linguaggio universale, capace di oltrepassare le barriere.

Questa dimensione “ambigua”, lungi dall’essere una minaccia all’identità, si rivela una risorsa. È un’esperienza di transculturalità e perfino di “transreligiosità”, che mostra come il sacro possa essere ponte e non muro. Proprio per questo i santuari libanesi diventano segni concreti di speranza in un Medio Oriente lacerato.

Conflitto, elezioni e disarmo: il Libano sotto osservazione

Negli ultimi mesi, il Libano è stato al centro delle tensioni internazionali. Il conflitto tra Israele e Hezbollah ha vissuto un'escalation tra il 2023 e il 2024, con l'intervento diretto del gruppo sciita libanese insieme alle fazioni palestinesi, che ha portato a un accordo di cessate il fuoco il 27 novembre 2024.

Nel 2025, l’attenzione si è spostata sulla politica interna: il Parlamento ha eletto il maronita Joseph Aoun alla presidenza, ponendo fine a oltre due anni di vuoto istituzionale.

L’obiettivo dichiarato del nuovo governo è rafforzare lo Stato e riprendere il controllo di tutto il territorio. In questo contesto, è stato approvato un piano ambizioso per il disarmo della milizia Hezbollah, con l’obiettivo di rendere le forze armate dello Stato l’unico detentore di armi entro la fine del 2025. Hezbollah, pur fortemente indebolita dagli scontri con Israele, continua a rifiutare il disarmo totale se Israele non ritirerà del tutto le sue truppe.

Questo scenario, ovviamente, pregiudica la già delicata situazione del Paese: la sfida non è soltanto geopolitica, ma anche simbolica. Il Paese è a un bivio, con la sfida difficilissima di tradurre il pluralismo in reale sovranità statale, con l’esempio tuttavia di una testimonianza di unità che i santi libanesi, e la cultura “orientale” (siriaca) condivisa, hanno iniziato da decenni.

Evangelizzazione e comunicazione

L’esperienza dei santi libanesi dimostra che la comunicazione della fede non si riduce a trasmettere concetti astratti, ma significa soprattutto creare legami, intessere relazioni. Come ho sottolineato nel contesto accademico del Seminario della Santa Croce, si tratta di una vera e propria pre-evangelizzazione: un terreno fertile che prepara i cuori ad accogliere il Vangelo.

In un mondo polarizzato e frammentato, dove spesso la comunicazione si riduce a slogan, i santuari “ambigui” mostrano un’altra via: che la fede autentica non divide, ma genera incontro; che il sacro non è proprietà esclusiva di una comunità, ma può diventare terreno comune di fraternità e valori condivisi.

Il Libano, con la sua esperienza fragile ma tenace, resta dunque un laboratorio di pace e di convivenza. Il viaggio del Papa non sarà solo una visita pastorale, ma un riconoscimento di questa vocazione unica: ricordare al mondo che l’incontro con Dio genera anzitutto l’incontro tra gli uomini.

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Evangelizzazione

Eloy Gesto avvia a Santiago un dialogo tra fede, comunicazione e leadership

Il 12 e 13 dicembre si terrà a Santiago de Compostela l'evento “La comunicazione è più che parole”, volto a sviluppare il potenziale umano da una prospettiva di valori cristiani. Il direttore della Scuola Inventa, Eloy Gesto, spiega a Omnes l'incontro, al quale partecipano Juan Manuel Cotelo, José Ballesteros e Carlos Roca.

Francisco Otamendi-26 novembre 2025-Tempo di lettura: 6 minuti

Negli ultimi 14 anni, la Escuela Inventa, diretta da Eloy Gesto, ha accompagnato più di quattromila professionisti, imprenditori e docenti nel loro sviluppo comunicativo. Sono stati organizzati 24 eventi, più altri tre di grande portata. Ora, Inventa e Nuntiare propongono un dialogo tra fede, comunicazione e leadership umana al servizio del bene comune, nella 25a edizione di “La comunicazione è più che parole”. Si terrà il 12 e 13 dicembre a Santiago de Compostela.

A questo evento, con una variegata combinazione di formati, parteciperanno il regista Juan Manuel Cotelo, con la proiezione del suo film ‘El mayor regalo’ (Il dono più grande). José Ballesteros, esperto di leadership. E Carlos Roca, comunicatore e creatore del famoso podcast La Roca Project.

Ciò che distingue gli eventi di Eloy Gesto e del suo team dagli altri, in particolare dal 2021, è il processo di profonda conversione che ha vissuto il direttore di Inventa e che ha comportato un cambiamento radicale nell'approccio della sua scuola. Da allora, Cristo occupa un posto centrale nei suoi eventi. Ora afferma: “Noi cristiani tendiamo a nascondere Cristo, perché siamo diventati tiepidi per paura e rinunciamo alla verità”.

Lo spiega Eloy Gesto, professionista della comunicazione, insieme alla genesi dell'evento.

Dove si trova il centro operativo di Escuela Inventa?

- Il centro operativo di Scuola Inventa Si trova a Santiago, in Galizia. Dato che sei in periferia, la gente ti chiede: "Ehi, quando andrete a Madrid o Barcellona...?" No, questo tipo di formazione la facciamo a Santiago, perché la gente lo apprezza, avere un posto più tranquillo, perché è una formazione molto intensiva e la gente lo apprezza. L'evento di dicembre si terrà presso l'Auditorium ABANCA, a Santiago.

La nota sull'evento parla di ‘La comunicazione al servizio dell'anima’. È molto probabile che abbia a che fare con la sua storia personale.

- Se può essere d'aiuto, c'è un articolo che racconta la mia storia. Il lato personale. A questo proposito, il fatto è che non sto pensando alle cose come a un'impresa, in termini di redditività, ma sto pensando alla missione.

Sono figlio di un orafo, di un artigiano, di un artista. Mio padre era un vero artista, ma un disastro come imprenditore. Noi non abbiamo il talento imprenditoriale, abbiamo il talento artistico. Infatti, mi piace molto fare orafa della comunicazione, scolpire la comunicazione delle persone.

La Scuola Inventa è nata nel 2011 e organizziamo workshop, seminari professionali ed eventi di comunicazione, ai quali partecipano migliaia di persone, anche di grande rilievo. Ci sono stati diversi momenti salienti. Abbiamo avuto relatori di spicco nel campo dell'intelligenza emotiva, della psicologia positiva, dell'imprenditoria e dello sviluppo professionale e personale. E le persone, i partecipanti, sono assetati, sono alla ricerca, è una realtà.

Eloy Gesto, al centro, durante uno degli eventi di comunicazione della Escuela Inventa @EscuelaIventa.

E poi cosa è successo, cosa stava succedendo nel suo settore?

– Il problema è che lavoro in un settore in cui la crescita personale, l'arte oratoria e la comunicazione sono influenzate da correnti di new age e stoiche. In questo momento stanno proliferando sotto le pietre guru, coach, eccetera, e questo ha una conseguenza: aumenta l'insensatezza di ciò che facciamo.

Sono versioni molto egocentriche, molto orientate ai risultati economici, ma poco alla qualità, alla creazione di un tessuto sociale, al bene comune, di questo molto poco.

Cosa succede? Alla fine c'è una premessa di fondo che è errata. Lo sviluppo delle proprie capacità si basa su tre principi: autosufficienza, superamento di sé e autosviluppo.

Trasferendo l'idea che le persone possano svilupparsi da sole. Con un'apparenza di coraggio, quando in realtà ciò che si fa è alimentare l'arroganza, si mette Dio da parte e si finisce per diventare un piccolo dio. Questa è la dinamica del settore in cui opero, lo sviluppo professionale delle competenze, delle capacità..., in cui questa è la corrente maggioritaria. 

Raccontaci la tua riflessione.

– Nel 2014, a uno di questi eventi, a cui hanno partecipato centinaia di persone, erano presenti relatori di spicco come Mario Alonso Puig, Pilar Jericó, Alex Rovira, Raimon Sansó, Alejandra Vallejo-Nágera, non María, sua sorella, o Irene Villa e altri. Dopo quei due giorni molto motivazionali, le persone, apparentemente, tornavano a casa motivate.

Loro avevano vissuto quell'esperienza intensa, ma a me cosa era successo? Avevo un enorme vuoto dentro di me. E dissi alla mia socia: non so cosa mi stanno mostrando le persone. Le persone cercano, tutti abbiamo fame, anch'io ho fame, ma cosa stiamo dando alle persone? E mentre alcuni se ne andavano felici, io avevo la sensazione di aver sbagliato, che quella non fosse la strada giusta. Tutto questo nonostante le buone intenzioni. Sapevo che la strada era incompleta.

È arrivata allora la sua conversione?

— No, quello non è stato il momento della conversione. Mi ci sono voluti sette anni per riconoscere Dio e aprire il mio cuore alla verità. Ciò è avvenuto sette anni dopo, il 1° gennaio 2021, in un momento di dolore personale, in cui Dio si è manifestato chiaramente nella mia vita. E da quel momento tutto è cambiato. Si è verificata una profonda conversione, una luce.

Da allora, Cristo occupa e costituisce l'elemento centrale della mia vita e dei progetti che realizzo. Sta trasformando tutto e sta cambiando completamente il mio approccio.

Non cerco di convincere nessuno, ma non lo nascondo nemmeno. Proprio come altri praticano la consapevolezza, la meditazione o altre cose, anch'io ho il diritto di farlo.

Qual è la cosa più sorprendente? È vero che in alcuni casi, queste persone che si trovano in luoghi diversi, si spaventano. Sì. Ma la maggioranza non è così. La maggioranza ti ascolta. 

Forse può raccontarci qualche caso reale.

– Proprio stamattina. Stavo ascoltando la testimonianza di un ragazzo di 27 anni. Gli parlavo di Dio quando veniva qui, e lui era in un processo di autosufficienza, quella visione stoica degli imprenditori che possono tutto, possono persino viaggiare a Bali, queste cose che vanno di moda, il miglioramento personale, ecc., quei stereotipi giovanili... 

E adesso sta andando in chiesa, ha lasciato un progetto imprenditoriale che aveva, con un chiaro profilo new age, e se n'è reso conto. Intorno alla Escuela Inventa vediamo molte persone che si stanno ponendo delle domande, per questa inquietudine Dio ci sta usando come veicolo...

Ne abbiamo parlato con un direttore spirituale di qui, don José María, che è l'arciprete di Santiago, e siamo tutti sorpresi e ci chiediamo per quanto tempo Dio ci permetterà di continuare a fare tutto questo.

Abbiamo il coraggio di parlare della verità e di Cristo?

– Questo è il problema. Noi cristiani tendiamo ad addolcire e nascondere Cristo, perché siamo diventati tiepidi per paura e rinunciamo alla verità. Anch'io ho paura, eh, non illudiamoci, e ho bisogno di quella forza per mostrarlo. Ma qual è la nostra responsabilità? Annunciare il Vangelo ovunque ci troviamo. 

I primi tentativi che abbiamo fatto hanno portato alla nascita del progetto A la luz de la Palabra (Alla luce della Parola) e all'organizzazione di un evento di evangelizzazione, Nuntiare, che si è tenuto nel dicembre 2023, durante il quale sono state presentate relazioni ispirate a brani del Vangelo.

È andata bene. Ma il nostro pubblico, quello che abbiamo raggiunto, era prevalentemente cristiano. Allora,

Dopo averne discusso con il direttore spirituale, abbiamo pensato che fosse necessario fondere queste due cose, il progetto Nuntiare e la Scuola Inventa. 

Vogliono raggiungere anche un pubblico non credente...

– Sì. Con questa fusione, ora stiamo facendo un salto verso questa versione di ‘La comunicazione è più che parole’. Vogliamo raggiungere anche un pubblico prevalentemente non credente, dove attraverso questi valori cristiani e questi relatori, in un mondo di sviluppo personale e professionale, ci sia un primo annuncio chiaramente di missione. E questa è la versione matura di tutto questo processo che Dio ci sta permettendo di vivere, non sappiamo per quanto tempo.

Infatti, come riportato nel programma, questa edizione gode del sostegno della Delegazione di Primo Annuncio dell'Arcidiocesi di Santiago de Compostela, attraverso D. Javier García, e della direzione spirituale di D. José María Pintos, arciprete di Santiago.

Informazioni pratiche

Questo conclude la conversazione con Eloy Gesto. L'evento è senza scopo di lucro. Potete trovare qui informazioni pratiche per partecipare dal vivo all'incontro, che si terrà presso l'Auditorium ABANCA, Santiago de Compostela, il 12 e 13 dicembre 2025. Contatto: [email protected], 696 936 279.

L'autoreFrancisco Otamendi

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Vaticano

7 punti chiave del documento vaticano sulla monogamia

Il Vaticano ritiene che il testo possa costituire per i movimenti e i gruppi matrimoniali un materiale vario e utile per lo studio e il dialogo.

Redazione Omnes-25 novembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Il Vaticano ha presentato oggi, 25 novembre 2025, il documento annunciato “Una cara: Elogio della monogamia”. Si tratta di una Nota dottrinale sul valore del matrimonio come unione esclusiva e appartenenza reciproca. Al momento, il documento è disponibile solo in italiano, in attesa delle traduzioni nelle principali lingue.

1. Il documento non riguarda la poligamia.

Il testo è stato presentato dal cardinale Fernández, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Monsignor Fernández ha spiegato che, propriamente parlando, “non si tratta di un documento sulla poligamia, bensì sulla monogamia”, ovvero che si concentra su una riflessione sulla proprietà dell'unità nel matrimonio, l'unione tra uomo e donna. 

Tuttavia, il cardinale ha riconosciuto che l'origine di questa riflessione è dovuta alla richiesta di alcuni vescovi africani che desideravano un argomento convincente per incoraggiare i fedeli delle loro diocesi a vivere la monogamia. 

2. Si argomenta sulla base delle Scritture, ma anche della cultura

L'intento fondamentale di questa Nota dottrinale è propositivo: trarre dalle Sacre Scritture, dalla storia del pensiero cristiano, dalla filosofia e persino dalla poesia ragioni e motivazioni che spingano a scegliere un'unione d'amore unica ed esclusiva.

Il Vaticano sostiene che la monogamia non è un valore vero perché rivelato, ma è una convinzione naturale che si esprime spesso nella cultura, poiché è inscritta nella natura di ogni essere umano.

3. Un documento su cui lavorare a fondo

Il Vaticano ritiene che il testo possa costituire per i movimenti e i gruppi matrimoniali un materiale vario e utile per lo studio e il dialogo.

4. Il matrimonio è totalizzante

L'unione matrimoniale è esclusiva e totalizzante, poiché l'uomo e la donna sono una sola carne. Ciò implica una donazione totale del tempo, della casa, dei progetti, dell'intera persona e del corpo. La donazione sessuale sarebbe falsa se non fosse accompagnata da una donazione personale totale in tutti gli ambiti della vita.

L'unità matrimoniale si rafforza nella pratica della carità attraverso gesti quotidiani come ascoltare, aiutare, incoraggiare, consolare, valorizzare e ringraziare. Inoltre, la carità coniugale richiede di vivere nella verità: la trasparenza e l'onestà sono pilastri irrinunciabili.

5. Il matrimonio, una chiamata alle vette più alte della santità

Il documento sottolinea che l'amore coniugale per i cristiani è sempre chiamato a raggiungere le vette della carità, quell'amore soprannaturale che “tutto perdona, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13,7). La carità è l'anima dell'unità matrimoniale, non essendo solo un sentimento, ma la virtù teologale che rende possibile amare con un amore gratuito, fedele, generoso e capace di donarsi totalmente. Questo amore soprannaturale è un dono divino che perfeziona la grazia propria del sacramento del Matrimonio.

6. I coniugi devono pregare insieme

Il documento sottolinea che la preghiera comune è uno dei più alti atti di carità coniugale, e l'Eucaristia, sacramento dell'amore di Cristo, è fonte di questa unità. 

7. La monogamia non è endogamia

Infine, il testo mette in guardia contro il rischio dell“”endogamia“, cioè di un ”noi» chiuso, che può ferire mortalmente la carità. La carità coniugale ha una dimensione missionaria e l'unità vissuta diventa testimonianza. Questa apertura si manifesta in quattro fattori chiave: gli spazi individuali di ciascun coniuge, la dimensione procreativa, la condivisione con altre coppie sposate e il senso sociale della coppia, manifestato in particolare nell'attenzione verso i poveri.

Evangelizzazione

La vera devozione alla Santissima Vergine

Il "Trattato della vera devozione alla Santissima Vergine" rivela il ruolo essenziale di Maria nel piano di salvezza e nel cammino sicuro verso Cristo.

José Miguel Granados-25 novembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Il Trattato della vera devozione alla Santissima Vergine. Preparazione al regno di Gesù Cristo, capolavoro della pietà mariana e della teologia cattolica, fu pubblicato per la prima volta nel 1843, centoventisette anni dopo la morte del suo autore, il sacerdote francese san Luigi Maria Grignion de Monfort (1673-1716). La ricchezza del testo scaturisce dalla Sacra Scrittura, dai Padri della Chiesa e dalla Tradizione viva della Chiesa, attraverso la profonda esperienza spirituale e mistica del santo, nonché dalla maturità della sua azione missionaria.

San Giovanni Paolo II – che avviò il processo per la dichiarazione di san Luigi Maria dottore della Chiesa – testimoniava, nel suo libro-intervista con André Frossard, Non abbiate paura (1983): “La lettura di quel libro ha segnato nella mia vita un cambiamento radicale e definitivo”.

E nel suo dialogo con Vittorio Messori, raccolto nel volume Varcare la soglia della speranza (1994), parlava del suo motto episcopale, ispirato al Trattato (“Sono tutto tuo, e tutto ciò che ho è tuo, o mio gentile Gesù, per Maria tua santissima Madre”): “Totus tuus. Questa formula non ha solo una caratteristica di pietà, non è una semplice espressione di devozione: è qualcosa di più. Grazie a san Luigi Maria Grignion de Montfort ho compreso che la vera devozione alla Madre di Dio è essenzialmente cristocentrica e, inoltre, profondamente radicata nel Mistero trinitario di Dio e nei misteri dell'Incarnazione e della Redenzione”. 

Riportiamo ora un breve elenco di alcune sentenze della splendida dottrina mariologica contenuta nel Trattato di San Luigi Maria.

Mediatrice e dispensatrice di grazia

Ispirandosi all'etimologia del nome della Madre di Gesù, l'autore afferma poeticamente: “Dio Padre creò un serbatoio di tutte le acque e lo chiamò mare. Creò un serbatoio di tutte le grazie e lo chiamò Maria” (n. 23). In modo più teologico, constata la scelta divina di Maria come amministratrice dei meriti della redenzione di suo Figlio: “Dio Spirito Santo ha comunicato i suoi doni a Maria, sua fedele Sposa, e l'ha scelta come dispensatrice di tutto ciò che possiede. Lei distribuisce a chi vuole, quanto vuole, come vuole e quando vuole tutti i suoi doni e le sue grazie” (n. 25). Lei è stata quindi costituita “tesoriera delle sue ricchezze, dispensatrice delle sue grazie, realizzatrice dei suoi prodigi, riparatrice del genere umano” (n. 28).

È veramente Madre di Dio e della Chiesa, poiché “nell'ordine della grazia, il Capo e i membri nascono dalla stessa madre” (n. 32). Il suo intervento è indispensabile per seguire Cristo, così che “nessuno può giungere a un'intima unione con Nostro Signore e a una perfetta fedeltà allo Spirito Santo senza una strettissima unione con la Santissima Vergine” (n. 43). 

In Maria si realizza finalmente il sogno del Signore, poiché la Santissima Trinità riposa come in un paradiso nel suo cuore fedele, completamente fiducioso nelle promesse divine e totalmente docile all'azione del Paraclito. Per questo ha voluto costituirla canale dell'acqua viva e soprannaturale dello Spirito Santo: “Solo per mezzo di Lei hanno trovato grazia davanti a Dio tutti coloro che dopo di Lei l'hanno trovata, e solo per mezzo di Lei la troveranno tutti coloro che la troveranno in futuro” (n. 44).

Il sacerdote francese constata che l'invocazione e l'imitazione della prima e migliore discepola di Cristo è la via seguita dai cristiani che hanno incarnato pienamente il Vangelo nella storia della Chiesa: “i santi più grandi, le persone più ricche di grazia e virtù, sono i più assidui nell'implorare la Santissima Vergine e nel contemplarla sempre come il modello perfetto da imitare e l'aiuto efficace che deve soccorrerli” (n. 46).

Afferma inoltre l'universalità della singolare e specialissima cooperazione della Santissima Vergine nell'opera della redenzione: “La salvezza del mondo è iniziata per mezzo di Maria e per mezzo di Lei deve raggiungere la sua pienezza” (n. 49); “Maria, rimanendo perfettamente fedele a Dio, è diventata causa di salvezza per sé e per tutti i suoi figli e servi, consacrandoli al Signore” (n. 53).

La missione di Maria

Il ruolo di Maria nella Chiesa consiste nel facilitare l'unione dei redenti con il Redentore, suo divino Figlio. Ella ci conduce direttamente a Gesù: “Maria è il mezzo più sicuro, facile, breve e perfetto per arrivare a Gesù Cristo” (n. 55). A sua volta, la volontà del suo divino Figlio è quella di contare sulla sua beata madre per portare a tutti i frutti del suo sacrificio pasquale: “La tendenza più forte di Maria è quella di unirci a Gesù Cristo, suo Figlio, e la tendenza più viva del Figlio è che noi andiamo a Lui attraverso la sua santissima Madre. Per questo la Santissima Vergine è la via per arrivare al Nostro Signore” (n. 75).

Il santo afferma che, secondo i piani del Signore, “abbiamo bisogno di un mediatore davanti al Mediatore stesso e che l'eccelsa Maria è la più adatta a svolgere questo compito caritatevole. Per mezzo di Lei Gesù Cristo è venuto a noi, e per mezzo di Lei dobbiamo andare a Lui. Lei è così potente che le sue richieste non sono mai state ignorate” (n. 85). E conclude: “Per arrivare a Gesù Cristo bisogna andare a Maria, nostra Mediatrice di intercessione.

Per arrivare al Padre bisogna andare al Figlio, nostro Mediatore di redenzione” (n. 86). Allo stesso modo, afferma che, nella nostra condizione di natura decaduta e indebolita dal peccato, “è difficile perseverare nella grazia, a causa dell'incredibile corruzione del mondo. Solo la Vergine fedele, contro la quale il serpente non ha potuto nulla, compie questo miracolo a favore di coloro che la servono al meglio delle loro possibilità” (n. 89).

In definitiva, come affermò Giovanni Paolo II, “mettendo in relazione la Madre di Cristo con il mistero trinitario, Montfort mi ha aiutato a comprendere che la Vergine appartiene al piano di salvezza per volontà del Padre, come Madre del Verbo incarnato, che ha concepito per opera dello Spirito Santo. Ogni intervento di Maria nell'opera di rigenerazione dei fedeli non è in competizione con Cristo, ma deriva da lui ed è al suo servizio.

L'azione che Maria compie nel piano di salvezza fa direttamente riferimento a una mediazione che si realizza in Cristo” (Discorso, 13-10-2000). La Chiesa riconosce la “mediazione materna” di Maria e la venera come “madre spirituale dell'umanità e avvocata di grazia” (cfr. Lettera enciclica Redemptoris mater, 25-3-1987, nn. 38-49). Pertanto, il cammino spirituale del fedele consiste nel “configurarsi a Cristo con Maria” (cfr. Lettera enciclica Rosarium Mariae Virginis, 16-10-2002, n. 15).

FirmeBryan Lawrence Gonsalves

L'appuntamento perfetto

Se la comunione è il destino, la comunicazione deve essere l'inizio: ecco perché il primo appuntamento deve concentrarsi sul parlare, non sull'intrattenimento.

25 novembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Tutti hanno un appuntamento almeno una volta nella vita. A volte, entrambe le persone sanno che si tratta di un appuntamento. Spesso, solo uno dei due crede che si tratti di un appuntamento, mentre l'altro lo considera un incontro casuale. In alcuni casi più rari, entrambe le persone sanno che si tratta di un appuntamento e ci sono elementi romantici coinvolti, ma nessuna delle due parti usa la parola «appuntamento». Tuttavia, il punto è che, in modo indiretto o diretto, tutti hanno almeno un appuntamento con connotazioni romantiche nella loro vita.

Ora immaginiamo il caso migliore. Supponiamo che tu abbia trovato qualcuno che ti piace. Hai corso il rischio. Gli hai chiesto di uscire. Lui ha detto di sì. Ora la domanda è semplice: cosa fai? Hai diverse opzioni tra cui scegliere per questo appuntamento. Un parco a tema. Il cinema. Un ristorante elegante. Secondo me, niente di tutto questo ha importanza. Credo che queste possibilità siano solo delle distrazioni. 

Un parco divertimenti ti offrirebbe velocità, luci, urla e lunghe code. Spenderesti soldi e perderesti l'intera giornata, e alla fine scopriresti come si comporta qualcuno sulle montagne russe, ma non come si comporta di fronte al silenzio, ai dubbi o alle idee. L'emozione non definisce il carattere e il rumore delle attrazioni non rivela nulla di una persona. Certo, avrai dei bei ricordi, ma capirai meglio la persona? Spesso strutturiamo i primi appuntamenti come se fossero fiere e poi ci lamentiamo che l'amore sembra un circo.

Lo stesso vale per un appuntamento al cinema. L'ho sempre visto come due persone silenziose che guardano davanti a sé, guardano la storia di qualcun altro e, quando finisce, parlano di quella storia, invece di parlare tra loro. I gusti cinematografici di una persona non costituiscono tutta la sua personalità, né le sue analisi e critiche rivelano chi è nella sua totalità. Si può uscire da un appuntamento al cinema senza sapere nulla dell'altra persona, tranne il suo genere preferito e le sue preferenze artistiche.

Ora, un buon ristorante sembra romantico, ma è costoso, rigido e consapevole di sé. Passi più tempo a misurare le tue maniere e a concentrarti sulla postura e sul prezzo dei piatti che a cercare di conoscere la mente e la personalità di qualcuno. Sembra forzato, e un momento forzato non può rivelare un legame naturale.

Credo fermamente che i primi appuntamenti non abbiano nulla a che vedere con l'emozione o lo spettacolo. Piuttosto hanno a che vedere con la chiarezza e l'onestà. È lì che decidi di vedere l'altra persona così com'è, mentre lei ti permette di vedere te stesso. Ecco perché si dice spesso che ad un appuntamento bisogna essere se stessi. Puoi ingannare e mentire a te stesso per molto tempo, ma non puoi mentire e presentare un'illusione a un'altra persona per sempre.

La chiave: semplicità

Invece di un primo appuntamento elegante o avventuroso, io sostengo che il primo appuntamento ideale sia semplice. Un caffè. Una passeggiata nel parco. Un gelato. Una conversazione. La chiave è che sia un'attività che vi permetta di comunicare al massimo. La conversazione rivela l'intelligenza della mente e il carattere del cuore. Un primo appuntamento in cui entrambi vi sedete a chiacchierare davanti a un caffè è accessibile, onesto e diretto. L'attività è secondaria, non è importante, ciò che conta è l'interazione, il flusso della conversazione, i tratti della personalità che si percepiscono quando si parla.

Ti chiedo direttamente: se ti sposi con qualcuno, cosa farai ogni giorno? Non cercherai emozioni forti. Non vivrai avventure continue. Nemmeno intimità fisica quotidiana. Ma comunicherai, indipendentemente dal giorno, che sia buono o cattivo, comunicherai. Condividerai parole, idee, emozioni, discussioni, risate e disaccordi. La conversazione diventa il lavoro quotidiano dell'amore, il ritmo ordinario che costruisce una vita insieme o ne rivela l'assenza.

Comunicare

L'uomo e la donna non sono stati creati semplicemente per coesistere l'uno accanto all'altra; sono chiamati a una comunione di persone, che raggiunge la sua forma più elevata nel matrimonio. La comunione è impossibile senza comunicazione: non solo verbale, ma anche emotiva, intellettuale, spirituale e corporea. Quindi, non avrebbe senso, già al primo appuntamento, discernere se i due possono comunicare in un modo che soddisfi sia la mente che il cuore? Se la comunione è il destino, allora la comunicazione deve essere il primo passo.

Se non riescono a comunicare, se le loro parole non riescono a suscitare pensieri, sentimenti o curiosità, allora nessun parco divertimenti, cena a lume di candela o intimità fugace potrà creare un legame. La scintilla nasce dalla comprensione, da una risonanza intellettuale ed emotiva genuina. Non possiamo amare ciò che non conosciamo veramente, e non possiamo costruire l'amore sull'illusione, la convenienza o il semplice sentimento. L'emozione può abbagliare per un momento, ma non può mai sostituire il lavoro lento e onesto di conoscere ed essere conosciuti.

Certo, alcuni sostengono che la comunicazione migliori con il tempo. Hanno ragione solo in parte. La comunicazione può crescere, ma deve avere un punto di partenza. Zero moltiplicato per cento è sempre zero. Quindi deve esserci una base, altrimenti nulla può crescere.

Credo che il primo appuntamento sia una prova silenziosa delle fondamenta, una prova di onestà, coraggio e percezione. Riesci davvero a vedere la persona che hai davanti e lei vede te? Le vostre parole si incontrano con facilità? C'è spazio per sfide delicate, per la crescita, per la curiosità? Risvegliano la tua mente e il tuo cuore? Provi pace, grazia, persino qualcosa di vagamente divino in sua presenza? Le vostre conversazioni dissolvono il tempo invece di renderlo teso? Se è così, c'è un potenziale reale, qualcosa che vale la pena esplorare con pazienza e riverenza. In caso contrario, nessuna somma di denaro, nessuna sceneggiatura e nessuno sforzo accuratamente pianificato potranno fabbricare ciò che non esiste. 

Una coppia santa prega insieme, digiuna insieme, si consiglia a vicenda, visita Dio nel tabernacolo e condivide la tavola di Dio, ma prima di tutto comunica bene tra loro e, in questo processo, si aiuta a vicenda a comunicare meglio con Dio. A dire il vero, se non riescono a sedersi e parlare insieme per ore, non sopravviveranno al passare degli anni. Perché? Se due persone non riescono a comunicare, non possono cooperare; e se non possono cooperare, non possono amarsi, e se non possono amarsi, non possono crescere insieme nell'amore di Dio, e se questo non è possibile, che senso ha il matrimonio? Il senso è chiaro: quando esci con qualcuno che ti piace, concentrati sulla comunicazione e scegli un luogo che favorisca le buone conversazioni.

L'autoreBryan Lawrence Gonsalves

Fondatore di "Catholicism Coffee".

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Evangelizzazione

Luis Beltrame e María Corsini, primi coniugi beatificati insieme

Luigi Beltrame Quattrocchi e Maria Corsini sono una coppia emblematica nella Chiesa cattolica, essendo stati i primi coniugi ad essere beatificati insieme. La beatificazione è stata celebrata da San Giovanni Paolo II il 21 ottobre 2001 e la liturgia li commemora il 25 novembre, giorno in cui si sono sposati nel 1905 nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.  

Francisco Otamendi-25 novembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

San Giovanni Paolo II ha beatificato insieme i coniugi Luis Beltrame e Maria Corsini. E ha detto che “il cammino di santità compiuto insieme, come coppia, è possibile, è bello, è straordinariamente fecondo”. «Ed è fondamentale per il bene della famiglia, della Chiesa e della società”, riporta il giorni dei santi Vaticano.

La ricchezza di fede e amore dei coniugi Luis e María Beltrame Quattrocchi è una dimostrazione di ciò che il Concilio Vaticano II ha affermato riguardo alla chiamata di tutti i fedeli alla santità. Specificando che i coniugi perseguono questo obiettivo “propriam viam sequentes”, “seguendo la propria strada” (Lumen gentium, 41). 

“Questa precisa indicazione del Concilio è oggi pienamente realizzata”, disse il Papa polacco, “con la prima beatificazione di una coppia di coniugi”. Nel Giubileo delle Famiglie, lo scorso 1° giugno, il Papa Leone XIV Ha fatto riferimento ai “matrimoni santi” e ha citato i Beltrame, i Guerin e gli Ulma. 

Matrimoni santi 

Luigi nacque a Catania, anche se visse gran parte della sua vita a Roma; Maria, invece, era fiorentina. Si conobbero a Roma intorno al 1902, quando lui aveva 22 anni e lei 18. Si sposarono il 25 novembre 1905 nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Ebbero quattro figli: Filippo, Stefania, Cesare ed Enrichetta, quest'ultima nata dopo una gravidanza difficile e rischiosa per la madre, ma entrambi si rifiutarono di interromperla per motivi di fede. 

Tra le coppie sposate che sono state dichiarate sante figurano, oltre a Santa Maria e San Giuseppe, genitori di Gesù, anche San Gioacchino e Sant'Anna, genitori della Vergine Maria. I santi Priscilla e Aquila, collaboratori di San Paolo. San Isidro Labrador e Santa María de la Cabeza. I santi Celia Guerín e Luis Martín. Manuel Rodrigues Moura e sua moglie, e altre coppie sposate martiri in vari continenti.

I genitori di Santa Teresa del Bambino Gesù, Luis Martín e Celia Guerin, sono stati beatificati il 19 ottobre 2008 da Benedetto XVI e canonizzati il 18 ottobre 2015 da Papa Francesco, durante una cerimonia in Piazza San Pietro.

L'autoreFrancisco Otamendi

Cinema

‘Sacré Coeur: record di audience e rifiuto pubblico nella laica Francia

Con oltre 400.000 spettatori dal suo debutto il 1° ottobre al 14 novembre, e in continua crescita, un nuovo film sul Sacro Cuore di Gesù è diventato un successo inaspettato al botteghino in Francia, battendo ogni record e scatenando polemiche.

OSV / Omnes-25 novembre 2025-Tempo di lettura: 5 minuti

– Caroline de Sury, Parigi, OSV News

Il nuovo film sul Sacro Cuore di Gesù, ‘Sacré Coeur’, sta battendo tutti i record di audience in Francia. E anche di rifiuto pubblico nelle campagne e nei comuni più importanti della Francia laica, come Marsiglia.

Sacré Coeur‘Il film ha superato di gran lunga le aspettative iniziali (con code ai cinema mai viste da anni), ma ha anche suscitato importanti polemiche in Francia. Tra queste, la cancellazione della campagna promozionale del film sui mezzi pubblici e la sua proiezione nella seconda città più grande della Francia, tenendo conto della natura laica del Paese. 

Tuttavia, per molti, la popolarità del film dimostra che il cattolicesimo francese è tornato alla ribalta pubblica.

Santa Margherita Maria Alacoque

Uscito il 1° ottobre, il film, sottotitolato “Il suo regno non avrà fine”, è incentrato sulle apparizioni di Gesù a una suora della Congregazione della Visitazione francese, Santa Margherita Maria Alacoque, alla quale mostrò il suo cuore tra il 1673 e il 1675 a Paray-Le-Monial, nella regione francese della Borgogna. 

Prodotto per commemorare il 350° anniversario delle apparizioni, questo docudrama combina ricostruzioni storiche, testimonianze e analisi di esperti. Offre ampio spazio ai racconti di incontri personali con Cristo, spesso durante l'adorazione del Santissimo Sacramento. 

I testimoni e gli oratori sono molto diversi tra loro. Da padre Matthieu Raffray, un sacerdote tradizionalista noto per le sue opinioni decise sui social media, a detenuti, membri del parlamento e un ex trafficante di droga di Bondy, una città nella periferia nord di Parigi nota per il suo alto tasso di criminalità.

Screenshot dal film Sacré Coeur, diretto da Steven e Sabrina Gunnell, che mostra Santa Margherita Maria Alacoque e Gesù. (OSV News/per gentile concessione di SAJE).

Ispirata da una visita al santuario di Borgogna

I registi del film, Steven e Sabrina Gunnell, hanno tratto ispirazione per la sua realizzazione dopo una visita al santuario di Borgogna. Steven è un ex membro della band giovanile francese Alliage degli anni '90. Si è convertito al cattolicesimo e ora lavora con sua moglie alla produzione di film legati alla sua profonda fede cristiana. 

Il film attribuisce grande importanza al santuario di Paray-le-Monial. Affidato alla Comunità dell'Emmanuele dal 1985, il santuario accoglie ogni anno decine di migliaia di pellegrini. È stato teatro di una celebrazione giubilare di grande successo per il 350° anniversario delle apparizioni, celebrata tra dicembre 2023 e giugno 2025.

Il giubileo era strettamente legato all'ultima enciclica del defunto Papa Francesco, “Dilexit Nos”, sottotitolata “Sull'amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo”, pubblicata nell'ottobre 2024.

Il successo del film è stato accompagnato da critiche, sia all'interno che all'esterno della Chiesa cattolica.

Il film non menziona i gesuiti.

Una critica comune a “Sacro Cuore” proveniente dall'interno della Chiesa è l'omissione dei gesuiti. Il film presenta il direttore spirituale di Santa Alacoque, padre Claude La Colombière - canonizzato da papa San Giovanni Paolo II nel 1992 - ma non menziona mai che era un gesuita. Diversi gesuiti francesi hanno dichiarato a OSV News di deplorare questo fatto, sottolineando il ruolo chiave della Compagnia di Gesù nella diffusione della devozione al Cuore di Gesù. 

Oggi, la Rete Mondiale di Preghiera del Papa, radicata nella spiritualità gesuita, comprende oltre 22 milioni di cattolici in 92 paesi. I gesuiti intervistati hanno affermato che il riconoscimento della società, insieme ad altre congregazioni legate a questa devozione, avrebbe dimostrato che la devozione al Sacro Cuore è un movimento vitale all'interno della Chiesa universale, non solo un fenomeno locale.

Al di fuori dell'ambito cattolico, le polemiche hanno raggiunto il livello di “cristianofobia”, secondo le parole dello stesso regista, quando istituzioni pubbliche come i comuni si sono mostrati riluttanti a proiettare il film, come è successo a Marsiglia.

‘Violazione della ’laicità“ della nazione

La proiezione del 22 ottobre allo Château de La Buzine, un cinema comunale, è stata cancellata con la motivazione di una “violazione del principio di laicità” in uno spazio pubblico.

Le Monde ha riferito che la proiezione era stata cancellata pochi minuti prima dell'inizio con la motivazione che “un luogo pubblico non può ospitare proiezioni di carattere religioso”.

Quando il film stava per uscire nelle sale il 1° ottobre in tutta la Francia, MediaTransports, l'agenzia pubblicitaria della SNCF e della RATP, ha rifiutato la campagna pubblicitaria prevista nelle stazioni della metropolitana e dei treni, citando la “natura religiosa e proselitista” del progetto, “incompatibile con il principio di neutralità del servizio pubblico”, secondo quanto riportato da Le Figaro. 

Acceso dibattito sul cinema

Unendosi al acceso dibattito su “Sacré Coeur”, il 29 ottobre Le Monde ha sottolineato la dimensione “politica” del film. Ha inoltre espresso sorpresa per il suo carattere “low budget”, che “non avrebbe mai dovuto andare oltre il pubblico di nicchia a cui era destinato”. 

Ma per padre Pascal Ide, sacerdote dell'arcidiocesi di Parigi noto come critico cinematografico online, “Sacré Cœur rispolvera, decompartimenta e depoliticizza una verità centrale del cristianesimo, ovvero che Dio si è fatto Cuore’. 

Dottore in medicina, filosofia e teologia, padre Ide ha espresso il suo entusiasmo per il film in La Croix il 29 ottobre. “Ciò che mi ha colpito di più è stata senza dubbio la figura di Gesù e il suo intenso desiderio di avvicinarsi personalmente a ogni persona nel modo più intimo, di sperimentare un'intensa connessione cuore a cuore”, ha affermato padre Ide.

“Il ritorno discreto ma reale della religione”

In un'intervista con OSV News, ha aggiunto: “Il film è molto arricchente. Ce n'è per tutti i gusti. Quel che è certo è che ha un impatto notevole, il che la dice lunga sulle aspettative di un pubblico che va oltre i cattolici praticanti”.

Il 3 novembre, Le Figaro ha dedicato un'intera pagina al fenomeno del docudrama, affermando che “Questo film rivela il ritorno discreto ma reale della religione nella società francese”.

La popolarità del film è così grande, ha affermato Le Figaro, che “settimana dopo settimana, le code davanti ai cinema, in difficoltà dall'inizio dell'anno, diventano sempre più lunghe”. 

Una popolarità ‘senza precedenti’

La Croix ha elogiato la popolarità “senza precedenti” “per un documentario di questo tipo”, affermando che “il pubblico, che sta crescendo grazie al passaparola, è più eterogeneo di quanto suggerirebbe la controversia che ha accompagnato l'uscita del film”.

Per la rivista cattolica ‘La Vie’, “la chiave del successo risiede nel film stesso”, che la rivista descrive come “un catechismo popolare”, con una sua dimensione missionaria. Sulla base di questa osservazione, molti vescovi continuano a promuoverlo sui loro siti web diocesani.

Le Figaro ha citato uno degli spettatori, Jean-Michel, che ha detto: “Questo film va oltre la portata di un semplice documentario: è un vero e proprio viaggio interiore, un incontro con l'amore vivo del cuore di Gesù”.

In occasione del 250° anniversario della fondazione degli Stati Uniti, che ricorrerà il prossimo anno, i vescovi americani consacreranno la nazione al Sacro Cuore di Gesù. La decisione è stata presa durante la sessione plenaria autunnale della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti, tenutasi l'11 novembre a Baltimora.

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Caroline de Sury scrive per OSV News da Parigi.

Queste informazioni sono state pubblicate originariamente su OSV News. È possibile consultarla qui.

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L'autoreOSV / Omnes

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Zoom

Messa per Cristo Re e giubileo dei cori

Piazza San Pietro durante la messa di Papa Leone XIV per Cristo Re e il Giubileo dei Cori.

Redazione Omnes-24 novembre 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto
Cultura

L'apostolo della natura selvaggia: John Muir (1838-1914)

Gli ultimi papi hanno insistito sulla contemplazione della natura come fonte di vitalità spirituale. Più di cento anni fa, John Muir è stato uno dei pionieri di questa ecologia umana: la natura come ritorno a casa.

Marta Revuelta e Jaime Nubiola-24 novembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Chi è quell'uomo barbuto che, con un cappello a tesa larga e lo sguardo fermo, appare accanto al presidente degli Stati Uniti davanti alle voragini di Yosemite? Non è un politico, né un militare, ma un naturalista che ha fatto del contatto con la natura la missione della sua vita e che ha saputo convincere un presidente della necessità di proteggere la natura selvaggia. 

John Muir, con la sua figura emaciata e la barba da profeta biblico, non solo accompagnò Theodore Roosevelt in quella famosa escursione del 1903: in realtà stava convincendo il presidente che la natura selvaggia doveva essere protetta per le generazioni future. Quella fotografia è oggi il simbolo di un momento fondamentale: quando la contemplazione della natura si trasformò in politica di conservazione.

Le origini

Muir aveva percorso una lunga strada prima di raggiungere quella vetta. Nato a Dunbar, in Scozia, nel 1838, all'età di undici anni emigrò nel Wisconsin, negli Stati Uniti. La sua vita nella fattoria di famiglia era caratterizzata dal duro lavoro imposto dal padre. Quelle ore di intenso sforzo contrastavano con i momenti di libertà, quando passeggiava con suo fratello nei prati e si fermava a contemplare un uccello o un fiore. Quell'esperienza infantile, un misto di severità e meraviglia, alimentò una sensibilità che non lo avrebbe mai abbandonato.

Contatto con la natura

Da giovane si distinse come inventore e studiò chimica, botanica e geologia all'Università del Wisconsin-Madison. Un grave incidente, nel 1867, lo rese quasi cieco, ma la sua guarigione fu l'inizio di una nuova vita: intraprese un viaggio a piedi di oltre 1.800 chilometri fino al Golfo del Messico, e da lì raggiunse la California, dove iniziò ad esplorare Yosemite. Lì trovò quello che avrebbe definito la sua vera casa. “Andare in montagna è come tornare a casa”, scriverei in Il mio primo estate in montagna (1911).

La sua vita divenne un pellegrinaggio costante. Scoprì i ghiacciai della Sierra Nevada, viaggiò in Alaska e diede il nome al ghiacciaio Muir, studiò l'ecologia delle sequoie giganti e viaggiò in Sud America, Africa e Australia. Ma tornava sempre a Yosemite, dove l'esperienza della natura selvaggia gli si rivelava come un mistero sacro. 

A Le montagne della California (1894) scrisse: “Quando cerchiamo di distinguere qualcosa in sé, scopriamo che è collegato a tutto il resto nell'universo. In ogni passeggiata nella natura si riceve molto più di quanto si cercasse”. Questa convinzione di interconnessione lo portò ad affermare che la natura selvaggia non era un lusso, ma una necessità vitale. “Migliaia di persone stanche, nervose, troppo civilizzate, stanno cominciando a scoprire che la natura selvaggia è una necessità”.”ha scritto in I nostri parchi nazionali (1901).

Per Muir, questa necessità era anche un mandato interiore. In una lettera alla sua amica Jeanne Carr espresse con semplicità il suo destino: “Le montagne mi chiamano e devo andare” (La vita e le lettere di John Muir, 1924). Ma non volle tenere per sé questa rivelazione. Nei suoi diari afferma: “Oltre al pane, tutti hanno bisogno di bellezza, di luoghi dove giocare e pregare, dove la natura possa guarire e dare forza sia al corpo che all'anima”.” (Giovanni delle Montagne, 1938). 

Questa vocazione pedagogica si trasformò in azione politica. Nel 1892 fondò il Sierra Club, che esiste ancora oggi, e dedicò le sue energie alla difesa dello Yosemite e dei parchi nazionali. Considerava la natura come una scuola e una maestra, capace di insegnare con più chiarezza dei libri: “Il percorso più chiaro verso l'universo è attraverso una foresta selvaggia” (Una marcia di mille miglia verso il Golfo, 1916).

Dalla natura a Dio

Per John Muir, la foresta selvaggia ci parla di Dio. Muir aveva abbandonato il calvinismo della sua famiglia, che tendeva a considerare Dio come totalmente estraneo al mondo. Sebbene avesse pochi legami con la tradizione cattolica, Muir sembra aver intuito - afferma lo studioso Tim Flinders - la presenza divina che anima il mondo naturale, “che abita l'universo e lo riempie di luce e armonia” (John Muir: Scritti spirituali, p. 24). Con il suo lavoro, i suoi scritti e la sua vita, Muir ci ha insegnato che la natura può portarci a scoprire e ad ammirare il suo Creatore.

Il suo pensiero univa spiritualità, scienza e politica: spiritualità, perché vedeva il sacro nella natura selvaggia; scienza, perché studiò con rigore la geologia e la botanica; politica, perché seppe influenzare leggi e presidenti. Credeva che la natura dovesse essere preservata. “a beneficio e godimento di tutto il popolo”, come bene comune dell'umanità. 

La fotografia del 1903 a Yosemite riassume tutto questo percorso. Da un lato, Roosevelt, incarnazione del potere dello Stato; dall'altro, Muir, dallo sguardo ardente e dall'aspetto da eremita, incarnazione della voce della montagna. Tra i due, l'immenso paesaggio di Yosemite, testimone di un patto a favore della conservazione. Forse è per questo che, guardando di nuovo l'immagine, capiamo che essa non ritrae solo un presidente e un naturalista, ma l'umanità in dialogo con la natura selvaggia. Roosevelt rappresenta la forza politica; Muir, la forza spirituale. E tra i due si apre l'orizzonte della natura, che sembra ricordarci che la vera grandezza non sta nel dominio, ma nella conservazione. Lì, nel silenzio di Yosemite, risuona ancora il richiamo di Muir: le montagne continuano a chiamarci, e siamo ancora in tempo per rispondere.

L'autoreMarta Revuelta e Jaime Nubiola

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Evangelizzazione

San Andrés Dung-Lac e i 117 martiri del Vietnam

La liturgia celebra il 24 novembre Sant'Andrea Dung-Lac, sacerdote, e i suoi compagni martiri del Vietnam, 117 in totale nei secoli XVIII e XIX, beatificati da vari Papi e infine canonizzati da San Giovanni Paolo II nel 1988.   

Francisco Otamendi-24 novembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

I 117 martiri del Vietnam costituiscono una testimonianza di fedeltà fino alla morte nel corso dei secoli di persecuzione religiosa nell'attuale territorio vietnamita. Diversi papi hanno beatificato i martiri vietnamiti e, infine, un decreto del 1986 ha riunito i 117, canonizzati da San Giovanni Paolo II alla fine degli anni '80.

Del totale, 96 erano vietnamiti, 11 missionari domenicani spagnoli e 10 sacerdoti francesi della Società delle Missioni Estere di Parigi. La persecuzione avvenne tra il 1745 e il 1862. Molti dei martiri subirono punizioni terribili e morirono in prigioni in condizioni disumane.

Durante l'Angelus del giorno della canonizzazione, Giovanni Paolo II ha evocato il santuario di La Vang, dove molti fedeli cristiani trovarono rifugio durante le persecuzioni. Nel suo discorso ai pellegrini spagnoli e francesi presenti a Roma, ha ricordato il coraggio di quei missionari e fedeli: “Con il loro ardente fervore ci ricordano la grandezza del dono della fede”.

Vescovi, sacerdoti, laici

Secondo l'agenzia Fides, i 117 martiri, il cui elenco è disponibile qui, non solo rappresentano un numero simbolico molto elevato, ma anche la diversità della Chiesa vietnamita: vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, uniti dalla testimonianza del martirio. La maggior parte erano sacerdoti (tra cui 37 presbiteri vietnamiti), ma c'erano anche laici. Altri media hanno precisato che tra loro c'erano otto vescovi, 50 sacerdoti e 59 laici, secondo il loro stato di vita.

Tra i martiri più noti vi è Sant'Andrea Dũng Lạc, sacerdote vietnamita giustiziato per decapitazione, e san Bênađô Vũ Văn Duệ, sacerdote già anziano quando fu martirizzato nel 1838. Gli undici spagnoli martirizzati erano domenicani, tra cui sei vescovi.

Dal 1645 al 1886 furono emanati 53 editti contro i cristiani in Vietnam, che portarono al martirio di ben 113.000 fedeli, spiega la sito web vaticano. Di fronte alla fermezza di tanti martiri della fede, la monarchia vietnamita rinunciò alle sue crudeltà e si limitò a disperdere e confiscare i beni del crescente numero di convertiti alla fede cristiana. 

L'autoreFrancisco Otamendi

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Vaticano

Appello del Papa per la liberazione dei rapiti in Nigeria e Camerun

Questa mattina, durante l'Angelus, Leone XIV ha lanciato un appello urgente affinché vengano liberati gli ostaggi rapiti in Nigeria e Camerun. Inoltre, nella solennità di Gesù Cristo Re, in cui si celebra il Giubileo dei Cori, il Papa ha elogiato l'espressione dell'amore per Dio attraverso la bellezza della musica.

CNS / Omnes-23 novembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

- Cindy Wooden, Città del Vaticano, CNS

Durante l'Angelus della solennità di Gesù Cristo Re dell'Universo, Papa Leone ha espresso la sua “immensa tristezza per la notizia del rapimento di sacerdoti e studenti in Nigeria e Camerun. Provo un profondo dolore, specialmente per i numerosi giovani rapiti e per le loro famiglie angosciate”.

Il Pontefice ha lanciato “un accorato appello per l'immediato rilascio degli ostaggi” e ha esortato “le autorità competenti ad adottare le misure necessarie per ottenerlo. Preghiamo per questi nostri fratelli e sorelle, e affinché le chiese e le scuole continuino ad essere sempre e ovunque luoghi sicuri e di speranza”.

Come è noto, due giorni fa uomini armati hanno rapito più di 300 studenti e 12 insegnanti da una scuola cattolica nigeriana. Gli studenti rapiti erano ragazzi e ragazze di età compresa tra i 10 e i 18 anni, ha dichiarato in un comunicato l'Associazione Cristiana della Nigeria.

Lettera ‘In unitate fidei’

Papa Leone XIV disse anche che “il mio viaggio apostolico in Turchia e Libano è ormai prossimo. In Turchia si celebrerà il 1700° anniversario del Concilio di Nicea. Per questo motivo, oggi viene pubblicata la Lettera apostolica ‘In unitate fidei’, che commemora questo storico evento». Potete trovare informazioni sulla lettera e il suo testo qui.

D'altra parte, il Pontefice ha aggiunto nel Angelus che “oggi si celebra la Giornata Mondiale della Gioventù nelle diocesi di tutto il mondo. Benedico e abbraccio spiritualmente coloro che partecipano alle varie celebrazioni e iniziative. Nella festa di Cristo Re, prego affinché ogni giovane scopra la bellezza e la gioia di seguirlo, il Signore, e di dedicarsi al suo Regno di amore, giustizia e pace.

Giubileo dei cori

I cori delle chiese aiutano tutti i fedeli presenti alla Messa a provare un senso di armonia mentre esprimono il loro amore per Dio attraverso la bellezza della musica, ha affermato il Papa nell'omelia della Messa del Giubileo.

Nel celebrare questo Giubileo dei Cori, festa di Cristo Re, il Papa ha affermato che «il potere di Cristo è l'amore, il suo trono è la Croce, e attraverso la Croce il suo Regno risplende nel mondo».

In questo giorno festivo, nelle diocesi di tutto il mondo si celebra la Giornata Mondiale della Gioventù, che è stata presente nelle preghiere della Messa e nelle parole del Papa al termine della liturgia.

Durante la Messa, i partecipanti hanno pregato per i giovani, affinché “seguendo Cristo, nostro Signore e Re”, “illuminino il mondo con il loro ardore e la loro creatività, per poter testimoniare l'umile forza del Vangelo”.

Papa Leone XIV ha detto di voler salutare e abbracciare spiritualmente tutti i giovani che festeggiano nelle loro diocesi. “Nella festa di Cristo Re, prego affinché ogni giovane scopra la bellezza della gioia di seguirlo, il Signore, e si dedichi al suo regno di amore, giustizia e pace”.

L'amore deve ispirare i cori

Nella sua omelia Durante la messa, ha affermato che l'amore deve ispirare i cori. “Far parte di un coro significa andare avanti insieme”, ha detto, “prendendo per mano i nostri fratelli e le nostre sorelle e aiutandoli a camminare con noi”.

«Si tratta di cantare insieme le lodi di Dio, consolare i fratelli nella sofferenza, esortarli quando sembrano cedere alla stanchezza e incoraggiarli quando le difficoltà sembrano prevalere», ha affermato il Papa.

Un coro parrocchiale è un po' come la chiesa stessa, ha detto. Si sforza di ripercorrere la storia cantando le lodi a Dio.

“Anche se a volte questo cammino è pieno di difficoltà e prove, e i momenti di gioia si alternano ad altri più faticosi”, ha aggiunto il Successore di Pietro, “il canto alleggerisce il cammino e porta sollievo e conforto”.

La musica aiuta a esprimere ciò che abbiamo nel cuore

Papa Leone, che intona preghiere e canta inni con entusiasmo, ha affermato che la musica aiuta le persone a “esprimere ciò che abbiamo nel profondo del cuore e che le parole non sempre riescono a trasmettere”.

“La musica può esprimere tutta la gamma di sentimenti ed emozioni che sorgono dentro di noi”, ha affermato. “Il canto, in particolare, costituisce un'espressione naturale e raffinata dell'essere umano: mente, sentimenti, corpo e anima si uniscono per comunicare i grandi eventi della vita”.

Il servizio liturgico di un coro durante la Messa “è un vero ministero che richiede preparazione, impegno, comprensione reciproca e soprattutto una profonda vita spirituale, affinché quando si canta, si preghi e si aiuti tutti gli altri a pregare”, ha affermato il Papa.

Sebbene un coro sia una “piccola famiglia di individui uniti dall'amore per la musica e dal servizio che offrono”, ha sottolineato che devono ricordare che durante la Messa tutta la comunità fa parte della famiglia.

Senza ostentazione

“Non siete sul palcoscenico, ma fate parte di quella comunità, impegnandovi ad aiutarla a crescere nell'unità, ispirando e coinvolgendo i suoi membri”, ha detto loro il Papa. “Impegnatevi a facilitare la partecipazione del popolo di Dio, senza cedere alla tentazione dell'ostentazione, che impedisce all'intera assemblea liturgica di partecipare attivamente al canto”.

E il Papa ha esortato i membri del coro a impegnarsi affinché la loro vita spirituale sia “sempre degna del servizio che svolgono, affinché il loro ministero possa esprimere autenticamente la grazia della liturgia”.

L'autoreCNS / Omnes

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Vaticano

Leone XIV: «Il Credo niceno ci parla di un Dio che è vicino a noi» 

Papa Leone XIV ha pubblicato oggi, solennità di Gesù Cristo Re dell'Universo, la Lettera Apostolica "In unitate fidei" in occasione del 1700° anniversario del Concilio di Nicea da cui è scaturito il Credo niceno-costantinopolitano.

Maria José Atienza-23 novembre 2025-Tempo di lettura: 5 minuti

«Con questa lettera desidero incoraggiare in tutta la Chiesa un rinnovato slancio nella professione della fede, la cui verità, che da secoli costituisce il patrimonio condiviso dai cristiani, merita di essere professata e approfondita in modo sempre nuovo e attuale», così Papa Leone XIV inizia la Lettera Apostolica «In unitate fidei», scritta in occasione del 1700° anniversario del Consiglio di Nicea e pubblicata poco prima del primo viaggio papale in Turchia in occasione di questa ricorrenza.

In questa lettera, non particolarmente lunga, il Papa paragona il periodo in cui fu convocato il Concilio di Nicea, nell'anno 325, con l'attualità, sottolineando come quei momenti «non fossero meno turbolenti» di quelli attuali.

Il pontefice raccoglie i principali eventi storici che portarono il vescovo Alessandro di Alessandria a convocare i vescovi d'Egitto e della Libia a un sinodo per combattere gli insegnamenti ariani e che, successivamente, l'imperatore Costantino convocò «tutti i vescovi a un concilio ecumenico, cioè universale, a Nicea, per ristabilire l'unità. Il sinodo, chiamato dei “318 Padri”, si svolse sotto la presidenza dell'imperatore: il numero dei vescovi riuniti era senza precedenti».

Dio «è venuto incontro a noi in Gesù Cristo»

Il Papa sviluppa il dibattito che emerge in questo concilio e che «era dovuto alla necessità di rispondere alla questione sollevata da Ario su come dovesse essere intesa l'affermazione “Figlio di Dio” e come potesse essere conciliata con il monoteismo biblico».

In questo incontro, «i Padri hanno confessato che Gesù è il Figlio di Dio in quanto è ‘della stessa sostanza (ousia) del Padre […] generato, non creato, dalla stessa sostanza (omooúsios) del Padre'». Un'affermazione che si distingue completamente dalla teoria ariana e che, in pratica, significa «ribadire che l'unico e vero Dio non è irraggiungibilmente lontano da noi, ma, al contrario, si è avvicinato e ci è venuto incontro in Gesù Cristo». 

Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero

Successivamente, Leone XIV pone l'accento sull'affermazione del Credo che recita che Dio è «Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero». Spiegando ciascuno di questi punti, sottolinea: «Il Concilio adotta quindi la metafora biblica della luce: ‘Dio è luce’ (1 Gv 1,5; cfr. Jn 1,4-5). Come la luce che irradia e comunica se stessa senza diminuire, così il Figlio è il riflesso (apaugasma) della gloria di Dio e l'immagine (carattere) del proprio essere (ipostasi) (cfr. Hb 1,3; 2 Co 4,4). Il Figlio incarnato, Gesù, è quindi la luce del mondo e della vita (cfr. Jn 8,12). Attraverso il battesimo, gli occhi del nostro cuore vengono illuminati (cfr. Ef 1,18), affinché anche noi possiamo essere luce nel mondo».

Allo stesso modo riprende come «il Credo afferma che il Figlio è ‘Dio vero da Dio vero’. Il Dio vero è il Dio che parla e agisce nella storia della salvezza», «Il cristiano», continua Leone XIV, «è chiamato, quindi, a convertirsi dagli idoli morti al Dio vivo e vero».

Affresco della Biblioteca Vaticana raffigurante il Concilio di Nicea ©CNS photo/Carol Glatz

Il Credo non è una formula filosofica

Il Papa ha posto molta enfasi su mettere in pratica il Credo, in questa lettera apostolica: «Il Credo di Nicea non formula una teoria filosofica. Professa la fede nel Dio che ci ha redenti per mezzo di Gesù Cristo», sottolinea il pontefice, che ricorda come in virtù dell'incarnazione del Figlio di Dio «troviamo il Signore nei nostri fratelli e sorelle bisognosi».

«Il Credo niceno non ci parla quindi di un Dio lontano, irraggiungibile, immobile, che riposa in se stesso, ma di un Dio che è vicino a noi», ha ricordato il pontefice.

A questo proposito, citando Sant'Atanasio, sottolinea che «essendo diventato uomo, ha divinizzato gli uomini. Non si tratta del fatto che, essendo uomo, sia poi diventato Dio, ma che, essendo Dio, si è fatto uomo per divinizzarci».

Una divinizzazione che, lungi dall'essere un'auto-deificazione dell'uomo, «ci protegge dalla tentazione primordiale di voler essere come Dio (cfr. Gn 3,5). Ciò che Cristo è per natura, noi lo diventiamo per grazia. Con l'opera della redenzione, Dio non solo ha restaurato la nostra dignità umana come immagine di Dio, ma Colui che ci ha creati in modo meraviglioso ci ha resi partecipi, in modo ancora più ammirevole, della sua natura divina (cfr. 2 P 1,4). La divinizzazione è quindi la vera umanizzazione».

Cammino di unità e testimonianza di vita

La lettera si conclude con un forte appello a proseguire e intensificare il cammino verso l'unità con le altre confessioni cristiane.

A questo proposito, Leone XIV ricorda che «il Credo niceno-costantinopolitano divenne un legame di unità tra Oriente e Occidente. Nel XVI secolo fu mantenuto anche dalle comunità ecclesiali nate dalla Riforma. Il Credo niceno-costantinopolitano risulta così la professione comune di tutte le tradizioni cristiane. È stato lungo e lineare il cammino che ha portato dalla Sacra Scrittura alla professione di fede di Nicea, poi alla sua accoglienza da parte di Costantinopoli e Calcedonia, e di nuovo fino al XVI secolo e al nostro XXI secolo».

Il Papa ribadisce, alla fine della lettera, la necessità che il Credo diventi vita nella vita dei cristiani, fungendo da guida per la testimonianza: «La liturgia e la vita cristiana sono quindi saldamente ancorate al Credo di Nicea e Costantinopoli: ciò che diciamo con la bocca deve venire dal cuore, in modo che sia testimoniato nella vita. (...) Il Credo di Nicea ci invita quindi a un esame di coscienza. Che cosa significa Dio per me e come do testimonianza della fede in Lui?».

Insieme a questo invito a testimoniare il Credo con la vita, il Papa ha posto l'accento sulla compito ecumenico della Chiesa. In questo senso, ricorda come «San Giovanni Paolo II ha continuato e promosso il messaggio conciliare nell'Enciclica Ut unum sint (25 maggio 1995). Così, con la grande commemorazione del primo Concilio di Nicea, celebriamo anche l'anniversario della prima enciclica ecumenica. Essa può essere considerata come un manifesto che ha attualizzato quelle stesse basi ecumeniche poste dal Concilio di Nicea». Leone XIV ha voluto fare, in questa lettera, un appello a «camminare insieme per raggiungere l'unità e la riconciliazione tra tutti i cristiani», sottolineando inoltre che «il Credo di Nicea può essere la base e il criterio di riferimento di questo cammino».

Il Papa non nasconde che questo cammino di unità «è una sfida teologica e, ancor più, una sfida spirituale, che richiede pentimento e conversione da parte di tutti. Per questo abbiamo bisogno di un ecumenismo spirituale di preghiera, lode e culto, come è avvenuto nel Credo di Nicea e Costantinopoli» per arrivare, come sottolinea in questa Lettera Apostolica, a «un ecumenismo orientato al futuro, di riconciliazione sulla via del dialogo, di scambio dei nostri doni e patrimoni spirituali».


FirmeAlberto Sánchez León

È di moda essere cattolici?

Una crescente stanchezza dell'io e delle ideologie spinge verso un risveglio spirituale verso Dio, la bellezza e la vita al servizio degli altri.

23 novembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Da quando lo scorso 27 ottobre D. S. Garrocho ha scritto su El País su EIl giro cattolico a seguito di Lux e Domenica In poco tempo è stata scritta molta letteratura al riguardo. Se si tratti di una svolta seria o meno, lo vedremo. Ma, a mio avviso, questo sentimento generale di urgenza di Dio, di una sete di trascendenza più duratura delle precedenti promesse messianiche (mi riferisco alle vuote promesse proprie delle ideologie) è latente nel cuore della società occidentale da più tempo di quanto sembri. E quello che sembra essere successo è che c'è stata una prima fioritura spirituale. Questa fioritura parla molto, a mio avviso, di una stanchezza, di un disgusto per il mondo proprio a causa della mancanza di spiritualità. Si è scommesso molto per incoraggiare il risveglio –svegliato– alla gioventù. Ma risvegliarsi da quale sogno?

Le ideologie hanno cercato di far sognare un mondo per cambiarlo in qualcosa che valesse davvero la pena. Il fatto è che il tempo passa e le ideologie non sono riuscite a riempire il mondo di eternità, che è ciò che il cuore umano desidera ardentemente. Sembra che ci sia, vedremo come andrà a finire, un risveglio non verso un altro sogno, ma verso una realtà che è più difficile da vedere, ma che allo stesso tempo è l'unica cosa che può riempire il vuoto dei cuori che cercano sinceramente qualcosa di eterno, qualcosa di vero, qualcosa di bello. E quel “qualcosa” è Dio, è Amore, è Spirito, che nessuna ideologia può dare.

La stanchezza dell'io

Stanchezza. È una parola che Byung-Chul Han ha predetto con La società della stanchezza. C'è una profonda stanchezza dell'io. Questa stanchezza è necessaria per aprirsi agli altri. La stanchezza del virtuale che ci impedisce di relazionarci. La stanchezza della cultura. svegliato che cancella tutto non lascia spazio alla libertà. La stanchezza di un io che conta solo sul tempo e sul mondo, ma un mondo racchiuso nei sogni ci allontana dalla vera realtà che si scopre negli altri, nella famiglia, in Dio.

Questa stanchezza è positiva se ci porta a risvegliarci, ad aprirci per “dedicare tempo” a ciò che è veramente profondo, e non a rimanere chiusi nel nostro io. Questo io egocentrico e narcisistico provoca un altro tipo di stanchezza che porta all'ansia, alla depressione... alla malattia. 

Se davvero c'è una svolta cattolica è perché c'è sazietà, stanchezza, noia o come volete chiamarla. Si è aspettato troppo dai politici, si sono riposte grandi speranze in cose ormai superate... Da questo ci stiamo risvegliando. C'è bisogno di amare veramente. La era da il post-verità non esiste, non è mai esistita e non esisterà mai per la natura stessa della verità. E la gente lo percepisce. C'è bisogno di perdonare, di essere grati, di rendere proficua la vita, ma non con un attivismo cieco, stressante e iperproduttivo, che provoca stanchezza negativa, bensì mettendo la vita al servizio degli altri, riempiendoci della capacità di stupirci davanti alla bellezza di questo mondo.

In definitiva, iniziare a godere della contemplazione delle cose belle, senza avere paura del silenzio. Proprio l'emergere dello spirituale che si percepisce proviene dal mondo della bellezza: dal cinema e dalla musica in particolare. Lo diceva già Dostoevskij in L'idiota: la bellezza salverà il mondo. E da cosa lo salverà? Dall'io stanco di se stesso e dalle ideologie che promettono una felicità fugace. 

Un autentico risveglio spirituale

Questo presunto cambiamento cattolico è un invito a uscire dal proprio io, a promuovere una cultura veramente svegliato, che ci risvegli l'altro e l'Altro. Il pericolo che intravedo se il cambiamento dovesse realmente verificarsi è che si tratti di un cambiamento puramente sentimentale. E perché questo è un pericolo? Perché anche i sentimenti sono effimeri. Necessari, sì, ma effimeri. 

Se questo cambiamento significa aprirsi allo Spirito, uno Spirito di Vita, di Amore, di Bellezza, di Donazione e Gratitudine, allora il sentimento non può essere ciò che sostiene il cambiamento. L'amore è molto più di un sentimento. Anzi, l'amore è ciò che rimane quando i sentimenti non sostengono più. A questo cambiamento, se è vero, bisognerà dare un approccio meno sentimentale e più basato sulla fede. Se la stanchezza ci risveglia allo Spirito, allora il risveglio dovrà essere affrontato dal punto di vista della spiritualità, che non è mai solo sentimenti. E questa è la sfida: vivere sapendo che i sentimenti spingono, ma l'amore è ciò che dà vita, e vita... in abbondanza.

L'autoreAlberto Sánchez León

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Evangelizzazione

Santa Cecilia, vergine e martire, patrona dei musicisti

Il 22 novembre la liturgia celebra la giovane romana Santa Cecilia, vergine, martirizzata nel 230 sotto l'impero di Alessandro Severo, quando papa era Urbano I. Santa Cecilia è considerata la patrona della musica, dei musicisti e dei cantanti.  

Francisco Otamendi-22 novembre 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto

È documentato che già nel V secolo una basilica era dedicata a Santa Cecilia, vergine e martire, nel quartiere Trastevere di Roma. Il suo culto si diffuse ampiamente a partire dal racconto del suo martirio o Passio, del VI secolo, in cui viene esaltata come esempio perfetto di donna cristiana, che abbracciò la verginità e subì il martirio per amore di Cristo. 

Secondo la Passio Sanctae Caeciliae, Cecilia sposò per convenienza il patrizio Valeriano, al quale confessa di essersi convertita al cristianesimo e di aver fatto voto di verginità perpetua, scrive il giorni dei santi Vaticano. Valeriano accetta di ricevere la catechesi e il battesimo. In seguito si unisce a lui suo fratello Tiburcio, abbracciando anch'egli la fede cristiana. Entrambi i fratelli furono arrestati e decapitati, insieme all'ufficiale che li aveva condotti in prigione, anch'egli convertito.

Professò la sua fede cristiana

Le autorità romane volevano arrestare anche Cecilia, nonostante la popolarità della giovane cristiana. La rinchiusero in una caldaia ad alta temperatura, ma dopo 24 ore le guardie la trovarono miracolosamente viva, avvolta da una rugiada celeste. Fu quindi ordinata la sua decapitazione, ma il boia non riuscì a eseguire il verdetto. 

Alla fine, Cecilia morì dopo tre giorni di agonia e, pur non potendo parlare, professò la sua fede nel Dio trino e uno con le dita delle sue mani. Così fu scolpita nella statua custodita sotto l'altare centrale della Basilica che porta il suo nome. Il sito web del Vaticano sottolinea che alla fine del Medioevo fu trovato un legame esplicito e documentato tra Santa Cecilia e la musica, nonostante alcune interpretazioni errate. L'Accademia della Musica fondata a Roma nel 1584 porta il suo nome.

L'autoreFrancisco Otamendi

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“I bambini non disturbano durante la Messa”: uno sguardo dal cuore di una madre

"Vorrei dire a tutti i genitori, nel modo più chiaro possibile, che la Chiesa non ha nulla contro i bambini! Anche se qualche sacerdote dovesse dire il contrario o se alcuni fedeli dovessero guardare voi e il vostro bambino con disapprovazione".

22 novembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Ogni domenica, molte famiglie vivono la stessa situazione: vorremmo andare a Messa e adorare il Signore, ma abbiamo bambini piccoli. Se la parrocchia non dispone di una sala per i bambini, entrare nella navata principale può diventare una vera e propria odissea. Non perché i bambini siano un problema, ma perché, spesso, le nostre chiese non sono pensate per loro.

Prima di diventare madre, confesso che anch'io sognavo le “messe perfette”: un sacerdote profondo e vicino, una liturgia curata, un coro ben intonato, un'atmosfera di silenzio che favorisse la preghiera. Per me, il silenzio era quasi sinonimo della presenza di Dio. 

Ma quando sono arrivati i miei figli, tutto è cambiato. Ho scoperto che la Messa può essere vissuta in modo diverso. Che c'è una grazia nascosta per i genitori che continuano ad andare a Messa nonostante tutto, anche la comunità stessa, sia contro di loro. 

Fu proprio durante quelle Messe “interrotte” che capii, per la prima volta, cosa significa vivere il mistero eucaristico con semplicità. Così, sentendomi fuori posto per gli sguardi impazienti rivolti ai miei figli, ho capito che la presenza di Dio non dipendeva dalla mia concentrazione, che la Messa non era una sessione di yoga. Lui è lì, anche quando non riesco a seguire ogni parola, anche quando non ascolto tutta l'omelia. 

Non si tratta certo di incoraggiare il disordine. Tutti noi genitori cerchiamo di insegnare ai nostri figli a comportarsi con rispetto, a non interrompere, ma troppo spesso ci rendiamo conto che la Chiesa non ha un posto per loro. Se non c'è una sala o uno spazio dove i bambini possano muoversi liberamente, le famiglie finiscono per stare sulla porta o in strada, cercando di ascoltare la Messa dall'esterno. E per questo motivo voglio dire a voce alta ai genitori: la Chiesa non è infastidita dai bambini! Anche se qualche sacerdote dice il contrario o se alcuni fedeli si girano verso di voi e verso i vostri figli con sguardo di disapprovazione.

Anche a me piacerebbe vivere la Messa in modo diverso, senza le domande dei miei figli e le loro continue richieste, soprattutto quando non hanno nemmeno cinque anni. Tuttavia, anche se sembra che i bambini così piccoli non capiscano nulla, ho avuto esperienze che non possono essere riprodotte in una lezione di religione o in una comunità dove non ci sono bambini. 

Dopo la liturgia della parola e dopo aver consacrato il vino, mio figlio si commuove e, guardando il calice che il sacerdote solleva sull'altare, mi dice ad alta voce: “Mamma, è il bicchiere Pistone di Saetta McQueen”. Ascoltandolo, non posso fare a meno di sorridere, trattenendo una risata. Guardo mio figlio e vedo i suoi occhi brillare. Allora gli do un bacio pensando: “Mio figlio sta confondendo tutto”, penso all'inizio. Ma poi, guardando di nuovo il calice dove Dio si sta rendendo presente, provo una certa invidia verso mio figlio. Anch'io vorrei guardarlo con la stessa ammirazione, con lo stesso desiderio. 

Da allora, ad ogni messa chiedo al Signore di concedermi la grazia di tornare bambino, di mescolare tutto, di desiderarlo come mio figlio lo desiderava quella volta: come il protagonista del suo film preferito. 

L'autoreAlmudena Rivadulla Durán

Sposata, madre di tre figli e dottore in filosofia.

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Cultura

Scienziati cattolici: Jaime Ferrán y Clúa, medico e batteriologo

Il 22 novembre 1929 moriva Jaime Ferrán y Clúa, medico e batteriologo, scopritore di un vaccino contro il colera. Questa serie di brevi biografie di scienziati cattolici è pubblicata grazie alla collaborazione della Società degli Scienziati Cattolici di Spagna.

Gonzalo Colmenarejo-22 novembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Ferrán era un medico spagnolo che si interessò ai lavori di Pasteur in batteriologia. All'epoca fu dimostrato il ruolo dei batteri nell'eziologia di numerose malattie e da quel momento Ferrán iniziò il suo lavoro nel campo della batteriologia e dello sviluppo di vaccini, utilizzando un laboratorio casalingo a Tortosa.

Dopo aver studiato un'epidemia di colera a Marsiglia nel 1884 su incarico del Comune di Barcellona, ottenne nel suo laboratorio un vaccino anti-colera che fu somministrato durante un'epidemia nella provincia di Valencia (il primo vaccino antibatterico somministrato agli esseri umani durante un'epidemia), anche se in seguito il suo uso massiccio fu vietato, a seguito di una controversia in cui la politica si mescolò alla scienza. Successivamente assunse la direzione del Laboratorio Microbiologico Municipale di Barcellona, dove produsse e migliorò il vaccino antirabbico di Pasteur. Sviluppò anche vaccini contro la febbre gialla, il tifo e la peste bubbonica e mise a punto la produzione di siero antidifterico.

Successivamente, nel 1905, fu destituito dal Laboratorio, ancora una volta a seguito di una controversia in cui si intrecciarono scienza e politica, e si rifugiò nel proprio Istituto Ferrán, dove trascorse il resto dei suoi giorni dedicandosi alla ricerca sulla tubercolosi. Descrisse il ciclo vitale multistadio del batterio e sviluppò un vaccino anti-alfa, che ottenne il sostegno ufficiale e fu somministrato in Spagna, Argentina e Uruguay, coesistendo con il vaccino BCG di origine francese.

Ferrán è stato premiato dall'Accademia Francese delle Scienze e omaggiato in diversi paesi. Nel 1950 è stato creato l'Istituto di Microbiologia «Jaime Ferrán» del Centro Superiore di Ricerche Scientifiche (CSIC), che nel 1953 ha dato origine alla sezione microbiologica del Centro di Ricerche Biologiche di Madrid. Attualmente esiste in suo onore il premio Jaime Ferrán della Società Spagnola di Microbiologia.

Aveva convinzioni fortemente cattoliche. Diceva che “chi non crede in Dio è un ignorante o non ha cervello". Perché nulla funziona senza che tu gli dia corda, come un orologio, come un'auto. Ma chi mette in moto questa grande opera della creazione? Egli, quindi, trovava nelle regolarità della natura un segno dell'esistenza di un Creatore che l'aveva originata.

L'autoreGonzalo Colmenarejo

Dottorato di ricerca. IMDEA Food. Membro della Società degli scienziati cattolici di Spagna.

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Spagna

128ª Assemblea Plenaria: rinascita spirituale, aborto e piano PRIVA

I vescovi spagnoli hanno celebrato la loro 128ª Assemblea Plenaria dal 18 al 21 novembre 2025, durante la quale hanno affrontato temi quali la rinascita spirituale, l'aborto e il piano PRIVA.

Redazione Omnes-21 novembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Dopo la celebrazione ecumenica che ha avuto luogo lo scorso 20 novembre nella cattedrale dell'Almudena in occasione del 1700° anniversario del Concilio di Nicea, la Conferenza Episcopale Spagnola (CEE) celebra oggi l'ultimo giorno della 128ª Assemblea Plenaria, che si è svolta nella sede della CEE da martedì 18 novembre.

Il segretario generale, Mons. Francisco César García Magán, nella conferenza stampa conclusiva dell'Assemblea Plenaria, ha reso note le conclusioni di questo incontro.

Linee pastorali, sinodalità e piano PRIVA

I vescovi hanno compiuto progressi nell'elaborazione delle linee pastorali per il prossimo quadriennio (2026-2030), un documento strategico che raccoglierà le priorità comuni e le azioni previste per ciascuna Commissione Episcopale. Dopo aver ricevuto i contributi delle diocesi, delle province ecclesiastiche e dei direttori della CEE, il testo è ora in fase di sintesi prima della sua stesura definitiva.

Inoltre, l'Assemblea ha esaminato le proposte del referente sinodale della CEE, Mons. Francisco Conesa, per promuovere strutture e pratiche che rendano più sinodale la vita diocesana. Tra queste, la creazione di gruppi sinodali diocesani e il consolidamento dei referenti sinodali già presenti in quasi tutte le diocesi. Sebbene queste iniziative non siano una novità assoluta – erano già state promosse dopo il Concilio Vaticano II – si cerca di approfondire e sistematizzare la partecipazione attiva dei fedeli alla vita ecclesiale.

È stato inoltre reso noto il rapporto annuale della Commissione consultiva del Piano di risarcimento integrale per i minori e le persone con diritti equiparati, vittime di abusi sessuali (PRIVA). La presentazione è stata effettuata dalla rappresentante della CEE in questa Commissione, Cristina Guzmán, e dal direttore del Servizio di coordinamento e consulenza degli Uffici per la protezione dei minori, Jesús Rodríguez Torrente. Ad oggi sono stati presentati a questa Commissione 101 casi, 58 dei quali sono già stati risolti e comunicati, mentre per gli altri casi è già stata richiesta l'informazione necessaria per poter stabilire la procedura di risarcimento.

Per quanto riguarda l'aborto, Mons. García Magán ha sottolineato che il dibattito va oltre le convinzioni religiose, sottolineando che, oltre all'approccio religioso, esiste una dimensione scientifica e filosofica che deve essere presa in considerazione in qualsiasi riflessione su questo tema.

100 seminaristi in più rispetto all'anno scorso

Mons. Jesús Vidal, presidente della Sottocommissione Episcopale per i Seminari e referente del Papa per queste questioni, ha riflettuto sulla situazione attuale: criteri formativi, numero di seminaristi e realtà vocazionale. Come ha sottolineato Mons. García Magán, il numero dei seminaristi in Spagna è aumentato di circa 100 giovani rispetto allo scorso anno: “Lo spirito soffia dove vuole e quando vuole. Non possiamo fare piani di marketing”, ha sottolineato.

Per quanto riguarda la «svolta cattolica», García Magán ha sottolineato che questo avvicinamento alla dimensione spirituale della persona può essere vago e «non inquadrabile» in una realtà concreta, ma lo ha considerato un segno positivo. “Sottolineare la dimensione spirituale della persona è qualcosa di prezioso: non siamo solo un insieme di cellule e reazioni chimiche; ci distinguiamo dalle piante e dagli animali per la nostra capacità di trascendere e cercare un senso”, ha affermato.

Il presidente della Commissione episcopale per i laici, la famiglia e la vita, monsignor Carlos Escribano, e la presidente dell'Azione Cattolica Generale, Eva Fernández Mateo, hanno riferito sulla situazione attuale dell'Azione Cattolica Generale e sul nuovo progetto evangelizzatore a cui stanno lavorando.

I vescovi hanno riflettuto sulla presenza dei laici nella vita pubblica, sottolineando l'importanza di accompagnare e promuovere le vocazioni al servizio, incoraggiando la partecipazione attiva dei fedeli alla vita delle parrocchie e alla società. Nell'ambito di questo impulso, è stata proposta la creazione di corsi estivi orientati alla formazione e al dialogo, seguendo lo schema metodologico «vedere, giudicare e agire».

La Plenaria ha inoltre approvato il testo definitivo del Regolamento del «Consiglio Generale della Chiesa nell'Educazione». Questo documento raccoglie i contributi della 127ª Assemblea Plenaria, che ha già approvato la proposta e il documento di base, nonché i contributi dei membri della Plenaria e del Seminario Permanente di questo Consiglio.


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Evangelizzazione

La Presentazione della Vergine Maria al Tempio

Il 21 novembre la Chiesa celebra la Presentazione della Beata Vergine Maria al Tempio, un'antica e cara memoria liturgica che ricorda il gesto di consacrazione di Maria, offerta a Dio fin da bambina dai suoi genitori, san Gioacchino e santa Anna.

Francisco Otamendi-21 novembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Secondo la tradizione, ispirata Nel protovangelo apocrifo di Giacomo, Maria fu portata all'età di tre anni al Tempio di Gerusalemme dai suoi genitori, san Gioacchino e santa Anna, per consacrarla al Signore. La Chiesa contempla in questa precoce offerta della Presentazione della Vergine l'immagine di Maria come “tempio vivente”, colei che accoglierà nel suo grembo il Figlio di Dio. 

La festa ha origini antiche. Era già celebrata in Oriente dal VI secolo, in relazione alla dedicazione della basilica di Santa Maria la Nuova a Gerusalemme. In Occidente sarebbe stata inserita nel calendario romano nel 1585 da Papa Sisto V. Al di là della data e dell'origine, questa memoria illumina il mistero di Maria come creatura pienamente aperta alla grazia fin dall'inizio della sua storia.

Chiamata attuale e segno profetico

La consegna iniziale della Vergine Maria anticipa momenti decisivi, come il suo “sì” nell'Annunciazione o la sua fedele presenza ai piedi della Croce. Molti autori spirituali vedono in questa festa un invito a offrire anche la nostra vita come tempio per Dio, seguendo le orme di Maria. 

La Presentazione della Vergine Maria non è solo un ricordo del passato. È un invito attuale a scoprire la bellezza della fedeltà silenziosa, sottolineano gli autori. Questo giorno è anche un'occasione per ringraziare la vocazione di coloro che oggi consacrano la loro vita al Signore. In concomitanza con questa festa, la Chiesa celebra la Giornata Pro Orantibus, dedicata ai contemplativi. 

Non si tratta nemmeno di un evento remoto, ma di un segno profetico. Dio prepara con delicatezza la storia della salvezza, e lo fa contando sull'umile “sì” di una bambina. Bisogna distinguere questa festa dalla Presentazione del Signore al Tempio da parte di Maria e Giuseppe, che la liturgia celebra il 2 febbraio. Lì compaiono l'anziano Simeone e la profetessa Anna.

L'autoreFrancisco Otamendi

Risorse

I.H. (Intelligenza Omeletica)

L'intelligenza artificiale è diventata uno strumento utile ai sacerdoti per preparare le omelie. Tuttavia, essa comporta dei rischi, poiché una vera omelia richiede un atto spirituale, preghiera e incarnazione del Vangelo.

Manuel Blanco-21 novembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Ogni giornalista si trova prima o poi ad affrontare la “sindrome della pagina bianca”. Allo stesso modo, la sfida di ogni predicatore consiste nell'avere qualcosa da dire, nel saper spiegare la Parola di Dio e condividerla, nel centrare il messaggio principale del Vangelo senza rimanere senza parole... La brevità, la concisione, la capacità di smuovere vite e cuori fanno parte di questa sfida. Un misto di sudore freddo e grande entusiasmo caratterizza le difficoltà e le ansie di coloro che si scervellano per trasmettere bene agli altri la Buona Novella. Divertente paradosso: quando si tratta di scrivere sui rischi e i vantaggi dell'uso dell'IA (Intelligenza Artificiale), il primo impulso è quello di ricorrere a “lei” per vedere cosa ne pensa dell'argomento, come lo affronta. Qualcosa come “cercare” prima di “pensare”. In ogni caso, nulla che non fosse già stato fatto prima, anche se in modo più rudimentale: consultare enciclopedie, libri o studiosi per organizzare le idee e contemplare approcci arricchenti. 

Credo che il sogno di un predicatore mediocre sarebbe quello di svegliarsi al mattino bevendo un caffè e chiedendo al computer centrale della sua casa “domotica” una buona omelia. Il cinema ci ha messo in guardia sulla “ribellione” di alcuni “cervelli” artificiali (ad esempio, “Hal” di Odissea 2001). E anche se ci ha presentato “intelligenze” robotiche oneste e leali al servizio dell'essere umano (come l'ingegno “Tars” di Interstellar), non possiamo aspettarci da loro un “atto spirituale” come quello che implica “predicare”. 

I tre classici scopi della comunicazione (informare, intrattenere e persuadere) non sono estranei al Vangelo, né allo stile stesso di Gesù. Ma il Signore non è un imprenditore che cerca solo rendimento ed efficacia. Desidera entrare nella vita personale per amore, non per conquistare adepti, né per convincere che i prodotti che vende sono i migliori e che è necessario acquistarli. Quando Gesù raggiunge l'ascoltatore, oltre al suo messaggio potente e vero, convince con la propria vita; è credibile e tocca il cuore. 

Un sacerdote ha elaborato il suo copione attingendo da diverse fonti “attendibili”. Poi lo ha passato a un giovane parrocchiano un po“ ”ai margini" della Chiesa, ma esperto di nuove tecnologie. Con quel materiale ha preparato una bella presentazione, con immagini, plastica e ordinata; mettendo in evidenza l'essenziale e marginando l'accessorio... Il risultato è stato accattivante e pedagogico. Ha persino composto una curiosa melodia con cui condensare l'argomento, ideale per essere memorizzata da grandi e piccini! 

Perché l'IA ha il vantaggio della rapidità, della concisione, dell'illustrazione... Riassume senza perdere l'essenza. Individua le domande ricorrenti che sono al centro dell'argomento, aiutando così a non divagare o a essere “fuori” dalla realtà. Fornisce contesto e modi pratici per rispondere. È concreta. Quando le viene chiesto un aneddoto che esemplifichi l'argomento trattato, di solito si avvicina molto (fornisce una storia generica che il predicatore può poi utilizzare; a volte la concretizza, se “trova” una storia che qualcuno ha elaborato o utilizzato in precedenza). L'IA deve essere alimentata bene, anche se costituisce un accesso diretto e rapido a una moltitudine di contenuti, commenti e omelie raccolti.

Quando si tratta di predicare bene, ci sono poche scorciatoie. La semplice “efficienza” è idolatria. È necessario comprendere Gesù: cosa pensa, cosa prova, cosa farebbe... e perché. Questo è pregare. Il vertigine del buon predicatore è dover parlare di qualcosa di Sublime, Puro, Onnipotente, sapendo di essere macchiato dal proprio peccato, senza forze, senza scienza... senza sufficiente grazia di Dio. Ma questa lo perseguita. Egli cerca il fuoco inestinguibile della Verità. Non espone, proclama! Concepisce “titoli” appropriati, perché li “riceve” dall'interno. La macchina ha letto milioni di testi, ma senza renderli carne, senza anima.

Attualmente, un uccello di malaugurio sorvola il nido dei contenuti: la manipolazione. Esistono portali che cercano di “proteggersi” da questo. Pensare e formarsi continuano ad essere indispensabili. Così come l'umiltà e il pentimento. Il predicatore che incarna il Vangelo lo porta come il moreno di chi è stato esposto al sole vitaminico.

L'IA è uno strumento: non si può affidarle il proprio cuore né delegarle ciecamente il compito della predica, della catechesi, della conversazione... Gesù Cristo persuade perché è degno di fiducia. Alla Chiesa viene richiesta gran parte o tutta quell'integrità trasformatrice dello Spirito Santo, Autore Principale.

Famiglia

5 segnali per riconoscere una relazione positiva

Il sacerdote Ignacio Amorós offre in un nuovo video cinque criteri concreti per aiutare i giovani a discernere se la loro relazione sentimentale è sana, autentica e orientata a Dio.

Teresa Aguado Peña-21 novembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Molti giovani si chiedono: “È la persona giusta per me?”, “Devo continuare questa relazione?”, “Mi fa bene?”. Discernere se si è nella relazione giusta può essere un compito difficile. Il sacerdote Ignacio Amorós, attraverso il canale cattolico Cercasi ribelli, viene in aiuto a questi giovani presentando cinque criteri per riconoscere un amore autentico, maturo e orientato a Dio.

Il video formativo si intitola “I 5 segni di una buona relazione cristiana” e offre cinque indicazioni che aiutano a valutare se una relazione è basata su un amore reale e non su emozioni passeggere o dipendenze affettive.

I cinque segnali, spiegati con esempi reali, sono:

1. Ti rende una persona migliore

Un amore autentico spinge alla virtù, all'ordine interiore, a una vita più sana e alla crescita morale e spirituale. “Un amore buono ti tira su”, afferma Amorós, ricordando la testimonianza di una ragazza che diceva: “Il mio ragazzo mi rende una persona migliore”.”

2. Ti rende migliore con gli altri, specialmente con la tua famiglia

Una relazione sana non isola, non taglia i legami, non imprigiona. Al contrario: porta ad essere un figlio, un fratello, un amico migliore. Come spiega il sacerdote, “un amore buono ti porta ad amare di più i tuoi cari”, in contrasto con le relazioni possessive o chiuse.

3. Ti dà pace interiore

Non una pace superficiale e senza problemi, ma la pace profonda che viene dallo Spirito Santo quando si agisce nella verità e nel bene. “È la serenità del cuore innamorato che fa il bene”, afferma Amorós.

4. Ti permette di vivere nella verità, senza nasconderti

Una relazione sentimentale cristiana sana non richiede una doppia vita né di nascondere la relazione. La domanda chiave — ispirata a Sant'Ignazio — è: “Se tua madre sapesse di questa relazione, cosa ti direbbe?” La trasparenza è un segno di autenticità.

5. Ti apre nuovi orizzonti e ti spinge a sognare in grande

Il vero amore allarga il cuore e la vita: ispira progetti, speranze, creatività, desideri di santità. Non spegne, non restringe, non soffoca. “Quando l'amore entra in una relazione, ti rende magnanimo”, dice il sacerdote.

Dopo questi cinque segnali, il video aggiunge quello che Amorós definisce “il segnale definitivo”:

Ti avvicina a Dio

Una relazione che aiuta a scoprire l'amore di Cristo, a vivere la verità, a pregare, a partecipare alla vita della Chiesa, a crescere nell'umiltà, nella carità e nella purezza. “Una buona relazione sentimentale cristiana deve necessariamente portarti ad avvicinarti a Dio”.”

Il video si conclude con la testimonianza di Madre Teresa, che ricorda come l'amore autentico si esprima anche nella carità concreta.

Con uno stile accessibile e formativo, questo contenuto vuole essere uno strumento utile per parrocchie, movimenti giovanili, consulenti familiari, catechisti e genitori che desiderano accompagnare meglio i giovani nel cammino dell'amore cristiano.

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Iniziative

Cosa possiamo fare per i senzatetto?

tuTECHÔ e le istituzioni ecclesiastiche dimostrano che il fenomeno dei senzatetto può essere risolto quando alloggio e accompagnamento vanno di pari passo.

Redazione Omnes-20 novembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

«Che la tua mano destra non sappia ciò che fa la sinistra», dice il Vangelo. Tuttavia, padre Vladimir afferma che è bene vedere come la Chiesa metta in pratica tutto ciò che predica e aiuti le persone. Vladimir ha accolto e accompagnato 195 senzatetto grazie a il tuoTECHÔ.

In Spagna, tra le 30.000 e le 40.000 persone vivono in condizioni di senzatetto. Ciò non implica solo l'assenza di uno spazio fisico, ma anche la perdita di sicurezza, salute, legami affettivi, autonomia e identità.

I principali problemi che devono affrontare le persone senza fissa dimora sono i prezzi inaccessibili o la discriminazione da parte dei proprietari. Ma c'è speranza: ci sono persone che sono riuscite a uscire da questa situazione grazie al modello di alloggio e accompagnamento.

Il progetto il tuoTECHÔ è nata per porre fine al fenomeno dei senzatetto fornendo alloggi alle organizzazioni sociali che li assistono. Cerca quindi aziende con una finalità sociale sostenibile e con profitti sufficienti per poter crescere e trasformarsi.

La filantropia è essenziale, ma il tuoTECHÔ punta ad andare oltre, con investimenti di impatto. È la prima SOCIMI (Società Anonima di Investimento Immobiliare quotata in borsa) sociale quotata in Spagna (quotata alla BME growth nell'aprile 2024) e il 40% del capitale ha donato il dividendo alla Fondazione, rafforzando ulteriormente l'impegno sociale. Questo modello consente di democratizzare l'investimento d'impatto: chiunque, indipendentemente dalla propria capacità economica, può partecipare alla soluzione.

Unire il problema dei senzatetto con quello dello spopolamento della Spagna, fornendo una soluzione congiunta, è per il tuoTECHÔ è un perfetto esempio di innovazione. Dei 3 milioni e mezzo di case vuote, la metà si trova nei paesi. Con progetti come il tuoTECHÔ Rural sfrutta la disponibilità di alloggi nelle zone spopolate per offrire soluzioni dignitose a basso costo.

La Chiesa, fondamentale in il tuoTECHÔ

Le congregazioni o le entità religiose sono attori chiave nel modello di alloggio e accompagnamento. Tant'è vero che il tasso più alto di superamento del fenomeno dei senzatetto si registra negli alloggi gestiti dalla Chiesa (27 entità inquiline appartengono alla Chiesa, 135 immobili in affitto e circa 500 residenti). Il fatto è che il tuoTECHÔ non offre solo alloggi, ma «ci sono persone che sono così provate che hanno bisogno di assistenza anche se hanno già un posto dove vivere» Blanca Hernández, presidente e fondatrice di il tuoTECHÔ sottolinea l'importanza che gli alloggi servano a dignificare le persone che vi abitano, accompagnandole con un percorso di inserimento personalizzato.

Vladimir, un sacerdote cubano, arrivò a Madrid e ben presto si rese conto del numero di connazionali che arrivavano senza risorse. “Volevamo aiutare, ma non avevamo nulla”, ricorda. Tutto iniziò quando, quasi per caso, una parrocchiana decise di vendere un appartamento e così nacque Cobijo, ormai tre anni fa. Poco dopo conobbe la direttrice di il tuoTECHÔ e ha dato inizio a una collaborazione che oggi consente di gestire 25 appartamenti insieme a il tuoTECHÔ e 10 propri.

Da allora hanno offerto una casa a 195 persone, di cui 42 bambini, e più di 2.000 cubani hanno ricevuto un primo aiuto con un tetto, cibo e assistenza. Vladimir spiega che nei loro appartamenti puntano sulla rotazione: il soggiorno dura solitamente da sei mesi a un anno, perché, dice, “altrimenti si rimane nel nido e non si impara a volare”. “Cobijo è il frutto della Provvidenza e di una cultura di alleanze. Ringrazio il tuoTECHÔ la sua generosità: quando non riusciamo a pagare, la fondazione ci sostiene”.

Padre Jesús, parroco di Leganés Norte, descrive anche la realtà che accompagna: un insediamento di baracche tra la M-45 e Leganés con 80 persone, famiglie che vivono in capannoni industriali - alcune addirittura in una cella frigorifera - e situazioni di estrema vulnerabilità. Per questo apprezza il modello congiunto tra la fondazione e la socimi: investimenti di impatto per l'acquisto di alloggi, affitti sociali sostenibili e sostegno filantropico per coprire ciò che le famiglie non possono permettersi. “La Chiesa”, dice, «deve essere samaritana: accogliere e dare una casa a chi non ce l'ha».

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«Lux», l'album di Rosalía che trascende

In "Lux" Rosalía offre eccellenza musicale e profondità spirituale, creando un ponte verso il trascendente. Un disco che trascende i generi e aspira a diventare un classico istantaneo.

20 novembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Javi Nieves in Alfa e Omega scrive della qualità musicale di “Lux” dicendo: “È un'opera straordinaria. Un punto di svolta per la musica del nostro tempo, capace di conciliare le nuove forme di creazione con la profondità spirituale della vera arte. Non voglio ricorrere alle etichette - sarebbe ingiusto ridurla a un genere - perché Lux trascende le categorie; apporta qualcosa di genuinamente nuovo”. 

Álvaro Galindo, musicista (compositore, pianista e cantante) e creatore di contenuti, commenta sulla stessa linea: “A livello musicale, è perfetto. Quando registri con i talenti del coro di Montserrat e della London Symphony, non può che venire bene. E lei, con quella voce potente... ma anche con una delicatezza impressionante. Perché è questo il difficile: avere potenza e sapere quando usarla. Qui lo fa meravigliosamente. Quando deve essere forte, lo è; quando deve essere dolce, lo è anche. E modula le intensità in modo bellissimo”.

Ma la sua profondità artistica è accompagnata da un linguaggio che va oltre la musica e la letteratura, come dice il famoso conduttore di “Cadena 100”: “I testi di questo disco, il loro intento, la loro atmosfera, risvegliano un profondo desiderio di sentirsi amati da Dio. In essi si riconosce una delicatezza che appartiene al linguaggio del sacro... Lux è, prima di tutto, un disco spirituale. Riflette una sincera ricerca di senso, senza perdere l'essenza di Rosalía né il suo modo così particolare di fare musica... Questo lavoro riconcilia l'arte moderna con la bellezza. E sì, la bellezza è una forma di verità. Il gusto, come la fede, si educa, si lavora. Lux ci invita a discernere tra il superficiale e l'essenziale, tra l'effimero e l'eterno”.

In sintesi, quest'opera trasuda trascendenza. Per descrivere ciò che Rosalia ha realizzato in questo disco, possiamo dire che la rende ciò che nell'antica Roma veniva chiamato “pontifex maximus”. Cioè, in senso letterale, come spiega la voce del termine che appare su Wikipedia, “pontifex” significa “costruttore di ponti”, frutto dell'unione di “pons” con “facere”. La parola “maximus” significa “il più grande”. “Questo potrebbe significare «costruttore di ponti tra gli dei e gli uomini»”. In altre parole, questa grande artista, con la sua musica, crea un ponte con la trascendenza, con un linguaggio che va oltre la musica e il testo, che è spirituale. Rosalia rompe gli schemi con questo album, perché va oltre la razionalizzazione della realtà che esercitiamo oggi nella nostra società, con la politicizzazione e la polarizzazione.

Possiamo dire che quest'opera d'arte nasce con la vocazione di diventare un classico della musica, come dice Galindo: “Mi è capitato più volte di provare un'emozione molto forte ascoltandola: faccio fatica a tornare alla realtà quando finisce. È molto intensa. Credo che diventerà un classico immediato... Sinceramente, non saprei citarti un disco degli ultimi 50 anni così speciale come questo. Ci sono dischi buoni, sì, ma questo è di un altro livello: musicalmente, concettualmente e contestualmente. Inoltre, il tema che affronta – parlare di Dio attraverso la musica popolare – è qualcosa che nessuno faceva per paura. Era quasi un tabù. E ora Rosalía lo mette al centro senza complessi”. 

Nel 1908 il poeta Rainer Maria Rilke, quando era segretario di Rodin, entrò al Louvre per vedere le opere di questo museo di attualità, quando arrivò alle antichità greche si trovò davanti un torso maschile piuttosto distrutto, senza braccia, gambe, genitali... che la sua contemplazione lo lasciò commosso, e scrisse la poesia “Torso di Apollo arcaico”, che termina con questi versi: “... perché qui non c'è un solo posto che non ti guardi. Devi cambiare la tua vita”.

Lo stesso si può dire di “Lux”: ti guarda e ti spinge al cambiamento, perché è un ponte verso la trascendenza, che ti avvicina all'aldilà. 

L'autoreÁlvaro Gil Ruiz

Professore e collaboratore regolare di Vozpópuli.

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Vocazioni

María Magdalena Santa Cruz: Tra le “Diosidenze” 

La cilena María Magdalena Santa Cruz incarna una fede estremamente gioiosa, che mantiene grazie al sostegno incondizionato di suo marito e di una vasta cerchia di amiche che la assistono costantemente nel suo instancabile lavoro. 

Juan Carlos Vasconez-20 novembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

María Magdalena Santa Cruz porta la religione nel suo nome e nel suo cognome, una costante “dio-dissentia”, come lei stessa la definisce. Cileno, sposata con Patricio da 28 anni, con quattro figli, la fede e il rapporto con i santi hanno profondamente segnato la sua vita. La sua storia, sempre vissuta in un clima di gioia, è anche segnata da un percorso che non è stato sempre facile.

Il suo nome, che le piace tanto, non è casuale: “la dice lunga su di me”, assicura. Anche se è stato scelto dai suoi genitori, col tempo il suo nome e la sua vocazione “sono stati sigillati”, collegandola in qualche modo a Maria Maddalena, la santa che amò profondamente Gesù e fu presente sia al Calvario che alla Resurrezione.

Combattere le difficoltà

Insieme al marito, Magdalena è membro supernumerario dell'Opus Dei da prima del matrimonio. La formazione che entrambi hanno ricevuto ha segnato “il modo in cui affrontiamo le difficoltà e i problemi”. Si definiscono una coppia “molto semplice e di questo pianeta”. Come in molte coppie che funzionano bene, la dinamica tra i due è un gioco di equilibri: Patricio è un uomo di “pazienza infinita”, mentre lei si confessa “appassionata, irrequieta e mutevole”.

Magdalena non ha remore a riconoscere i propri limiti con una franchezza rinfrescante. Soffre di emiparesi al lato destro, una condizione che le ha causato un ritardo nel camminare e nel parlare e che ha reso “tutto un po” più difficile”. A ciò si aggiunge una notevole tendenza alla distrazione e alla goffaggine. Lei stessa si definisce “molto limitata” e di avere un “deficit”. Prende tutto con buon umore. È famosa nella sua famiglia per i suoi incidenti stradali, come “graffiare l'auto o urtare durante il parcheggio”.

Tuttavia, nella sua vita, l'aiuto degli altri è fondamentale per andare avanti. Suo marito la sostiene sempre nei suoi “battute” e mantiene la calma quando lei sbaglia. Allo stesso modo, può contare sul sostegno incondizionato delle sue amiche, un gruppo numeroso che, su sua espressa richiesta, nomino per intero: Orietta, Jesica, Carola, Fran U, Fran B, Fran V (dal cielo), Cote, Magu, Anita, Peca, Angélica J, Luz, Carola M, Angelita e Colomba. Sono state loro a guidarla. “e non mi hanno mai lasciato andare”, e, per necessità, “Dovete avere pazienza con me”. Nonostante queste limitazioni, il suo entusiasmo e la sua passione sono inesauribili.

Devozione a Santa Monica

A livello personale, il suo amore per la famiglia l'ha portata ad avere una profonda devozione per Santa Monica, la patrona delle madri che pregano per i propri figli. Poiché uno dei suoi figli non ha ricevuto il sacramento della Cresima, Magdalena si è messa all'opera: per pregare Dio per lui, ha organizzato un gruppo di giovani universitari che preparano alla Cresima i ragazzi delle scuole dove la materia di religione non è importante. Le lezioni si tengono nei locali di una parrocchia vicino a casa sua.

La sua fede è intessuta di queste realtà quotidiane. Ricorda sua nonna Marta, che le ha insegnato a recitare il Rosario ogni giorno. 

Il lavoro di unire 

Sebbene i suoi inizi accademici fossero difficili, col tempo riuscì a diventare “tra i 10 migliori nella media (ma solo nell'ultimo anno delle superiori)”. La sua prima carriera, Geografia, fu una prova di carattere, poiché la costringeva a salire “ripidi pendii”, uno sforzo che spesso ha dovuto superare grazie al fatto che “I miei compagni mi hanno sollevato”.

Dopo aver svolto molti lavori, finì per concentrare la sua attenzione sui più bisognosi, in particolare nei quartieri poveri, e si dedicò a lavorare nelle periferie e “unire i mondi: unire, unire, unire”. È una chiamata che a volte la tiene lontana da quelli di “quartiere alto”, dove il suo lavoro “è sempre durato poco”.

Attualmente è tornato alla sua destinazione naturale: Bajos de Mena, nel comune di Puente Alto. Un ambiente difficile. Lì affronta una dura realtà in cui i giovani hanno solo due possibilità: “studiare o la droga. Così drastico”.”. In questo contesto, lei è “Sognando e aiutando in vari progetti di formazione per i miei ragazzi, le loro mamme, le loro famiglie e i miei insegnanti, che sono fantastici”.”.

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Cultura

La creazione visibile. Grisaglia de «Il giardino delle delizie». Bosch

Diamo inizio a una nuova serie di articoli mensili che cercano di intrecciare la ricchezza dell'arte con la profondità della catechesi. Iniziamo questa prima serie con una riflessione sulla creazione, tema fondamentale del Catechismo della Chiesa Cattolica. In ogni puntata affronteremo aspetti chiave della fede cristiana alla luce di opere artistiche significative.

Eva Sierra e Antonio de la Torre-20 novembre 2025-Tempo di lettura: 7 minuti

Questo articolo offre innanzitutto una spiegazione tecnica di Il giardino delle delizie di Jheronimus van Aken, esplorandone la composizione, il simbolismo e il contesto storico. Analizzeremo come il pittore abbia utilizzato il colore, la prospettiva e i dettagli per creare un'opera così affascinante e complessa. In una seconda sezione, il quadro verrà affrontato da una prospettiva catechetica, riflettendo sui messaggi spirituali e teologici.   

COMMENTO ARTISTICO

Il terzo giorno Dio creò la terraferma, i mari, le piante e gli alberi. Il primo e il secondo giorno aveva già creato la luce e i cieli. 

Il trittico chiuso mostra la visione di Bosch della fine del terzo giorno della creazione: una sfera cristallina che fluttua nell'oscurità; la luce e il buio sono all'origine della tonalità grigiastra che ci rivela alberi e vegetazione che germogliano alla vita, sparsi nel paesaggio. 

Nell'angolo superiore sinistro è raffigurato Dio che crea il mondo. Nella parte superiore di entrambi i pannelli sono presenti delle iscrizioni. “Ipse dixit et facta sunt” e “Ipse mandavit et creata sunt” tratte dai salmi fanno riferimento al suo potere onnipotente.

Utilizzo della grisaille

La scala di grigi utilizzata è nota come grisaille, per cui un'immagine viene eseguita interamente in toni di grigio, modellati per creare l'illusione di una scultura, in particolare di un rilievo. 

Questa tecnica era molto diffusa per le ante esterne dei polittici nell'Europa settentrionale nel XIV e XV secolo. Molti pittori italiani e fiamminghi volevano dimostrare la superiorità della pittura rispetto alla scultura in termini di capacità di rappresentare figure tridimensionali, in un momento in cui si discuteva su quale delle due forme d'arte dovesse essere considerata la più elevata in termini di realismo. 

La tecnica della grisaille contribuiva a dimostrare che la pittura può ingannare l'occhio facendogli vedere una forma tridimensionale, cosa che non si può dire della scultura, che non è in grado di riprodurre immagini in due dimensioni. Se pensiamo a come apparivano queste pale d'altare in una chiesa, alla luce delle candele, non è difficile immaginare che raggiungessero il loro scopo.

La creazione del mondo nel terzo giorno, quando erano stati creati solo la luce e i cieli, si adatta perfettamente alla tecnica utilizzata: prima che Dio creasse il mondo, non c'era nulla, solo oscurità. Dio creò la luce e l'oscurità nel primo giorno; il sole e la luna furono creati solo nel quarto giorno; fino a quel giorno, i colori non esistevano. Il trittico aperto mostra tutta una gamma di piante e creature viventi dai colori brillanti. Questa visione del giardino terrestre delle delizie sarebbe stata possibile solo dopo il quarto giorno. La rappresentazione monocromatica della creazione nel terzo giorno sottolinea l'idea che Dio abbia davvero creato qualcosa di bello e piacevole alla vista.

Destinazione originale dell'opera

Bosch dipinse questo trittico intorno al 1490-1500. Questo formato era comune nei Paesi Bassi nel XIV e XV secolo. Questo tipo di pale d'altare erano solitamente chiuse, tranne in occasioni speciali. Una volta aperte, come in questo caso, rivelavano un interno dai colori vivaci, in netto contrasto con le ali esterne. Purtroppo, abbiamo perso il senso di sorpresa che il rituale dell'apertura avrebbe offerto agli spettatori originali.

Non ci sono molte informazioni sulla data esatta della realizzazione, né sulle circostanze che hanno portato alla sua commissione, né, cosa ancora più interessante, sul luogo per cui questo dipinto era originariamente destinato. 

È difficile immaginare che questo trittico sia stato commissionato per essere esposto in una chiesa, nonostante l'iconografia religiosa, a causa del gran numero di figure nude al suo interno. 

Il trittico fu associato per la prima volta alla Casa di Nassau: Antonio de Beatis, che accompagnò il cardinale Luis de Aragón nel suo viaggio nei Paesi Bassi, lo vide nel 1517 nel palazzo Nassau di Coudenberg a Bruxelles. Fu confiscato a Guglielmo d'Orange nel 1568 da Fernando Álvarez de Toledo, duca d'Alba, e successivamente acquistato in vendita postuma da Filippo II nel 1591, che lo inviò al monastero di San Lorenzo de El Escorial. Nel 1933 fu trasferito in modo permanente al Museo del Prado.

COMMENTO CATECHETICO

L'enigmatica grisaille contenuto nei due pannelli che chiudono il trittico, rivela un messaggio sulla Creazione che possiamo decifrare quando lo collochiamo nel contesto della teologia e della spiritualità dell'epoca in cui è stato concepito. 

Bosch lavora sempre con elementi simbolici che riempiono i suoi quadri di mistero, ma che diventano una fonte inesauribile di significati quando scopriamo le chiavi che si celano dietro di essi. 

In particolare, la chiave per interpretare questo quadro si trova in un passaggio della Summa Theologiae di San Tommaso d'Aquino, cosa evidente per coloro che ammiravano il quadro nel XV secolo, che conoscevano e studiavano quest'opera in profondità, ma poco accessibile a molti degli estimatori contemporanei di questo capolavoro.

Infatti, nell'introduzione alla questione 65 della Prima Parte di quest'opera, San Tommaso divide in tre punti l'esposizione sulla Creazione materiale, o visibile. Parlerà prima dell'atto creativo, poi dell'opera dei primi tre giorni della Creazione (il distinzione dell'opera, o di separazione) e infine dell'opera degli ultimi tre giorni (il opus ornatus, o vestizione). Questa divisione trova il suo fondamento biblico in Genesi 2,1: “Il cielo e la terra furono completati con tutti i loro ornamenti”. Ebbene, il trittico chiuso allude simbolicamente ai primi due punti. Quando il trittico si apre, l'esplosione di colore e movimento che lo spettatore percepisce è un potente riferimento al terzo punto, il opus ornatus in cui Dio riveste il mondo creato con la vita animale e umana.

Vediamo quindi cosa vuole dirci questa grisaille sull'atto creativo, per poi decifrare il suo messaggio sulla prima parte della Creazione. 

L'artista e la sua parola

L'atto creativo è spiegato dai due passi della Scrittura già citati, il cui bianco intenso risalta come luce di saggezza sullo sfondo nero, che evoca il mistero inaccessibile che avvolge l'origine del mondo e della vita. La Parola di Dio illumina questo mistero, bianco su nero, perché è quella Parola che ha creato il mondo. La citazione del Salmo 39 invita alla meditazione. Riflettere su come la Parola di Dio sia la causa di tutto ciò che l'essere ha ricevuto, e la struttura che dà consistenza e senso al mondo, idee che nel Nuovo Testamento rimandano a Gesù Cristo, Parola di Dio, come ad esempio in Giovanni 1, 1-3 e Colossesi 1, 15-17.

D'altra parte, la citazione del Salmo 138, salmo che espone l'opera creatrice di Dio sotto forma di inno di lode, suscita riconoscimento e gratitudine. Infatti, l'atto creativo di Dio nella sua Parola, come cerca di spiegarci Bosch, mira a suscitare nella creatura razionale parole di meditazione e di lode, poiché la parola di questa creatura è la risposta ottimale alla Parola del Creatore.

La raffigurazione del Creatore nell'angolo superiore sinistro sembra evocare la firma del pittore sulla sua tela o dello scultore sulla sua scultura. Per quanto anacronistica possa essere questa evocazione, poiché viviamo in un'epoca in cui raramente gli artisti firmavano le loro opere, non smette di essere suggestivo pensare che il cosmo sia “firmato” da un Creatore, che non è un prodotto del caso o della necessità, ma il frutto della libera e amorevole decisione di un Artista divino, che firmerebbe, tra l'altro, nell'angolo opposto del quadro, dove solitamente firmano gli artisti umani.

Infatti, la trascendenza di Dio, che si colloca all'antitesi di dove si collocherebbe la firma di un artista umano, è evocata anche dalla posizione del Creatore nella composizione. Dio è al di là della sua opera, al di là del tempo e dello spazio, inaccessibile alle forze umane e avvolto in un mistero di oscurità, perché, come riportato anche nella Summa, di Dio possiamo piuttosto dire ciò che non è piuttosto che ciò che è. Questa espressione, frequente nell'ambiente dei mistici dei Paesi Bassi contemporanei di Bosch, ci ricorda che le creature riflettono il Creatore, ma sempre in modo limitato e imperfetto, poiché sono incapaci di mostrare adeguatamente l'essere divino infinito e trascendente.

Il lavoro dei tre giorni

Per quanto riguarda il frutto dell'atto creativo di Dio, questo grisaille ci rappresenta già la sua prima metà, il distinzione dell'opera, che secondo quanto narra la Genesi, 1, Dio realizza nei primi tre giorni. In essi, la Parola di Dio effettua la separazione degli opposti per preparare uno scenario adatto agli animali e agli esseri umani. Nel primo giorno, si separano (distinguono) le tenebre dalla luce. Così, come si osserva nel quadro, la sfera che si staglia sullo sfondo delle tenebre risplende di una luce che è la prima creatura di Dio. Nel secondo giorno, la Parola di Dio separa le acque superiori (quelle che stanno sopra i cieli, nella cosmologia antica) da quelle inferiori (quelle che scorrono sulla superficie del pianeta). 

Come confine tra loro Dio traccia il firmamento, che Bosch rappresenta meravigliosamente come una sfera di cristallo.

Il terzo giorno le acque inferiori vengono separate dalla terraferma, così che un unico continente raggruppa tutta la terra, circondata dal mare primordiale. Il Creatore assegna alla terra il ruolo di madre, poiché da essa nascono le diverse specie vegetali che completano la preparazione dello scenario in cui nascerà la vita animale (il opus ornatus, dal quarto al sesto giorno). L'inventiva di Bosch si manifesta qui in una vivace rappresentazione di forme vegetali chimeriche, che suggeriscono l'infinita creatività del Creatore.

Tutto questo rappresenta un mondo misterioso, appena creato, pieno di innocenza, radioso di purezza e con un ordine ammirevole progettato dalla Parola di Dio. Questo mondo sarà offerto all'essere umano come casa comune per tutti gli esseri viventi, affinché questi, in armonia con il suo Creatore, lo custodisca e lo sfrutti. Bisognerà aspettare di aprire i pannelli di grisaille per vedere come continua questa storia della Creazione e con quali parole l'essere umano risponderà alla Parola Creatrice.

Opera

Titolo dell'opera : Grisaglia de Il giardino delle delizie
Autore: El Bosco
Secolo: XV
Materiale: Olio su tavola di legno di quercia
Dimensioni: 220×97 cm
Posizione: Museo del Prado, Madrid
L'autoreEva Sierra e Antonio de la Torre

Storica dell'arte e dottoressa in Teologia

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Vangelo

Il vero Re. Cristo Re (C)

Joseph Evans commenta le letture del Vangelo di Cristo Re (c) relative al 23 novembre 2025.

Giuseppe Evans-20 novembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Gesù regna dalla croce. È re, ma non in termini terreni. Il suo trono è la croce, il luogo di sofferenza più terribile conosciuto dall'uomo in quell'epoca. È re da un trono di sofferenza, di umiliazione. Nel mezzo della sua agonia, non pensa al proprio dolore né ai propri problemi, ma offre la salvezza al ladrone pentito. È re perché è in grado di dominare la propria sofferenza e pensare agli altri e fare loro del bene.

Gesù ci insegna un nuovo modo di essere re. Non per governare sugli altri, ma per governare noi stessi. Per sapere come superare le nostre disgrazie e le nostre emozioni per fare del bene agli altri.

Gesù ci mostra che il vero re sa come servire, volontariamente, per diventare servitore degli altri. Il vero re ignora le prese in giro e i commenti degli altri per fare ciò che ritiene giusto. Il vero re sa come tacere quando le parole non aiutano.

Troppo spesso non riusciamo a controllarci. Parliamo quando non dovremmo. Rispondiamo alle provocazioni. Ci lasciamo trasportare dalla rabbia, dall'autocommiserazione o dall'egoismo, mettendo noi stessi prima degli altri. Gesù ci mostra un'altra strada: controllarci e vivere la vera regalità, che è il servizio agli altri senza cercare di dominarli.

Ci ricorda anche che dovremmo dare meno importanza alle strutture mondane e al potere politico. L'iscrizione sopra di Lui era stata posta da Ponzio Pilato, il governatore romano. Roma governava Israele in quel periodo. Pilato aveva posto lì l'iscrizione forse per schernire i Giudei, come per dire: “Non cercate di avere un re. Questo è ciò che facciamo con chiunque pretenda di essere re dei Giudei”.

Quando Gesù veniva deriso dai soldati, che riuscivano a ragionare solo in termini politici, Egli viveva in silenzio una forma di regno che trascendeva di gran lunga la politica. Ci stava dicendo quanto fosse transitorio il potere terreno. I regni terreni vanno e vengono. Roma, che credeva di poter deridere il povero e debole Israele, era potente allora. Ora è solo un ricordo storico. Ma la regalità di Dio dura per sempre. Va oltre questo mondo: arriva al Cielo, che Cristo ha aperto al ladrone pentito.

Se siamo disposti a soffrire su questa Terra, a essere fedeli a Dio, regneremo in Cielo. Condivideremo il trono di Cristo: “Al vincitore concederò di sedersi con me sul mio trono, come io ho vinto e mi sono seduto con mio Padre sul suo trono”.” (Ap 3, 21). Vincere significa essere fedeli fino alla morte, significa vincere noi stessi e non gli altri, significa vincere il nostro orgoglio per servirli.

Vaticano

Il Papa sostiene i vescovi statunitensi e insiste sulla pace in Ucraina

Papa Leone XIV ha esortato i cattolici e le persone di buona volontà a leggere e ascoltare il messaggio pastorale dei vescovi statunitensi sugli immigrati. Ha chiesto umanità e dignità per loro, sottolineando che “nessuno ha detto che gli Stati Uniti dovrebbero avere frontiere aperte”. Anche nell'udienza di oggi ha parlato di dignità.

CNS / Omnes-19 novembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

- Cindy Wooden, Città del Vaticano, CNS

All'udienza generale di questa mattina in Piazza San Pietro, Papa Leone ha lanciato un messaggio di tutela della dignità umana e dell'intero creato. Ieri sera, lasciando Villa Barberini a Castel Gandolfo, il Pontefice ha approvato davanti ai giornalisti il recente “messaggio pastorale speciale sull'immigrazione” della Conferenza episcopale statunitense. Ha chiesto “dignità” agli immigrati e ha nuovamente “insistito sulla pace” per l'Ucraina.

“Quando le persone vivono una vita buona, e molte di loro (negli Stati Uniti) per 10, 15, 20 anni, trattarle in modo estremamente irrispettoso, per non dire altro” non è accettabile, ha detto il Papa il 18 novembre, riferendosi agli immigrati statunitensi.

“Una dichiarazione molto importante”.”

Papa Leone ha detto ai giornalisti a Castel Gandolfo che il messaggio pastorale è “una dichiarazione molto importante. Invito soprattutto tutti i cattolici, ma anche le persone di buona volontà, ad ascoltare con attenzione le loro parole”.

“Siamo preoccupati nel vedere tra la nostra gente un clima di paura e ansia intorno alle questioni della discriminazione razziale e del controllo dell'immigrazione”, hanno detto i vescovi. “Siamo rattristati dallo stato dell'attuale dibattito e dal vilipendio degli immigrati. Siamo preoccupati per le condizioni dei centri di detenzione e per la mancanza di accesso alle cure pastorali. Ci dispiace che alcuni immigrati negli Stati Uniti abbiano perso arbitrariamente il loro status legale”.

Leone XIV: “Nessuno ha detto che gli Stati Uniti dovrebbero avere frontiere aperte”.”

“Nessuno ha detto che gli Stati Uniti dovrebbero avere frontiere aperte”, ha detto il Papa ai giornalisti. “Credo che ogni Paese abbia il diritto di determinare chi, come e quando le persone entrano.

Tuttavia, il Santo Padre ha sottolineato che nell'attuazione della politica di immigrazione “dobbiamo cercare modi per trattare le persone umanamente, per trattarle con la dignità che hanno”.

“Se le persone sono illegalmente negli Stati Uniti, ci sono modi per affrontarle”, ha detto. “Ci sono i tribunali. C'è un sistema giudiziario”, ma il sistema ha “molti problemi” che devono essere affrontati.

I vescovi hanno anche detto: “Ci opponiamo alla deportazione indiscriminata di massa delle persone» e hanno pregato «per la fine della retorica disumanizzante e della violenza, sia essa diretta agli immigrati o alle forze dell'ordine”.

Cosa fa il Papa a Castel Gandolfo

A Papa Leone è stato anche chiesto cosa sta facendo a Castel Gandolfo. 

Il martedì è tradizionalmente l'unico giorno della settimana in cui i Papi non hanno udienze ufficiali o eventi pubblici. Quando i suoi impegni lo permettono, Papa Leone si reca a Castel Gandolfo il lunedì pomeriggio e torna in Vaticano il martedì sera.

Papa Leone ha detto di utilizzare la giornata per “un po” di sport, un po' di lettura, un po' di lavoro", specificando che a Castel Gandolfo gioca a tennis e nuota in piscina.

Riposarsi durante la settimana “aiuta molto”, ha detto il Papa. È importante prendersi cura sia del corpo che dell'anima.

Alcuni viaggi apostolici, e altri probabilmente

Mentre si prepara al suo primo viaggio fuori dall'Italia come Papa, una visita in Turchia e Libano dal 27 novembre al 2 dicembre, gli è stato anche chiesto quando pensa di tornare in Perù, dove ha servito come missionario e come vescovo.

Il Papa ha detto che gli piace viaggiare, ma gli eventi dell'anno giubilare hanno tenuto pieno il suo calendario del 2025. La sfida per il 2026 sarà quella di trovare un modo per programmare i viaggi che vorrebbe fare. Tra cui il Santuario di Nostra Signora di Fatima in Portogallo, Nostra Signora di Guadalupe in Messico e poi un viaggio in Uruguay, Argentina e Perù, “naturalmente”.

“Insistere sulla pace” in Ucraina

I giornalisti hanno chiesto al Papa dell'Ucraina. Alcuni hanno sollevato la questione della cessione del territorio alla Russia per porre fine alla guerra. Un'ipotesi recentemente messa sul tavolo anche dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. 

“Spetta a loro decidere, la Costituzione dell'Ucraina è molto chiara”, ha detto Leone XIV. 

“Il problema è che non c'è un cessate il fuoco, non si riesce a parlare e a vedere come risolvere questo problema... Purtroppo, la gente muore ogni giorno. Penso che dobbiamo insistere sulla pace, iniziando con questo cessate il fuoco e poi con il dialogo”.

Conversione del cuore e Solennità di Cristo Re

Nel Pubblico, Papa Leone ha osservato che “come Maria Maddalena il mattino di Pasqua, che si voltò a guardare Gesù, anche noi dobbiamo permettere al seme della speranza cristiana di portare frutto. Esso convertirà i nostri cuori e influenzerà il modo in cui rispondiamo ai problemi che dobbiamo affrontare”. 

“Come seguaci di Gesù, siamo chiamati a promuovere stili di vita e politiche che si concentrino sulla protezione della dignità umana e di tutto il creato”, ha detto ai pellegrini di lingua inglese.

Al termine, ha ricordato che “domenica prossima, ultima domenica del Tempo Ordinario, celebreremo la Solennità di Cristo Re dell'Universo. Mettete Gesù al centro della vostra vita”, ha incoraggiato.

L'autoreCNS / Omnes

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Evangelizzazione

Sant'Odone di Cluny, abate, e Sant'Agnese d'Assisi

Il 19 novembre la liturgia celebra Sant'Odon, monaco francese noto per essere stato il secondo abate di Cluny (Borgogna, Francia), il più famoso monastero del suo tempo. Benedetto VVI ha definito Sant'Odon “una vera guida spirituale”. E ricordiamo anche Sant'Agnese d'Assisi, sorella di Santa Chiara, fedele seguace di San Francesco d'Assisi.    

Francisco Otamendi-19 novembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Benedetto XVI ha dedicato l'Udienza generale del 2 settembre 2009 a Sant'Odone, abate di Cluny. Lo ha presentato come “una figura luminosa del Medioevo monastico che ha visto la sorprendente diffusione in Europa della vita e della spiritualità ispirate alla Regola di San Benedetto”.

Raccontava l'allora Papa: “Odon era ancora un adolescente, circa sedici anni, quando, durante una veglia di Natale, sentì uscire spontaneamente dalle sue labbra questa preghiera alla Vergine. «Mia Signora, Madre di misericordia, che in questa notte hai dato alla luce il Salvatore, prega per me. La tua nascita gloriosa e singolare sia, o misericordiosissima, il mio rifugio”.

Sant'Odone: “Maria, Madre della Misericordia”.”

L'appellativo “Madre di Misericordia”, con cui il giovane Odon invocava poi la Madonna, continua Papa Benedetto, “sarà il modo in cui sceglierà sempre di rivolgersi a Maria». «Chiamandola “l'unica speranza del mondo... grazie alla quale ci sono state aperte le porte del paradiso”.

Sant'Odon divenne abate di Cluny nel 927. Da questo centro di vita spirituale poté esercitare un'ampia influenza sui monasteri del continente. Il suo biografo, pur sottolineando la “virtù della pazienza” di Odon, fornisce un lungo elenco di altre sue virtù. Tra queste, il disprezzo per il mondo, lo zelo per le anime, l'impegno per la pace delle Chiese”. “Sant'Odon fu una vera guida spirituale sia per i monaci che per i fedeli del suo tempo”, ha aggiunto. Benedetto XVI.

Sant'Agnese d'Assisi, sorella di Santa Chiara

Sorella di Santa Chiara, fondatrice delle Clarisse, Agnese nacque ad Assisi nel 1197. Pochi giorni dopo che Chiara lasciò la casa, nel 1211 o 1212, Agnese fece lo stesso, per dedicare la sua vita totalmente a Dio. La sua famiglia cercò di farla tornare indietro, ma Agnese rimase ferma nel suo proposito. 

Trascorse la maggior parte della sua vita nel monastero di San Damiano, fuori Assisi. Ma fu inviata a Monticelli, a Firenze, con il compito di infondere in questa nuova comunità lo spirito di Chiara. Lì rimase come badessa per anni. Di questo periodo si conserva una sua lettera a Chiara. 

Nell'ultimo periodo della sua vita, Agnese accompagnò Chiara ad Assisi, durante la sua ultima malattia e la sua morte, avvenuta l'11 agosto 1253. Morì poco dopo. I suoi resti, insieme a quelli di Chiara, furono sepolti nella Basilica di Santa Chiara ad Assisi. Fu canonizzata nel 1753 da Papa Benedetto XIV.

L'autoreFrancisco Otamendi

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Vaticano

I quattro film preferiti di Papa Leone e il suo incontro con i registi

Papa Leone XIV ha chiesto a registi e attori di continuare a sfidare, ispirare e dare speranza. In un recente video ha anche rivelato i suoi quattro film preferiti: ‘La vita è bella’ di Roberto Benigni, ‘La vita è meravigliosa’ di Frank Capra, ‘Tutti insieme appassionatamente’ di Robert Wise e ‘Gente comune’ di Robert Redford.

OSV / Omnes-19 novembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

- John Mulderig (Notizie OSV)

Pochi giorni dopo che il Papa ha divulgato i suoi film preferiti lo scorso fine settimana, noti attori e attrici, nonché registi, hanno incontrato il Papa in prima fila nella Sala Clementina affrescata in Vaticano. Tra gli altri, Gus Van Sant e Spike Lee, e gli attori Monica Bellucci, Cate Blanchett, Viggo Mortensen e Sergio Castellitto, che ha interpretato il tradizionalista cardinale Tedesco nel film ‘Conclave’ (2024), hanno riferito al Papa. Cindy Wooden, anche da OSV News.

Papa Leone ha chiesto a registi e attori di “difendere la lentezza quando ha uno scopo, il silenzio quando parla, la differenza quando è evocativa». “La bellezza non è solo un mezzo di evasione”, ha detto loro; “è soprattutto un'invocazione”.

Papa Leone XIV saluta l'attrice australiana Cate Blanchett durante un incontro con registi e attori nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano il 15 novembre 2025 (Foto CNS/Vatican Media).

“Quando il film è autentico, non solo conforta, ma sfida”, ha detto. “Articola le domande che abitano dentro di noi e a volte provoca anche lacrime che non sapevamo di dover esprimere”. Il Papa ha pregato affinché il suo lavoro “non perda mai la sua capacità di stupire e di continuare a offrirci uno sguardo, per quanto piccolo, sul mistero di Dio”.

In precedenza, il Pontefice aveva ricevuto l'attore due volte premio Oscar Robert De Niro (82), americano di origini italiane. “Buongiorno! È un piacere conoscerla”, ha detto il Papa. “Anche per me”, ha risposto De Niro, accompagnato da diverse persone, che ha ricevuto un rosario da Leone XIV.

Il quartetto di film

Nonostante la sua concisione, la selezione di quattro film preferiti di Papa Leone copre un'ampia gamma di temi e toni.  

Il quartetto inizia con un classico natalizio dell'epoca d'oro di Hollywood che offre agli spettatori un'affermazione clamorosa del valore di una vita ben vissuta. Nella stessa ottica, è incluso anche un musical per lo più scanzonato e basato sui fatti, che racconta la formazione di una band di famiglia. 

Ma non vengono trascurati i drammi più profondi. Infatti, il catalogo si completa con la storia di una tragedia familiare e delle sue conseguenze emotive, nonché con uno studio sull'amore paterno in contrasto con la straziante crudeltà dell'Olocausto.

Di seguito, in ordine alfabetico, sono riportate brevi recensioni dei film segnalati da Papa Leone, con alcune valutazioni di OSV News e, ove applicabile, quelle della Motion Picture Association. 

‘Com'è bello vivere’ (1946)

Un classico natalizio che racconta le gioie e le difficoltà di un uomo buono (James Stewart) che, sull'orlo della rovina finanziaria alla vigilia di Natale, medita il suicidio fino a quando il suo angelo custode (Henry Travers) gli mostra quanto la sua vita sia stata preziosa per coloro che lo circondano.

Il ritratto di Frank Capra, dichiaratamente sentimentale, della vita quotidiana americana è sostenuto da un cast eccezionale (tra cui Lionel Barrymore nel ruolo di un banchiere intrigante) e da una profonda riflessione su virtù comuni come il duro lavoro e l'aiuto agli altri. I bambini più piccoli potrebbero trovare inquietanti i momenti più cupi della storia. La classificazione di OSV News è A-II: per adulti e adolescenti. Non classificato dalla Motion Picture Association.

‘La vita è bella’ (1998)

Una favola comica agrodolce in cui un libraio ebreo italiano (Roberto Benigni) usa la sua immaginazione per convincere il figlio piccolo che la sua triste esistenza in un campo di concentramento nazista è solo un elaborato concorso e che senza dubbio vinceranno il gran premio.

Scritta e diretta sempre da Benigni, la storia inizia come una commedia slapstick in cui il giovane corteggia la sua futura moglie, per poi trasformarsi in una commovente storia umana sull'incontenibile determinazione di un padre a proteggere il figlio dal terrore e dalla miseria. Tema: il genocidio. 

OSV News è classificato A-II: per adulti e adolescenti. Alcuni contenuti possono essere inappropriati per i minori di 13 anni.

“Gente comune” (1980)

Donald Sutherland e Mary Tyler Moore interpretano magistralmente i genitori confusi e tormentati che cercano di affrontare le conseguenze psicologiche della morte del figlio maggiore in un incidente nautico e del tentato suicidio del figlio superstite (Timothy Hutton).

Diretto da Robert Redford, il film suggerisce che l'ambiente compiacente e materialista dei personaggi può aver contribuito all'instabilità familiare, ma questi aspetti non vengono esplorati a fondo. I problemi sono molto reali, ma il film risulta stranamente freddo e distante. A causa della durezza dell'argomento trattato e di alcune scene con linguaggio forte, il film è consigliato a un pubblico adulto. 

‘Tutti insieme appassionatamente’ (‘The Sound of Music’) (1965)

Un eccellente adattamento cinematografico del musical di Rodgers e Hammerstein sugli anni formativi dei cantanti della Famiglia Trapp in Austria tra le due guerre mondiali. 

La sua storia avvincente, il cast forte (guidato da Julie Andrews e Christopher Plummer), le musiche affascinanti e i testi intelligenti, le scenografie colorate e la fantasia piacevole intratterranno la mente e rallegreranno lo spirito.

Diretto da Robert Wise, il film ha superato la prova del tempo come rinfrescante intrattenimento per famiglie. Il rating di OSV News è AI (adatto a tutti i tipi di pubblico). La classificazione della Motion Picture Association è G (adatto a tutti i tipi di pubblico). Approvato per tutte le età.

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John Mulderig è critico dei media per OSV News. Seguitelo su Twitter: @JohnMulderig1.

Queste informazioni sono state pubblicate originariamente su OSV News. Potete leggerle qui qui e qui.

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L'autoreOSV / Omnes

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Articoli

Ritrovamenti archeologici in Terra Santa nella seconda metà del 2025

I ritrovamenti più recenti includono una diga monumentale dell'VIII secolo a.C. a Gerusalemme, un tesoro d'oro bizantino a Hippos e un'emozionante iscrizione aramaica della Rivolta di Bar Kojba vicino a Ein Gedi.

Rafael Sanz Carrera-19 novembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Le scoperte archeologiche in Terra Santa continuano a illuminare il contesto storico delle Scritture, offrendo non solo prove materiali ma anche opportunità per una riflessione teologica più profonda.

A seguito dei risultati del primo semestre del 2025 -che abbiamo esplorato nella prima parte di questo articolo-La seconda metà dell'anno ha portato nuovi tesori in dialogo con l'Antico e il Nuovo Testamento. Dalle strutture idrauliche della monarchia davidica alle iscrizioni che evocano le lotte ebraiche del II secolo d.C., questi sviluppi rafforzano la sopravvivenza della tradizione biblica nel paesaggio di Israele e della Giordania. Di seguito sono riportate le tre scoperte più importanti effettuate da luglio a novembre 2025.

Una diga monumentale a Gerusalemme: l'ingegneria reale al tempo dei re biblici

Nell'agosto 2025, un'équipe dell'Autorità israeliana per le antichità (IAA), guidata da archeologi dell'Università ebraica, ha annunciato la scoperta di una diga monumentale nel cuore di Gerusalemme, datata all'VIII secolo a.C., durante i regni dei re Jehoash e Amaziah (IX-VIII secolo a.C.).

Questa imponente struttura, lunga oltre 100 metri e alta fino a 6 metri, faceva parte dell'antico sistema idrico della città, in particolare allineato con la Piscina di Siloam. Scavata nell'area della Città di Davide, la diga era costruita con massicci blocchi di pietra e serviva a convogliare l'acqua della sorgente di Gihon, proteggendo la capitale dalle inondazioni e assicurando l'approvvigionamento in tempi di assedio.

Il ritrovamento, rivelato da uno scavo sistematico e dalla datazione al radiocarbonio, corrisponde alle descrizioni bibliche dell'acquedotto di Ezechia (2 Re 20:20), che preparò Gerusalemme contro la minaccia assira, anche se questa diga è antecedente e indica una tradizione di pianificazione della città reale che risale a monarchi precedenti. Come spiega l'archeologo senior Ronny Reich, «Questo lavoro dimostra un adattamento avanzato ai cambiamenti climatici e alle esigenze di difesa, riflettendo la prosperità del regno di Giuda».».

Questa scoperta arricchisce la comprensione della Gerusalemme monarchica, un periodo chiave per la fede israelita. Per gli studiosi biblici, essa si collega direttamente a passi come Isaia 2:9-11, dove si parla della Gerusalemme monarchica. riparazione del muro del laghetto della Città Vecchia. Simbolicamente, evoca l'acqua viva di cui parla il profeta, un motivo che riecheggia nel Vangelo di Giovanni (4,14) e nella tradizione cristiana come fonte di grazia.

Il tesoro d'oro bizantino di Hippos: le ricchezze della Decapoli cristiana

I mesi di luglio e settembre 2025 hanno portato un doppio annuncio dagli scavi di Hippos-Sussita, l'antica città della Decapoli sulle colline del Golan che si affacciano sul Mare di Galilea. In primo luogo, a luglio, sono stati portati alla luce gioielli romani in oro (I-III secolo d.C.), tra cui uno squisito anello e orecchini decorati con motivi ellenistici, a testimonianza dell'opulenza di una città che, secondo la tradizione, fu visitata da Gesù durante il suo ministero nella regione di Gadara (Matteo 8:28-34).

Successivamente, in settembre-ottobre, l'équipe dell'Università di Haifa ha scoperto un tesoro bizantino: 97 monete d'oro massiccio (solidus), gioielli con croci intarsiate e un medaglione con l'immagine di un vescovo locale, nascosti intorno al 613 d.C. durante l'invasione persiana sassanide.

Questi manufatti, conservati in un recipiente di ceramica sotto il pavimento di una basilica cristiana, comprendono pezzi vecchi fino a 1.500 anni, valutati centinaia di migliaia di dollari di oggi. Il direttore degli scavi Michael Eisenberg li descrive come «Uno sguardo agli ultimi giorni di una fiorente città cristiana, dove l'oro serviva non solo come ricchezza, ma anche come offerta eucaristica».». Il collegamento con il Nuovo Testamento è evidente: Ippos faceva parte della Decapoli gentile, un mosaico culturale dove Gesù compì miracoli e predicò, illustrando la sua missione universale (Marco 5, 1-20).

Questo tesoro non solo illustra il passaggio dal paganesimo al cristianesimo in Galilea, ma getta anche luce sul contesto del ministero di Gesù in un ambiente ellenizzato e ricco. Ricorda anche la parabola dei talenti (Matteo 25:14-30). 

Iscrizione aramaica nella grotta di Ein Gedi: lamento della rivolta di Bar Kojba

Nell'agosto del 2025, gli archeologi dell'Università Ebraica di Gerusalemme, in collaborazione con l'IAA, hanno annunciato la scoperta di un'iscrizione aramaica di quattro righe in una grotta nel deserto della Giudea, vicino a Ein Gedi, che si affaccia sul Mar Morto. Datato paleograficamente al 132-135 d.C., durante la rivolta di Bar Kohba contro Roma, il testo inizia con «Abba di Naburya è perito», un lamento personale forse scritto dai ribelli ebrei nascosti nel rifugio. Inciso su una stalattite, misura solo 8×3,5 cm ed è stato ritrovato insieme a spade romane e a una moneta della rivolta, preservata dal clima arido.

Questa scoperta, unica per conservazione e contesto, offre una finestra emotiva sulla resistenza ebraica post-templare, un periodo di martirio che ha influenzato la formazione del giudaismo rabbinico e, indirettamente, del primo cristianesimo. Come nota l'epigrafista Oren Tal, «è un grido umano in mezzo alla disperazione, simile ai salmi di lamento».». Pur non citando direttamente la Bibbia, evoca l'esilio e la speranza messianica di testi come Daniele 12 o i Rotoli del Mar Morto, ritrovati nelle grotte vicine. Riecheggia anche la passione di Cristo come modello di sofferenza redentrice (Ebrei 12, 2). 

Altre scoperte bibliche

Torchio da vino a Tel Megiddo (Israele)Nel novembre 2025, nei pressi dell'iconico Tel Megiddo - l'Armageddon profetico di Apocalisse 16:16 - è stato portato alla luce un torchio per uva di 5.000 anni (età del rame), la più antica testimonianza della produzione di vino in Israele. Questa reliquia cananea, con ciotole rituali, illustra le radici agricole della regione ed evoca il vino come simbolo eucaristico nel Nuovo Testamento.

Fattoria samaritana in Samaria (Israele)Il sito di un villaggio di 1600 anni fa legato ai Samaritani, con mosaici e anfore che alludono al loro sincretismo religioso (Giovanni 4, 1-42), è stato riportato alla luce nel settembre 2025. Esso rivela la coesistenza ebraico-samaritana in epoca bizantina.

Mostre e studiA settembre, il Museo della Bibbia ha esposto la Stele di Tel Dan, il primo riferimento extrabiblico a Re Davide (2 Samuele 5), attirando migliaia di visitatori. Inoltre, i progressi dell'intelligenza artificiale hanno perfezionato la datazione dei frammenti del Mar Morto, rafforzando il loro legame con il canone ebraico.

Nel loro insieme, questi ritrovamenti della seconda metà del 2025 - la diga di Gerusalemme, il tesoro di Hippos e l'iscrizione di Ein Gedi - approfondiscono il dialogo tra archeologia e Bibbia, sfumando non solo eventi storici, ma anche temi come la provvidenza, la resistenza e la redenzione. Come nella prima parte, la Terra Santa continua a parlare: una testimonianza viva che invita credenti e studiosi a riscoprire le Scritture sul loro terreno ancestrale.

L'autoreRafael Sanz Carrera

Dottore in Diritto Canonico

Spagna

Mons. Argüello: “Normalizzare l'aborto significa normalizzare il darwinismo sociale” 

La sessione plenaria dei vescovi spagnoli è iniziata martedì, un giorno dopo la visita della Commissione esecutiva a Papa Leone XIV, con diverse questioni in sospeso.

Maria José Atienza-18 novembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

I vescovi spagnoli si riuniscono a Madrid fino a venerdì prossimo. Si tratta della prima assemblea sotto il pontificato del Papa agostiniano, che ha ricevuto i membri della Commissione esecutiva lunedì 17 novembre. 

Nel suo tradizionale discorso di apertura, il Presidente dei Vescovi spagnoli, Luis Argüello, non ha evitato alcuni dei temi che caratterizzano queste giornate di incontri, sia perché si tratta di questioni di lavoro, sia per l'attualità in cui si svolge questa Plenaria. 

Il revival cattolico: una moda manipolabile?

Uno dei temi che Argüello non ha voluto dimenticare è la rinascita spirituale che, negli ultimi anni, sembra aver preso piede in Spagna. In questo senso, ha sottolineato che “Ci sono segnali che avvertono che il cattolicesimo è di moda o, se preferite, che c'è un ritorno a coordinate spirituali che sembravano bandite. Il processo è costante e in crescita”, e ha citato come esempio l'album della cantante Rosalía, Luz o il film “Los Domingos“. 

Il ritorno alla fede è stato il tema di gran parte della prima parte del discorso, in cui il presidente dei vescovi ha avvertito che “ascoltare più intensamente la voce di Dio e la «svolta cattolica» può essere una moda o un oggetto di manipolazione ideologica della confusione e delle difficoltà vissute dai giovani di oggi”, e ha attaccato il “complesso autoritario tecnologico‘ che ha nel vicepresidente James David Vance, un convertito cattolico, il suo anello di congiunzione politico. Con tutto ciò, il potere del denaro e degli algoritmi al servizio del denaro e del potere sta emergendo con forza’. 

L'aborto, la questione “nascosta” dai poteri socio-politici

“Nelle ultime settimane il tema dell'aborto è riapparso in varie forme: i tentativi di elevare a rango costituzionale questo presunto diritto; l'obiezione di coscienza del personale sanitario; l'informazione alle madri di tutto ciò che significa l'intervento che provoca l'aborto; i dati offerti dal Ministero della Salute, nel 2024 ci sono stati 106.173 aborti e 322.034 nascite”. Con questi dati, il presidente dei vescovi ha affrontato la terribile realtà dell'aborto in Spagna. 

Argüello ha citato Matthieu Lavagna, intervistato da Omnes qualche settimana fa, nel suo libro “La raison est pro-life” (La ragione è a favore della vita), che ha sottolineato come “osare parlarne in pubblico è diventato un tabù, quasi un'intrusione nella vita privata delle persone«. Affermare pubblicamente che l'aborto è oggettivamente immorale, perché significa porre fine alla vita di una persona diversa dalla madre e dal padre, significa rischiare di sentire forti squalifiche personali, sociali e politiche: »Mettere in dubbio questa conquista, dubitare di questo diritto? Questo è il parossismo del pensiero fascista e autoritario che merita l'immediata etichetta di estrema destra”. 

Il presidente della Conferenza episcopale spagnola ha ricordato che “basta aprire un qualsiasi manuale di embriologia medica per vedere che gli scienziati affermano unanimemente che dal momento della fecondazione si crea nel corpo della madre un organismo umano vivo e indipendente con un proprio patrimonio genetico. Non è necessario ricorrere alla Bibbia per affermarlo, anche se essa ci dice che la sua dignità è sacra e che è dotato di un'anima immortale”. 

L'arcivescovo di Valladolid ha messo il dito su due questioni chiave in questa vicenda: il nascondere “sotto il tappeto” la realtà, l'egoismo e le conseguenze dell'aborto e il servilismo di alcuni comitati di bioetica “al servizio della biopolitica”. 

Ha inoltre sottolineato che in ogni gravidanza è necessario tenere conto non solo del nascituro, ma anche dei suoi genitori e delle circostanze. Per questo motivo, ha voluto “tendere una mano di vicinanza alle madri incinte affinché non esitino a chiedere aiuto se devono affrontare il dramma di una gravidanza che può essere indesiderata; che la soluzione a una situazione, così spesso molto difficile da affrontare da sole, non deve essere l'eliminazione della vita che è nel loro grembo”. In questo senso, ha denunciato che “la normalizzazione dell'aborto esprime la normalizzazione del darwinismo sociale” in cui non tutte le vite hanno lo stesso valore.  

“La Chiesa non sponsorizza alcuna forma di politica”.” 

Un altro dei temi affrontati nel discorso del presidente dei vescovi spagnoli è stato l'anniversario della morte di Francisco Franco e l'inizio della democrazia in Spagna. A questo proposito, mons. Luis Argüello ha ricordato come “cinquant'anni fa la maggior parte dei vescovi di Spagna, uomini che avevano conosciuto la guerra e il dopoguerra, dedicarono parole di elogio e di gratitudine a Franco”, senza evitare lo sviluppo ineguale del rapporto tra i vescovi spagnoli e il regime franchista. 

Il discorso è stato particolarmente chiaro quando il presidente dei vescovi ha citato il cardinale Tarancon quando, nell'omelia del 27 novembre ai Jerónimos, ha sottolineato che “la fede cristiana non è un'ideologia politica né può identificarsi con nessuna di esse, dato che nessun sistema sociale o politico può esaurire tutta la ricchezza del Vangelo, né appartiene alla missione della Chiesa presentare opzioni o soluzioni concrete per il governo nei campi temporali delle scienze sociali, economiche o politiche. La Chiesa non sponsorizza nessuna forma politica o ideologia, e se qualcuno usa il suo nome per coprire le proprie fazioni, lo sta usurpando”. Il presidente dei vescovi spagnoli ha chiesto che “i prossimi tre anni siano all'insegna della ‘purificazione della memoria’ contaminata dai pregiudizi ideologici delle leggi della memoria storica e democratica che, giustamente, vogliono riabilitare e onorare le vittime della dittatura e seppellire con dignità coloro che erano ancora nelle tombe e nelle fosse, ma sono soprattutto uno strumento di polarizzazione ideologica al servizio degli interessi politici del presente piuttosto che un canale per approfondire la riconciliazione che gli anni della Transizione hanno raggiunto, in larga misura”. 

Non è sufficiente essere un obiettore di coscienza 

Il presidente dei vescovi spagnoli ha incoraggiato soprattutto i fedeli laici a essere presenti nella vita pubblica. In questo senso, ha sottolineato che “non basta essere un obiettore di coscienza. È necessario promuovere la coscienza a partire dalla propria coscienza”.  

Argüello ha voluto sottolineare che le ultime notizie riguardanti presunti casi di abuso all'interno della Chiesa “ravvivano in noi il desiderio di continuare a promuovere il lavoro per eliminare questi comportamenti a partire da due ambiti: La presunzione di innocenza, anche per i membri della Chiesa, e anche la libertà di denunciare e seguire” nel caso in cui si ritenga che sia vero.

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La Vergine Madre di Dio

Dopo la normalizzazione del cristianesimo nel IV secolo, nacquero dispute teologiche che Nestorio portò all'estremo rifiutando il titolo di Madre di Dio per la Vergine Maria.

18 novembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Il Santo Padre Francesco nella Bolla di Convocazione del Giubileo della Speranza del 2025 ha ricordato che questo evento si sarebbe svolto durante le celebrazioni del Concilio di Nicea: “Coincide anche con l'anniversario del Concilio di Nicea, che si tenne nel 325. Sono passati 1700 anni. Con questo ricordo noi cattolici mostriamo la nostra gratitudine al Signore per quelle sessioni conciliari... che hanno fissato gli insegnamenti rivelati nella Parola di Dio e che sono sintetizzati nelle verità che recitiamo o cantiamo nel Credo” (“Spes non confundit”, n.17).

Infatti, il consolidamento della speranza è stata la chiave di questo anno giubilare che stiamo celebrando nella Chiesa universale e non possiamo dimenticare che il fondamento della speranza è radicato nella grazia di Dio che è stata riversata nel battesimo sotto l'invocazione di Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo.

Controversie teologiche

Innanzitutto, dobbiamo fare riferimento alle dispute teologiche che sono sorte nella Chiesa a partire dal IV secolo, cioè non appena i “cosiddetti intellettuali” sono entrati in contatto con la rivelazione cristiana e hanno conosciuto le prime esposizioni della fede: la catechesi, il simbolo degli apostoli e le apologie cristiane. 

Dobbiamo anche ricordare che nel 313 Costantino permise alla Chiesa di ottenere uno statuto e di avere personalità giuridica, e innumerevoli persone chiesero di essere battezzate.

I Padri della Chiesa di questo periodo sottolineano come questo afflusso massiccio di nuovi fedeli, senza una preparazione approfondita e, soprattutto, con poco clero che si occupasse di loro nel percorso verso il battesimo, portasse a un calo di tensione nella Chiesa.

Qui abbiamo l'origine del duplice movimento che si sviluppò in tutta la Chiesa cattolica alle due estremità del Mediterraneo, nel cui bacino la fede cristiana era cresciuta e si era espansa. Da un lato, la vita monastica che portò migliaia di uomini e donne a vivere una vita di identificazione con Cristo, imitandolo nei giorni trascorsi nel deserto in preparazione alla sua vita pubblica. Un percorso di santità che ha avuto tre fasi: gli anacoreti, la vita cenobitica e i monasteri. Questo cammino di santità continua nel nostro tempo in una varietà di forme che hanno un'origine comune nei padri del deserto.

Immediatamente, dobbiamo ricordare le migliaia di uomini e donne che, come ci hanno detto Origene e altri apologeti, sono rimasti celibi nel cuore della società, dediti al lavoro, alla vita familiare e all'esercizio della carità nel celibato apostolico o come padri e madri di famiglia cristiana in pienezza di amore. San Josemaría ha fatto notare, tuttavia, che “questo stile di vita di molti cristiani ha finito per essere dimenticato a causa del fatto che non lo hanno vissuto”.

All'interno del quadro appena delineato, vogliamo ora presentare il problema delle dispute teologiche sorte all'interno della Chiesa cattolica nel IV secolo, appena raggiunta la normalità istituzionale.

Il problema trinitario

La prima questione sollevata dai sacerdoti pagani e persino dai rabbini e dai dottori della legge convertiti al cristianesimo, cioè gli “intellettuali” di quel periodo, sarebbe stata come conciliare l'unicità di Dio con la presenza delle teofanie del Nuovo Testamento, l'identificazione di Gesù Cristo con suo Padre e l'innegabile presenza dello Spirito Santo non solo nelle teofanie citate ma anche negli Atti degli Apostoli e nella vita quotidiana della Chiesa.

Si trattava quindi di conciliare la trinità delle persone con l'unità della natura. In sostanza, gli argomenti centrali del Trattato di Trinitate in cui tutti credevano ed erano cresciuti nella fede e nella vita di fede, doveva essere reso esplicito.

La questione cristologica

La seconda grande questione sarebbe come combinare le due nature di Cristo, quella divina e quella umana, nell'unica persona di Gesù Cristo. Non dimentichiamo che fin dalla diffusione dell'eresia di Manes si era diffusa l'idea di un Dio del bene e di un altro del male, rifiutata da chiunque pensasse un po' alla sostanza divina.

La discussione teologica si spostò dall'ambito scientifico e specialistico alla gente semplice e alla strada, grazie, ad esempio, alle orecchiabili canzoni di Ario, e le discussioni aperte divennero pubbliche e appassionate.

La Vergine Maria

Infine, ricordiamo la figura di Nestorio, patriarca di Costantinopoli (428-431), che sollevò un'altra questione molto delicata. Secondo lui, la Beata Vergine doveva essere chiamata “Madre di Cristo” anziché “Madre di Dio”, per evitare che alcuni ignoranti pensassero che la Vergine fosse Dio. 

Ecco alcune parole di San Josemaría a commento di quella discussione teologica e della soluzione che essa provocò nel Concilio di Efeso: ”Questa è sempre stata la fede sicura. Contro coloro che la negavano, il Concilio di Efeso proclamò che «se qualcuno non confesserà che l'Emmanuele è veramente Dio e che per questo la Beata Vergine è la Madre di Dio, poiché ha generato il Verbo di Dio incarnato secondo la carne, sia anatema».» (Concilio di Efeso, canone 1, Denzinger-Schön. 252). La storia ci ha conservato testimonianze della gioia dei cristiani per queste decisioni chiare e nette, che riaffermavano ciò che tutti credevano: «tutto il popolo della città di Efeso, dalla mattina presto fino a sera, stava in trepidante attesa della decisione... Quando si seppe che l'autore delle bestemmie era stato deposto, tutti a una sola voce cominciarono a glorificare Dio e ad acclamare il Sinodo, perché il nemico della fede era caduto. Appena usciti dalla chiesa, fummo accompagnati con le fiaccole alle nostre case. Era notte: tutta la città si rallegrava e si illuminava» (San Cirillo di Alessandria, Epistolae, 24 (PG 77, 138). Così scrive San Cirillo, e non posso negare che, anche a distanza di sedici secoli, quella reazione di pietà mi fa una profonda impressione”.

Indubbiamente, queste parole evidenziano come la devozione alla Vergine si sia sempre basata sul considerarla Madre di Dio e madre dell'umanità, e su questo privilegio materno si sono basati gli altri titoli e privilegi mariani, come ha ricordato recentemente il Dicastero per la Dottrina della Fede.

L'autoreJosé Carlos Martín de la Hoz

Membro dell'Accademia di Storia Ecclesiastica. Docente del master del Dicastero sulle cause dei santi, consulente della Conferenza episcopale spagnola e direttore dell'ufficio per le cause dei santi dell'Opus Dei in Spagna.

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Evangelizzazione

Dedicazione delle Basiliche di San Pietro e San Paolo a Roma

Il 18 novembre, la liturgia commemora la Dedicazione delle Basiliche di San Pietro e San Paolo a Roma, che unisce in un unico memoriale i due grandi apostoli e pilastri della Chiesa, martirizzati sotto Nerone nel I secolo.  

Francisco Otamendi-18 novembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

La festa di oggi ricorda non solo la costruzione materiale dei templi eretti sulle loro tombe, ma soprattutto la dedicazione. Vale a dire, la consacrazione degli edifici a Dio e al culto divino, grazie alla quale diventano luoghi santi. E anche la realtà spirituale che essi rappresentano per la fede cattolica: la continuità apostolica e l'unità della Chiesa costruita sulla testimonianza martiriale di San Pietro e San Paolo.

La Basilica di San Pietro segna il luogo in cui, secondo la tradizione, il primo papa subì il martirio. La sua dedicazione originaria risale al IV secolo, sotto l'imperatore Costantino. L'attuale basilica, ricostruita tra il XVI e il XVII secolo, è un simbolo visibile del ministero petrino, al quale Cristo affidò la missione di confermare i fratelli nella fede (cfr. Lc 22,32). 

La Chiesa vede in questo tempio, che ha richiesto 170 anni di costruzione sotto 20 papi, un segno dell'unità intorno al successore di Pietro. “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”, gli disse Gesù (Mt 16,18-19).

San Paolo fuori le mura

Anche la Basilica di San Paolo fuori le Mura, costruita sulla tomba dell'Apostolo delle Genti, fu fondata nel IV secolo e fu poi ricostruita dopo l'incendio del 1823, che distrusse quasi tutto. La ricostruzione monumentale fu completata nel 1854. Si sono conservati resti come il chiostro e l'arco trionfale. Oggi è un importante centro di pellegrinaggio e una delle quattro basiliche papali (le altre tre sono San Pietro, San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore).

L'ultima grande celebrazione presso la Basilica di San Paolo fuori le Mura, che dista 11 chilometri dalla Basilica di San Pietro, ha avuto luogo di recente, con la storica partecipazione a un servizio di preghiera ecumenico del re britannico Carlo III e della regina Camilla.

L'autoreFrancisco Otamendi

Vaticano

Cosa conta di più nella Chiesa, la pratica pastorale o lo studio e la formazione?

Nella Chiesa contano di più lo studio, la preparazione o la pratica pastorale? Cosa ne pensa il Papa e dove pone l'accento? Forse entrambe le cose, ma con delle sfumature. Eccone una.      

CNS / Omnes-18 novembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

- Cindy Wooden, Città del Vaticano, CNS

A volte si parla di Papi più pastorali o più intellettuali. Cosa dovrebbe prevalere nella formazione dei sacerdoti e dei laici nella Chiesa, cosa è più importante: lo studio o il lavoro pastorale? O entrambi... Sono analisi frequenti. 

Papa Leone XIV ha chiarito ulteriormente la questione, in occasione dell'inaugurazione ufficiale dell'anno accademico 2025-2026 della Pontificia Università Lateranense, il 14 novembre. Un centro spesso definito “l'Università del Papa”, che occupa “un posto speciale” nel suo cuore, come ha detto.

“La ricerca scientifica e il lavoro di ricerca sono necessari”.”

“Per servire veramente la Chiesa e il mondo”, ha detto Papa Leone, “l'università deve mantenere i più alti standard accademici. L'eccellenza scientifica deve essere promossa, difesa e sviluppata”. 

“A volte ci troviamo di fronte all'idea che la ricerca e lo studio siano inutili per la vita reale, che ciò che conta nella Chiesa sia la pratica pastorale piuttosto che la preparazione teologica, biblica o giuridica”.

Tuttavia, il rischio sta nel “cadere nella tentazione di semplificare questioni complesse per evitare l'onere della riflessione, con il pericolo che, anche nell'azione pastorale e nel suo linguaggio, si possa cadere nella banalità, nell'approssimazione o nella rigidità”, ha proseguito.

“Abbiamo bisogno di laici e sacerdoti preparati e competenti”.

“La ricerca scientifica e il lavoro di ricerca sono necessari. Abbiamo bisogno di laici e sacerdoti preparati e competenti. Perciò vi esorto a non abbassare la guardia in campo scientifico, ma a perseguire con passione la ricerca della verità e a confrontarvi strettamente con le altre scienze, con la realtà e con i problemi e le difficoltà della società”, ha detto nel suo discorso. discorso.

“Contrastare il rischio di un vuoto culturale”.”

La fede deve essere studiata in modo da poter essere espressa “nei contesti e nelle sfide culturali di oggi”, ha detto, ma non è detto che non si possa fare qualcosa di più. questi studi Sono anche un modo per «contrastare il rischio del vuoto culturale che, nel nostro tempo, sta diventando sempre più diffuso».

La facoltà di teologia dell'università, ha detto il Papa, deve trovare il modo di evidenziare la «bellezza e la credibilità» della fede cristiana «in modo che possa apparire come una proposta pienamente umana, capace di trasformare la vita delle persone e della società, di portare un cambiamento profetico in risposta alle tragedie e alle povertà del nostro tempo, e di incoraggiare la ricerca di Dio».

Dialogo e rispetto

Tutto ciò che fa un'università cattolica, Papa Leone ha detto che deve essere fatto con dialogo, rispetto e con l'obiettivo di costruire una vera comunità di fratelli e sorelle.

Questo senso di fraternità, ha detto, è essenziale per contrastare “il richiamo dell'individualismo come chiave del successo nella vita”. Questo ha “conseguenze preoccupanti su tutta la linea: le persone si concentrano sull'autopromozione, si alimenta il primato dell'ego, si ostacola la cooperazione. Crescono i pregiudizi e le barriere nei confronti degli altri, soprattutto di chi è diverso, la responsabilità nel servizio viene confusa con la leadership solitaria e, alla fine, si moltiplicano le incomprensioni e i conflitti”.

A livello umano e religioso, ha detto Papa Leone, un'università cattolica è chiamata a promuovere il bene comune e a preparare gli studenti a contribuire al bene delle loro chiese e comunità.

“L'obiettivo del processo educativo e accademico deve essere quello di formare persone che, guidate dalla logica della gratuità e dalla passione per la verità e la giustizia, possano diventare costruttori di un mondo nuovo, fraterno e solidale”, ha detto. “L'università può e deve diffondere questa cultura, diventando segno ed espressione di questo mondo nuovo e della ricerca del bene comune”.


L'autoreCNS / Omnes

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Cinema

«The Reborn»: una storia di superamento delle difficoltà in Congo

La produzione della Fondazione Amici di Monkole dà un volto alla situazione dei bambini abbandonati di Kinshasa e mette in evidenza il potere trasformativo dell'istruzione.

Redazione Omnes-18 novembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Il Fondazione Amici di Monkole presenterà il prossimo giovedì 27 novembre al Palacio de la Prensa Cinemas di Madrid il film documentario Kobotama Lisusu (Il rinato), una commovente storia vera di superamento delle difficoltà, girata a Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo) e diretta da Álvaro Hernández Blanco.

Il film, prodotto dalla Fondazione Amici di Monkole e con Gabriel González-Andrío come produttore esecutivo, racconta l'esperienza di Fils e Ruth, due fratelli accusati di stregoneria, maltrattati ed espulsi dalla loro casa durante l'infanzia. La loro lotta per sopravvivere e avere accesso a un'istruzione decente diventa un simbolo di speranza per migliaia di bambini congolesi in una situazione simile.

Secondo l'UNICEF e Save the Children, tra i 50.000 e i 70.000 bambini sono stati accusati di stregoneria nella RDC. Solo a Kinshasa, dove vivono circa 20 milioni di persone, più di 30.000 bambini sopravvivono per strada e 80 di loro sono stati espulsi e abbandonati per gli stessi motivi.

“Le accuse di stregoneria e i conflitti armati sono le cause principali dell'esclusione scolastica di massa”, afferma Enrique Barrio, presidente della Fondazione Amici di Monkole. “Per questo abbiamo lanciato un programma di borse di studio che permetterà a 50 bambini di due orfanotrofi di Kinshasa di andare a scuola. Crediamo che l'istruzione sia la chiave dello sviluppo e delle pari opportunità”.

La speranza a Kinshasa

Il regista del documentario, Álvaro Hernández Blanco, sottolinea che Kobotama Lisusu “cerca di gettare luce e speranza sulle storie vere di bambini che, nonostante tutto, riescono ad andare avanti”.

“Non vogliamo che Ruth e Fils siano delle eccezioni, ma dei riferimenti”, aggiunge. “Si dice spesso che i documentari «sensibilizzano», ma con Kobotama Lisusu vogliamo fare un passo in più, mettendo a disposizione misure molto tangibili per coinvolgere il pubblico nel cambiamento”, conclude.

Fils Makani, uno dei protagonisti, dice: “Sono entusiasta di questo documentario e credo che toccherà e cambierà la vita di molte persone, compresa la nostra. Voglio ringraziare gli Amici di Monkole perché grazie al loro aiuto ha cambiato il nostro futuro”.

La prima del documentario si avvale della collaborazione di Omnes Magazine, delle sale del Palacio de la Prensa di Madrid, di Antonio Gamboa (The Art Warriors, Madrid Content School) e della Madrid Content School. e la giornalista di Canal 24 Horas Laura Pavía.

Zoom

«Settimana rossa» per i cristiani perseguitati

La chiesa di Veracruz a Santiago del Cile, illuminata di rosso durante la Settimana Rossa 2024, in memoria dei cristiani perseguitati.

Redazione Omnes-17 novembre 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto
Mondo

Il mondo si tinge di rosso per i cristiani perseguitati

Più di 600 chiese e monumenti si tingeranno di rosso per la #RedWeek 2025, un'iniziativa globale di Aiuto alla Chiesa che Soffre per denunciare la persecuzione religiosa e sostenere la libertà di fede.

Redazione Omnes-17 novembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Da Vienna a Bogotà, da Sydney a Parigi, più di 600 chiese e monumenti in tutto il mondo saranno illuminati di rosso tra il 15 e il 23 novembre nell'ambito della #RedWeek 2025, una campagna internazionale organizzata da Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN) per evidenziare la condizione dei cristiani perseguitati e promuovere la libertà religiosa.

Il giorno centrale della campagna sarà #RedMercoledì 19 novembre, con oltre 100 eventi in programma, tra cui preghiere, eventi pubblici, concerti, raduni scolastici e marce. Si prevede che più di 10.000 persone parteciperanno direttamente e che l'impatto raggiungerà più di 500.000 partecipanti attraverso i media e le piattaforme digitali.

Tra i testimoni più importanti ci saranno la suora colombiana Gloria Narvaez, rapita per quasi cinque anni dagli estremisti islamici in Mali, che parlerà in Messico, e il missionario tedesco Hans-Joachim Lohre, anch'egli rapito in Mali, che darà la sua testimonianza in Svizzera. In Germania, sette eventi importanti vedranno la partecipazione del vescovo nigeriano Wilfred Chikpa Anagbe, tra cui una messa solenne nella cattedrale di Ratisbona illuminata di rosso.

Uniti in un unico gesto

Durante la #RedWeek, più di 635 chiese e monumenti in città come Vienna, Roma, Zurigo, Lisbona, Londra, Bruxelles, Berlino, Parigi, Dublino, Toronto, Città del Messico e Bogotà saranno illuminati di rosso, a simboleggiare il sangue dei martiri. Per la prima volta, anche monumenti emblematici di Parigi come l'Obelisco della Concorde e il Pont des Arts aderiranno alla campagna.

In Germania si sono registrate più di 190 chiese, mentre i Paesi Bassi ne illumineranno circa 200 e il Portogallo illuminerà Lisbona, Braga, Porto e Viana do Castelo. Tra le cattedrali più rappresentative che parteciperanno ci sono la Basilica Cattedrale di San Michele e la Cattedrale di Maria Regina del Mondo in Canada, la cattedrale del Santuario di Las Lajas in Colombia e diverse cattedrali in Australia e Nuova Zelanda, tra cui Perth, Hobart, Melbourne e Newcastle.

A Londra, la Cattedrale di San Giorgio sarà il centro del principale evento nazionale di ACN UK, con una messa presieduta dal vescovo Nicholas Hudson e la consegna del premio Courage to be Christian a Tobias Yayaha, un catechista di Sokoto, in Nigeria.

Un fenomeno globale

Secondo il Rapporto mondiale sulla libertà religiosa 2025 di ACN, 413 milioni di cristiani vivono in Paesi in cui la loro libertà religiosa è fortemente limitata e 220 milioni di cristiani subiscono persecuzioni dirette (1 cristiano su 10). I cristiani subiscono violenze, discriminazioni e distruzione di proprietà in 32 Paesi, attacchi fisici o verbali in 73 Paesi e sfollamenti forzati in 33 Paesi.

ACN invita tutte le parrocchie, le scuole e le comunità a partecipare illuminando le loro chiese di rosso, simbolo del sangue dei martiri, organizzando momenti di preghiera e diffondendo messaggi sui social media con gli hashtag #RedWeek2025 e #RedWednesday2025, in un gesto di solidarietà globale per i milioni di cristiani perseguitati in tutto il mondo.

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Evangelizzazione

Santa Elisabetta d'Ungheria, Principessa e Serva degli Infermi e dei Poveri

A conclusione del Giubileo dei poveri, il 17 novembre la liturgia celebra Santa Elisabetta d'Ungheria, una principessa che si sposò giovane, ebbe tre figli e morì a 24 anni. Dedicò la sua breve vita ad aiutare i deboli, i poveri e i malati e costruì ospedali. Per la sua generosità fu bollata come pazza.

Francisco Otamendi-17 novembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Santa Elisabetta, principessa d'Ungheria e gran contessa di Turingia in Germania, nacque nel 1207, figlia del re Andrea II e di Gertrude di Andechs-Merano, e fu raffigurata da Murillo mentre “curava i malati” nel XVII secolo.

Secondo le usanze della nobiltà medievale, Elisabetta fu promessa in sposa a un principe tedesco della Turingia. Si sposò all'età di quattordici anni con Ludwig IV, Langravio o Gran Conte di Turingia, ed ebbe tre figli. German, l'erede al trono, Sophia e Gertrude. Gertrude nacque quando il marito era già morto di peste (1227) come crociato in viaggio verso la Terra Santa. Aveva solo 20 anni. Santa Elisabetta morì a 24 anni, nel 1231, e fu canonizzata da Gregorio IX nel 1235. Una testimonianza di vita densa e abnegata.

Elisabetta d'Ungheria è la figura femminile che più genuinamente incarna lo spirito penitenziale di Francesco, secondo il calendario dei santi francescani. La predicazione dei Frati Minori tra il popolo, che avevano appreso da San Francesco d'Assisi, consisteva nell'esortare a una vita di penitenza e a praticare le opere di misericordia. La breve vita di Elisabetta causò uno scandalo alla corte di Wartburg, molti la consideravano pazza a causa della sua misericordia.

Aiutava i deboli e promuoveva gli ospedali.

Mentre era ancora Gran Contessa e in assenza del marito, dovette affrontare un'emergenza che fece precipitare il Paese nella carestia. Svuotò i granai della contea per aiutare i bisognosi, poveri e malati. Elisabetta vide la persona di Cristo in coloro che erano nel bisogno.

Ha messo l'intelligenza al servizio della sua lavoro assistenziale. Durante la vita del marito, contribuì alla fondazione degli ospedali di Eisenach e Gotha. Poi costruì quello di Marburgo (1229), l'opera preferita della moglie vedova. Fondò una fraternità religiosa con le sue amiche e fanciulle e la pose sotto la protezione di San Francesco, canonizzato pochi mesi prima.

L'autoreFrancisco Otamendi

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Libri

Habermas: Il cambiamento strutturale della sfera pubblica

Jürgen Habermas propone un ritorno al dibattito democratico per perseguire il bene comune e non semplicemente per scontrarsi o convincere l'avversario. E di rafforzare le fondamenta dei concetti democratici e giuridici su cui basiamo l'edificio dello Stato e le strutture del potere.

José Carlos Martín de la Hoz-17 novembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Il professor Jürgen Habermas (1929), giunto quasi alla fine della sua vita, è emerso come il maestro di un'intera generazione di pensatori impegnati a realizzare un'etica globale per questa nuova civiltà che sta nascendo all'inizio del nuovo millennio e che ha un grande bisogno di un equilibrio tra fede e ragione e dell'unità delle scienze sulla base di un'antropologia comune.

Che l'etica comune che si sta cercando sia aperta alla trascendenza è un segno di grande buon senso e apertura mentale, poiché da ventun secoli ci sono molti uomini e donne di grande intelligenza che hanno vissuto in accordo con la loro fede in una rivelazione divina che è in linea con la dignità della persona umana e quindi degna di essere presa in considerazione. Infatti, la trascendenza dell'uomo, nella filosofia del limite, arricchisce la dignità della persona umana, materia trascendentale per la costruzione della casa comune.

Innanzitutto, nello studio che presentiamo ora sul cambiamento strutturale della sfera pubblica, Habermas farà riferimento al concetto di “politica deliberativa”, grazie al quale il dibattito democratico può essere recuperato ricercando il bene comune e non limitandosi a scontrarsi o a convincere l'avversario, e nemmeno considerando l'altro come un avversario ma come un interlocutore nel dialogo.

Meglio “sfera pubblica” che “opinione pubblica”.”

Per Habermas è importante ampliare il concetto di “opinione pubblica”, già troppo trito e con evidenti tracce di manipolazione, e sostituirlo con quello di “sfera pubblica”, dove tutti possiamo stare tranquilli.

Logicamente, Habermas ricorderà fin dall'inizio della sua presentazione quanto sia cambiata la società dopo la caduta del Muro di Berlino, la fine del comunismo e, allo stesso tempo, il crollo della civiltà del benessere, in quanto ci stiamo dirigendo verso un atroce individualismo e anche verso un'eccessiva tassazione da parte dello Stato per mantenere gli eccessivi oneri sociali, i contributi previdenziali e i soldi dei pensionati. Infine, sottolineerà che siamo ancora in una società capitalista democratica, ma soggetta a continue crisi finanziarie.

Rafforzare i concetti di democrazia e legalità

Prosegue poi affermando che le fondamenta dei concetti democratici e giuridici su cui basiamo l'edificio dello Stato e delle strutture di potere devono essere rafforzate: “Con la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e dei diritti fondamentali, l'essenza della morale razionale è migrata nell'ambiente del diritto costituzionale imperativo, costruito sui diritti soggettivi”.

Metterà quindi in evidenza alcune profonde contraddizioni che viviamo nella società odierna: “con la secolarizzazione del potere statale si è creato un vuoto di legittimità. Poiché nelle società moderne il potere legittimante della fede nell'elezione divina delle dinastie al potere non era più sufficiente, il sistema democratico doveva legittimarsi dall'interno.

Umanesimo cristiano

È interessante notare che l'umanesimo cristiano aveva il potenziale per aiutare la società del dopoguerra nella dichiarazione universale dei diritti umani, perché era in grado di legittimarli nell'antropologia teologica. L'uomo “è immagine e somiglianza di Dio” e quindi, nella dichiarazione dei diritti umani del 1948, i diritti umani erano legittimati nei diritti umani, cioè erano autolegittimati, basati sulla dignità umana e su un consenso razionale universale.

Riprendiamo Habermas per ricordare che “La stretta relazione tra status sociale e partecipazione elettorale è ben documentata (...). Funziona solo finché le elezioni democratiche portano alla correzione di disuguaglianze sociali gravi e strutturalmente radicate”.

Habermas conclude la sua argomentazione lasciando la questione in sospeso: “per il momento c'è poco da dire sull'auspicabile cambiamento di politica verso un'agenda sociologica per l'ulteriore integrazione del nucleo europeo”.

Importanza del sistema dei media

Affronterà subito il grande problema dell'unità degli interessi nella vita politica e la crescente importanza della comunicazione e degli stati d'opinione nella sfera pubblica.

È logico che si soffermi a notare che “il sistema dei media è di importanza cruciale per il ruolo della sfera pubblica politica come generatore di opinioni pubbliche concorrenti che soddisfano gli standard della politica deliberativa”.

In effetti, gran parte del cambiamento strutturale nella Comunità europea, ad esempio, si basa sui media, sugli uffici di consulenza e sui modi di presentare i diversi atteggiamenti: “dall'emergere delle società mediatiche, nulla è cambiato in modo significativo nella base sociale di tale separazione tra la sfera pubblica e le sfere private della vita (...). Inoltre, c'è una tendenza crescente ad allontanarsi dalla percezione tradizionale della sfera pubblica politica e della politica stessa”.

Diverse interviste

Il curatore di questo libro raccoglie poi una serie di interviste con Habermas, che possono aiutarci a capire alcuni dei concetti che ha sottolineato nella prima parte del suo lavoro.

In alcune risposte, ad esempio, riprenderà alcune delle questioni sollevate e delineerà argomenti importanti come i seguenti: “nelle dispute politiche miglioriamo le nostre convinzioni e ci avviciniamo alla giusta soluzione dei problemi”.

Riteniamo importante quanto segue: “la maggior parte delle decisioni politiche si basa su compromessi. Ma le democrazie moderne combinano la sovranità popolare con lo Stato di diritto”. Verso la fine Habermas sottolineerà, come requisito costitutivo, l'importanza di “razionalizzare il potere politico attraverso il controllo democratico e il dibattito critico”.

Un nuovo cambiamento strutturale della sfera pubblica e della politica deliberativa

AutoreJürgen Habermas
Editoriale: Trotta
Pagine: 112
Anno: 2025
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Ecologia integrale

Suggerimenti per la vita spirituale delle persone con ADHD 

Le persone con ADHD possono sviluppare una vita spirituale sana comprendendo le particolarità del loro modo di essere e integrandole pacificamente nelle loro pratiche spirituali.

Javier García Herrería-17 novembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Vivere la fede con il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) non sembra una sfida particolarmente difficile, ma è bene essere consapevoli di alcune considerazioni che possono aiutare a sviluppare una sana vita spirituale. 

Alcuni sintomi dell'ADHD, come l'incostanza, l'impulsività, la difficoltà a concentrarsi o a mantenere la routine, sembrano essere nemici della preghiera e del raccoglimento interiore. Tuttavia, i credenti con ADHD possono scoprire che i loro limiti possono anche essere un modo unico di incontrare Dio. 

Il Dr. Carlos Chiclana ha elaborato una guida gratuita in PDF con raccomandazioni per le persone con ADHD. Questa risorsa online è stato progettato appositamente per loro, utilizzando un design grafico che lo rende molto facile da leggere.

Il libro contiene consigli come il seguente:

Un percorso di accettazione e fiducia

Le persone con ADHD possono scoprire che il loro modo di essere - irrequieto, mutevole, sensibile - può riflettere qualcosa del dinamismo dello Spirito Santo. Il cammino spirituale non consiste nell'eliminare la distrazione, ma nell'imparare ad amare Dio a partire dalla distrazione.

Alla fine, si tratta di tornare alle parole della testimonianza iniziale: “Mi siedo su un banco e dico al Signore: eccomi, come siamo bravi, non è vero”. Forse in questo semplice abbandono sta il cuore di tutta la vita spirituale.

Tempi più brevi

Non è necessario che la preghiera duri un'ora per essere profonda. Nel caso dell'ADHD, è meglio pregare poco e bene, che molto e male. Frazioni di 10 o 15 minuti, distribuite nell'arco della giornata, possono essere molto più fruttuose. L'importante è essere fedeli, non perfetti.

Trattare gli altri con gentilezza

La prima regola è la compassione per se stessi. “Non ci si può vedere come una persona malata”, spiega una delle testimonianze. L'ADHD non è un difetto morale, ma un modo diverso di percepire, sentire e reagire. Dal punto di vista della fede, si tratta di guardarsi con gli occhi di Dio, che “non avrebbe potuto crearmi imperfetto, perché Lui è perfetto”.

Chi vive con l'ADHD deve imparare a essere grato piuttosto che dispiaciuto, a scoprire la grazia nascosta in ogni tentativo fallito. Cambiare l'autocritica con la gratitudine è già un atto di profonda umiltà. “Un giorno ho capito che ci sono più motivi per ringraziare che per chiedere perdono, e questo mi ha aiutato ad affrontare la lotta in modo positivo”.

Sviluppare la consapevolezza delle proprie difficoltà

La consapevolezza di sé non è rassegnazione, ma un esercizio di lucidità spirituale. Sapere che l'incostanza, la disorganizzazione o l'impulsività non sono un peccato, ma parte della propria condizione, permette di smettere di punirsi e di iniziare a crescere.

“La diagnosi è stata uno strumento di comprensione”, dice un'altra persona. Mi ha aiutato a smettere di colpevolizzarmi e a capire perché mi era così difficile mantenere le abitudini o concentrarmi sulla preghiera".” 

Il consiglio è chiaro: identificare, accettare e riorientare. Essere consapevoli degli schemi permette di riorientare l'attenzione ed evitare la “palla di neve” della frustrazione e del senso di colpa.

Fare delle difficoltà l'oggetto della preghiera

Le distrazioni, la stanchezza o l'ansia non devono essere escluse dal dialogo con Dio, ma diventare materia di preghiera. “Parlo al Signore di come sto e cerco di vedere le cose attraverso i suoi occhi”, scrive una persona con ADHD. Pregare non significa raggiungere la calma perfetta, ma presentarsi davanti a Dio così come si è.

A volte ascoltare musica spirituale, pregare con audio o scrivere pensieri può aiutare a sostenere il dialogo interiore. L'importante non è il metodo, ma mantenere il cuore aperto.

Momenti di riflessione e ripartenza

L'ADHD tende a disperdere l'attenzione e a rompere le routine, quindi è fondamentale introdurre dei piccoli “checkpoint”: cinque minuti alla fine della giornata per rivedere come è andata, cosa è stato fatto e cosa può essere ripreso.

Un'abitudine così semplice permette di vivere quotidianamente nel perdono e nella speranza. Non importa quante volte ci si distragga, si può sempre tornare a prestare attenzione, senza frustrazioni: “Se cerco di vivere nel qui e ora, ho già guadagnato molto”.

Sostenersi a vicenda in compiti concreti durante la preghiera

Le persone con ADHD pregano meglio quando la preghiera diventa attiva: scrivere una lettera a Gesù o alla Madonna, disegnare una meditazione, leggere biografie di santi, ascoltare musica che aiuta a connettersi con il divino. Sono strumenti che incanalano l'energia e le emozioni e trasformano la creatività in preghiera.

Ordine e routine

L'ordine esterno può sostenere la pace interiore. Per questo è fondamentale stabilire delle routine realistiche: alzarsi presto, andare a messa, fare attività fisica, mangiare a orari regolari.

L'ordine non è rigidità, ma un sostegno che libera la mente dal caos. Cerco di fissare obiettivi realistici“, dice un testimonial, ”e di concentrarmi sul fare ogni sforzo per amore, non per un senso di progresso".”

Sostegno da parte di altri

Nessuno può sostenere la propria vita spirituale da solo. La comunità, la direzione spirituale o l'accompagnamento psicologico e pastorale sono ancore fondamentali. Parlare con un sacerdote, partecipare a una comunità o pregare con altri aiuta a mantenere la rotta quando la stanchezza o la demotivazione si fanno sentire. “La direzione spirituale mi aiuta molto con i sensi di colpa e le preoccupazioni”, confessa una partecipante.

FirmeVictor Torre de Silva

Il tempo della Chiesa

I primi mesi di un nuovo pontificato generano solitamente una grande attesa mediatica e opinioni immediate su ogni gesto del Papa. Questa riflessione ci invita a fermarci: a capire che le decisioni della Chiesa hanno bisogno di tempo per maturare e che uno sguardo sereno e fiducioso ci permette di apprezzarne meglio il significato e i frutti.

17 novembre 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto

I primi mesi del pontificato di Papa Leone XIV sono stati segnati dal furore informativo che caratterizza questi tempi. Tutti i media volevano essere i primi a raccontare ogni dettaglio sul successore di Pietro: le sue origini, i suoi studi, il suo ministero, le persone che lo hanno accompagnato. Ma mentre la novità si placa, il Papa comincia a prendere decisioni importanti: le nomine in Curia, la pubblicazione della sua prima esortazione apostolica, una motu proprio L'annuncio del suo prossimo viaggio in Turchia e Libano.

Ognuno di questi gesti genera una valanga di commenti, video, articoli o post sui social media che cercano di svelare la “vera interpretazione” o il “significato nascosto” di ciò che il Papa sta facendo. Alcuni esprimono le loro opinioni con buona volontà; altri, invece, ne approfittano per fomentare gli animi o alimentare le divisioni. In ogni caso, è bene ricordare che le decisioni nella vita della Chiesa, come i documenti magisteriali o i frutti dei viaggi apostolici, hanno bisogno di tempo per maturare.

La storia insegna che le reazioni affrettate possono essere cattive consigliere. Nel 1277, il cardinale Tempier condannò alcune tesi dell'aristotelismo latino, e per anni l'opera di San Tommaso d'Aquino, oggi dottore della Chiesa, fu vista con sospetto. Anche San Paolo VI è stato duramente criticato dopo aver pubblicato Humanae Vitae, Ma mezzo secolo dopo, la maggior parte dei fedeli e dei pastori riconosce la sua saggezza e il suo coraggio di fronte alle maree ideologiche del tempo.

Il tempo della stampa non è il tempo della Chiesa. Valutazioni rapide o allarmistiche rischiano di scadere troppo presto e possono togliere la pace. Uno sguardo lento, orante e speranzoso offre spesso una comprensione più fedele della natura della Chiesa e del suo modo di operare nella storia. 

L'autoreVictor Torre de Silva

Vaticano

Il Papa assicura ai poveri che Dio li ama e invita i governi a intervenire

Prima di unirsi a più di mille persone per il pranzo, Papa Leone XIV ha celebrato la Messa giubilare dei poveri e ha pregato affinché tutti i cristiani condividano “l'amore di Dio, che accoglie, fascia le ferite, perdona, consola e guarisce”. Il Pontefice ha chiesto “una cultura della cura per abbattere il muro della solitudine”.

CNS / Omnes-16 novembre 2025-Tempo di lettura: 5 minuti

- Cindy Wooden, Città del Vaticano, CNS

Prima di unirsi a centinaia di persone per il pranzo, Papa Leone XIV ha celebrato la Messa giubilare dei poveri e ha pregato affinché tutti i cristiani condividano “l'amore di Dio, che accoglie, fascia le ferite, perdona, consola e guarisce”.

“In mezzo a persecuzioni, sofferenze, lotte e oppressioni nella nostra vita personale e nella società, Dio non ci abbandona”, ha assicurato Papa Leone a migliaia di migranti, rifugiati e senzatetto.

Il Signore “si rivela come colui che si mette dalla nostra parte”, ha aggiunto il Papa nell'omelia del 16 novembre, giorno in cui la Chiesa celebra la Giornata mondiale dei poveri.

I volontari delle organizzazioni caritative cattoliche vaticane, diocesane e romane si sono uniti alle persone che aiutano per la Messa. L'associazione francese Fratello ha organizzato un pellegrinaggio internazionale, portando a Roma centinaia di persone.

Pranzo con più di 1.300 persone, sponsorizzato dai Padri Vincenziani.

Il Vaticano ha riferito che 6.000 persone hanno assistito alla Messa nella basilica e altre 20.000 l'hanno seguita su schermi giganti in Piazza San Pietro. Quando Papa Leone XIV guidò la preghiera dell'Angelus, circa 40.000 persone erano in piazza.

Dopo l'Angelus, e come parte della celebrazione del 400° anniversario della loro fondazione, i Padri Vincenziani hanno sponsorizzato e servito il pranzo al Papa e ai suoi ospiti. I membri delle Figlie della Carità e i volontari delle organizzazioni vincenziane hanno aiutato a servire il pasto e hanno distribuito 1.500 zaini con cibo e articoli per l'igiene.

Il pranzo consisteva in un primo piatto di lasagne alle verdure, seguito da cotolette di pollo con verdure e, infine, dal babà, una piccola torta napoletana immersa nello sciroppo. Venivano inoltre forniti panini, frutta, acqua e bibite.

Papa Leone XIV ha parlato agli oltre 1.300 invitati al pranzo servito dai Padri Vincenziani, al quale hanno partecipato anche membri di organizzazioni caritative (foto CNS/Lola Gomez).

Case per i poveri del mondo

Prima della Messa, padre Tomaž Mavric, Superiore Generale dei Vincenziani, ha consegnato simbolicamente a Papa Leone le chiavi delle case della «Campagna delle Tredici Case» dei Vincenziani. Il nome del progetto, che ha costruito case per i poveri in tutto il mondo, è un omaggio a San Vincenzo de' Paoli e alla sua decisione, nel 1643, di utilizzare una donazione del re francese Luigi XIII per costruire 13 piccole case vicino alla sede vincenziana di Parigi per curare i bambini abbandonati.

‘Dilexi te’, ‘Ti ho amato’”.”

Nella sua omelia Durante la Messa, Papa Leone XIV ha sottolineato come la Bibbia sia «intessuta di quel filo d'oro che racconta la storia di Dio, che è sempre dalla parte dei piccoli, degli orfani, degli stranieri e delle vedove».

Nella vita, morte e risurrezione di Gesù, “la vicinanza di Dio raggiunge la massima espressione dell'amore”, ha detto. Perciò la presenza e la parola di Cristo diventano gioia e giubilo per i più poveri, perché egli è venuto ad annunciare loro la buona novella e ad annunciare l'anno di grazia del Signore“.

Mentre il Papa ha ringraziato i cattolici che aiutano i poveri, ha detto di volere che i poveri stessi sentano “le parole irrevocabili del Signore Gesù: ‘Dilexi te’, ‘Ti ho amato’”.

Papa Leone XIV celebra la Messa del Giubileo dei poveri nella Basilica di San Pietro in Vaticano il 16 novembre 2025 (CNS Photo/Lola Gómez).

“Una cultura dell'assistenza, per abbattere il muro della solitudine”.”

“Sì, di fronte alla nostra piccolezza e povertà, Dio ci guarda come nessun altro e ci ama di un amore eterno”, ha detto il Papa. “E la sua Chiesa, anche oggi, forse soprattutto nel nostro tempo, ancora ferito da vecchie e nuove forme di povertà, spera di essere ‘madre dei poveri, luogo di accoglienza e di giustizia’”, ha aggiunto, citando la sua esortazione sull'amore per i poveri.

Sebbene esistano molte forme di povertà - materiale, morale e spirituale - ciò che le attraversa tutte e colpisce in modo particolare i giovani è la solitudine, ha affermato.

“Ci invita a guardare alla povertà in modo integrale, perché se è vero che a volte è necessario rispondere ai bisogni urgenti, dobbiamo anche sviluppare una cultura della cura, proprio per abbattere i muri della solitudine”, ha detto il Papa. “Siamo attenti agli altri, a ogni persona, ovunque siamo, ovunque viviamo.

Appello ai capi di Stato e di governo: ‘Non ci può essere pace senza giustizia’.’

La povertà è una sfida non solo per coloro che credono in Dio, ha detto, invitando «i capi di Stato e i leader delle nazioni ad ascoltare il grido dei più poveri tra i poveri". povero".

«Non c'è pace senza giustizia», diceva Papa Leone XIV. E i poveri ce lo ricordano in molti modi: con le migrazioni, con le loro grida, spesso soffocate dal mito del benessere e del progresso che non tiene conto di tutti, e anzi dimentica molti individui, abbandonandoli a se stessi.

Circa 40.000 persone si sono riunite in Piazza San Pietro in Vaticano per unirsi a Papa Leone XIV nella preghiera dell'Angelus il 16 novembre 2025 (foto CNS/Vatican Media).

Angelus: i cristiani, vittime di discriminazioni e persecuzioni

“Oggi, in varie parti del mondo, i cristiani sono vittime di discriminazioni e persecuzioni”, ha detto Papa Leone XIV a circa 40.000 persone riunite in Piazza San Pietro per la preghiera dell'Angelus.

“Penso in particolare al Bangladesh, alla Nigeria, al Mozambico, al Sudan e ad altri Paesi dai quali giungono frequenti notizie di attacchi alle comunità e ai luoghi di culto”, ha aggiunto il Pontefice. 

“Accompagno con la mia preghiera le famiglie del Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo”, ha detto, dove nei giorni scorsi c'è stata una strage di civili, con almeno 20 vittime a causa di un attacco terroristico. Preghiamo perché cessi ogni violenza e perché i credenti possano lavorare insieme per il bene comune“. Ma, ha concluso Papa Leone XIV, ”Dio è un Padre misericordioso e desidera la pace tra tutti i suoi figli.

Persecuzione con menzogne e manipolazioni, i martiri

“La persecuzione dei cristiani, infatti, non avviene solo con le armi e i maltrattamenti, ma anche con le parole, cioè con la menzogna e la manipolazione ideologica”, ha aggiunto Leone XIV.

“Soprattutto, quando siamo oppressi da questi mali, fisici e morali, siamo chiamati a testimoniare la verità che salva il mondo, la giustizia che riscatta i popoli dall'oppressione, la speranza che indica a tutti la via della pace”.

“Cari fratelli e sorelle, nella storia della Chiesa sono soprattutto i martiri a ricordarci che la grazia di Dio è capace di trasfigurare anche la violenza in un segno di redenzione”, ha concluso.

Preghiera per la pace in Ucraina

Il Santo Padre non ha dimenticato l'Ucraina. “Seguo con dolore le notizie degli attacchi che continuano a colpire molte città dell'Ucraina, tra cui Kiev. Questi attacchi hanno causato vittime e feriti, compresi i bambini, e danni enormi alle infrastrutture civili, lasciando le famiglie senza casa mentre il freddo imperversa. Assicuro alla popolazione la mia vicinanza in questa prova. Non possiamo abituarci alla guerra e alla distruzione. Preghiamo insieme per una pace giusta e stabile nella sofferente Ucraina.

L'autoreCNS / Omnes

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Le coincidenze non esistono, ma le causalità sì.

Sia i credenti che gli atei non hanno argomenti conclusivi sull'esistenza o meno di un essere creatore. Queste convinzioni, in entrambe le direzioni, sono sostenute da prove, non da prove, dell'esistenza o meno di Dio, dice l'autore, che cita Heisenberg: il nostro mondo non è il risultato del caso. C'è qualcosa che armonizza la creazione, dicono molti scienziati.  

16 novembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Le convinzioni infantili che ci sono state insegnate, trasmesse o inculcate sull'esistenza di Dio dai nostri genitori, nonne, insegnanti, catechisti... si stanno sgretolando sempre più velocemente nella nostra società, mentre il Nulla avanza distruggendo la fantasia ne La storia infinita. 

In altre parole, quando si ascoltano Ignacio Varela, Pedro García Cuartango, Fernando Savater,... e molti giornalisti, intellettuali, artisti, essi lasciano intendere che queste piccole storie fantastiche sono sempre superate dalla realtà crudele e devastante in cui viviamo. Questi pensieri di persone “letterate” provengono da scienziati e possono essere dello stesso stile o più radicali, forse con più ragione. Ma non devono esserlo per forza. 

Ad esempio, Werner Heisenberg, Il famoso fisico che ha stabilito il Principio di indeterminazione, ha detto: “Il primo sorso dal bicchiere della scienza naturale ti renderà ateo, ma sul fondo del bicchiere, Dio ti sta aspettando”. 

A pensarci bene, anche i grandi argomenti per dimostrare la non esistenza di Dio non esistono, sono pure idee, intuizioni. E le grandi teorie e spiegazioni dell'universo sono incomplete e sempre non pienamente dimostrate. Quindi, negare o affermare l'esistenza di Dio è una mera convinzione? Esistono prove conclusive in una delle due direzioni, o si tratta di una disputa opinionistica ma non scientifica? È un atto di fede in entrambi i casi? 

Chiaramente sì, poiché sia la Fede che la Scienza, su questa domanda, non hanno una risposta chiara in nessun senso. Sia le “storie religiose” che l'impossibilità di negare empiricamente l'esistenza di Dio dimostrano che sia i credenti che gli atei non hanno argomenti conclusivi sull'esistenza o meno di un essere creatore. Ecco perché il disprezzo per chi ha un modo di pensare diverso dal proprio è così eclatante, perché non essere d'accordo non significa discriminare. 

Avere condanne non dà il diritto di commettere reati

Possiamo concludere che avere delle convinzioni non ci dà il diritto di offendere chi la pensa diversamente dal nostro pensiero in ogni caso, e ancor meno se l'evidenza non lo supporta. E forse la persona religiosa è quella che “paga il prezzo” in questa materia, poiché spesso viene offesa gratuitamente per il fatto di essere credente e di pensare che ci sia un creatore, un computer o un manutentore della realtà in cui viviamo, quando non è stato dimostrato né questo né il contrario.

Possiamo dire che queste credenze, in entrambe le direzioni, sono supportate da prove, non da prove, dell'esistenza o della non esistenza di Dio. Non si tratta di una pura credenza. Sono ragionate e credibili.

Scienziati teisti

Albert Einstein, Arturo Compton, Louis de Broglie, Kurt Gödel, George Lemaitre, David Berlinski, Wernher von Braun, Gregor Mendel, Francis Collins, Werner Heisenberg, Louis Pasteur, Jhon Barrow, Tulane Frank Tripler, Richard Smalley, Freeman Dyson, Ramón y Cajal, John Eccles,Sono scienziati che, a un certo punto, hanno affermato che l'ordine dell'universo può avere un'intenzionalità o uno scopo, che lo rende “posto” e “ordinato”. Chiamiamolo pure Dio, un programmatore di algoritmi o una grande intelligenza armonizzante, ma in qualcosa di conclusivo dopo le loro indagini. Cioè, sono uomini di rigore intellettuale che concludono che c'è qualcosa che armonizza la creazione.

Scienziati cattolici

Se già sembra una contraddizione dire “scienziato teista» dire «scienziato cattolico” è qualcosa che suona male, probabilmente perché in Spagna dire cattolico è come dire “fondamentalista”, ma non è così in ambito anglosassone, poiché cattolico significa universale, cioè aperto alla realtà, quindi sono termini compatibili.

I libri pubblicati negli ultimi anni da scienziati cattolici su questo tema sono inconcludenti. Il famoso libro “Dio. Scienza. Le prove” scritto da Michel-Yves Bolloré e Olivier Bonnassies, un bestseller in Francia, o “Nuove prove scientifiche per l'esistenza di Dio” di José Carlos González-Hurtado, Forniscono idee molto interessanti, ma, come abbiamo già detto, non sono vere e proprie “prove scientifiche”, ma piuttosto “prove scientifiche” in una direzione. La tesi di questi libri si basa sull'idea che Heisenberg, Più ci si addentra nella spiegazione di come funziona il nostro mondo, più diventa chiaro che non si tratta di una questione di caso.  

IV Congresso della Società degli Scienziati Cattolici di Spagna

Dal 2 al 4 ottobre si è svolto il 4° Congresso del Società degli scienziati cattolici La sezione spagnola della Società degli Scienziati Cattolici, organizzata dalla Società degli Scienziati Cattolici, quest'anno presso l'Università CEU San Pablo. Vi ha partecipato un gruppo variegato di scienziati di diverse discipline, desiderosi di approfondire e comprendere meglio il mondo e di spiegare meglio il rapporto tra Fede e Scienza. Enrique Solano, Il presidente della Società degli Scienziati Cattolici di Spagna (SCCE) vuole dare potere allo scienziato cattolico, ed è per questo che dice: “La nostra ossessione è quella di mostrarci alla società, in modo che lo scienziato cattolico non sia più invisibile. 

Il professor Javier Sánchez-Cañizares, fisico e teologo, che ha partecipato alla conferenza, tra le tante cose, afferma che la contingenza e la convergenza dell'universo possono essere un segno dell'azione di Dio, senza essere una prova scientifica, ma un'intuizione. Così come la diversificazione, la spontaneità e la crescita potenziale della natura possono essere una spiegazione dell'esistenza di un Dio personale, che non solo è creatore ma ama anche le sue creature.

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L'autore

Álvaro Gil Ruiz

Professore e collaboratore regolare di Vozpópuli.

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L'autoreÁlvaro Gil Ruiz

Professore e collaboratore regolare di Vozpópuli.

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Povero

La fede promuove la solidarietà e la consapevolezza della dignità umana, invitandoci a imitare la povertà di Cristo per raggiungere la vera libertà e a riconoscere nei poveri una ricchezza che ci rivela la verità del Vangelo.

16 novembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

«La povertà più grave», dice Leone XIV nel suo messaggio per la Giornata mondiale dei poveri, "è non conoscere Dio". Una bella bomba in una società che considera Dio il suo arcinemico e che crede, a torto, che la povertà si possa combattere con il denaro.

Dio è stato considerato da alcuni come l'oppio dei popoli, una fantasia infantile che allontana gli esseri umani dalla lotta per la giustizia, che li allontana dal ribellarsi ai potenti, mentre è vero il contrario. La fede, se è in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, illumina gli uomini e le donne per renderci consapevoli della nostra dignità e di quella dei nostri fratelli e sorelle.

Credere in un Padre comune ci rende fratelli e sorelle, ci rende vicini, ci predispone a un'equa distribuzione della ricchezza perché apparteniamo alla stessa famiglia. Caritas, Manos Unidas e tante altre organizzazioni nate nel cuore della comunità cattolica conducono la lotta contro la povertà anno dopo anno. Lo fanno con opere che tutti conosciamo, ma anche con parole profetiche, denunciando la situazione ingiusta in cui vivono milioni di nostri fratelli e sorelle. E lo fanno, con coerenza, dalla povertà evangelica, dalla semplicità, senza i potenti mezzi che altre istituzioni hanno a disposizione.

Nel frattempo, le ideologie e - drogati economicamente da esse - gli agenti sociali intraprendono le loro lotte con i poveri come bandiera. Tutti credono di avere la soluzione per porre fine alla povertà; alcuni aumentando le tasse sui ricchi per distribuirle ai poveri; altri promuovendo la generazione di più ricchezza in modo che ce ne sia di più da distribuire a chi ne ha di meno; ma, in entrambi i casi, dall'idolatria del denaro, come se il denaro da solo avesse il potere di porre fine alla povertà.

Ma non è così. Basta dare un'occhiata alle statistiche delle persone che sono andate in bancarotta dopo aver vinto un premio alla lotteria. Secondo uno studio, fino al 70% di loro finisce in bancarotta entro cinque anni. Il motivo? Esiste una povertà umana che è superiore a qualsiasi povertà materiale e che ci porta non a dominare il denaro, ma a esserne dominati. Se con poco nessuno è libero dalla tentazione di soddisfare desideri assurdi, egoistici, se non addirittura dannosi, quanto più lo è se siamo sommersi dal denaro! La stessa cosa sta accadendo alle nostre società ricche. C'è sempre più denaro, ma siamo sempre più indebitati e i poveri sono sempre più poveri. Come è possibile? L'amore per il denaro ci allontana da Dio e quindi da tutto ciò che ci rende umani: la solidarietà, l'appartenenza a una comunità, la sobrietà, l'autocontrollo. Sperperiamo il denaro in politiche assurde e non investiamo in ciò che genera davvero ricchezza: le persone.  

La stessa parola «solidarietà», che molti iniziano nel mondo della politica o delle organizzazioni che lottano contro la povertà, si perde man mano che si sale nella scala sociale fino a quando, con onorevoli eccezioni, il luccichio del denaro guadagnato e la loro vanità impediscono loro di vedere la povertà da cui sono appena usciti. Poveri, non hanno altro che il denaro che li trascina in basso e li domina. 

Una settimana prima della celebrazione della festa di Cristo Re, un re che appare povero e umile, con una corona di spine e un cuore trafitto dall'amore per l'umanità, la Giornata Mondiale dei Poveri ci invita a regnare con lui sui poteri umani, quelli che gestiscono il denaro, perché «non si possono servire due padroni». E ci incoraggia a imitarlo nella sua povertà, nel suo distacco da tutte le sicurezze umane, affidandoci solo al Padre, la cui Provvidenza è più potente di qualsiasi banca o fondo. La prossima generazione.

È la libertà sentita da tanti santi come San Francesco d'Assisi o San Rocco, che hanno rinunciato alle loro ricchezze per vivere un'autentica libertà. Da lì possiamo cominciare a vedere i poveri non come un ostacolo, non solo come un problema da risolvere, ma come una ricchezza perché sono, ci ricorda Leone XIV, «i fratelli e le sorelle più amati, perché ognuno di loro, con la sua esistenza, e anche con le sue parole e la sapienza che possiede, ci provoca a toccare con mano la verità del Vangelo». 

«Il Signore ha profetizzato: »Avrete sempre dei poveri in mezzo a voi". E non lo ha detto per farci gettare la spugna perché è un problema senza soluzione, ma per renderci consapevoli che la nostra libertà, la nostra salvezza, è sempre a portata di mano. Non è necessario andare lontano per trovare un povero, come fanno coloro che preferiscono alleggerirsi la coscienza senza farsi coinvolgere.

A volte dormono nei portici dei grandi centri urbani, sì, ma a volte hanno il volto di un conoscente disoccupato e con il sussidio esaurito. A volte si trovano in paesi di missione, sì, ma a volte hanno la forma di un familiare che richiede cure incompatibili con il nostro tenore di vita. A volte sono in prigione, sì, ma a volte vivono in casa nostra, imprigionati dalla dipendenza da videogiochi perché nessuno presta loro attenzione. A volte sono in ospedale psichiatrico, sì, ma altre volte sono amici o vicini di casa che hanno bisogno del nostro affetto, del nostro tempo e della nostra comprensione perché soffrono di problemi mentali e la convivenza diventa difficile... 

«Il Signore ha profetizzato: »Avrete sempre dei poveri in mezzo a voi". E il fatto è che, ovunque ci sia un povero, un bisognoso, una persona che soffre, vicino o lontano da noi, Lui ci aspetterà per aiutarci a uscire da noi stessi, per aiutarci, quindi, a uscire dalla povertà più grave che è vivere senza di Lui.

L'autoreAntonio Moreno

Giornalista. Laurea in Scienze della Comunicazione e laurea in Scienze Religiose. Lavora nella Delegazione diocesana dei media di Malaga. I suoi numerosi "thread" su Twitter sulla fede e sulla vita quotidiana sono molto popolari.

Risorse

Cosa succede dopo la morte?

La morte non è la fine, ma il passaggio alla vita eterna con Dio attraverso la resurrezione, il giudizio e la purificazione dell'anima.

Santiago Zapata Giraldo-16 novembre 2025-Tempo di lettura: 11 minuti

Uno dei temi principali è “Che cosa succede dopo la morte?”. Molte domande su qualcosa che è incerto agli occhi umani, ma che agli occhi della fede è visto come quel “ritorno a Dio” da cui siamo venuti. 

La morte come fine dell'essere umano

La morte rivela certamente all'uomo un'imminente “finitezza” da cui non può sfuggire, che è la causa del peccato, ma la morte lo apre anche a un'altra realtà, quella dell'abbandono totale della sua anima alla volontà di Dio; il fatto della “fine” non è interpretato come perdita totale, ma come nascita a una vita nuova, eterna e vera.

Il catechismo è chiaro, una fine ma anche un inizio “Di fronte alla morte, l'enigma della condizione umana raggiunge il suo vertice” (GS 18). In un certo senso, la morte corporea è naturale, ma per fede sappiamo che è veramente il “salario del peccato” (Rm 6, 23; cfr. Gn 2, 17). E per coloro che muoiono in grazia di Cristo, si tratta di una partecipazione alla morte del Signore per poter partecipare anche alla sua risurrezione (cfr. Rm 6, 3-9; Flp 3, 10-11. CEC 1006). 

Ma è questo il punto di arrivo? L'escatologia cristiana insegna che, così come siamo usciti da Dio, torneremo a Lui come principio primo di tutta la creazione. Ora, cosa succede dopo la morte? Partiamo da una prima idea, l'uomo ha conosciuto il peccato, con il peccato è arrivata la morte, la finitezza della sua vita si è fatta presente da sola. Con Cristo tutto cambia, tutto riprende vita con la speranza della resurrezione totale in Dio. La sua morte non è causa di peccato, è causa di vita per chi vuole l'eternità. 

Capiamo innanzitutto che l'uomo deve morire, ma una morte che porta la vita, se comprendiamo che moriamo per vivere eternamente con Cristo in cielo, in attesa della resurrezione della carne, non come un sonno eterno, ma che la nostra anima vedrà Dio. La fede in Cristo e la confessione che attraverso di lui è arrivata tutta la salvezza, garantisce di percorrere la via della vita, e non di morire in eterno “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv 11,25) Cristo è la via della salvezza, ma vivere in eterno, cosa significa? La morte non ha regnato sulla vita, non può distruggere l'uomo, l'anima sopravvive, ma il corpo attende la risurrezione. 

 “L'anima razionale è la forma propria dell'uomo” (S.T. I, q, 76, c, 1, a 1) San Tommaso afferma positivamente che l'anima è la forma del corpo, questo si intende finché c'è materia, se c'è materia “informata” che non possiede forma, quando adotta una forma, che nel nostro caso è l'anima, allora può avanzare verso la perfezione.

L'anima viene da Dio, questo è evidente, constatando che non c'è in natura, né nella materia, una qualità propria che provenga da essa e che spieghi i sensi e l'intelligenza che l'uomo possiede rispetto alle altre creature. Se l'anima viene interamente da Dio e a Lui ritornerà, a cosa serve il corpo? “Perché l'anima si perfezioni nella conoscenza della verità è necessario che sia unita al corpo” (S.T. I, q 76, c, 1, a 2) l'anima per conoscere la verità di Dio ha bisogno di un corpo, e il corpo ha bisogno di qualcuno che le dia la forma che è l'anima. 

Intendere la morte come fine è un'idea che nega l'azione di Cristo nel mondo; vivere nella speranza della risurrezione è vivere secondo ciò che Dio vuole, quella Pasqua eterna in cui vedremo Dio “così com'è” (cfr. 1Gv 3,2). 

La speranza cristiana nella risurrezione

“Crediamo e speriamo fermamente che, come Cristo è veramente risorto dai morti e vive per sempre, così i giusti dopo la sua morte vivranno per sempre con Cristo risorto e che Egli li risusciterà nell'ultimo giorno (cfr. Jn 6, 39-40)” (CEC 989). Risurrezione non significa solo vita terrena (con un nuovo cielo e una nuova terra), ma una trasformazione totale dell'essere umano nella gloria di Dio, dove la corruzione del peccato (la morte) non ha più posto tra gli uomini “solo alla fine del mondo gli uomini riceveranno l'efficacia della piena risurrezione, cioè il superamento della morte come punizione del peccato, quando Cristo risusciterà tutti i morti con la sua potenza” (Gerhard Müller “la futura risurrezione” Dogmatica, teoria e pratica della teologia).

La resurrezione dei corpi, in un corpo glorioso, unito a Dio, da cui siamo venuti, la consumazione della creazione avviene quando ha luogo la gloriosa apparizione del Signore. Dove l'amore di Dio abbraccia tutto e tutti, in un unico e medesimo amore che vince anche la morte.

Non significa un ritorno alla vita nella stessa forma in cui siamo ora, questo porterebbe a una teoria della reincarnazione che negherebbe totalmente il mistero della redenzione per il fatto che la nostra vita ricomincerebbe da zero, il fatto di professare che torneremo in un corpo che non è il nostro e “ricominceremo da capo” porta con sé molte negazioni alla fede, è anche affermare che ci sono milioni di cicli di morte, oltre a questo; negheremmo totalmente l'azione completa dell'uomo, dove sarebbe solo rivestito di un corpo.

Il catechismo (1013) dice: “La morte è la fine del pellegrinaggio terreno dell'uomo, del tempo di grazia e di misericordia che Dio gli offre per compiere la sua vita terrena secondo il disegno divino e per decidere il suo ultimo destino“. Quando ”l'unico corso della nostra vita terrena" (LG 48), non torneremo più ad altre vite terrene. “Agli uomini è toccato morire una volta sola” (Hb 9, 27).

Non esiste una «reincarnazione” dopo la morte”. Affermare la reincarnazione significa negare l'unione tra anima e corpo, perché se pensiamo che l'anima cerchi di usare il corpo è perché non è stata unita ad esso, e questo porterebbe a vedere il corpo semplicemente come una “prigione” da cui si esce alla morte e si ricomincia con la stessa anima. Allo stesso modo, la reincarnazione ci porterebbe a pensare che non vedremmo mai Dio, non ci sarebbe la visione beatifica e la nostra speranza sarebbe nulla, poiché si tratta di una continua sopravvivenza in corpi diversi. 

La fede nella risurrezione dei morti è incompatibile con la reincarnazione, perché noi non siamo come un essere anonimo, ma come una persona, un'unità che è chiamata da Dio a vivere con Lui, la risurrezione è una trasformazione divina. E se la resurrezione viene da Cristo, è perché la nostra anima e il nostro corpo sono personali, naturalmente uniti, formando un essere unito e unico che è amato. Affermare la reincarnazione significherebbe quindi negare l'azione di Dio e la redenzione di ogni persona attraverso il mistero della Croce.

Il processo

“Verrà a giudicare i vivi e i morti”: queste parole, che ripetiamo in occasioni solenni, hanno un sottofondo di speranza. Nel Vangelo di Giovanni leggiamo: “Chi crede in lui non sarà giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito di Dio” (3, 18) Cristo non condanna: è pura salvezza. Così, la salvezza pura è la persona stessa che si giudica, come leggiamo dall'apostolo Giovanni, “è già giudicato”, il giudizio nasce anche dal libero arbitrio.

Accogliere Cristo, con tutto ciò che comporta, è arrivare alla salvezza; allontanarsi da Dio porta alla separazione dal Bene e quindi alla condanna. Joseph Ratzinger afferma che: “Il giudizio consiste nel far cadere le maschere che comportano la morte” (“Escatologia, morte e vita eterna”).

L'idea di giudizio, nella concezione cristiana, introduce un cambiamento radicale rispetto alla nozione di dannazione eterna: è Dio che si fa uomo, colui che può giudicare e che lo fa è lo stesso che cerca l'uomo, perché conosca la verità, perché si allontani dai sentieri della morte e viva eternamente con Lui in Paradiso. Pertanto, è l'uomo nelle sue decisioni che diventa giudice di se stesso, Cristo non rifiuta di camminare nei sentieri della sua verità. Egli, che si è fatto carne e ha abitato in mezzo a noi, ha manifestato durante la sua vita terrena il piano divino di salvezza, annunciando il Regno. 

Gesù non parla solo del Regno, ma Gesù è il Regno di Dio “Anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino” (Lc 21,31) Il Regno è venuto, è una persona, è Cristo stesso, attraverso il quale accediamo al Padre. Continua ad agire, non come un futuro, ma come un “adesso” per mezzo dello Spirito Santo: “Gesù è il regno non solo nella sua presenza fisica, ma attraverso l'irradiazione dello Spirito Santo” (Joseph Ratzinger “Escatologia, morte e vita eterna”). Egli agisce nel mondo, rimane nell'Eucaristia come realtà permanente di ciò che un giorno speriamo di vedere in tutto il suo splendore, non più come apparenza di pane. La liberazione dell'uomo attraverso Cristo stabilisce la signoria di Dio nel mondo e, attraverso l'azione di Dio nel mondo, Cristo è il Regno di Dio. 

Inferno, Paradiso e Purgatorio. 

Troviamo nelle realtà dove l'anima si può trovare dopo la morte. L'inferno, di cui è la totale separazione della creatura da Dio, che rispetta la libertà della sua creatura, quindi, c'è anche che sono condannati dalla loro stessa libera volontà. Il “sì” dell'uomo all'amore di Dio per raggiungere la salvezza è certamente una risposta reciproca. Cristo scende all'inferno, ma non tratta gli uomini come coloro che non possono, non come infanti, ma li rende responsabili della loro libertà, lascia loro il diritto della loro condanna. 

Il cristiano dà tutto, si “gioca” tutto per la sua salvezza, con gli occhi al Cielo, prendendolo sul serio per la propria anima. Joseph Ratzinger cita: “Dio soffre e muore, ciò che è male per Lui non è irreale. Per Lui, che è amore, l'odio è puro nulla. Egli vince il male non con la dialettica della ragione universale, che può trasformare tutte le negazioni in affermazioni. Non vince il male in un Venerdì Santo speculativo, ma in uno totalmente reale” (Escatologia, morte e vita eterna).

Il male esiste, vuole che Dio non regni nel mondo, è una presenza reale, che non può essere ignorata o trasformata da concetti. Hegel cerca di risolvere il male in idee, dove sviluppa che il male come momento necessario per lo sviluppo della coscienza, diventa un'idea. Non sostiene che il male scompaia, in senso storico. Dio vince il male, non come idea o dialetticamente, ma in un evento concreto e reale, con il sacrificio dell'agnello.

Quando il male si concretizza, Dio risponde con la discesa di Gesù per liberare dal luogo dei morti. Questa è la sua risposta d'amore. La portata della liberazione può essere vista solo attraverso la fede, ma accompagna Gesù che si immerge nella sua persona, un'esperienza spirituale che diventa esistenziale: “non c'è uomo che possa guardare o, al massimo, può guardare solo nella misura in cui entra anche lui in quelle tenebre attraverso una fede che soffre” (Joseph Ratzinger, Escatologia, morte e vita eterna). È vivere la “notte oscura” come dice San Giovanni della Croce, è viverla alla luce della redenzione di Cristo, della sofferenza per la salvezza delle anime, il trono di Cristo è la sua croce, la nostra salvezza è la croce di Cristo. 

Purgatorio

Il Catechismo della Chiesa ci spiega una centralità di quello che può essere definito come purgatorio: “Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio, ma imperfettamente purificati, pur essendo sicuri della loro salvezza eterna, subiscono dopo la morte una purificazione, per ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo” (CEC 1030) L'imperfezione degli uomini si estende fino all'ultimo momento della loro vita terrena, dove la loro anima passa alla “purificazione” in cui deve entrare senza macchia alla presenza di Dio. Purificati per rendere il nostro corpo conforme a quello di Cristo. 

Entrando in questa realtà, entriamo nel tempo di Dio, dove non ci sono leggi fisiche che possano misurare il passaggio attraverso il purgatorio. Non è un campo di tortura in un altro mondo, è un processo necessario mentre diventiamo capaci di Dio, di Cristo e ci uniamo al coro degli angeli per lodare il Signore, “l'oro si affina al fuoco” (1Pt 1,7) dove dobbiamo purificarci, passare attraverso il fuoco che ci rende l'immagine completa di Cristo, dove è proprio lì che avviene la liberazione, dove tutto il peccato che può tendere viene purificato dalla grazia. La Chiesa chiama purgatorio a questa purificazione finale degli eletti che è completamente distinta dalla punizione dei dannati (CEC 1031).

Potremmo dire che siamo in una “sala d'attesa” dove la nostra anima non è completamente perduta, ma vuole vedere Dio. Chi di noi è ancora in pellegrinaggio sulla terra, questa Chiesa militante, aiuta la Chiesa purgante pregando per coloro che sono morti, che affidiamo alla misericordia di Dio; questo aiuto, soprattutto con il sacrificio dell'Eucaristia, aiuta i fedeli a pregare per le anime di coloro che vogliamo vedere Dio, affinché anch'essi intercedano come Chiesa trionfante per noi. 

Papa Benedetto XVI afferma: “Cristo stesso, il Giudice e il Salvatore. L'incontro con lui è l'atto decisivo del giudizio. Davanti al suo sguardo, ogni falsità si scioglie. È l'incontro con lui che, bruciandoci, ci trasforma e ci libera per diventare veramente noi stessi. In quel momento, tutto ciò che è stato costruito durante la vita può manifestarsi come paglia secca, vuota vanagloria e crollo” (Spe salvi n. 47) il fuoco dell'amore è ciò che purifica, sapere che ci stiamo configurando a Cristo, che l'abbiamo provato sulla Terra e che ora vivremo con Lui solo in Cielo è il segno dell'amore infinito di Dio. Certamente è doloroso, ma porta la libertà, per cui possiamo essere noi stessi, così come siamo, dove non ci sarà più nulla di nascosto che non sia stato rivelato. 

El Cielo

Vivere in cielo significa «essere con Cristo» (cfr. Jn 14, 3; Flp 1, 23; 1 T 4,17). Gli eletti vivono «in Lui», anzi, vi hanno, o meglio, vi trovano la loro vera identità, il loro proprio nome (cfr. Ap 2, 17). La speranza del Cielo a cui tanto spesso pensiamo sulla terra, che possiamo immaginare come un continuo vedere di Dio. Incorporato da Lui, Gesù apre il Cielo per noi, quando scende al sheol (luogo dei morti) dove tutti i morti si recavano in attesa della liberazione del Messia.

Cristo scende nella dimora dei morti, come compimento della salvezza, scende perché tutti ascoltino la voce del Padre, perché tutti vivano. Gesù apre il cielo, scende nella morte e così, conoscendo anche la morte, è inviato ad annunciare la salvezza, poiché tutti: i vivi e i morti sono iscritti nel piano salvifico di Dio. Le anime dei giusti prima di Cristo erano in attesa nel seno di Abramo e questo ci ricorda la parabola del ricco (cfr. Lc 16, 19-31): Lazzaro, come povero e giusto che soffriva in questo mondo, aspettava nel seno di Abramo la venuta del Messia. 

Tuttavia, molti modi di guardare alla scrittura riportano l'idea del sheol dove l'interpretazione stessa, alla luce della propria ragione, spiega che aspetteremo in uno stato di sogno, questo dopo la morte, ciò proviene soprattutto da gruppi del XIX secolo. Se riportiamo l'idea di un “sonno” all'attesa della parousia di Cristo, questo porterebbe al fatto che l'azione di Cristo non è redentrice, ma solo un messaggio che non porta all'azione.

Attraverso Cristo, con Lui e in Lui siamo stati redenti, il Paradiso ci è stato aperto. Se intendiamo la discesa nel luogo dei morti come solitudine senza Dio, Cristo penetra con il suo amore completamente per dare vita. La separazione totale da Cristo è l'inferno, la nostra anima non si addormenta fino al ritorno di Cristo, ma viene giudicata. Pertanto, ripensare a un'idea di “sheol” porta con sé la non credenza che Cristo abbia aperto il Paradiso. 

Il cielo è aperto, sappiamo che la Chiesa è già trionfante, attraverso i santi, anonimi e riconosciuti dalla Chiesa, i martiri, con Santa Maria, vedendo e adorando continuamente Dio nelle sue tre persone. Se il Paradiso esiste, è perché Cristo stesso si è fatto uomo, è morto e risorto. Il Paradiso è la partecipazione al corpo di Cristo, il compimento della vocazione per cui siamo stati battezzati. L'unità tra Dio e gli uomini. Tutti uniti tra loro, la comunione dei santi uniti a Cristo come capo, questo è il Paradiso, quando il Signore tornerà e tutto il corpo sarà unito al suo capo, unito come uno, in unità, in quel giorno che verrà, in quel giorno ci sarà solo gioia e giubilo.

Santa Maria e il cielo

Santa Maria, la madre di Dio, che è la grande intercessione, nella nostra vita qui sulla terra, ma anche quando arriva il tempo della nostra purificazione. Lei che è stata assunta in cielo con la potenza di Dio, corpo e anima, la sua totalità. “L'affermazione centrale del dogma dell'Assunzione dice che poiché Maria ha avuto, nella fede e nella grazia, un legame così unico con l'opera redentrice di Cristo, partecipa anche alla sua forma risorta come prima creatura pienamente e assolutamente redenta” (Gerhard Müller, “Dogmatica, teoria e pratica della teologia”).

Maria gode in modo unico di un'intercessione più completa per il suo legame con l'opera di redenzione, perché è il prototipo e il modello dei redentori di suo Figlio, perché è più pienamente configurata a Lui. Ci rivolgiamo a lei come Signora della Misericordia ogni giorno, nelle nostre preghiere quotidiane, nel Sacrificio dell'altare, affinché ci ottenga le grazie di poter contemplare un giorno suo figlio.

L'autoreSantiago Zapata Giraldo

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Evangelizzazione

Sant'Alberto Magno, vescovo e dottore della Chiesa

La liturgia della Chiesa celebra il 15 novembre il domenicano Sant'Alberto Magno, vescovo di Ratisbona, dottore della Chiesa e maestro di San Tommaso d'Aquino. San Raffaele di San Giuseppe, nel secolo Kalinowski, nato a Vilnius (Lituania), che si prodigò per l'espansione del Carmelo in Polonia. E anche al protomartire dell'Uganda, San Giuseppe Mkasa Balikuddembé.

Francisco Otamendi-15 novembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Sant'Alberto nacque in Germania intorno al 1200. Da giovane andò a studiare a Padova, Bologna e Venezia. Studiò teologia a Colonia, ma il suo spirito filosofico critico e sistematico dovette affrontare questioni teologiche difficili, secondo il calendario dei santi del Vaticano.

In Italia, Alberto divenne domenicano e ricevette l'abito dal beato Giordano di Sassonia, immediato successore di san Domenico. Quest'ultimo lo inviò prima a Colonia e poi a Parigi, dove per alcuni anni tenne la cattedra di teologia. Qui conobbe San Tommaso d'Aquino, che portò con sé quando l'Ordine lo inviò a Colonia per fondare un centro di studi teologici. Studio e insegnamento, L'amore del Signore, con l'amore del Signore, erano le sue passioni.

Integrazione della filosofia aristotelica e delle verità rivelate

A Colonia si guadagnò il soprannome di “Magno”. Studiò e insegnò le opere di Aristotele, rendendo l'aristotelismo accessibile al pensiero cristiano e mostrando che non era incompatibile con la teologia. Gettò così le basi per altri, in particolare per San Tommaso d'Aristotele. Tommaso d'Aquino, I primi due, con la loro metafisica, svilupperanno una sintesi più profonda.

Nel 1256, Sant'Alberto fu inviato a Roma e poi, inaspettatamente, il Papa lo nominò vescovo di Ratisbona. Nel 1274 fu invitato da Gregorio X a partecipare al secondo Concilio di Lione e, sulla via del ritorno, gli fu comunicata la morte di Tommaso. Fu un duro colpo per Sant'Alberto, che commentò: “La luce della Chiesa si è spenta”. Fu canonizzato nel 1931 da Pio XI, che lo proclamò anche Dottore della Chiesa. 

San Giovanni Paolo II sulla sua tomba a Colonia

È nota la preghiera di San Giovanni Paolo II, inginocchiato sulla sua tomba a Colonia nel 1980. qui. Il santo papa polacco presentò Sant'Alberto Magno come simbolo della riconciliazione tra scienza (o ragione) e fede, un tema che fu poi sviluppato dal suo successore, Benedetto XVI.

L'autoreFrancisco Otamendi

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Ecologia integrale

Il primo asilo nido dell'Hogar de Maria per madri e bambini vulnerabili

Il 16 novembre, in coincidenza con la Giornata mondiale dei poveri 2025, l'associazione Hogar de María inizia una nuova fase. Il vescovo Xabier Gómez benedice la sua prima Casa Cuna a Molins de Rei (Barcellona), accanto alla parrocchia di Sant Miquel Arcángel. Una nuova casa dove le madri vivono già con i loro bambini, in una situazione di vulnerabilità.      

Francisco Otamendi-15 novembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

L'inaugurazione inizierà con la visita e la benedizione della Casa Cuna da parte del vescovo domenicano di Sant Feliu de Llobregat, Mons. Xabier Gómez, che presiederà poi la messa parrocchiale con battesimi, cresime e prime comunioni di diverse famiglie accompagnate dall'associazione.

La Casa Cuna Llar Magdalena Bonamich è il risultato della collaborazione tra la parrocchia di Sant Miquel Arcàngel e l'associazione Hogar de Maria. L'ex casa parrocchiale, che aveva cessato la sua attività nel 2024, è ora tornata a vivere, accogliendo donne incinte o con bambini piccoli in situazioni di vulnerabilità.  

“Tutte le madri dei battezzati sono impegnate in questi giorni con fiori, torte... Domenica il vescovo benedirà perché l'Hogar de María inizia una nuova tappa con l'inaugurazione della prima Casa cuna”, spiega la sua vicepresidente, Maite Oriol. 

“Il parroco ha reso possibile la nostra permanenza e c'è la possibilità per diverse madri di raggiungere l'autonomia nella vita, con i loro bambini. La Casa Cuna è una torre a due piani con un giardino, un laboratorio e un frutteto, dove stanno 5 o 6 mamme con i loro bambini, accompagnate da una coordinatrice che vive e dorme lì”. 

“È molto allegro, molto bello, ed è in corso da prima dell'estate. Ora sto dipingendo una parete colorata. È a un minuto dalla parrocchia”, aggiunge.

Madri con i loro bambini nel progetto Hogar de María @HogardeMaría.

Sostegno dei laici, mano nella mano con le parrocchie

Hogar de María è un'associazione nata dall'impulso di laici che, convinti che ogni vita sia un dono di Dio, accompagnano e sostengono le donne incinte in situazioni di vulnerabilità. Insieme a diverse parrocchie e sotto la protezione della Vergine Maria, offre una casa e una comunità dove ogni madre e ogni bambino sono accolti con fede, speranza e amore.

Dal 2014 ha assistito più di 2.000 famiglie grazie al lavoro di una rete di volontari - psicologi, assistenti sociali, consulenti ed educatori - in più di 25 centri parrocchiali in tutta la Spagna.

Il suo motto è chiaro: difendere e accogliere la vita e la dignità di ogni donna e del suo bambino. Ognuna delle sue case e dei suoi progetti offre sostegno psicologico, consulenza sociale e orientamento al lavoro, oltre a spazi per la formazione e l'accompagnamento spirituale. La nuova casa di Molins de Rei integra tutto questo in una convivenza quotidiana che rafforza l'autonomia e la speranza delle madri. 

Maternità ed evangelizzazione

“Il nostro progetto si basa su due pilastri: la maternità e l'evangelizzazione”, spiega Maite Oriol. “In effetti, abbiamo 26 sedi, cinque a Madrid, una a San Sebastian, una in Polonia e il resto in Catalogna, a Barcellona e dintorni. In ogni centro si formano gruppi di massimo 30 madri. L'affiatamento e il legame che si crea tra loro e con noi costituiscono una vera e propria famiglia”.

I parroci, i più entusiasti

“Siamo nelle parrocchie, che sono luoghi che non vengono utilizzati al mattino, quindi siamo vicini al parroco, è molto importante che il parroco possa essere vicino a loro”, dice Maite.

“I parroci sono i più entusiasti del progetto, creano dinamiche meravigliose, con molta gioia. È la realtà delle madri che stavano pensando di abortire e non l'hanno fatto, e hanno una vita di successo e felice anche se non hanno nulla.

Nella parrocchia si creano dinamiche di aiuto, volontariato, aggregazione, presenza, testimonianza, fede e numerosi battesimi. 

2024: assistenza a più di 500 madri

La Casa Cuna è gestita da un'équipe interdisciplinare e sostenuta da donazioni. Nel 2024, l'Hogar de María ha assistito più di 500 madri e sono nati circa 380 bambini. Ma al di là delle cifre, è un esempio di come la Chiesa possa dare una risposta concreta alle sfide sociali e spirituali.

La vicepresidente dell'Hogar de María, Maite Oriol, spiega che l'iniziativa vuole essere un modello replicabile per altre parrocchie e diocesi che desiderano impegnarsi nella difesa della vita dal punto di vista della vicinanza e dell'accompagnamento personale. 

“Dobbiamo distinguere tra questi asili e quello che è normale, cioè una volta alla settimana, il martedì, le madri vanno nelle parrocchie, stanno insieme, si raccontano i loro problemi, ecc. e poi vanno a casa. Ognuna ha la sua stanza, il suo compagno, la sua mamma... Hanno sempre problemi a trovare un alloggio, ma non possiamo darlo a tutte, non abbiamo posto per così tante madri, più di trecento”.

La convivenza nella Casa Cuna e l'attività in parrocchia

Ma nella Casa Cuna, continua Oriol, “è bello, queste madri imparano a vivere come una famiglia e dormono lì. Si prendono cura l'una dell'altra in modo molto più simile a una famiglia, si aiutano a vicenda, cucinano, ecc. E poi queste madri vanno all'attività dell'Hogar de María nella parrocchia, dove vanno anche altre 20 o 30 madri, gestite dalla stessa coordinatrice. E c'è un altro gruppo di madri, chiamate campionesse, di età compresa tra i 15 e i 21 anni, che vengono trattate un po” a parte, perché sono molto adolescenti, molto giovani, si incoraggiano a vicenda". 

Il progetto è affidato alla Vergine Maria, e tra le sue mura si respira lo stesso spirito di fiducia e dedizione che caratterizza tutto il lavoro dell'associazione. Come dice uno dei suoi volontari, “all'Hogar de María non accogliamo solo una madre e il suo bambino: accogliamo Dio che viene con loro”.

Battesimi e amore: la speranza fatta casa

In un momento in cui tante donne affrontano la maternità in solitudine, questo presepe diventa un segno luminoso della misericordia e della speranza cristiana, ricordandoci che ogni vita merita un inizio dignitoso e amorevole, dicono.

Nel suo recente messaggio per la Giornata Mondiale dei Poveri 2025, Papa Leone XIV ci ricorda che “la più grande povertà è non conoscere Dio” e che i poveri “non sono una distrazione per la Chiesa, ma i fratelli e le sorelle più amati”. Così, questa casa è anche una risposta concreta: in essa si radica la speranza, si incarna la fede e la vita torna a fiorire.

L'autoreFrancisco Otamendi

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Cultura

La bellezza che ci solleva: Vermeer e il desiderio di Dio

Abel de Jesús spiega che la Bellezza ci fa uscire dalla logica del calcolo e della produttività, rivelando il desiderio profondo di Dio. Come ne "Il Geografo" di Vermeer, basta alzare lo sguardo. In quella luce che filtra dalla finestra c'è tutto: desiderio, bellezza, amore.

Sonia Losada-15 novembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Nella seconda sessione del Arteologia, Abel de Jesús confidava ai suoi studenti che un giorno, contemplando un'opera di Vermeer, si commosse fino alle lacrime. Era un'emozione serena e profonda, una di quelle che non si cercano né si pianificano, ma che accadono come un dono. L'opera che stava contemplando era “Il Geografo”. Scoprì qualcosa di più di un quadro: l'irruzione della Bellezza indisponibile, quella che non appartiene al mercato del gusto o al catalogo dell'utile.

Il geografo di Vermeer lavora concentrato, impegnato nella sua mappa, quando improvvisamente alza lo sguardo. E in quello sguardo sollevato c'è una rivelazione. È così che viviamo anche noi“, dice Abel de Jesús, ”nel calcolo, nel prevedibile, finché una luce non ci fa uscire dal calcolo e ci ricorda che siamo fatti per qualcos'altro".

Questo “altro” ha un nome: desiderio. Non il desiderio capriccioso di possedere o di consumare, ma il desiderio profondo che Dio ha inscritto in ogni persona per condurla alla realizzazione. “Che cosa desideri? -chiede Abel. Non ”cosa ti piace?“ o ”cosa ti diverte?“, ma ”cosa desideri veramente?“. Perché in questa domanda, insiste, Dio imprime la sua chiamata.

La logica della produttività

Viviamo secondo la logica dell'aritmetica: produttività, convenienza, rispetto umano. Ma il Vangelo, ci ricorda Abel, non si misura con i bilanci. Gesù non ha vissuto una vita produttiva: trent'anni di silenzio e tre di parole. Non ha fondato aziende, né ha lasciato buoni bilanci, ma la sua luce continua ad accompagnare la storia. Ci insegna che la realizzazione non è nelle prestazioni, ma nella corrispondenza d'amore con il Logos, quel principio di ordine, armonia e senso che è Dio stesso.

“La teologia del Logos”, afferma, "ci ricorda che Dio non impone ciò che non è: non ti chiede di fare qualcosa contro la tua natura. Le cose non sono buone perché Dio le vuole, ma Dio le vuole perché sono buone e belle". Questo Logos è la ragion d'essere del mondo e il cuore della rivelazione: un Dio che non agisce per capriccio, ma per amore, perché il suo essere è un traboccare d'amore.

Durante la sessione, Abel ripercorre la storia della fede come un'esposizione pedagogica: dall'occhio per occhio al perdono dei nemici, dal tempio di pietra al tempio del cuore, dal Dio lontano al Dio incarnato, che si fa uomo perché l'uomo possa recuperare la sua pienezza. L'incarnazione“, dice, ”non è un evento come un altro, come l'uscita di un disco o un evento storico. È un salto eterno: il momento in cui Dio entra nella storia e la storia tocca l'eterno".

Quel mistero ha un volto concreto: il volto di Gesù. Nel presepe di Betlemme, i primi ad adorare sono i pastori e i magi: i poveri e i sapienti, gli emarginati e gli intelligenti. “In loro è abbracciato il mondo intero: ciò che il mondo disprezza e ciò che il mondo ammira. Tutti si inginocchiano davanti a un Bambino che è Dio”.

Bellezza e croce

Nella sua lettura de «La gloria» di Hans Urs von Balthasar, Abel ricorda che Gesù non solo scende all'inferno, ma fino al punto in cui non c'è più fede né speranza, per riscattare anche quello. “La morte, il vuoto, il male non hanno l'ultima parola”. Ecco perché la Bellezza e la Luce trionfano sulle tenebre, non perché tutto vada bene, ma perché alla fine ci aspetta un amore che ci trascende.

Abele si chiede se Gesù fosse felice, o Maria, o Giuseppe. Nella misura del mondo, sicuramente no. Ma nella misura dell'amore, erano pieni. La felicità che ci viene venduta oggi“, avverte, ”è una trappola: più opzioni, più stimoli, più distrazioni. Ma più non è sempre meglio“. Ricorda i cinema di paese, dove si proiettava un solo film alla settimana ed eravamo tutti felici. Oggi ci sono molti cinema in una città e migliaia di opzioni da guardare sulle piattaforme digitali, e spesso andiamo a letto cercando di scegliere senza deciderci. La ricerca del proprio piacere non ha mai fine”, dice, "mentre donarsi agli altri può appagarci.

La croce, scandalosa per alcuni e sciocca per altri, diventa così la risposta definitiva al mistero della sofferenza umana. Non promette una vita facile, ma una vita feconda: negarsi non per annullarsi, ma per riempirsi dell'Altro. Dio distrugge i nostri castelli“, conclude Abel, ”per farci scoprire che la felicità non c'era. Anche la nostra religione può diventare un'abitudine. Tuttavia, la grazia non è forzata dal merito personale: è semplicemente accettata".

Come il geografo di Vermeer, basta alzare lo sguardo. In quella luce che filtra dalla finestra c'è tutto: desiderio, bellezza, amore. La Bellezza indisponibile di Dio continua a chiamarci, in silenzio, per ricordarci che non siamo fatti per produrre, ma per contemplare, amare e lasciarci trasformare.

L'autoreSonia Losada

Giornalista e poeta.

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Libri

Luna Miguel: la censura più profonda viene da dentro di noi

Da San Basilio a Luna Miguel, l'opera "incensurabile" offre una riflessione sulla lettura, sulla dignità umana e sui limiti della censura letteraria.

José Carlos Martín de la Hoz-15 novembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Ho trovato molto interessante e attuale l'opera di Luna Miguel (1990), scrittrice ed editrice di successo e una delle migliori scrittrici della letteratura spagnola di oggi, perché il tema affrontato, la censura letteraria, non è una questione dei tempi di Franco ma, come dimostra l'autrice, la censura ce la portiamo dentro, dalla fabbrica.

Le origini del senso critico e della censura interiore

Infatti, San Basilio Magno (330-379), uno dei grandi Padri della Chiesa del IV secolo, quando la Chiesa aveva già ottenuto uno statuto e poteva quindi esprimersi con piena libertà, fu il primo a rivolgersi ai giovani del suo tempo e di tutti i tempi per parlare loro di senso critico mentre leggevano i classici greci e latini che sarebbero stati in grado di leggere quando sarebbero entrati nelle scuole di Retorica e Oratorio per iniziare la loro formazione.

Il consiglio che ha trasceso tutti i tempi e le culture è di grande saggezza: è necessario leggere molto per imparare a conoscere chi sono Dio, l'uomo, il mondo e la natura e quindi essere in grado di governare il mondo che Dio ci ha dato in eredità (Dt 3,18) e, quindi, vivere insieme agli altri per costruire il regno di Dio e, infine, acquisire la necessaria saggezza di vita con cui portare nel nostro tempo i valori e i doni che abbiamo ricevuto dalla famiglia e dai nostri insegnanti.

Il secondo consiglio, ancora più concreto, era quello di saper attingere dai libri tutta la grandezza che contengono per costruire in noi stessi la grandezza della dignità della persona umana, di ogni persona umana di ogni classe e condizione. Logicamente, da credente, ha aggiunto che questa grandezza della persona si basa sull'essere immagine e somiglianza di Dio. Allo stesso tempo, è necessario saper mettere elegantemente da parte tutto ciò che potrebbe minare, sminuire o diminuire in qualsiasi modo la dignità della persona umana.

L'esperienza di Luna Miguel con Lolita e censura

In questa occasione, Luna Miguel ci racconterà in prima persona la genesi e lo sviluppo di una conferenza che avrebbe dovuto tenere a un pubblico universitario su un tema così ampio come la censura e il piacere, nell'ambito di un ciclo di letteratura ed erotismo. 

Ha poi spiegato che, per poter dire qualcosa di valido e affinché i partecipanti alla conferenza potessero trarre dalla presentazione spunti di interesse, gli è venuto in mente di portare l'esempio personale di ciò che era accaduto a lui e al suo ambiente quando, dopo molti sforzi, era riuscito a procurarsi il romanzo del russo Vladimir Nabokov, pubblicato negli Stati Uniti nel 1955, nell'adolescenza era riuscito a procurarsi il romanzo del russo Vladimir Nabokov, pubblicato negli Stati Uniti nel 1955, che narrava le avventure del protagonista, un uomo ossessivo, Humbert Humbert, che si era innamorato perdutamente di una quattordicenne di nome Lolita e aveva finito per sposare la madre di Lolita per avvicinarsi alla ragazza e approfittarne.

In primo luogo, Luna Miguel riduce il clima di tensione che avrebbe creato in poche e brevi pagine, cioè spiega crudamente che il romanzo è molto più propaganda che realtà, perché dopo qualche anno l'argomento non era così crudo, la narrazione non è così esplicita e, infine, anche l'esposizione non è così credibile. In altre parole, la sua ripubblicazione oggi non sarebbe un successo.

Ovviamente, la parte più interessante di questo lavoro è la bibliografia alla fine del libro, che dimostra che l'autore ha riflettuto molto su ciò che ha scritto e, soprattutto, lo ha espresso con buon umore, in modo folle e documentato.

Logicamente, ci fornirà tutte le informazioni che è riuscito a raccogliere sull'impatto del famoso romanzo contemporaneo che, secondo il New York Times dell'epoca, divenne un bestseller mondiale e fu tradotto in tutte le lingue occidentali.

Ci parlerà anche dello scandalo che il movimento hippie e il pacifismo mondiale dovuto alla guerra del Vietnam hanno provocato in ampi settori della società europea e americana dieci anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando la secolarizzazione stava lentamente avanzando e quasi dieci anni prima della rivoluzione sessantottina.

Riflessioni su libertà, letteratura e donne

Come spiega chiaramente l'autore, in modo molto personale, il libro ora, sia per l'argomento che per il modo in cui è scritto, ha in realtà molte meno schegge di molte opere che vengono pubblicate ovunque, serie televisive, ecc.

In ogni caso, è interessante che il consiglio ricevuto dall'autrice quando era adolescente, sia dai genitori, sia dal bibliotecario o dall'insegnante di lettere, fosse quello di aspettare un po' a leggerlo per avere la formazione necessaria, criteri più completi e capacità critica per leggere il libro ed estrarne ciò che era necessario per comprendere meglio la dignità della persona umana e rifiutare tutto ciò che la sminuisse.

Sullo sfondo di questo interessante lavoro, è chiaro che c'è ancora molta tensione quando si tratta di trattare le donne nella letteratura, nel mondo audiovisivo o nell'arte in generale. Evidentemente, in questo libro c'è molta diffidenza: “Non siamo ingenui. Non abbiamo ancora rotto il testo di vetro. Basta conoscere un po” la storia del nostro genere per rendersi conto che dietro l'avanzata dei nostri diritti e delle nostre libertà c'è sempre un'ondata di iniquità che ci costringe a tornare indietro" (p. 33).

Certo, il lavoro prenderà slancio e finirà per trasformare il tema di Lolita in un nodo di commenti interessanti: si può distinguere l'opera dall'autore, si può leggere quest'opera senza trarre l'ovvia conclusione che l'abuso psicologico è sbagliato (p. 37). Questo lavoro diventa a volte “complicato”, ma fornisce anche argomenti di riflessione sia per i lettori di romanzi che per gli autori. 

È interessante che la nostra autrice, in un momento di follia, scriva poche parole che riassumono una denuncia insensata contro il buon senso: “non importava se lo censuravano, lei li aveva in testa e quindi li avrebbe riscritti se ne avesse avuto voglia; per porre fine alla letteratura, avrebbero dovuto prima porre fine a lei” (p. 72-73).

E, accostando Simone de Beauvoir al Marchese de Sade, afferma: “De Beauvoir vedeva nei vari malintesi provocati dall'opera del pornografo una forma di omicidio. Dimenticare la sua letteratura o ridurre la sua vita a un paio di aneddoti era, da un lato, ciò che avrebbe distrutto il suo pensiero, ma anche ciò che, ironicamente, avrebbe salvato il suo nome dal fuoco” (p. 95). Inoltre, affermerà: “la storia della letteratura è la storia delle nostre dipendenze, pensai allora, proprio lì, allo scoccare della mezzanotte, con la grande tristezza di essere sola” (p. 117). Poco dopo, concluderà l'opera con queste significative parole: “Starà a voi decidere se volete partecipare a questo delirio impensabile, o se siete solo arrivati a capirlo” (p. 211).

Incensurabile

Autore: Luna Miguel
Editoriale: Lumen
Anno: 2025
Pagine: 225
Ecologia integrale

Le lezioni di J. R. R. R. Tolkien per i tempi di crisi

Leggendo Tolkien possiamo trovare quattro caratteristiche principali della vocazione e della missione che ogni essere umano è chiamato a sviluppare nella propria vita.

José Miguel Granados-14 novembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973), autore britannico, profondamente cattolico, professore di lingua e letteratura antica, è stato capace di costruire una impressionante “sub-creazione” mitologica, Il libro è un'autentica storia della salvezza, con una profonda visione teologica del mistero del senso del mondo. Rileggendo i suoi incantevoli racconti del “La Terra di Mezzo”, Possiamo riassumere in quattro caratteristiche principali la vocazione e la missione che ogni essere umano è chiamato a sviluppare nella propria vita.

Fiducia

    «È possibile che i buoni, e persino i santi, siano sottoposti a un potere maligno troppo grande perché possano vincerlo da soli. In questo caso, la causa (non l“”eroe») trionfa grazie all'esercizio della compassione, della misericordia e del perdono delle ferite: si crea così una situazione in cui tutto si ribalta e la catastrofe viene scongiurata" (Lettera 192).

    Tolkien ha coniato il termine “eucatastrofe” per spiegare il paradosso di come una catastrofe o un fallimento concreto possano essere decisivi per ottenere il salvataggio definitivo dell'esistenza. Qui troviamo un mimetismo del mistero pasquale: nella morte e resurrezione di Cristo si rivela come la provvidenza divina realizzi la vittoria definitiva della verità, della giustizia e della virtù.

    Sebbene la libertà creata sia reale e abbia conseguenze terribili quando non viene usata in accordo con la verità del bene delle persone, il Dio vivente - chiamato nell'opera narrativa dell'autore inglese Eru (l'Unico) e Illuvatar (Padre di tutti) - trasforma ingegnosamente il destino, per ottenere anche dal male oggettivo il bene maggiore di coloro che vivono nel suo amore (cfr. Rm 8,28). Per questo motivo, il cristiano vive di fede e di speranza, pur nelle sue lotte e nei suoi sforzi. sereno, abbandonato nelle mani amorevoli del Padre onnipotente, che si è mostrato vicino e pieno di tenerezza verso i suoi figli, che cura con costante vigilanza.

    Compassione

      -Che peccato che Bilbo non abbia ucciso quella vile creatura quando ne aveva la possibilità«, disse Frodo.

      -Pietà? - rispose Gandalf. Fu la pietà a fermare la sua mano. Pietà e misericordia: non colpire inutilmente. Ed è stato ricompensato, Frodo. Sii certo che il male lo ha ferito così poco, e che alla fine è riuscito a fuggire, perché ha cominciato a possedere l'Anello in questo modo: con la pietà.Il Signore degli Anelli: I. La Compagnia dell'Anello).

      A Válinor, il paese del valares (esseri angelici), Gandalf era discepolo di Nienna, la dea della pietà e della compassione per i miseri, nonché della pazienza e del coraggio di fronte alle difficoltà. L'opera di Tolkien - in contrasto con la visione materialistica, chiusa alla trascendenza, al mistero dell'amore e all'orizzonte dell'eternità - trasmette la ferma convinzione del l'immenso valore del perdono, La cosa più importante è essere generosi, generosi, servizievoli, umili e cordiali.

      In realtà, il piccoli atti di gentilezza e il rispetto possono cambiare rotta Sono come la leva su cui conta il cuore del Dio che guida tutto con sapienza, potenza e dolcezza. Perché ciò che sembra inutile secondo gli standard mondani è in realtà decisivo nei piani del Signore. Quindi nessuno sforzo - per quanto piccolo possa sembrare - per costruire relazioni e comunità basate sulla logica del dono e della gratuità è sprecato.

      Il coraggio

      -Vorrei che questo non fosse mai accaduto«, disse Frodo.

      -E anch'io«, disse Gandalf. »E anche tutti coloro che vivono in questi tempi. Ma non spetta a loro decidere. Tutto ciò che dobbiamo decidere è cosa fare con il tempo che ci è stato concesso« (Il Signore degli Anelli: I. La Compagnia dell'Anello).

      Quando Frodo, portatore dell'anello del potere oscuro, si lamenta della sua condizione, a causa del peso distruttivo e insopportabile che gli è caduto addosso, Gandalf gli spiega che spesso nella vita non ci viene offerta la scelta della nostra condizione, ma la scelta di come affrontare la realtà che ci si para davanti. Il compito che ci viene affidato richiede che ognuno di noi - accettando le circostanze che ci vengono date - sia in grado di resistere nella determinazione a svolgere il nobile compito assegnatole in questa vita.

      I piccoli e gli umili sono talvolta più forti e più saggi dei potenti, pagati per la loro superbia; e, soprattutto, i “talenti medi” - come i "talenti medi" - sono talvolta più forti e più saggi dei potenti. hobbit- sono spesso meno inclini all'influenza del male. In una società corrotta, può accadere che la tenacia per le buone azioni che contraddistingue il vita nascosta di personaggi generosi, L'Unione Europea, sebbene disprezzata agli occhi del mondo, è decisiva per la rigenerazione dell'umanità.

      Azienda

        -Ma«, disse Sam, mentre le lacrime gli salivano agli occhi, »pensavo che anche tu ti saresti divertito nella Contea, anni e anni, dopo tutto quello che hai fatto.

        -Lo pensavo anch'io, un tempo. Ma ho subito ferite troppo profonde, Sam. Ho cercato di salvare la Contea e l'ho salvata, ma non per me stesso. È così, Sam, quando le cose sono in pericolo: qualcuno deve rinunciarvi, perderle, perché altri possano tenerle. Ma tu sei il mio erede: tutto quello che ho e che avrei potuto avere lo lascio a te. E poi hai Rose, ed Eleanor; e ci saranno il piccolo Frodo e la piccola Rose, e Merry, e Riccioli d'Oro, e Pipino; e forse altri che non vedo. Le tue mani e la tua testa saranno necessarie ovunque. Sarete il sindaco, naturalmente, per tutto il tempo che vorrete, e il giardiniere più famoso della storia; e leggerete le pagine del libro di storia. Libro rosso, E perpetuerete la memoria di un'epoca ormai passata, in modo che il popolo ricordi sempre il grande pericolo e ami ancora di più il suo amato Paese. E questo vi terrà occupati e felici quanto è possibile esserlo, finché la vostra parte di storia continuerà» (Il Signore degli Anelli: III. Il ritorno del re).

        Samwise Gangee, il semplice giardiniere, aveva promesso di non abbandonare il signor Frodo e rimase fedele alla sua parola, anche quando dovette accompagnarlo nella terribile regione di Mordor. La forza del sindacato e la fedeltà di personaggi modesti rende possibile il miracolo: infatti, da soli ci si perde, o ci si stanca, o si perde l'illusione; ma insieme, attraverso l'incoraggiamento reciproco, è possibile per raggiungere l'obiettivo di un'esistenza di successo.

        Alla fine, il premio di una terra e di una società che recupera pace e bellezza dimostra la giustezza della scelta di azioni giuste e nobili, anche se non sembravano redditizie o utili. Come nelle parabole del regno di Dio, una minuscola fermento (cfr. Mt 13,33; Lc 13,20-21), potentemente presente in mezzo alle masse, diventa fecondo per tutta la comunità.

        In breve, questi quattro atteggiamenti: compagnia, compassione, fiducia, coraggio... sono alcuni preziosi insegnamenti che possiamo trarre dal mondo fantastico - radicato nel messaggio cristiano - immaginato e narrato da Tolkien, “maestro letterario e profeta” per le crisi personali e sociali del nostro tempo.

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        Evangelizzazione

        Santi Serapio Scott e Nicola Tavelic, martiri; San Giuseppe Pignatelli, martire.

        Il 14 novembre, la liturgia celebra il martire mercedario Serapius Scott, Nicolas Tavelic e i suoi compagni francescani, martiri a Gerusalemme nel XIV secolo. E Giuseppe Pignatelli SJ, che lavorò per la restaurazione della Compagnia di Gesù nel XVIII e all'inizio del XIX secolo.  

        Francisco Otamendi-14 novembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

        Frate Serapio Scott nacque intorno al 1178 nelle isole britanniche, parente della monarchia scozzese. Sebbene non si conoscano i dettagli della sua infanzia e della sua giovinezza, si trovò presto al fianco del re Riccardo Cuor di Leone nella Terza Crociata, combattendo per la fede e la liberazione della terra di Gesù. Ordine della Misericordia sul suo sito web. In seguito ha favorito i prigionieri che venivano liberati in Palestina e ha subito lui stesso la prigionia e il carcere.

        San Serapio partecipò alle battaglie contro l'Islam in Spagna, a Las Navas de Tolosa nel 1212. Qualche anno dopo, incontrò San Pietro Nolasco a Daroca ed entrò nell'Ordine Mercedario.

        Motivato dalla carità verso i prigionieri, compì diverse redenzioni. Una di quelle a lui attribuite fu realizzata con san Raimondo Nonnato nel 1229, salvando più di 150 prigionieri. Nella redenzione del 1240, effettuata con fra Berenguer de Bañeres ad Algeri, rimase come ostaggio. La tradizione presenta San Pietro Nolasco che chiede aiuto per il Redentore. Ma il riscatto non arrivò in tempo ed egli fu crocifisso sulla croce come Sant'Andrea.

        San Nicola Tavelic e compagni, martiri a Gerusalemme

        Nicolas Tavelic, Deodato di Rodez, Stefano di Cuneo e Pietro di Narbona, sacerdoti Francescani, morirono martiri a Gerusalemme il 14 novembre 1391. Provenivano da diverse province francescane, come la Croazia, l'Aquitania, Genova e la Provenza, ed erano tutti membri della Custodia di Terra Santa, affidato dalla Santa Sede all'Ordine Francescano. 

        Dopo consultazioni, preghiere e studi, presentarono la fede cristiana al Cadi di Gerusalemme, ma furono invitati a convertirsi all'Islam. Quando non lo fecero, i frati furono giustiziati. Sono stati canonizzati nel 1970 da San Paolo VI.

        San Giuseppe Pîgnatelli ha lavorato per il restauro

        Giuseppe Pignatelli SJ, (Saragozza 1737 - Roma, 1811), è venerato “per aver dato guida e sostegno ai gesuiti durante i durissimi anni in cui la Compagnia di Gesù fu soppressa”, narra il Sito web dei gesuiti. Di famiglia nobile, si distinse per la sua vita spirituale e fu ordinato sacerdote la settimana prima di Natale del 1762. Trascorse i quattro anni e mezzo successivi a Saragozza insegnando grammatica ai bambini, visitando le prigioni e assistendo i prigionieri e i condannati a morte.

        Durante l'espulsione dei gesuiti dalla Spagna nel 1767, diede prova di fortezza e carità, aiutando i suoi fratelli esiliati. Dopo la soppressione della Compagnia da parte di Papa Clemente XIV, lavorò instancabilmente per la sua restaurazione e fu un simbolo di fedeltà e speranza. Morì a Roma nel 1811, con un progressivo indebolimento della sua salute, tre anni prima che la Società fosse ristabilita da Pio VII. Fu canonizzato da Pio XII nel 1954.

        L'autoreFrancisco Otamendi

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