Vaticano

Le finanze vaticane, i bilanci dello IOR e dell'Obbligo di San Pietro

Esiste un legame intrinseco tra i bilanci degli Oblati di San Pietro e l'Istituto per le opere di religione.

Andrea Gagliarducci-12 luglio 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

Esiste una stretta relazione tra la dichiarazione annuale della Obolo di San Pietro e il bilancio dell'Istituto delle Opere di Religione, la cosiddetta "banca vaticana". Perché l'obolo è destinato alla carità del Papa, ma questa carità si esprime anche nel sostegno alla struttura della Curia romana, un immenso "bilancio missionario" che ha spese ma non tante entrate, e che deve continuare a pagare gli stipendi. E perché lo IOR, da qualche tempo, contribuisce volontariamente con i suoi utili proprio al Papa, e questi utili servono ad alleggerire il bilancio della Santa Sede. 

Da anni lo IOR non ha più gli stessi profitti del passato, per cui la quota destinata al Papa è diminuita nel corso degli anni. La stessa situazione vale per l'Obolo, le cui entrate sono diminuite nel corso degli anni e che ha dovuto affrontare anche questa diminuzione del sostegno dello IOR. Tanto che nel 2022 ha dovuto raddoppiare le sue entrate con una generale dismissione di beni.

Ecco perché i due bilanci, pubblicati il mese scorso, sono in qualche modo collegati. Dopo tutto, il Le finanze del Vaticano sono sempre stati collegati e tutto contribuisce ad aiutare la missione del Papa. 

Ma analizziamo i due bilanci più in dettaglio.

Il globo di San Pietro

Lo scorso 29 giugno gli Oblati di San Pietro hanno presentato il loro bilancio annuale. Le entrate sono state di 52 milioni, ma le spese sono state di 103,4 milioni, di cui 90 milioni per la missione apostolica del Santo Padre. Nella missione sono incluse le spese della Curia, che ammontano a 370,4 milioni. L'Obbligo contribuisce quindi con 24% al bilancio della Curia. 

Solo 13 milioni sono andati in beneficenza, a cui però vanno aggiunte le donazioni di Papa Francesco attraverso altri dicasteri della Santa Sede per un totale di 32 milioni, di cui 8 in beneficenza. finanziato direttamente dall'Obolo.

In sintesi, tra il Fondo Obolo e i fondi dei dicasteri parzialmente finanziati dall'Obolo, la carità del Papa ha finanziato 236 progetti, per un totale di 45 milioni. Tuttavia, il bilancio merita alcune osservazioni.

È questo il vero uso dell'Obbligo di San Pietro, che spesso viene associato alla carità del Papa? Sì, perché lo scopo stesso dell'Obbligo è quello di sostenere la missione della Chiesa, ed è stato definito in termini moderni nel 1870, dopo che la Santa Sede ha perso lo Stato Pontificio e non aveva più entrate per far funzionare la macchina.

Detto questo, è interessante che il bilancio degli Oblati possa essere dedotto anche dal bilancio della Curia. Dei 370,4 milioni di fondi preventivati, il 38,9% è destinato alle Chiese locali in difficoltà e in contesti specifici di evangelizzazione, per un totale di 144,2 milioni.

I fondi per il culto e l'evangelizzazione ammontano a 48,4 milioni, pari al 13,1%.

La diffusione del messaggio, cioè l'intero settore della comunicazione vaticana, rappresenta il 12,1% del bilancio, con un totale di 44,8 milioni.

37 milioni di euro (10,9% del bilancio) sono andati a sostegno delle nunziature apostoliche, mentre 31,9 milioni (8,6% del totale) sono stati destinati al servizio della carità - proprio i soldi donati da Papa Francesco attraverso i dicasteri -, 20,3 milioni all'organizzazione della vita ecclesiale, 17,4 milioni al patrimonio storico, 10,2 milioni alle istituzioni accademiche, 6,8 milioni allo sviluppo umano, 4,2 milioni a Educazione, Scienza e Cultura e 5,2 milioni a Vita e Famiglia.

Le entrate, come già detto, ammontano a 52 milioni di euro, di cui 48,4 milioni di euro sono donazioni. L'anno scorso le donazioni sono diminuite (43,5 milioni di euro), ma le entrate, grazie alla vendita di immobili, sono state pari a 107 milioni di euro. È interessante notare che ci sono 3,6 milioni di euro di entrate derivanti da rendite finanziarie.

In termini di donazioni, 31,2 milioni provengono dalla raccolta diretta delle diocesi, 21 milioni da donatori privati, 13,9 milioni da fondazioni e 1,2 milioni da ordini religiosi.

I principali Paesi donatori sono gli Stati Uniti (13,6 milioni), l'Italia (3,1 milioni), il Brasile (1,9 milioni), la Germania e la Corea del Sud (1,3 milioni), la Francia (1,6 milioni), il Messico e l'Irlanda (0,9 milioni), la Repubblica Ceca e la Spagna (0,8 milioni).

Il bilancio dello IOR

Il IOR 13 milioni di euro alla Santa Sede, a fronte di un utile netto di 30,6 milioni di euro.

I profitti rappresentano un miglioramento significativo rispetto ai 29,6 milioni di euro del 2022. Tuttavia, le cifre vanno confrontate: si va dagli 86,6 milioni di utili dichiarati nel 2012 - che quadruplicano quelli dell'anno precedente - ai 66,9 milioni del rapporto 2013, ai 69,3 milioni del rapporto 2014, ai 16,1 milioni del rapporto 2015, ai 33 milioni del rapporto 2016 e ai 31,9 milioni del rapporto 2017, fino ai 17,5 milioni del 2018.

Il rapporto 2019, invece, quantifica i profitti in 38 milioni, anch'essi attribuiti al mercato favorevole.

Nel 2020, anno della crisi del COVID, l'utile è stato leggermente inferiore, pari a 36,4 milioni.

Ma nel primo anno post-pandemia, un 2021 non ancora influenzato dalla guerra in Ucraina, il trend è tornato negativo, con un profitto di soli 18,1 milioni di euro, e solo nel 2022 si è tornati alla barriera dei 30 milioni.

Il rapporto IOR 2023 parla di 107 dipendenti e 12.361 clienti, ma anche di un aumento dei depositi della clientela: +4% a 5,4 miliardi di euro. Il numero di clienti continua a diminuire (12.759 nel 2022, addirittura 14.519 nel 2021), ma questa volta diminuisce anche il numero di dipendenti: 117 nel 2022, 107 nel 2023.

Continua quindi il trend negativo della clientela, che deve far riflettere, considerando che lo screening dei conti ritenuti non compatibili con la missione dello IOR è stato completato da tempo.

Ora, anche lo IOR è chiamato a partecipare alla riforma delle finanze vaticane voluta da Papa Francesco. 

Jean-Baptiste de Franssu, presidente del Consiglio di Sovrintendenza, sottolinea nella sua lettera di gestione i numerosi riconoscimenti che lo IOR ha ricevuto per il suo lavoro a favore della trasparenza nell'ultimo decennio, e annuncia: "L'Istituto, sotto la supervisione dell'Autorità di Vigilanza e Informazione Finanziaria (ASIF), è quindi pronto a fare la sua parte nel processo di centralizzazione di tutti i beni vaticani, in conformità con le istruzioni del Santo Padre e tenendo conto degli ultimi sviluppi normativi.

Il team dello IOR è desideroso di collaborare con tutti i dicasteri vaticani, con l'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA) e di lavorare con il Comitato per gli Investimenti per sviluppare ulteriormente i principi etici del FCI (Faith Consistent Investment) in accordo con la dottrina sociale della Chiesa. È fondamentale che il Vaticano sia visto come un punto di riferimento".

L'autoreAndrea Gagliarducci

Vaticano

Nuovo Motu Proprio: il Vaticano rafforza il controllo etico dei suoi investimenti

Papa Leone XIV accentra la gestione finanziaria del Vaticano, confermando la supervisione dell'APSA, dello IOR e del Comitato per gli investimenti.

Javier García Herrería-6 ottobre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Papa Leone XIV ha promulgato una nuova Lettera Apostolica sotto forma di un Motu Proprio sulle attività di investimento finanziario della Santa Sede. L'obiettivo è quello di consolidare le riforme economiche avviate da anni e di assicurare una gestione unitaria ed etica dei beni della Curia romana, sottolineando il principio di corresponsabilità nella gestione dei beni della Santa Sede. comunione stabilito dalla Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium.

Il documento, datato 29 settembre 2025, mira a definire con precisione i ruoli e le competenze delle istituzioni coinvolte nella gestione degli investimenti vaticani. La novità principale consiste nell'abrogazione dell'Istruzione dell'agosto 2022 e nell'istituzione di una nuova struttura operativa.

Il Santo Padre ha dichiarato che l'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), nel suo ruolo di investitore, si avvarrà della struttura organizzativa interna dell'Istituto per le Opere di Religione (la banca vaticana) per la gestione degli investimenti. In questo modo lo IOR diventa il centro nevralgico e la principale fonte di competenze per la gestione finanziaria quotidiana.

Inoltre, il Motu Proprio riafferma la suprema autorità del Comitato per gli investimenti di stabilire la conformità di tutte le operazioni finanziarie con la politica di investimento approvata, assicurando così che i beni del Vaticano rispettino la Dottrina sociale della Chiesa.

Il Rescriptum 2022

Il Rescriptum ex Audientia SS.mi del 23 agosto 2022, che è stato appena abrogato, era una misura d'emergenza cruciale volta a imporre l'immediata centralizzazione dei beni finanziari del Vaticano. Il suo scopo fondamentale era quello di eliminare la dispersione dei fondi che aveva creato problemi. Essa stabiliva che l'Istituto per le Opere di Religione (IOR) sarebbe stato l'unico gestore patrimoniale e custode di tutti i beni finanziari e della liquidità della Santa Sede e delle sue istituzioni.

Entro 30 giorni, a tutte le entità vaticane è stato ordinato di trasferire allo IOR i fondi detenuti in banche esterne. In questo modo, lo Rescritto ha imposto che l'intera proprietà fosse sotto un'unica e severa supervisione.

Il Comitato per gli investimenti

Il Comitato per gli investimenti è l'organo che assicura la supervisione etica e strategica dei beni vaticani, in conformità con la Dottrina sociale della Chiesa. È presieduto dal cardinale Kevin Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita.

Al suo fianco ci sono i maggiori esperti internazionali: il Dr. Jean Pierre Casey (Gran Bretagna), noto esperto di gestione del rischio e di risk management, e il Dr. Jean Pierre Casey (Francia), noto esperto di gestione del rischio e di risk management. FinTechGiovanni Christian Michael Gay (Germania), con una vasta esperienza nella gestione di grandi fondi d'investimento, David Harris (Norvegia), esperto di mercati globali, e John J. Zona (Stati Uniti), con una vasta esperienza nella gestione di portafogli. Questa composizione garantisce una prospettiva altamente professionale e globale sulle decisioni di investimento.

I bilanci positivi di IOR e APSA

La nuova direttiva papale ripone la sua fiducia in due enti che hanno dimostrato efficienza finanziaria negli ultimi anni: l'Istituto per le Opere di Religione (IOR) e l'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA). Entrambi gli enti stanno così consolidando la loro posizione di pilastri del controllo del bilancio vaticano.

Lo IOR, noto come la banca del Vaticano, ha mantenuto una chiara traiettoria di profitto netto, registrando un utile significativo, ad esempio 32 milioni di euro nel 2024. Questa performance positiva riflette l'efficacia delle riforme di governance attuate.

Anche l'APSA, il gestore patrimoniale, ha riportato risultati favorevoli, ottenendo un elevato rendimento di gestione, fino a 8,51 punti percentuali, grazie alla gestione strategica degli investimenti. Lavorando insieme e con bilanci sani, queste istituzioni rafforzano il modello di supervisione centralizzata promosso dal Papa.

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Zoom

Papa Leone XIV posa con le nuove reclute della Guardia Svizzera.

Papa Leone XIV posa per una foto con i membri e le nuove reclute della Guardia Svizzera Pontificia in Vaticano il 3 ottobre 2025.

Redazione Omnes-6 ottobre 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto
Mondo

La Marcia per la Vita di Vilnius ravviva il dialogo su famiglia e valori

Vilnius è diventata un inno alla vita durante la "Marcia per la Vita", un evento che ha riunito migliaia di persone, voci internazionali e testimonianze toccanti in difesa della dignità umana e della famiglia.

Bryan Lawrence Gonsalves-6 ottobre 2025-Tempo di lettura: 5 minuti

Il cuore della capitale lituana si è riempito di musica, discorsi e storie personali commoventi quando migliaia di persone si sono riunite per l'evento "La capitale lituana".Žygis už gyvybę"(Marcia per la Vita), dedicata alla celebrazione della sacralità della vita e alla sensibilizzazione sulla necessità di proteggerla. La marcia ha attirato partecipanti da tutta la Lituania e sostenitori dai Paesi vicini, tra cui Lettonia, Estonia e Polonia.

L'evento, tenutosi sabato 4 ottobre, è iniziato nel primo pomeriggio nei pressi della Biblioteca nazionale Martynas Mažvydas, riunendo un pubblico eterogeneo di famiglie, studenti, attivisti, artisti e religiosi. Promossa da diverse organizzazioni civili e religiose, la marcia si è concentrata sulla riaffermazione del valore di ogni vita umana. Anche figure religiose provenienti da fuori della Lituania hanno mostrato il loro sostegno all'iniziativa, con l'arcivescovo cattolico Zbigņevs Stankevičs di Riga e il vescovo luterano lettone Rinalds Grants che hanno espresso solidarietà con gli obiettivi della marcia. Anche il vescovo ausiliare Saulius Bužauskas di Kaunas ha partecipato personalmente all'evento.

Dalle 13:00 alle 14:10, i partecipanti si sono riuniti nei pressi della Biblioteca Nazionale Lituana per l'apertura dell'evento, dove i relatori hanno offerto prospettive personali, mediche, sociali e filosofiche. Tra questi, la dott.ssa Lina Šulcienė ha sottolineato la necessità morale e spirituale di una società più compassionevole, affermando: "Le profondità della nostra coscienza gridano per una via diversa dalla cultura della morte. La nostra umanità interiore esige una cultura della vita, segnata dalla solidarietà, dalla compassione genuina e dalla sensibilità verso gli esseri umani, rispettando la loro vita.

Agnieszka Gracz, coordinatrice della campagna "Marce per la vita".Centro Życia i Rodziny"(Centro per la vita e la famiglia) in Polonia, si è rivolto anche al pubblico. L'organizzazione con sede a Varsavia si batte da oltre due decenni per la tutela della vita, della famiglia e della genitorialità. Gracz ha ricordato che prima della pandemia COVID-19, il centro aiutava a organizzare una media di 150 marce all'anno in diverse città polacche. Ha sottolineato che queste manifestazioni pubbliche sono state fondamentali per promuovere la protezione dei bambini non ancora nati, in particolare di quelli con disabilità che in precedenza erano vulnerabili alla discriminazione, e ha evidenziato che le marce hanno contribuito al sostegno pubblico che ha preceduto la sentenza del 2020 del Tribunale costituzionale polacco, che ha rafforzato la protezione legale dei bambini con diagnosi di disabilità prima della nascita.

Alle 14:15, la folla si è avviata in un corteo pacifico dalla Biblioteca Nazionale alla Piazza della Cattedrale di Vilnius lungo il viale Gediminas, portando striscioni e bandiere con messaggi di speranza e sostegno per le famiglie. Dalle 15:00 alle 17:30 l'attenzione si è concentrata sulla piazza, dove si è tenuto un concerto commemorativo e una serie di testimonianze personali. Tra i momenti salienti c'è stato il concorso nazionale di disegno per studenti intitolato "Aš esu dovana" ("Io sono un dono"), che ha ricevuto più di 300 iscrizioni da parte di scolari di tutto il Paese. Gli artisti vincitori sono stati premiati sul palco per le loro riflessioni creative sul valore della vita.

Il programma musicale comprendeva esibizioni di artisti come Milda Žukienė, Rugilė Daujotaitė, Živilė Petruilionienė, Živilė Višniauskienė, Augis Markauskas, tra cui Voldemars Peterson, Dalia e Julius Vaicenavičiai e la popolare cantante Sasha Song. Le esibizioni sono state accompagnate da storie personali molto toccanti di persone la cui vita è stata segnata da problemi familiari e di vita. Anche relatori internazionali provenienti dalla Lettonia e dall'Estonia hanno parlato al pubblico, offrendo prospettive culturali e morali da tutta la regione baltica.

Tra gli oratori presenti in Piazza della Cattedrale, l'avvocato e attivista sociale Salomėja Fernandez Montojo ha affrontato il tema dell'atteggiamento sociale prevalente nei confronti della genitorialità, affermando: "Oggi vedo quanto sia radicata l'idea che avere figli significhi perdere: perdere soldi, tempo, carriera, opportunità e una buona figura. Non sono d'accordo. Avere figli non significa perdere, ma dare un senso al denaro, al tempo, all'energia, alle opportunità e alla bellezza".

Markus Järvi, caporedattore del quotidiano estone "Oggettivo"e uno degli oratori, ha espresso il suo apprezzamento per la marcia di Vilnius e la speranza che possa ispirare iniziative simili negli Stati baltici. In un'intervista successiva, ha descritto il limitato dibattito pubblico sull'aborto in Estonia come una conseguenza persistente dell'era sovietica, durante la quale l'aborto era legale e ampiamente praticato. Nel tempo, la sua diffusione ha contribuito a renderlo un tabù sociale. "Nonostante ciò, molti estoni apprezzano il matrimonio e la vita familiare", ha dichiarato l'autrice. "Dobbiamo rompere il silenzio sociale su questo tema per avere conversazioni oneste sulla vita". Ha aggiunto che sia la società civile che le istituzioni religiose hanno un ruolo da svolgere nell'incoraggiare un dialogo più aperto e ponderato su questo tema. In un messaggio ai giovani, ha sottolineato: "La santità della vita e il suo rispetto devono essere riconosciuti come verità. Cercatela e la troverete.

Il dottor Benas Ulevičius, preside della Facoltà di Teologia cattolica dell'Università Vytautas Magnus, è intervenuto all'evento e successivamente, in una breve intervista dietro le quinte, ha riflettuto sul cambiamento dei valori sociali nella Lituania post-sovietica. "La Lituania durante l'occupazione sovietica era piuttosto isolata", ha detto. "Dopo aver riconquistato l'indipendenza, il Paese ha sperimentato cambiamenti graduali, con una maggiore disponibilità di prodotti stranieri, salari più alti e maggiore comfort". Pur riconoscendo i benefici della crescita economica, ha osservato che essa ha portato le persone a dare priorità alla carriera e alla ricchezza rispetto alla vita familiare, suggerendo che questo cambiamento ha fatto sentire alcuni vuoti. Ha incoraggiato i giovani a cercare una realizzazione più profonda attraverso la famiglia, che offre una gioia e una felicità uniche che il successo materiale da solo non può dare.

Parallelamente al programma principale, la Piazza della Cattedrale ha ospitato una zona educativa e creativa dedicata alle famiglie dalle 11:00 alle 17:30. I visitatori hanno potuto esplorare gli stand delle ONG, firmare petizioni, partecipare ad attività per bambini e conoscere i servizi di supporto alle famiglie offerti da organizzazioni come "Nacionalinė šeimų ir tėvų asociacija" (Associazione Nazionale Famiglie e Genitori), "ProLife Vilnius"tra gli altri.

Anche se non ha partecipato come relatrice, Lina Gervytė-Michailova, caporedattore della rivista ".Ateite", ha condiviso in un'intervista il suo punto di vista sulle sfide demografiche della Lituania. Riflettendo sulla sua esperienza personale di gravidanza, ha ricordato di aver sentito per la prima volta il battito del cuore di suo figlio attraverso un'ecografia: "All'epoca non pensavo che questo bambino avrebbe in qualche modo cambiato la situazione demografica del Paese", ha aggiunto, "ma ricordo la sensazione di gioia che ho provato, era profondamente significativa". Ha suggerito che se più persone comprendessero e sperimentassero questa gioia, potrebbero essere più inclini a creare famiglie e a dare priorità ai bambini.

Per concludere la giornata, molti partecipanti hanno assistito a una messa speciale nella Cattedrale di Vilnius, celebrata da padre Deividas Stankevičius, che ha pronunciato una toccante omelia sulla santità della vita e sulla responsabilità spirituale di nutrirla e proteggerla. Quando la folla si è dispersa e le ultime note della giornata sono risuonate nella Piazza della Cattedrale, l'evento ha lasciato in molti un rinnovato senso di responsabilità. Gli organizzatori e i partecipanti hanno espresso ottimismo sul fatto che la Marcia per la Vita continuerà a crescere in dimensioni e impatto. Agnieszka Gracz ha elogiato la marcia per la sua atmosfera gioiosa, la celebrazione della vita e della dignità dei non nati, esprimendo la speranza che diventi una tradizione annuale consolidata in Lituania. Con la crescente collaborazione di voci civili, religiose e culturali, molti vedono la marcia di quest'anno come un punto di svolta che potrebbe ispirare conversazioni più ampie sulla vita, la famiglia e il futuro della società in Lituania e in tutta la regione baltica.

L'autoreBryan Lawrence Gonsalves

Fondatore di "Catholicism Coffee".

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Evangelizzazione

San Bruno, fondatore della Certosa, martiri di Kyoto e anniversario di San Josemaría

Il 6 ottobre la Chiesa celebra il germanico San Bruno, fondatore dei Certosini, i Beati Martiri di Kyoto, molte madri con bambini, e la Beata Maria Ana Mogas, fondatrice delle Suore Francescane della Divina Pastora. Inoltre, oggi è l'anniversario della canonizzazione di San Josemaría, avvenuta nel 2002, anche se la sua festa liturgica è il 26 giugno.

Francisco Otamendi-6 ottobre 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto

San Bruno di Colonia (Germania) nacque intorno al 1035. Ordinato sacerdote a Reims (Francia), fu insegnante di teologia, ma ben presto desiderò ritirarsi dal mondo e scelse il silenzio e la solitudine nei pressi di Grenoble. Fondò i monasteri certosini, che prevedevano lunghi periodi di preghiera, silenzio e solitudine. Ha iniziato a Chartreaux, in Francia. È morto in Calabria, lasciando un grande segno.

I Beati Martiri di Kyoto (Giappone) furono immolati il 6 ottobre 1619. Erano cristiani. Tra loro c'erano un samurai con la moglie incinta e sei figli, abitanti del villaggio, giovani madri con i loro bambini. Furono crocifissi e bruciati. Vedere il martirio di TeclaEra in mezzo alle fiamme, tenendo la croce con tre bambini piccoli. Il martirio fu contemplato da numerosi cristiani e da migliaia di pagani, si legge sul sito web francescano.

Il Beata Maria Anna Mogas Fontcuberta è la fondatrice delle Missionarie Francescane della Madre del Divin Pastore, nota come "Divina Pastora". È nata nel 1827 a Corró de Vall (Granollers, Barcellona). Formata fin da piccola alla vita di pietà e di preghiera e avviata all'apostolato parrocchiale, rinunciò presto alla sua agiata posizione sociale ed economica per dedicarsi all'educazione dei bambini e all'assistenza dei più bisognosi. San Giovanni Paolo II l'ha beatificata nel 1996.

Santo dell'ordinario

Il 6 ottobre 2002, San Giovanni Paolo II ha canonizzato anche San Josemaría Escrivá, fondatore dell'Opus Dei, che ha definito "il santo della vita ordinaria". La cerimonia si è svolta in Piazza San Pietro, alla presenza di oltre 300.000 persone.

San Josemaría ha predicato dal 2 ottobre 1928 che tutti - uomini e donne, celibi e sposati, intellettuali e contadini - sono chiamati alla santità. 

L'autoreFrancisco Otamendi

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Elogi per "Perdere tempo

Oggi il vero rischio è perdersi tra gli schermi e dimenticarsi delle persone. In mezzo al rumore e alla fretta, forse il modo migliore per vivere non è fare di più, ma essere veramente presenti.

6 ottobre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Quando ho iniziato a lavorare, i capi erano molto attenti a che i dipendenti non perdessero tempo a bere caffè e a discutere del fine settimana. Oggi la lotta è diversa. I dipendenti delle aziende devono togliersi le cuffie e sapere con chi condividono la scrivania.

Molti zoomI nomi dei figli della donna che vi presta il caricabatterie del PC quando state a casa sono la norma nel lavoro di tutti i giorni. Ma conoscete il nome dei figli della collega che vi presta il caricabatterie del PC quando rimane a casa? O avete sentito che la madre della persona che pulisce il vostro cestino ogni giorno è stata trovata affetta da cancro? È così, ma in realtà l'assenza è maggiore. Conosciamo i dettagli dell'ultima storia d'amore di una presentatrice televisiva, ma non possiamo immaginare che la segretaria dell'ufficio abbia appena avuto il cuore spezzato. 

Quando mia madre mi preparava ancora il pranzo a scuola, un'insegnante citò una frase di un sacerdote della sua classe. "Fai ciò che devi e sii in ciò che fai".Si trattava sostanzialmente di un salto nel futuro, che nel linguaggio odierno sarebbe: "Dite no al multitasking". Se bevete un drink con vostro padre, fatelo con tutti i vostri sensi; se qualcuno vi racconta un aneddoto, immergetevi nei dettagli di quella storia; se state preparando un rapporto, non guardate di traverso il WhatsApp nel quartiere. Tutte cose che non faccio e azioni che sembrano semplici sulla carta, ma titaniche nella vita reale.

La risposta? Non ce l'ho. La vita è impegnativa e la società premia la risposta più rapida, l'efficienza infallibile, anche se questo significa pillole con le stelle verdi e ore in uno studio medico che si potrebbero passare a chiacchierare con un vicino. Quando sono riuscito a evitare di cavalcare l'onda 24 ore su 24 (il che è avvenuto in rare occasioni), la domanda che mi sono posto è: morirà qualcuno? È davvero così grave se inviate un preventivo in un'altra ora, se rispondete a quel messaggio dopo pranzo, se "perdete" tempo ad ascoltare quella cliente che vi racconta con entusiasmo le conquiste dei suoi nipoti? No. Nessuno morirà e voi e io, non so se vivremo più a lungo, ma sono sicuro che vivremo meglio. Vogliamo provare?

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Cultura

Mercedes Pacheco: "Fare del bene senza fare rumore".

Ci sono persone che, senza pubblicare un libro, hanno un grande impatto sulla vita di molti altri. La Chiesa cattolica è piena di donne che apparentemente non hanno brillato nella vita, ma che hanno seminato molti cuori con amore. Suor Mercedes Pacheco è una di queste.

Redazione Omnes-6 ottobre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Una donna di Tucumán di nome Mercedes del Carmen Pacheco (1867-1943), in gioventù, ascolta le considerazioni e le spiegazioni delle encicliche di Papa Leone XIII (1810-1903) nei templi, dove mette in guardia dai gravi pericoli di quei tempi. Le parole del Pontefice erano forti: "Fedeltà a Dio, unità della Chiesa e difesa dei diritti dei lavoratori, soprattutto dei lavoratori".. Piena di coraggio e di fervore, commossa dalle parole di Leone XIII, Mercedes Pacheco divenne una fervente discepola ed esecutrice del messaggio papale nel cuore della provincia di Tucumán, situata nel nord dell'Argentina.

A soli 19 anni, si presentò alle autorità ecclesiastiche per offrire i suoi servizi, che nel corso degli anni portarono alla fondazione della Associazione per l'insegnamento cristiano (1890), che avrebbe funzionato nella cattedrale di Tucumán con compiti missionari e umanitari.

L'influenza di Leone XIII

Il 15 maggio 1891, Papa Leone XIII, attento ai cambiamenti sociali dell'epoca, sorprende il mondo con l'enciclica Rerum Novarumin cui affronta le terribili condizioni di vita di molti lavoratori. Fu la prima lettera sociale della Chiesa e da allora Leone XIII divenne noto come "il Papa operaio". Da quel momento fino alla fine della sua vita, l'opera di Madre Mercedes a favore dei bambini trascurati fu instancabile. Non permise mai che i bambini dell'asilo da lei fondato diventassero servi di qualche avido signore o signora. 

In occasione della creazione dell'Istituto di Arti e Mestieri della Sacra Famiglia, nel 1895, le parole della Rerum Novarum erano la sua ispirazione e il suo nord: "È urgente provvedere tempestivamente al bene delle persone di umile condizione, poiché la maggior parte di loro sta lottando indecorosamente in una situazione miserabile e calamitosa". (n. 1). Dalla sua fondazione a oggi, l'Istituto ha avuto come obiettivo la promozione della dignità delle persone attraverso lo studio e il lavoro. Gli echi del bene comune, della giustizia e dell'equità sociale, recuperati dal nuovo Papa Leone XIV, successore del nostro amato Francesco, hanno un riferimento di grande valore in questa semplice e umile donna di Tucumán, a cui il dottor Juan Benjamín Terán, uno dei fondatori dell'Università Nazionale di Tucumán, si riferiva come "un santo". 

La predica ricorrente di Mercedes Pacheco era "...".fare del bene in silenzio". Questa è forse la grande sfida a cui conduce l'amore di Cristo, e ci lascia un messaggio molto preciso in questo XXI secolo alimentato dalla pubblicità immediata sui social network, dalla ricerca dell'approvazione e della vanagloria, dall'interesse ad occupare i primi posti nei forum mediatici di una civiltà narcisistica. Mercedes percorreva le strade della sua terra con un rosario in mano e una convinzione nell'anima: il Regno di Dio doveva essere un cammino di silenziosa dedizione ai bambini indifesi. 

Un'epidemia di colera

Tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, un'epidemia di colera, che aveva ucciso un terzo della popolazione di quella regione dell'Argentina, aveva lasciato molti bambini orfani, aggiungendosi all'alto numero di figli illegittimi. Le cronache fanno riferimento a "bambini in difficoltà".Sembra che le famiglie benestanti si rifiutassero di accogliere i bambini orfani che potevano essere portatori della malattia. Mentre la scena sociale abbondava in questi orfanotrofi, l'attività coraggiosa e tenace di Madre Mercedes riuscì a creare, a partire dal 1895, il primo asilo per bambini senza tetto della provincia, scuole di ogni livello (anche terziario), catechesi per i lavoratori, assistenza spirituale e cura dei malati, laboratori di arti e mestieri, istituti assistenziali ed educativi, asili nido, mense per le madri, scuole professionali e artigianali, apostolato tra gli indigeni. 

Tutta la sua attività è sempre stata coronata dalla gratuità e dalla preferenza per i membri più deboli della società. Iniziata in Argentina, si è aperta ai Paesi limitrofi del Paraguay e dell'Uruguay. La Congregazione delle Suore Catechiste Missionarie di Cristo Re, fondata da Madre Mercedes Pacheco, è stata approvata nel luglio 1987 da San Giovanni Paolo II. 

Strada per gli altari

Madre Mercedes emerge come risposta storica al dolore del suo popolo; ha progettato e messo in pratica il suo senso della giustizia e del diritto, l'ansia di riecheggiare le beatitudini evangeliche, scuotendo i grovigli sociali dell'ozio, attuando un progetto di salvataggio e rivendicazione degli abitanti delle periferie esistenziali ai margini delle società del benessere e dell'abbondanza. Come dice giustamente l'enciclica Fratelli Tutti (2020): "Quindi non dico più che ho dei 'vicini' che devo aiutare, ma che mi sento chiamato a diventare un vicino per gli altri". (n. 81).

Lontana dal meschino individualismo, dall'accumulo consumistico di un mondo chiuso e indifferente, la sua figura risplende e le sue azioni interrogano la società di oggi, che continua a dimenticare coloro per i quali Mercedes ha lottato tutta la vita fino alla fine. Era in grado di vedere Dio negli altri, come splendidamente espresso nei versi di Jorge Luis Borges nella Un'altra poesia dei doni: "Attraverso l'amore, che ci permette di vedere gli altri come li vede la divinità".

Il 24 novembre 2000, Mercedes del Carmen Pacheco è stata dichiarata Serva di Dio da Papa Giovanni Paolo II. Nel decennio successivo è iniziato lo studio di diversi miracoli a lei attribuiti, in vista della sua beatificazione. Il motto "fare del bene senza far rumore" definisce la vita di Madre Mercedes, dedicata ai più bisognosi. Potrebbe essere anche un buon motto per la vita di ognuno di noi, perché troppo spesso in questo nostro mondo moderno l'apparenza e il rumore sono considerati più importanti della realtà della vita e del servizio effettivo agli altri.

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Vaticano

Leone XIV rivoluziona la "missione": non è solo "partire" ma "restare", e invita a pregare per Gaza

In occasione del Giubileo dei Migranti e dei Missionari, il Papa ha detto che "tutta la Chiesa è missionaria" e che "oggi si apre una nuova epoca missionaria nella storia della Chiesa". La missione non è solo "partire", andare in terre lontane. Oggi è "rimanere" per annunciare Cristo attraverso l'accoglienza, la compassione e la solidarietà. Al termine, ha chiesto di pregare per la fine della guerra a Gaza.

Francisco Otamendi-5 ottobre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

In una giornata di pioggia a Roma, che si è aperta gradualmente per permettere al Papa di uscire in papamobile per salutare gli oltre trentamila pellegrini riuniti in Piazza San Pietro, il Papa ha rivoluzionato il concetto di "missione". 

Nel omelia Nella Messa conclusiva del Giubileo del Mondo Missionario e dei Migranti, elogiando "la cooperazione e la vocazione missionaria", Leone XIV ha affermato che "oggi si apre una nuova epoca missionaria nella storia della Chiesa".

Lo ha spiegato durante la Messa, concelebrata dai cardinali Michael Czerny S.J., prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, e Luis Antonio Tagle, pro-prefetto del Dicastero per l'Evangelizzazione.

Confini della missione: non più geografici

"Per molto tempo abbiamo associato la missione con l'"uscire", andando in terre lontane che non avevano conosciuto il Vangelo o che si trovavano in situazioni di povertà". "Oggi le frontiere della missione non sono più geografiche, perché sono la povertà, la sofferenza e il desiderio di una maggiore speranza a venire da noi", ha spiegato il Pontefice.

La storia di molti nostri fratelli e sorelle migranti lo testimonia, ha proseguito, "il dramma della loro fuga dalla violenza, la sofferenza che li accompagna, la paura di non farcela. Il rischio di viaggi pericolosi lungo le coste del mare, il loro grido di dolore e disperazione". 

"Quelle barche che aspettano un porto sicuro in cui fermarsi e quegli occhi pieni di angoscia e speranza che cercano una terra da raggiungere", ha detto, "non possono e non devono incontrare la freddezza dell'indifferenza o lo stigma della discriminazione". 

Papa Leone XIV benedice un malato durante l'udienza in occasione del Giubileo dei Migranti e delle Missioni, il 4 ottobre 2025 in Piazza San Pietro in Vaticano. (CNS/Vatican Media Photo)

"Rimanendo ad aprire loro le nostre braccia e i nostri cuori".

Di conseguenza, ha detto il Successore di Pietro, "la questione non è "partire", ma piuttosto "rimanere" per annunciare Cristo attraverso l'accoglienza, la compassione e la solidarietà. Rimanere senza rifugiarsi nella comodità del nostro individualismo. Rimanere per guardare in faccia chi arriva da terre lontane e sofferenti. Rimanere per aprire loro le braccia e il cuore, per accoglierli come fratelli e sorelle, per essere per loro una presenza di consolazione e di speranza. 

Nella sua omelia, in cui ha citato Papa Francesco, Benedetto XVI e San Paolo VI, ha ricordato che tutta la Chiesa è missionario. Ed è urgente - come ha affermato Papa Francesco - che egli "vada ad annunciare il Vangelo a tutti, in ogni luogo, in ogni occasione, senza indugio, senza disgusto e senza paura" (Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, 23)".

A volte Dio è silenzioso, sembra "assente".

Il Papa, ricordando i "fratelli migranti", la guerra, l'ingiustizia, la sofferenza, ha citato Benedetto XVI ad Auschwitz. Tante volte nella storia si è chiesto a Dio perché non interviene, che sembra assente: "Dio tace, sembra così lontano, così dimentico, così assente..." (Catechesi 14 settembre 2011).

Ma la risposta del Signore ci apre comunque alla speranza, sottolineava Leone XIV. "C'è una vita, dunque, una nuova possibilità di vita e di salvezza che viene dalla fede. La fede, infatti, non solo ci aiuta a resistere al male perseverando nel bene, ma trasforma la nostra esistenza fino a renderla strumento della salvezza che Dio vuole ancora realizzare nel mondo".

Filippine, "odio antisemita" (Manchester)

Nel AngelusIl Papa ha fatto appello alla "dignità umana" ricordando i "fratelli e le sorelle missionari e migranti". 

Ha mostrato solidarietà al popolo delle Filippine, colpito da un potente terremoto a Cebu e nelle isole vicine.

Ha espresso preoccupazione per "l'aumento dell'odio antisemita nel mondo, come purtroppo si è visto nell'attacco terroristico di Manchester di qualche giorno fa".

L'attacco alla sinagoga Heaton Park Hebrew Congregation di Manchester è avvenuto durante lo Yom Kippur, il giorno più sacro dell'anno per l'ebraismo. L'aggressore, che è stato ucciso dalla polizia, ha guidato la sua auto tra la folla e ha accoltellato i due ebrei, secondo quanto riportato. Cindy Wooden, CNS.

"Enormi sofferenze del popolo palestinese": uniti nella preghiera

Ha inoltre rilevato "l'enorme sofferenza del popolo palestinese a Gaza", che continua a provocargli dolore. "In queste ultime ore, nella drammatica situazione del Medio Oriente, si stanno compiendo alcuni passi significativi per far avanzare i colloqui di pace. Mi auguro che possano raggiungere al più presto i risultati attesi. Chiedo a tutti i responsabili di impegnarsi a proseguire su questa strada, con il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi". 

"Allo stesso tempo esorto tutti a rimanere uniti nella preghiera, affinché gli sforzi in atto possano porre fine alla guerra e condurci a una pace giusta e duratura".

Supplica alla Madonna del Rosario

Infine, ha detto, "ci uniamo spiritualmente a tutti coloro che si sono riuniti nel Santuario di Pompei per la Supplica alla Madonna del Rosario. In questo mese di ottobre, contemplando con Maria i misteri di Cristo Salvatore, intensifichiamo la nostra preghiera per la pace. Una preghiera che diventa solidarietà concreta con le popolazioni devastate dalla guerra. Grazie ai tanti bambini che in tutto il mondo si sono impegnati a recitare il Rosario per questa intenzione. Grazie dal profondo del nostro cuore.

L'autoreFrancisco Otamendi

Cultura

Francesco G. Voltaggio: "Senza la Chiesa, la Scrittura non può essere compresa".

Intervista a Francesco G. Voltaggio, uno degli esperti che hanno lavorato alla nuova edizione della Bibbia pubblicata in spagnolo dalla Biblioteca de Autores Cristianos e dalla San Pablo.

Maria José Atienza-5 ottobre 2025-Tempo di lettura: 8 minuti

Il sacerdote italiano presentato a Madrid "La Bibbia. Scrutate le Scritture", insieme a Giacomo Perego e al coordinatore dell'edizione spagnola, Pedro Ignacio Fraile.

Si tratta di una nuova e completa edizione della Sacra Scrittura pensata per accostarsi alla Parola di Dio in modo olistico: con la mente, la ragione e la preghiera.

Poco prima, Voltaggio aveva avuto una conversazione con Omnes in cui aveva condiviso la sua esperienza di abitante di Terra Santa e esperto di Sacra Scrittura, l'importanza della lettura orante della Bibbia nella vita cristiana o l'urgenza di recuperare nella Chiesa un'iniziazione cristiana che faccia comprendere l'unità della Parola di Dio, dei sacramenti e del mistero della Chiesa nella sua totalità.

 Come è nato "La Bibbia. Scrutare le Scritture" è nato?

-Questo progetto è nato da una proposta della casa editrice San Pablo insieme ad alcuni membri del Cammino Neocatecumenale, anche se a questa Bibbia hanno partecipato molti biblisti, cioè è un'opera ecclesiale. Abbiamo pensato a una Bibbia che fosse scientifica, per lo studio, ma anche pensata dal scrutatio delle Scritture o lectio divinaper la lettura orante delle Scritture.

Pertanto, contiene un'introduzione generale, che fornisce i principi di lettura della Bibbia. Accanto a ciò, contiene note tecniche sulla storia, sulla storia della salvezza e anche sulla geografia della salvezza, nonché un'attenzione alle principali scoperte archeologiche in Terra Santa.

Un'altra delle sue caratteristiche è la presenza di 380 note tematiche, che puntano ai temi principali della Scrittura e per i quali si è fatto ricorso sia al contesto greco che alla tradizione ebraica e anche, naturalmente, all'interpretazione dei Padri della Chiesa.

In questo senso, pur con tutte le loro differenze, c'è una chiave di lettura comune tra l'interpretazione ebraica rabbinica e quella patristica dei Padri della Chiesa: la Scrittura è una fonte inesauribile.

L'esegesi moderna e contemporanea ha fatto passi da gigante, ma a volte arriva a un punto morto cercando di arrivare all'intenzione dell'autore, che è importante, naturalmente, ma noi sosteniamo che, al di là del versetto o della strofa, c'è una persona viva che ci parla. Io scruto le Scritture, ma alla fine è Cristo che attraverso la sua Parola scruta me. È un incontro vivo. Questa caratteristica di fonte viva e inesauribile è ciò che vogliamo sottolineare attraverso questo lavoro.

L'interpretazione della Bibbia è uno dei grandi "problemi". In questo senso, come si interpreta la Parola di Dio senza cadere nel personalismo interpretativo?

-Ci sono molti punti in comune tra la tradizione ebraica e quella cristiana e, soprattutto, cattolica. Tra gli altri, l'importanza della tradizione, perché bisogna capire che la Parola non è un testo morto. Per gli ebrei, e poi per i Padri della Chiesa e per i cattolici, non si può separare la Scrittura dalla tradizione. La sola scriptura è inconcepibile per gli ebrei, perché questo libro è il frutto, prima di tutto, di un'esperienza viva, esistenziale, di persone e poi di un popolo. Nel caso dell'Antico Testamento, del popolo ebraico.

Nel caso del Nuovo Testamento, oltre al popolo ebraico, il popolo cristiano che nasce. Dio non ci ha dato una scrittura muta, ma un'esperienza, una rivelazione che è stata poi cristallizzata in una scrittura data a un popolo e trasmessa di generazione in generazione.

Gli autori del Nuovo Testamento hanno ricevuto un testo vivo, rivestito di tutti gli abiti dell'interpretazione orale. Ci sono differenze, naturalmente, tra la tradizione ebraica e il nostro concetto di tradizione, ma questo è molto simile.

Per noi cattolici, Cristo si è rivelato nella Scrittura e nella Tradizione. Questo è molto importante. La seconda cosa è che c'è una grande differenza che è una novità. Per i cattolici, l'ebraismo non è "un'altra" religione rispetto al cristianesimo, ma c'è una novità fondamentale, Cristo. Ma non è un "optional", bensì, come si capisce dall'Apocalisse, Cristo è l'agnello che può aprire il libro sigillato. Questo libro sigillato non è solo la Scrittura, è anche la storia. Cristo è la chiave, la chiave per capire tutta la Bibbia, colui che può "aprire" questo libro a tutti. Questa è la novità più grande.

La Tradizione, nella Chiesa cattolica, è molto importante perché la Scrittura è già interpretazione; non è che ognuno la interpreta a suo piacimento, anche se è vero che la Scrittura è una fonte inesauribile. La Scrittura è data a una comunità. Nel caso del Nuovo Testamento, alla Chiesa. Il magistero della Chiesa è il garante che la Scrittura non venga fraintesa o addirittura totalmente travisata fino all'eresia. Sono due componenti che sembrano in tensione, ma non sono in contraddizione.

La Bibbia. Ricerca nelle Scritture

Autore:Pedro Ignacio Fraile (coordinatore)
Pagine: 3024
Editoriale: BAC - San Pablo
Anno: 2025

Seguendo questa logica di pensiero, la Bibbia è causa di unione o di separazione?

-Dipende. Può essere fonte di grande unità o di grande separazione. Come la religione. La religione è un motore del bene perché muove tante persone, ma può anche essere usata per il male: guerre di religione o addirittura differenze tra i cristiani o i cattolici stessi.

Ma la Bibbia letta con uno spirito aperto alla volontà di Dio non può che unirci. È stato così con gli ebrei e con le altre confessioni cristiane.

Tra i padri del deserto c'erano dispute sulla Bibbia e, a questo proposito, c'è una storia di due fratelli che vedono un uccello: uno lo vede bianco e l'altro nero. Cominciano a litigare fino a quasi uccidersi e, alla fine, capiscono che è il diavolo a far vedere l'uccello nero a uno e bianco all'altro. Ha un grande significato perché il diavolo è un grande esegeta. Quando tenta Cristo, lo fa citando perfettamente le Scritture: Se tu sei il Figlio di Dio, buttati giù da qui, perché sta scritto: "Ha dato ordine ai suoi angeli di vegliare su di te" e anche: "Ti terranno per mano, perché il tuo piede non inciampi in nessuna pietra"."(Lc 4, 9-12). Questo è un esempio molto chiaro di come una cosa così bella come la conoscenza biblica possa essere strumentalizzata.

Anche io ho avuto le mie controversie nelle conferenze con i rabbini, naturalmente, perché mi mettono in discussione. Quindi è fondamentale mantenere la carità e parlare non solo di ciò che ci unisce ma anche di ciò su cui possiamo essere in disaccordo, e farlo non con lo spirito di imporre la verità all'altro, ma di proporla.

Come collegare la Parola di Dio alla vita sacramentale propria del cristiano, anche in quei sacramenti che hanno una presenza "meno" scritturale?

-Non c'è sacramento senza la Parola. È impossibile, perché la parola è un segno visibile di una grazia invisibile, ma attraverso la parola. Penso che sia essenziale recuperare la potenza della Parola in tutti i sacramenti. Questo non è facile senza l'iniziazione cristiana e senza una comunità viva. Per esempio, nel sacramento della riconciliazione ci si confessa individualmente con il sacerdote e basta.

Questo va benissimo, ma sarebbe molto bello recuperare, in certi momenti, la celebrazione comunitaria della penitenza con le confessioni individuali. Lì troviamo una comunità che ascolta la Parola e, dopo, ognuno si confessa individualmente. È una celebrazione che rafforza anche quella dimensione comunitaria della riconciliazione, che era molto evidente nei primi secoli della Chiesa, ad esempio nel catecumenato quando qualcuno aveva peccato gravemente, veniva escluso e poi accolto nella comunità con misericordia.

La Parola deve essere celebrata. L'esame individuale delle Scritture va bene, ma bisogna tenere presente che la Bibbia non è stata data principalmente per essere studiata individualmente, ma per essere proclamata.

Il locus L'ideale della Parola è la Liturgia della Chiesa.

Il Libro dell'Apocalisse, infatti, comincia "Beato chi legge e chi ascolta le parole di questa profezia". È la comunità che riceve la Parola, la interpreta, si aiuta a capirla.

Qual è la differenza tra un cattolico che legge la Bibbia e uno che non la legge?

-A Gerusalemme vivo in un ambiente arabo, sia musulmano che cristiano ed ebraico. Penso che sia un peccato che i musulmani conoscano il Corano a memoria, o che gli ebrei, soprattutto gli ortodossi, stiano sempre a meditare, a ruminare, sulle Scritture, anche alcuni dei protestanti. In questo senso, il Concilio Vaticano II ha fatto un lavoro meraviglioso parlando delle due tavole del cristiano: la tavola del Pane e la tavola della Parola: la Santissima Eucaristia e la Parola di Dio. Siamo molto consapevoli della Santa Eucaristia, grazie a Dio, ma non di rado ci manca la seconda tavola. Dopo la Concilio Vaticano IILa Chiesa è tornata alla centralità della Parola, ma il cammino è lungo perché in genere manca l'iniziazione cristiana.

Nei primi secoli della Chiesa, la Sacra Scrittura era molto importante nel catecumenato; i Padri della Chiesa conoscevano a fondo l'Antico Testamento e ne vedevano il compimento in Cristo. Eusebio di Cesarea, che scrive le OnomastikomLa Bibbia cita più luoghi dell'Antico Testamento che del Nuovo Testamento. Oggi, tuttavia, noi pellegrini cristiani visitiamo quasi esclusivamente luoghi del Nuovo Testamento.

Recuperare l'iniziazione cristiana in tutta la Chiesa è una missione, una missione perché dobbiamo essere iniziati. Gli ebrei dicono che la parola di Dio è come il vino. All'inizio, quando si assaggia il vino, non si capisce nulla, non si distingue. Questo accade anche nella lettura delle Scritture.

Leggere la Bibbia non è facile. C'è chi lo fa e il Signore lo aiuta, ma senza la Chiesa non si capisce veramente la Parola. È la Chiesa che dà l'iniziazione, che introduce alla Parola come cosa viva. San Girolamo risponde chiaramente a questa domanda: "Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo".

Che cosa manca a un credente se non ha nemmeno un po' di conoscenza della Bibbia? Gli manca la conoscenza di Cristo. Ecco perché a volte la fede viene vissuta anche come qualcosa di noioso, monotono, perché manca di dinamismo, di creatività, di quel qualcosa di inesauribile.

Mi piace molto il versetto del Salmo 62 che dice "Dio ha detto una cosa e io ne ho sentite due".Come mai, ci si può chiedere, perché è così ricco che è così. Quando ci si forma sul cammino della fede ci si rende conto che ci sono così tanti tesori, che Dio stesso è un tesoro così grande, così inesauribile, che non possiamo che immergerci nel mistero di Dio e della Parola.

Lei vive in Terra Santa, conosciuta come "il quinto vangelo". Come percepisce queste tracce dell'Incarnazione in quella terra?

-L'espressione quinto vangelo sulla Terra Santa è di Paolo VI ed è un'espressione meravigliosa. Il nostro Patriarca latino di Gerusalemme, il Il cardinale Pizzaballa utilizza anche un'altra espressione che dice che la Terra Santa è "la Ottavo Sacramento". Chiaramente sappiamo che i sacramenti sono sette, ma, in questo senso, cosa è successo a Carmen HernándezLa co-iniziatrice del Cammino Neocatecumenale, che ha spiegato come a lei, che aveva studiato teologia, quando ha vissuto per un anno in Terra Santa "si sono aperte le scritture".

Così, il contatto con i luoghi santi, con il popolo d'Israele, ancora vivo, che è il popolo ebraico; il contatto con il mondo arabo e semitico, con le chiese orientali, le lingue primitive, la liturgia madre della Chiesa di Gerusalemme, tutto ciò costituisce una humus attraverso il quale accediamo più profondamente ai tesori della rivelazione e della Chiesa.

In questo senso, quanto è importante per un cristiano essere consapevole che Dio ha fatto parte della storia?

-È essenziale. Senza la storia la nostra fede si riduce a una filosofia, o a un moralismo - che è un grande pericolo - o a una gnosi. Non possiamo non ricordare che la rivelazione è storica, che Dio si è rivelato attraverso un popolo particolare, in un tempo particolare, in un luogo particolare.

In ebraico esiste una parola עוֹלָם (olam) che ha due significati. Uno di dimensione spaziale e l'altro di dimensione temporale. Significa "mondo", "universo", ma anche "secolo", "eternità". In altre parole, in ebraico c'è una parola che esprime spazio e tempo. Non è un caso che Albert Einstein fosse ebreo.

Bisogna capire che la Bibbia è storia, ma non è una cronaca. Non è storiografia nel senso moderno del termine, ma è storia e, allo stesso tempo, annuncio di salvezza. Storia e kerygma. Storia e teologia sono inestricabilmente legate. È chiaro che nella Bibbia ci sono dettagli storici e storiografici che a volte sono impressionanti, ma l'archeologia non dice che la Bibbia ha ragione su tutto, così come non dice che ha ragione su niente.

Dobbiamo capire che la Bibbia è veramente la Parola di Dio e veramente la parola umana. È l'infinito rivelato nel finito. La Bibbia contiene più di quanto dice, perché in parole umane contiene l'infinito. È un'analogia con ciò che è Cristo, Dio e uomo, una dimensione pienamente divina e allo stesso tempo pienamente umana. Questo accesso all'umanità è ciò che l'archeologia facilita. Conoscere l'ambiente, la lingua, la filologia, i luoghi dove Cristo è vissuto, dove si è materializzata la storia della salvezza, ci permette di avvicinarci al messaggio divino.

Possiamo raggiungere Dio attraverso l'umanità, e a maggior ragione noi cristiani. Già nell'Antico Testamento, Dio "pianta la sua tenda tra gli uomini", entra nella storia, e pienamente nell'incarnazione di Cristo.

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Vaticano

Leone XIV firma la "Dilexi te", la sua prima Esortazione Apostolica

Papa Leone XIV ha firmato Dilexi te, la sua prima Esortazione Apostolica sulla festa di San Francesco d'Assisi. Il testo sarà presentato il 9 ottobre.

Teresa Aguado Peña-4 ottobre 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto

Questa mattina, 4 ottobre, giorno in cui la Chiesa ricorda San Francesco d'Assisi, alle 8.30, nella biblioteca privata del Palazzo Apostolico, Papa Leone XIV ha firmato la sua prima Esortazione Apostolica, intitolata Dilexi teTi ho amato", alla presenza dell'arcivescovo Edgar Peña Parra, Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato.

Un testo che, secondo le informazioni fornite dal Vaticano alcune settimane fa all'agenzia Reutersè incentrato sull'amore per il prossimo e sulla cura dei poveri. Il documento riprende un tema profondamente legato allo spirito francescano e che era già al centro del magistero del suo predecessore, Papa Francesco.

L'esortazione si presenta come uno stimolo pastorale: cerca di guidare e ispirare i fedeli verso i valori del Vangelo in modo concreto e vicino alla vita quotidiana. Seguendo l'esempio di Evangelii Gaudium o Amoris LaetitiaLeone XIV approfondisce e completa l'opera iniziata da Francesco, adattandola alle sfide pastorali di oggi.

Fonti vaticane indicano che parte della bozza incorpora il contributo dell'arcivescovo Vincenzo Paglia e che Papa Leone XIV ha chiesto alla Segreteria di Stato e al Dicastero per la Dottrina della Fede una revisione approfondita per assicurare la coerenza del testo con la realtà contemporanea della Chiesa.

FirmeDiego Errázuriz Krämer

Coltivare la meraviglia

Dopo una notte fredda e umida in montagna, i primi raggi di sole ci hanno ricordato il valore del quotidiano. Riscoprire la meraviglia per le cose semplici, come la luce, il cielo o il volo di una rondine, ci apre a una vita più umana, grata e soddisfatta.

4 ottobre 2025-Tempo di lettura: 1 minuto

Eravamo bagnati fradici dopo un pomeriggio e una sera di pioggia. Alcuni di noi tremavano dal freddo. Stava sorgendo il secondo giorno del nostro campo di montagna. Le nuvole che ci avvolgevano ci facevano dubitare che il sole sarebbe sorto quel giorno. Improvvisamente apparvero i primi raggi. Era lo stesso sole di sempre, ma non eravamo mai stati così grati per la sua luce e il suo calore. Rachel Carson spiega che, paradossalmente, ci sono cose che non apprezziamo perché sono così vicine. Dice, ad esempio, che se avessimo una sola possibilità nella vita di vedere una notte stellata, sicuramente la aspetteremmo con ansia. Tuttavia, poiché lo spettacolo notturno si svolge ogni notte, lo lasciamo passare inosservato.

Coltivare il senso di meraviglia prepara il terreno per la fioritura umana. Per conoscere, amare e godere dei doni di Dio è necessario fermarsi, prestare attenzione e scoprire la contingenza del mondo. Per quanto abbiamo bisogno di routine per semplificare la vita, non possiamo fare a meno di essere affascinati dal quotidiano.

Insegnare la meraviglia per la realtà dovrebbe essere una priorità educativa. Lo stupore per il volo di una rondine o la meraviglia per le onde che si infrangono sugli scogli ci allenano a custodire ciò che di più prezioso abbiamo nella nostra vita. umanità.

Il miglior antidoto allo stordimento digitale è provare meraviglia: guardare un tramonto o camminare in montagna. Lo stupore ci libera dalla ricerca frenetica di stimoli e ci dispone a godere del semplice: ascoltare le storie dei nonni, leggere Salgari o godersi un bel brano musicale.

Viviamo saturi di stimoli e informazioni. Invece, il silenzio, la calma e il vivere nel presente aprono le porte a una vita più umana, sostenuta dalla meraviglia e dalla gratitudine per tutto ciò che ci circonda.

L'autoreDiego Errázuriz Krämer

Consulente per la comunicazione.

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Ecologia integrale

Pablo Mariñoso: "quierosermadre.org vuole essere una grande piattaforma pro-vita".

Il creatore della piattaforma pro-vita quierosermadre.org, Pablo Mariñoso, ha dichiarato che l'iniziativa vuole essere un punto di riferimento per l'informazione veritiera, l'accompagnamento e il sostegno alle donne incinte, in contrapposizione alla proposta del portale "Quiero abortar", che "propone l'aborto come unica soluzione". "Esiste un trauma post-aborto", ha dichiarato a Omnes.

Francisco Otamendi-3 ottobre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

"Abbiamo lanciato questa piattaforma (quierosermadre.org), per tutte quelle donne che hanno dubbi sul portare avanti la gravidanza", racconta Pablo Mariñoso, laureato in Relazioni internazionali, di Washington. 

"Meritano di avere informazioni reali e alternative concrete per poter prendere decisioni responsabili sulla loro gravidanza. Il nostro sito è stato creato per accompagnare e offrire speranza a chi decide di continuare a vivere", aggiunge. 

Rafforzare i partenariati e i punti di incontro

Inoltre, la piattaforma è stata creata con l'obiettivo di rendere visibile e rafforzare il lavoro delle associazioni e dei professionisti che, da anni, forniscono sostegno psicologico, economico, legale e spirituale alle donne incinte in situazioni difficili. In effetti, Mariñoso è in contatto con praticamente tutte le istituzioni che sostengono le donne in vari modi e che hanno dimostrato il loro appoggio.

D'altra parte, la piattaforma aspira a diventare "un punto d'incontro del movimento pro-life, dove professionisti della salute, associazioni, giornalisti e nuove generazioni possano conoscere la realtà dell'aborto e le sue alternative. E, soprattutto, un luogo sicuro per tutte le donne che cercano sostegno".

Enciclopedia pratica

Pablo Mariñoso, coordinatore della piattaforma quierosermadre.orgche vive e lavora a Madrid, spiega che non c'è nessun gruppo o associazione, religiosa o di altro tipo, dietro di essa. Prima del web Quieroabortar.orgLa questione controversa di questa settimana, che invece di sostenere le donne incinte, "le spinge giù dalla scogliera dell'aborto, ho pensato: bisogna vendere il contrario": quierosermadre.org". 

Dobbiamo pensare a quelle donne che sono incinte e che vogliono diventare madri e portare avanti la loro gravidanza". Ci sono voluti tre giorni di duro lavoro per mettere insieme il sito web da zero, con tutte le risorse di cui dispone. L'obiettivo del sito è quello di essere una sorta di enciclopedia delle associazioni pro-vita in Spagna".

Non faremo un nuovo lavoro, non sostituiremo quello che le associazioni stanno facendo", afferma. "C'è una mappa pro-life per province, c'è una nuova scheda con gli aiuti per la maternità, sia da parte dell'amministrazione centrale che di quelle regionali. È una grande piattaforma pro-life".

@PabloMariñoso.

Le marce per la vita

Mariñoso è coinvolto nell'attivismo pro-vita da molto tempo, conosce e collabora con molte associazioni in Spagna, senza appartenere a nessuna di esse, e conosce anche i movimenti pro-vita americani. "Il sito non è completo, ha bisogno di risorse, di più testimonianze, articoli, ecc... ha bisogno di crescere"...

Come è nata la sensibilità alla vita di questo giovane madrileno? "A casa, quando eravamo piccoli, andavamo alla Marcia per la Vita che è sempre esistita a Madrid. Incoraggiati anche da una persona che è morta, Rafa Lozano, che era una delle forze trainanti del movimento pro-life in Spagna. In questi giorni sono stato in contatto con Alicia Latorre. Ora sono con un migliaio di telefonate. Le associazioni pro-life sono molto grate".

"Esiste un "trauma" post-aborto".

Passiamo a un tema di attualità in Spagna. Il creatore di 'Quiero ser madre' spiega che "i sostenitori dell'aborto usano l'eufemismo IVE (interruzione volontaria della gravidanza). Ma ci sono molti attivisti pro-vita che affermano che una VTP è in realtà un'interruzione violenta della gravidanza. Oggi si parla di sindrome post-aborto. Non è esattamente una sindrome. Non userei la parola "sindrome". Userei la parola 'trauma post-aborto'", si difende.

"Penso che ci sia una grande lotta per tutti i pro-vita, per parlare del trauma che esiste dopo l'aborto. Perché il governo ha presentato l'aborto come una procedura amministrativa. Una questione di 15 minuti, una cosa innocua. Tuttavia, tutte le donne che hanno abortito sanno che si tratta di una tecnica assolutamente invasiva e violenta per la donna, che provoca gravi lesioni emotive, se non direttamente fisiche". 

Che cos'è l'aborto?

"Ci sono studi, ci sono prove, di tante donne che hanno avuto, come conseguenza, un aborto, un trauma, uno shockche ha portato a depressione, ansie, insicurezza nei confronti del proprio corpo, emorragie, ecc. Una cosa che il sito web del governo nasconde è cosa sia un aborto. Spiega che può essere chirurgico o farmacologico, ma non approfondisce", dice Pablo Mariñoso.

Per quanto riguarda l'aborto chirurgico "dobbiamo spiegare che consiste nell'inserire un forcipe o un aspirapolvere nell'utero della donna per rimuoverlo in piccoli pezzi, aspirati. E il aborto farmacologico è quello di medicare artificialmente la donna affinché partorisca un bambino nato morto. questo genera un trauma anche. Esiste un trauma post-aborto, sia chiaro.

"Impegnato nella vita

In caso di dubbio, quierosermadre.org Siamo impegnati nella difesa della vita in tutte le sue fasi, mossi dalla convinzione che ogni essere umano abbia un valore intrinseco e inalienabile. Crediamo nell'importanza di promuovere una cultura che rispetti e tuteli la dignità delle persone dal concepimento alla morte naturale, lavorando con passione e responsabilità per formare coscienze a favore della vita".

L'autoreFrancisco Otamendi

Cultura

The Chosen" raggiunge il Guinness World Record per l'accessibilità in 50 lingue

Con cinque stagioni disponibili, la serie che ricrea la vita di Gesù e dei suoi apostoli raggiunge un nuovo record.

Redazione Omnes-3 ottobre 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto

La quinta stagione della serie internazionale Il prescelto ha raggiunto un nuovo traguardo storico, venendo riconosciuto dal Guinness dei primati come la stagione più trasmessa in streaming e disponibile nel maggior numero di lingue.

La nuova uscita, intitolata Gli eletti, L'ultima cenaè stata sottotitolata in 50 lingue e doppiata in 36, diventando così la produzione più accessibile nella storia della televisione. Questa espansione linguistica permette a milioni di spettatori di godersi i dialoghi e la narrazione nella propria lingua, rafforzando l'obiettivo della serie di raggiungere un pubblico eterogeneo in tutto il mondo.

Il progetto, promosso dall'organizzazione no-profit Vieni a vedereLa serie ha un obiettivo ancora più ambizioso: raggiungere le 600 lingue disponibili entro la fine della settima stagione. Questa iniziativa cerca di portare una visione autentica e intima della vita di Gesù a persone di ogni età e provenienza, consolidando così il carattere universale del messaggio trasmesso dalla serie.

Creato da Dallas Jenkins, Il prescelto ha cambiato il panorama audiovisivo internazionale diventando la prima serie multi-stagionale incentrata su Gesù visto attraverso gli occhi di coloro che lo hanno conosciuto. Dalla sua prima edizione, ha attirato più di 250 milioni di spettatori in tutto il mondo. La quinta stagione è disponibile in Spagna sulla piattaforma acontra+ da settembre, mentre la sesta stagione, attualmente in post-produzione, arriverà nel 2026.

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Educazione

L'UFV e la Fondazione Ratzinger presentano i Premi Open Reason

Questa settimana, la Pontificia Accademia delle Scienze in Vaticano ha ospitato la settima edizione dei Premi Open Reason, organizzati dall'Università Francisco de Vitoria (UFV). e la Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger/Benedetto XVI. Tra i quattro vincitori, due sono professori dell'Università di Navarra.

Francisco Otamendi-3 ottobre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

La cerimonia di premiazione del Premi Open ReasonEra accompagnato dal presidente della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, padre Federico Lombardi, S.I., e dal rettore dell'Università Francisco de Vitoria (UFV), Daniel Sada.

Il cardinale Koch ha sottolineato che la ragione aperta "non è un passo indietro, ma un atto di coraggio intellettuale". E ha aggiunto: "Solo una ragione veramente aperta è in grado di generare unità in un mondo segnato dalla polarizzazione e dal relativismo". L'evento è stato moderato da María Lacalle, direttrice dell'Istituto. Ragione aperta e vicerettore del personale docente e del modello di formazione dell'UFV.

I vincitori della VII edizione

Sei progetti provenienti da Spagna, Stati Uniti, Colombia e Cile sono stati selezionati dalla giuria tra 410 proposte provenienti da 63 università di tutto il mondo.

Tra i quattro vincitori di questa settima edizione dei premi figurano José María Torralba (Università di Navarra), nella categoria Insegnamento, per "...".Il Programma Grandi Libri dell'Università di Navarra". 

David Thunder, anch'egli dell'Università di Navarra, per "The Polycentric Republic: a theory of civil order for free and diverse societies". Una proposta per un ordine civile alternativo allo Stato moderno, basato su associazioni libere e diverse.

Anche Angela Franks (St. John's Seminary, USA) è stata premiata per "Body and identity: a history of the empty self". Una storia intellettuale della crisi d'identità contemporanea da una prospettiva teologica e filosofica. 

E anche Juan Eduardo Carreño (Universidad de los Andes, Cile), per "La filosofia tomistica di fronte all'evoluzione. Un'integrazione del pensiero di Tommaso d'Aquino con le scoperte della biologia evolutiva".

Menzioni d'onore

La Giuria ha inoltre assegnato una menzione d'onore a Pablo López Raso (Universidad Francisco de Vitoria) per "Insolente belleza: una propuesta de apreciación del arte contemporáneo" (Bellezza insolente: una proposta di apprezzamento dell'arte contemporanea). E Santiago Bellomo (Universidad Austral, Argentina), per "Augmented education. Le sfide dell'educazione nell'era dell'intelligenza artificiale".

I premi, del valore di 100.000 euro, riconoscono i programmi di ricerca e insegnamento che combinano la conoscenza scientifica con una profonda riflessione sull'essere umano, la verità e il significato.

Continuare a promuovere la conoscenza

Il Cardinale Koch ha anche osservato che i premi Open Reason contribuiscono alla costruzione di una cultura dell'incontro, unendo la conoscenza tecnica alla saggezza umanistica. In questo senso, ha incoraggiato i vincitori del premio e le loro università a continuare a promuovere una conoscenza che non rinuncia alle grandi domande. E che contribuisce alla riconciliazione tra fede e ragione, tra scienza e umanità.

Torralba: Educazione alla ragione aperta

Il professore di filosofia José María Torralba, consultato da Omnes, ha affermato che "in realtà, il premio non è per me, ma per l'...".Programma Grandi Libri dell'Università di Navarra", composto da 20 professori. Anche se sono il coordinatore del programma e colui che ha presentato la candidatura, e per questo sono venuto a Roma per ritirarla".

"Questo Premio è importante per il suo prestigio, è stato assegnato per sette edizioni. La giuria finale che decide è prestigiosa, e in questo senso è un grande riconoscimento del progetto Grandi Libri, che ha ormai dieci anni, e del lavoro che è stato fatto".

"È anche apprezzato il fatto che il progetto promuova un'educazione all'Open Reasoning". Che cosa significhi "open reasoning", sottolinea Torralba. "È un concetto di Benedetto XVI. Le materie di studio, l'insegnamento, non è fatto in modo isolato, concentrandosi solo su un campo del sapere o su una disciplina. Ma aperto alla connessione delle scienze particolari con la filosofia e la teologia". 

Il Programma Grandi Libri sviluppato in Navarra, che conta 650 studenti all'anno, tenuti da più di 20 professori, aggiunge il professore, "sta suscitando sempre più interesse in altre università in Spagna, Europa e America Latina".

L'autoreFrancisco Otamendi

Evangelizzazione

San Francesco Borgia, terzo generale della Compagnia di Gesù

Il 3 ottobre la liturgia della Chiesa celebra San Francesco Borgia, che rinunciò a ricchezze e nobiltà per entrare nella Compagnia di Gesù, diventando il terzo generale, dopo il fondatore, Sant'Ignazio di Loyola, e Padre Diego Laynez.

Francisco Otamendi-3 ottobre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Figlio primogenito del terzo duca di Gandía, San Francisco de Borja (1510-172) nacque nel palazzo che la famiglia aveva a Valencia. Nel 1529 sposò la portoghese Leonor de Castro, prima dama di compagnia dell'imperatrice Isabella. All'età di 20 anni, Borgia ricevette l'onore di essere nominato dall'imperatore marchese di Lombay e di essere posto a capo della casa imperiale. 

Nei 10 anni successivi, Francesco ed Eleonora ebbero otto figli e vissero a stretto contatto con l'imperatore Carlo e la regina Isabella. Finché l'imperatrice non morì inaspettatamente il 1° maggio 1539, spiega l'autore. Sito web dei gesuiti. Quella morte fu decisiva per la sua conversione quando accompagnò il corteo funebre alla sua sepoltura nella cappella reale di Granada. 

Quando la bara fu aperta, non volle più servire alcun signore che potesse morire e iniziò a dedicarsi alla preghiera e alla penitenza. È famosa la sua affermazione: "Non servirò mai più un signore che possa morire su di me". Poi, dopo la morte della moglie Leonor nel marzo 1546, decise di dedicare il resto della sua vita al servizio di Dio. Conosceva i gesuiti, aveva fondato una scuola a Gandía ed era amico personale di Pedro Fabro, un sacerdote cofondatore della Compagnia.

Alcuni fatti sulla sua vita

Sant'Ignazio Francesco Borgia prese i voti come gesuita il 1° febbraio 1548. Conseguì il dottorato in teologia, fu ordinato sacerdote e celebrò la sua prima Messa nella cappella della casa avita di Loyola. Padre Borgia fu generale della Compagnia per sette anni, ne revisionò le regole ed estese le missioni in India e nelle Americhe. E vegliò sulla crescita dell'Ordine religioso, con grande devozione all'Eucaristia e alla Beata Vergine.

Il Martirologio  Roman dice: "Memoria di San Francesco Borgia, sacerdote che, dopo la morte della moglie, dalla quale ebbe otto figli, entrò nella Compagnia di Gesù. Pur abdicando alle dignità del mondo e rifiutando quelle della Chiesa, fu eletto superiore generale, rendendosi memorabile per la sua austerità di vita e di preghiera (1572)".

L'autoreFrancisco Otamendi

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Educazione

11 consigli per insegnare la fede ai bambini a casa

Mantita y Fe Podcast, un progetto della Fondazione Gospa Arts, ha condiviso a settembre il lancio di una guida per l'adorazione eucaristica e la visita al Santissimo Sacramento. Ora stanno lanciando "Catechesi a casa", con Olatz (Benedizioni), che affronta un tema chiave per le famiglie: come trasmettere la fede ai bambini a casa.

Francisco Otamendi-3 ottobre 2025-Tempo di lettura: 6 minuti

Il catechesi L'apprendimento della fede in casa è fondamentale nelle famiglie cristiane. Si tratta di trasmettere la fede ai bambini in modo semplice, naturale e vivace. Questo è l'argomento dell'ultimo podcast di Mantita y Fe, della Gospa Arts Foundation, il cui precedente lavoro era stato dedicato alla preghiera in una Il culto al Santissimo Sacramento.

Nella conversazione di 1 ora e 25 minuti, Bárbara Constanza Bustamante intervista Olatz, creatrice di "Blessings" (@Blessings.es su Instagram), che condivide la sua esperienza di madre e moglie e offre chiavi concrete per vivere la fede nella vita quotidiana della famiglia.

Ecco alcuni indizi per Le risposte di Olatz sull'insegnamento della fede ai bambini. La selezione minima è del sottoscritto. Potete vedere il video completo alla fine. 

Idee iniziali

1. Chiedere perdono a un bambino. Il Vangelo

Chiedere perdono a un bambino è prezioso. Chiedere perdono a un bambino è una delle cose più belle che mi siano mai capitate, perché è il perdono più prezioso. 

Al mattino leggiamo il Vangelo del giorno e chiediamo, tutti chiedono qualcosa. Molti mi dicono: "Ma tua figlia di tre anni non capisce il Vangelo del giorno". Io rispondo: "Beh, anch'io a volte non lo capisco, sai". È solo che la Parola di Dio è viva ed efficace, e a volte non devo capirla perché nutra il cuore.

2. Gesù vuole davvero vedervi

Voi non volete vedere Gesù, ma Gesù vuole vedere voi. Allora andiamo per Lui, perché non sempre vorrete tutte le cose buone. Ma poiché è buono, andiamo a farlo. Quanto è bello che sia per quella volontà che dice: "No, voglio ciò che è vero, ciò che è bello, ciò che è buono; torno sul sentiero". Non perché mi è stato detto che devo essere bravo o che devo essere buono, ma perché ho sperimentato che ciò che è buono per me è l'amore di Dio. no? 

3. La nostra famiglia, un giardino fiorito

BarbaraSo che lei è una madre intraprendente, una moglie a tempo pieno e che venire qui a registrare un podcast comporta anche un'organizzazione familiare. Grazie mille. 

OlatzSono un fan, sono un fan del podcast, quindi quando mi hai detto se sarei venuto, ho fatto spazio perché penso che sia fantastico. 

B.: Per coloro che non la conoscono, di cosa tratta il suo progetto Blessings?

OInnanzitutto sono una figlia di Dio, giusto? Sono la moglie di José Manuel e siamo genitori di sei figli di età diverse. È un bel laboratorio perché abbiamo nostra figlia, che ha appena compiuto due anni, che è la più piccola. E poi il nostro figlio più grande ha dieci anni, ma la nostra quinta figlia ne ha diciotto. Ah, guardate. È un po' strano, va spiegato. Quattro anni fa abbiamo accolto la nostra quinta figlia. Quando aveva quattordici anni, ora ne ha diciotto. 

È come un giardino con diversi fiori, e devi dare a uno un po' più di ombra, all'altro un po' più di acqua... Beh, è la nostra famiglia. E poi ho deciso di avviare il mio progetto, Blessings, che è nato come negozio di decorazioni cristiane, ma il Signore mi ha chiamato a qualcosa di più bello.

4. Che cos'è l'arte della fede

Il negozio ha finito per diventare il pretesto, perché attraverso i social network abbiamo mostrato un po' di come vive la mia famiglia. E poi, attraverso questo, e parlo di quasi dieci anni fa, un po' meno, molte persone si sono avvicinate a una vetrina familiare di fede cattolica. E molte persone si sono avvicinate a questo, a come vivevamo la nostra fede.

Queste reti mi hanno portato a proseguire nella tenda dove Dio mi chiamava e a creare Prayplan, che è la comunità virtuale di fede dove preghiamo ogni giorno. Preghiamo con il Vangelo e vediamo come discernere la voce di Dio nella nostra vita quotidiana, perché ci rendiamo conto che l'arte della fede sta proprio in questo: discernere tra il bene e il meglio.

5. Il Vangelo e la Bibbia hanno una parola per me.

La nostra vita è piena di fretta, di decisioni da prendere in una frazione di secondo, di istantaneità, di rumore, di tendenze, quindi dobbiamo fermarci un po' e dire ok. Ma qual è la cosa migliore da fare, cosa mi chiama a fare Dio? Tra tutte le opzioni, che forse sono tutte buone, il Vangelo che è accaduto duemila anni fa ha una parola concreta per la mia vita di oggi.

Per quella decisione che sto prendendo, per quella cosa che mi pesa, per quella depressione che sto attraversando, per quella crisi che non riesco a risolvere o per quella famiglia che sto soffrendo con i miei figli, per esempio.

Lui ha una parola, quella moltiplicazione dei pani ha a che fare con me oggi. Quella Parola che è viva per me, questa è la meraviglia del Vangelo... Così la Bibbia e il Vangelo diventano quell'esperienza che, lungi dall'essere una teoria o qualcosa o una storia, è il mio nutrimento. Ecco, questo è ciò che facciamo noi della comunità di Prayplan. 

6. Dio mi dona gratuitamente il suo amore

Sono cresciuta pensando che l'amore andasse guadagnato. L'amore dei tuoi genitori, l'amore dei tuoi fidanzati. Quindi, naturalmente, quando si cresce in questo modo, si pensa: "L'amore di Dio, quanto devo guadagnarmelo? Perché l'amore di Dio è molto grande". Quindi, se è così grande, devo guadagnarmelo. Allora devo essere molto bravo, no? Perché Dio mi ami devo essere molto bravo. E naturalmente non ero molto bravo (...). È questo che mi ha fatto innamorare di Dio. Che mi ha dato il suo amore gratuitamente. 

Ho sempre saputo che quello che volevo offrire ai miei figli era l'esperienza di vivere con Gesù e di non buttare all'aria quello che avevo ricevuto, per quanto fosse buono per me. Per me, quello che ho ottenuto è molto buono, perché ho già realizzato quell'amore incondizionato. Sapevo che sì, l'esperienza nella casa di un Gesù che vive con noi era fondamentale. È essenziale e anche un'esperienza di matrimonio. Guardate come si amano.

Sintesi

La vita quotidiana come scuola di fede

Un punto cardine. La fede non deve essere relegata alla domenica o al "formale", ma deve permeare la vita quotidiana. Pregare insieme in famiglia, ascoltare le domande dei bambini, vivere la carità e il perdono in casa: tutto questo è terreno fertile affinché la fede non rimanga qualcosa di lontano o estraneo. 

Non si tratta di imporre un rigido "manuale di valori", ma di mostrare un rapporto vissuto con Gesù. È in questo amore autentico che gli altri possono essere attratti.

Un bambino di tre anni ha tutto il tempo per imparare il Padre Nostro, la parabola e il Credo. L'importante è che i bambini piccoli si sentano amati da Dio.

2. Testimonianze dirette, momenti ordinari 

La testimonianza quotidiana (più che le parole) ha un grande potere: "Ci sono persone innamorate che trasmettono Gesù senza parlare".

In casa, i momenti ordinari (pasti, colloqui, preghiere, difficoltà) diventano spazi per rivelare Dio se guardiamo i nostri figli con affetto e coerenza.

3. Dubbi, oscurità spirituale, sfide

Ci sono sempre "momenti di oscurità". In quei momenti, il nemico solleva obiezioni: "Chi sei tu per parlare agli altri?

Si risponde ricordando che non si tratta di fare qualcosa per proprio merito, ma di essere "canali": Dio agisce attraverso ciò che si offre. 

Gesù è verità. Quando vivo nella verità, la verità può essere che oggi sono molto nervoso e ho gridato, e ho gridato contro di loro. Questo può essere vero, ma è anche vero che dico: scusa, scusa, perché oggi ero molto nervoso e ho gridato.

"Fondamentalmente e fondamentalmente, per noi è tutto, è il perdono. Il perdono è qualcosa che, quando entra in scena, è così curativo che, beh, noi che abbiamo molto bisogno di questo perdono, è qualcosa che entra costantemente in scena".

4. Umiltà, gratitudine

Riflessione: contrasto tra l'umiltà umana e la grandezza di Dio. I cristiani dovrebbero essere "felici e orgogliosi di portare Dio", ma riconoscendo che siamo "vasi di argilla".

Quando si vede la propria peccaminosità e fragilità, scompare l'orgoglio e nasce la gratitudine per la misericordia di Dio. La quotidianità del perdono è qualcosa di molto utile nella nostra casa. Chiedere perdono e accogliere questa umanità, sapendo che questo male non ha l'ultima parola. Quindi direi che, come dinamica quotidiana, dovremmo chiedere perdono, fratelli e sorelle, genitori, figli, con i genitori. Che il perdono sia qualcosa di costante e quotidiano.

5. Trasmissione autentica contro indottrinamento

Distinguere tra la trasmissione di valori "da manuale" e l'offerta di una relazione viva con Gesù. Una relazione d'amore con Gesù trascende le parole e le regole. 

Dovete essere molto disponibili, in modo che quando hanno una domanda o qualcosa che li mette alla prova, siate molto disponibili a cacciare quel momento. 

Innamorarsi di Cristo ogni giorno è più efficace di un elenco di obblighi religiosi. La chiave non è tanto ciò che insegniamo, ma come viviamo ciò che diciamo di credere.

L'autoreFrancisco Otamendi

Risorse

La cristologia incarnativa come centro della vita cristiana

L'incarnazione di Gesù Cristo, il Verbo fatto carne, unisce il divino e l'umano, rivela il ruolo centrale di Maria e si prolunga nell'Eucaristia come nucleo della vita cristiana.

Santiago Zapata Giraldo-3 ottobre 2025-Tempo di lettura: 5 minuti

Parlare dell'Incarnazione significa entrare nel cuore della vita cristiana. Non in un mito, ma incontrare una persona, Gesù Cristo. La partecipazione di Dio alla storia come uomo, il Sommo Sacerdote che ha condiviso tutte le nostre debolezze tranne il peccato (cfr. Eb 14,15).

"E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14). Egli è il fulcro della nostra salvezza, la Verbo entra nella storia, non ha assunto un corpo, ma ha assunto una condizione umana nella sua fragilità e totalità, è totalmente umano, molti interrogativi nascono dalla dottrina dell'Incarnazione, quello che è certo è che la condizione di Dio non viene meno, si mostra umana, un amore nella sua massima espressione, non più come accumulo di idee o concetti epistemologici, ma come persona. 

"Il quale, pur essendo in forma di Dio, non si è accontentato di conservare la sua uguaglianza con Dio, ma ha svuotato se stesso, assumendo la forma di schiavo, essendo fatto a somiglianza d'uomo" (Fil 2,6-7). Il Kénosis L'autosvuotamento (self-emptying) di Gesù delle sue sembianze umane, senza perdere la sua divinità, rende totale la risposta che Dio vuole la salvezza dell'umanità. Ma Dio si è "spogliato" della sua condizione diventando uomo? Certamente la scelta di Cristo di mostrare la sua piena divinità non è stata affatto quella che ci si aspetterebbe da un dio, ma piuttosto da uno schiavo. In alcune traduzioni di questa lettera compare il termine "servo", ma la condizione di Gesù sulla croce ha mostrato qualcosa di più di un servo, non un semplice approccio alla condizione umana, ma un vero e proprio abbattimento, "fino alla morte, fino alla morte di croce" (Fil 2,8).

La partecipazione all'Incarnazione ci introduce come figli di Dio non solo in un semplice evento storico dove il naturale e il divino si incontrano, ma ci troviamo anche sulla via della Grazia. In questo senso Sant'Atanasio ci dice: "Il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci diventare Dio" (De Incarnatione 54,3). Elevare la natura dell'uomo a tal punto da entrare in perfetta comunione con Dio, non significa che l'uomo è Dio per la sua semplice condizione umana, ma che il Padre si è rivelato attraverso Gesù Cristo e in Lui e attraverso di Lui l'umanità è diventata Dio. diviniza.

"Il Figlio di Dio si è incarnato per renderci partecipi della divinità" (Summa Theologiae, III, q. 1, a. 2). San Tommaso sottolinea che la divinizzazione dell'uomo non può essere intesa come un premio umano, ma come un dono pienamente gratuito che deriva solo dall'Incarnazione. Solo perché Dio si è fatto uomo, l'uomo può partecipare alla divinità di Dio. Come antitesi scopriamo le parole del maligno "sarete come dèi" (Gen 3,5), l'inganno ancora attuale che suggerisce che la pienezza si raggiunge senza l'aiuto divino, è il nucleo della caduta dell'essere umano: porsi come misura di se stessi. L'Incarnazione, invece, rivela un modo autentico di vivere per ogni persona per raggiungere Dio.

Il mistero dell'Incarnazione può essere compreso solo alla luce della Trinità. Non è un evento solitario del Verbo, ma della Trinità, perché "l'Incarnazione ci rivela il vero volto di Dio. Il Figlio eterno, che procede dal Padre, diventa uomo per opera dello Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria. Qui si manifesta il mistero della Trinità: il Padre manda, il Figlio riceve e si incarna, lo Spirito agisce come vincolo d'amore" (Benedetto XVI, Omelia nella Solennità di Maria, Madre di Dio, 1° gennaio 2008). L'invio del Figlio rivela anche la sua massima obbedienza al Padre, poiché assumendo la natura umana si sottomette alla missione affidatagli: "Il Verbo si è incarnato per realizzare la nostra salvezza mediante la natura umana" (CEC 461). In questo modo si comprende che l'Incarnazione non è un evento isolato, ma l'espressione concreta dell'unità delle persone divine. Così, non solo è evidente la vicinanza di Dio all'umanità, ma anche la dinamica interna della Trinità, in cui l'amore sostiene l'opera di redenzione fin dall'origine.

Maria e l'incarnazione

Nel piano di salvezza, Dio ha voluto contare su una creatura, una giovane ragazza di Nazareth. "L'incarnazione del Figlio di Dio è la fonte della libertà di Maria. Dio vuole farsi uomo contando sul "sì" libero della sua creatura" (Benedetto XVI, Omelia nella Solennità dell'Annunciazione, 25 marzo 2006). La libertà pienamente realizzata di Maria, che mette la sua libertà al servizio della grazia, della Volontà di Dio, di quella "apertura al disegno divino" (cfr. Lc 1,38). Maria mette la sua volontà al servizio della salvezza del mondo, diventa parte attiva di tutto il mistero salvifico, il suo sì non diventa un semplice formalismo, o una risposta come tante, ma una risposta da cui dipende l'intera umanità.

Ora, questo solleva un'altra questione: Dio agisce come colui che comanda il Figlio, il Figlio è generato in Maria (cfr. Gv 1, 14). E lo Spirito? Se guardiamo al dialogo dell'angelo, Maria pone la domanda: "Come può essere, perché non conosco uomo" (Lc 1, 34) e riceve subito la risposta: "Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti adombrerà" (Lc 1, 35). L'espressione "adombrare" si trova nell'Antico Testamento (cfr. Es 40, 34), la tenda di riunione che è stata adombrata da Dio è piena del suo spirito, "Maria è la dimora dello Spirito Santo, la 'tenda di riunione' dove abita la gloria di Dio" (CEC 2676), l'Arca che porta l'Alleanza è ora Maria. Se pensassimo alla salvezza dell'umanità senza la presenza della cooperazione umana, cadremmo nella convinzione di un Dio che agisce solo brutalmente, senza fare i conti con l'accoglienza e la libertà.

L'incarnazione e l'eucaristia 

Consideriamo ora due atti lontani nel tempo: l'Incarnazione e l'Eucaristia. Il corpo del Signore che si è incarnato nel grembo di Maria è lo stesso corpo che si rende presente nel pane e nel vino, il corpo e il sangue del Signore. L'incarnazione raggiunge il suo margine nell'Eucaristia, il prolungamento della Grazia diventa presente in ogni Messa. Lo Spirito Santo, lo stesso Spirito che ricopre Maria nel suo generoso "Sì", è lo stesso Spirito che ricopre le specie per farle diventare il corpo del Signore. Si fa uomo nell'Incarnazione e si fa cibo nell'Eucaristia, presenza reale di Cristo in questi due eventi di fede, presenza reale, tangibile e sempre vicina. Dice a questo proposito Sant'Agostino: "Riconoscete nel pane ciò che pendeva dalla croce, e nel calice ciò che sgorgava dal suo costato. È lo stesso Cristo che è nato dalla Vergine Maria, che è stato crocifisso, sepolto e risorto, che è contenuto in questi misteri" (Omelia sul Vangelo di Giovanni 26,13).

Come diceva San Josemaría: "Nell'Eucaristia, come nel portale di Betlemme, Egli si dona a noi senza difese, indifeso, per amore". (È Cristo che passa, n. 87) e da allora il Signore ha voluto stare vicino agli uomini, continua a donarsi e lo Spirito continua ad agire per la salvezza degli uomini; ora tocca a noi lasciarci amare per conoscere l'amore vero e puro, è necessario, "Dio, che ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te" (Sant'Agostino, Sermone 169, 11,13). È lasciare che il regno di Dio, che tanto chiediamo ogni giorno di venire su di noi, ci venga incontro con il cuore aperto per accoglierlo e amarlo.

L'autoreSantiago Zapata Giraldo

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Spagna

Mons. Benavent: "I missionari sono la punta dell'iceberg di ciò che tutti noi siamo chiamati a vivere".

La Domenica Missionaria Mondiale, conosciuta in Spagna come World Mission Sunday, si celebra il 19 ottobre. DOMUND. Quest'anno, il regista Jose Manuel Cotelo sarà il banditore della città e la mostra "El Domund al descubierto" sarà esposta a Valencia.

Redazione Omnes-2 ottobre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Ottobre è il mese missionario e, con la celebrazione del DOMUND Le Pontificie Opere Missionarie in Spagna hanno inaugurato la mostra "El Domund al descubierto" e hanno presentato il motto della Domenica Missionaria Mondiale 2025, "Misioneros de Esperanza" (Missionari della Speranza), che fa parte della celebrazione della Giornata Mondiale della Gioventù. Anno giubilare della speranza celebrata dalla Chiesa.

Valencia è stata la sede scelta dalle Pontificie Opere Missionarie per ospitare l'undicesima edizione di "The Domund scoperta", una mostra itinerante che cerca di portare la realtà della missione in strada. Quest'anno è l'Università Cattolica di Valencia a ospitare la mostra, che sarà integrata da un ampio programma di attività per tutto ottobre, mese dedicato alle missioni.

Alla presentazione, l'arcivescovo di Valencia, Mons. Enrique BenaventHa ricordato come nella sua infanzia abbia vissuto con intensità la Domund in parrocchia e ha sottolineato l'importanza di valorizzare la testimonianza di coloro che danno la vita a Cristo nelle terre di missione. "I missionari sono seminatori di speranza tra la gente, la punta dell'iceberg di ciò che tutti noi nella Chiesa siamo chiamati a vivere", ha detto. Ha inoltre invitato il popolo cristiano a partecipare a questo mese speciale, sostenendo e pregando per loro.

José María CalderónIl direttore nazionale delle Obras Misionales Pontificias ha sottolineato che la Domenica Missionaria Mondiale è molto più di una raccolta finanziaria. "Ci sono quasi settemila missionari spagnoli che si danno per Cristo e per il loro popolo. Con questa mostra vogliamo che tutti sappiano cos'è e cosa rappresenta il Domund", ha spiegato. Da parte sua, Francisco José Ferrer, delegato delle missioni a Valencia, ha ricordato che "le missioni non sono solo un giorno, sono tutto l'anno", e ha insistito sul fatto che pregare e collaborare con i missionari è un impegno permanente della Chiesa.

Juan Manuel Cotelo, araldo della Missione Mondiale 2025

La mostra "El Domund al descubierto", allestita nel chiostro dell'Università Cattolica, rende omaggio ai 240 missionari valenciani e rimarrà aperta fino al 29 ottobre. Tra gli eventi in programma ci sono veglie di preghiera, incontri missionari e il discorso di Domund, che quest'anno sarà tenuto dal cineasta Juan Manuel Cotelo.

Il mese di ottobre culminerà con la celebrazione della Domenica Missionaria Mondiale, il 19 ottobre, con un'Eucaristia presieduta da Mons. Enrique Benavent nella Cattedrale di Valencia.

Spagna

I vescovi spagnoli denunciano la situazione a Gaza come un "massacro".

La Commissione permanente della Conferenza episcopale spagnola ha compiuto progressi su diverse questioni che saranno confermate nella prossima Assemblea plenaria di novembre.

Redazione Omnes-2 ottobre 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto

Tra gli accordi principali c'è la dichiarazione congiunta con altre confessioni cristiane in Spagna per il 1.700° anniversario del Concilio di Nicea, considerato il primo concilio ecumenico della Chiesa. Il testo sarà reso pubblico in occasione di un evento ecumenico previsto per i prossimi mesi.

I vescovi hanno anche approvato il piano di aiuto alle diocesi nella loro missione educativa, che prevede stanziamenti per le scuole diocesane e progetti specifici promossi da ciascun vescovo. Sono stati inoltre delineati i criteri per la cura e il servizio dei vescovi emeriti e si è discusso dell'applicazione della sinodalità nelle diocesi, con proposte concrete presentate dal vescovo Conesa.

La Commissione permanente ha anche studiato un piano di comunicazione sotto forma di "università estiva" per promuovere l'incontro tra la Chiesa e la società, e ha ricevuto la proposta di formazione per la presenza dei laici nella vita pubblica, promossa dalla Commissione episcopale per i laici, la famiglia e la vita.

Dichiarazione su Gaza

Nella loro dichiarazione finale, i vescovi hanno alzato la voce per la pace in diverse parti del mondo. Hanno descritto la situazione a Gaza come un "massacro" e hanno menzionato anche i conflitti in Ucraina, Sudan, Myanmar, Sahel, Haiti e Nigeria.

Hanno condannato il terrorismo di Hamas e denunciato la risposta "sproporzionata e disumana" del governo israeliano contro la popolazione civile di Gaza. Hanno inoltre sottolineato che "è imperativo fermare la guerra, liberare gli ostaggi, condannare il terrorismo e costruire relazioni basate sulla dignità della vita umana e sul bene comune", si legge nel testo.

Evangelizzazione

I Santi Angeli Custodi

Il 2 ottobre la Chiesa cattolica commemora la festa dei Santi Angeli Custodi, noti anche come angeli custodi. È un giorno per ricordare queste creature celesti, che sono state poste da Dio per guidare, proteggere e intercedere per ogni fedele. Sono servitori e messaggeri di Dio.

Francisco Otamendi-2 ottobre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

L'esistenza degli angeli santi, esseri spirituali e non corporei, che la Sacra Scrittura chiama abitualmente angeli, è una verità di fede. Essi superano in perfezione tutte le creature visibili. La testimonianza della Scrittura è chiara come l'unanimità della Tradizione. Catechismo della dottrina cristiana (nn. 328-336).

Sant'Agostino dice di loro: "Il nome angelo indica il suo ufficio, non la sua natura. Se chiedete della sua natura, vi dirò che è uno spirito; se chiedete cosa fa, vi dirò che è un angelo"). Con tutto il loro essere, gli angeli sono servitori e messaggeri di Dio. Essi, infatti, "contemplano costantemente la faccia del Padre mio che è nei cieli", ha detto Gesù. (Mt 18,10).

Cristo è il centro del mondo di gli angeli. Gli angeli gli appartengono: "Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli..." (Mt 25,31). Gli appartengono perché sono stati creati da e per lui: "Da lui infatti sono state create tutte le cose, in cielo e in terra, visibili e invisibili, troni, dominazioni, principati, potestà: tutte le cose sono state create da lui e per lui", scrive San Paolo (Colossesi).

Gli angeli nella vita della Chiesa

Tutta la vita della Chiesa beneficia del misterioso e potente aiuto degli angeli, aggiunge il Catechismo. Nella liturgia, la Chiesa si unisce agli angeli nell'adorazione del Dio triplice ("Sanctus"); invoca la loro assistenza e celebra la memoria di alcuni angeli (San Michele, San Gabriele, San Raffaele, come qualche giorno fa, e gli angeli custodi).

"Nessuno può negare che ogni fedele abbia al suo fianco un angelo come protettore e pastore che guida la sua vita", dice San Basilio il Grande. Secondo il suo biografo Tommaso da Celano, San Francesco d'Assisi "era molto innamorato di lui". venerazione e amore agli angeli, che sono con noi nella lotta e ci accompagnano nelle ombre della morte. Ha detto che questi compagni dovrebbero essere venerati ovunque, che coloro che sono i nostri custodi dovrebbero essere almeno invocati".

L'autoreFrancisco Otamendi

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Esprimere le proprie idee può essere pericoloso

Un'analisi di come la polarizzazione e l'odio abbiano sostituito il dialogo. La coerenza delle nostre idee e l'ascolto attivo possono ricostruire la convivenza e il rispetto reciproco.

2 ottobre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Viviamo in tempi turbolenti in cui l'odio, esplicito o camuffato, dilaga per difendere o aderire alle ideologie, come dimostrano vari episodi in tutto il mondo. Sembra che le idee, a prescindere da quali siano: politiche - di destra o di sinistra, estreme o meno -, religiose, sociali,... o altro, siano al di sopra del rispetto della dignità della persona e giustifichino tutto: violenza, insulti, umiliazioni,... Quando, invece, avere un'opinione fondata non dovrebbe essere un motivo per litigare con amici, familiari o colleghi, ma al contrario, un motivo per intraprendere una conversazione in cui l'esercizio di comprendere meglio le idee dell'altro sia svolto in modo rispettoso. 

D'altra parte, quest'altro atteggiamento aggressivo è in superficie ed è un segno eloquente che si sta verificando in tutto l'Occidente, perché siamo in un momento di grande polarizzazione globale, alimentata da poche persone di ideologie opposte, che ha portato a tensioni ed è diventato il grande veicolo che alimenta l'odio tra persone moderate, che fino a poco tempo fa si capivano a vicenda. I Paesi più colpiti sono Spagna, Argentina, Colombia, Stati Uniti, Sudafrica e Svezia. Questa atomizzazione è guidata dalle casse di risonanza dei social media che promuovono e giustificano le idee di ciascuno, portando alla cancellazione di quelle degli altri e non alla ricerca del dialogo. 

Il caso Charlie Kirk

Per alcuni, la morte di Charlie Kirk è "giustificata" dicendo che se la meritava a causa delle idee "ultra" che difendeva. Per questo motivo, le manifestazioni di "gioia", "umorismo" o celebrazione della sua morte (che è riprovevole, qualunque cosa si pensi) sono "permesse", perché alcune delle cose che ha detto sono "inaccettabili". Questo porta a offuscare o a nascondere nel dibattito pubblico il suo esemplare atteggiamento di dialogo, come se non lo avesse detto. Quando è, forse, il suo principale contributo all'Occidente: ricordare che la libertà di espressione va usata, cercando di unire le posizioni attraverso uno scambio di idee, in un dialogo pacifico.

Tuttavia, è chiaro che è troppo presto perché questo messaggio abbia preso piede tra coloro che non la pensano come lui, perché non c'è giustificazione per l'omicidio. Né tra coloro che condividono molte delle sue idee, perché molti sono stati cancellati per aver espresso le loro idee. La ABC, ad esempio, ha sospeso "a tempo indeterminato" lo show di Jimmy Kimmel a causa dei suoi commenti sull'omicidio di Kirk.

È successo a più persone che sono state licenziate dal loro lavoro per aver espresso il loro odio sui social media. Fino a poco tempo fa era il "wokismo" a essere cancellato per non avere le stesse idee, ora è uno "strumento" universalmente usato. Questo modo di reagire in entrambi i casi non è auspicabile, perché esprimere odio mostra chi è quella persona, ma non implica che non possa esprimersi liberamente. Kirk stesso ci ha dato un esempio di come agire in questa situazione. Nella sua ricerca di ciò che è morale o giusto, poteva avere pensieri più o meno corretti nel suo modo di pensare, lettore, o nel mio. Ma il suo obiettivo era imparare, pensare e dialogare per costruire una cultura comune che costituisca una base per unire e non il contrario, per separare o polarizzare. 

Il dialogo come strumento

In questa linea di ricerca di un terreno comune, di accordi e di condivisione di idee, va accolto con favore il dialogo organizzato dall'Università di Comillas il 17 settembre tra Salvador Illa, presidente della Generalitat di Catalogna, e monsignor Luis Argüello, presidente della Conferenza episcopale spagnola, sul valore del dialogo come strumento di convivenza. Illa ha detto: "Il dialogo implica il riconoscimento dell'altro, l'ascolto attivo e la ricerca di uno spazio comune, anche se non sempre si raggiungono accordi", il che è necessario nell'epoca in cui viviamo. Argüello ha difeso la "polarità" come modo legittimante di mostrare la diversità, contro "La polarizzazione come strategia elettorale cresce perché non si valorizza la differenza".

Per questo motivo, avere idee autentiche significa viverle, e questa coerenza si manifesta nelle nostre azioni. A seconda di come ci comportiamo, mostreremo la nostra coerenza etica, l'utilità delle nostre idee e il nostro rispetto per gli altri. La nostra incoerenza è un ostacolo al dialogo, ma viverla è il "miglior ambasciatore" per mostrare ciò che pensiamo sia meglio per noi e per la nostra società. Allora, insieme all'ascolto e al dialogo, favoriremo una cultura che faciliti l'incontro.

L'autoreÁlvaro Gil Ruiz

Professore e collaboratore regolare di Vozpópuli.

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Gli insegnamenti del Papa

La Pasqua di Gesù, fonte viva di speranza 

Nell'ambito della catechesi che si sta svolgendo durante l'Anno Giubilare 2025, il cui titolo è Gesù Cristo, la nostra speranza, Leone XIV ha dedicato le ultime settimane alla Pasqua di Gesù. Vale a dire, agli eventi che si sono svolti intorno alla sua passione, morte e risurrezione.

Ramiro Pellitero-2 ottobre 2025-Tempo di lettura: 7 minuti

Quale posto occupa nella nostra vita la donazione di Gesù per noi? La consideriamo un evento del passato, estraneo al nostro presente e al nostro futuro? La fede cristiana ci assicura che è qualcosa di centrale, pieno di implicazioni per la nostra vita personale, sociale ed ecclesiale. 

Preparazione all'incontro con Dio e con gli altri

Il primo di questi mercoledì (cfr. Pubblico generale, 6-VIII-2025)il Papa si è soffermato sulla parola prepararsi. "Dove volete che andiamo a preparare il vostro pranzo di Pasqua?" (Mc 14, 12). Infatti, tutto è stato preparato in anticipo da Gesù: "..." (Mc 14, 12).La Pasqua, che i discepoli devono preparare, è in realtà già preparata nel cuore di Gesù.". 

Allo stesso tempo, invita i suoi amici a fare la loro parte: "Dobbiamo fare la nostra parte.La grazia non elimina la nostra libertà, ma la risveglia. Il dono di Dio non elimina la nostra responsabilità, ma la rende feconda.".

Anche noi, quindi, dobbiamo preparare questo pasto. Non si tratta solo, avverte il successore di Pietro, della liturgia o dell'Eucaristia (che significa "ringraziamento"), ma anche dell'"Eucaristia".la nostra disponibilità a entrare in un gesto che è al di là di noi". 

"L'Eucaristia -Osserva Leone XIV non si celebra solo sull'altare, ma anche nella vita di tutti i giorni, dove è possibile vivere tutto come offerta e ringraziamento.". 

Da qui la domanda: "Possiamo allora chiederci: quali spazi della mia vita devo risistemare perché siano pronti ad accogliere il Signore? Cosa significa per me oggi "preparare"??".

Alcuni suggerimenti: "Forse rinunciare a una finzione, smettere di aspettare che l'altro cambi, fare il primo passo. Forse ascoltare di più, agire di meno o imparare a fidarsi di ciò che è già in atto.".

Riconoscere la nostra vulnerabilità

Nel mezzo della cena più intima di Gesù con i suoi, si rivela anche il più grande tradimento: "La cena più intima con i suoi".In verità vi dico che uno di voi mi tradirà: colui che mangia con me." (Mc 14, 18). "Sono parole forti. Gesù non le dice per condannare, ma per mostrare che l'amore, quando è vero, non può fare a meno della verità.". 

Sorprendentemente, Gesù non alza la voce o il dito per accusare il traditore. Lascia che ognuno si interroghi da solo:"Cominciarono a rattristarsi e gli chiesero uno dopo l'altro: 'Sono io? (Mc 14,19). Mercoledì 13 agosto, il Papa si è soffermato su questa questione, perché, ha sottolineato, "... le parole del Papa non sono solo una questione di Chiesa, ma anche di mondo.è forse una delle domande più sincerepossiamo fare a noi stessi". Ed ecco perché: "Il Vangelo non ci insegna a negare il male, ma a riconoscerlo come una dolorosa occasione di rinascita.".

Ciò che segue può sembrare una minaccia:"Guai a quell'uomo dal quale il Figlio dell'uomo sarà tradito; sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!". (Mc 14,21). Ma è piuttosto un grido di dolore, di sincera e profonda compassione. Perché Dio sa che, se rinneghiamo il suo amore, saremo infedeli a noi stessi, perderemo il senso della nostra vita e ci escluderemo dalla salvezza. Invece, "se riconosciamo il nostro limite, se ci lasciamo toccare dal dolore di Cristo, allora possiamo finalmente rinascere.". 

L'amore che non si arrende e perdona

Durante l'ultima cena, Gesù offre il boccone a colui che sta per tradirlo. "Non è solo un gesto di condivisione, è molto di più: è l'ultimo tentativo dell'amore di non arrendersi."Gesù continua ad amare: lava i piedi, bagna il pane e lo offre anche a colui che lo tradirà.

Il perdono che Gesù offre - sottolinea il Vescovo di Roma - si rivela qui in tutta la sua forza e manifesta il volto della speranza: "... il perdono che Gesù offre è il volto della speranza...".Non è dimenticanza, non è debolezza. È la capacità di lasciare libero l'altro, amandolo fino alla fine. L'amore di Gesù non nega la verità del dolore, ma non permette al male di avere l'ultima parola.". 

Il Papa insiste: "Perdonare non significa negare il male, ma impedire che esso generi altro male. Non significa dire che non è successo nulla, ma fare tutto il possibile affinché non sia il risentimento a decidere il futuro.".

E si rivolge a noi: "Anche noi viviamo notti dolorose ed estenuanti. Notti dell'anima, notti di delusione, notti in cui qualcuno ci ha ferito o tradito. In questi momenti, la tentazione è quella di chiudersi, di proteggersi, di reagire. Ma il Signore ci mostra che c'è speranza, che c'è sempre un'altra strada. (...) Oggi chiediamo la grazia di saper perdonare, anche quando non ci sentiamo compresi, anche quando ci sentiamo abbandonati.". In questo modo ci apriamo a un amore più grande. 

Arrendersi per amore

Poi Gesù affronta coraggiosamente e liberamente il suo arresto nell'Orto degli Ulivi: "Chi state cercando?" (Gv 18,4). Il suo amore è pieno e maturo, non teme il rifiuto, ma si lascia catturare. "Non è vittima di un arresto, ma autore di un dono. In questo gesto si incarna una speranza di salvezza per la nostra umanità: sapere che, anche nell'ora più buia, si può rimanere liberi di amare fino alla fine." (Udienza generale del 27-VIII-2025).

Il sacrificio di Gesù è un vero atto d'amore: "Il sacrificio di Gesù è un vero atto d'amore.Gesù si lascia catturare e imprigionare dalle guardie solo per liberare i suoi discepoli."Egli sa bene che perdere la vita per amore non è un fallimento, ma porta con sé una misteriosa fecondità (cfr. Gv 12,24).

Ecco cosa ci insegna. "È in questo che consiste la vera speranza: non nel cercare di evitare il dolore, ma nel credere che, anche nel cuore della sofferenza più ingiusta, c'è il seme di una nuova vita.".

Imparare a ricevere

La catechesi del Papa sulle parole di Gesù alla sua crocifissione è stata particolarmente forte: "Ho sete" (Gv 19,28), appena prima di questi altri: "Ogni cosa è compiuta" (19,30).

"La sete del Crocifisso -Osserva Leone XIV- non è solo il bisogno fisiologico di un corpo distrutto. È anche, e soprattutto, l'espressione di un desiderio profondo: di amore, di relazione, di comunione". (Udienza generale, 3-IX-2025).

Da qui un insegnamento sorprendente: "L'amore, per essere vero, deve imparare anche a chiedere e non solo a dare. Ho sete", dice Gesù, e in questo modo manifesta la sua umanità e anche la nostra. Nessuno di noi può bastare a se stesso. Nessuno può salvarsi da solo. La vita è "compiuta" non quando siamo forti, ma quando impariamo a ricevere.". Ed è allora, proprio quando tutto è compiuto. "L'amore è diventato bisognoso, e proprio per questo ha compiuto la sua opera.".

È questo, sottolinea il Vescovo di Roma, il paradosso cristiano: ".Dio salva non facendo, ma lasciandosi fare. Non vincendo il male con la forza, ma accettando la debolezza dell'amore fino in fondo.". 

Dalla croce, Gesù insegna che ognuno di noi non si realizza nel potere, ma nell'apertura fiduciosa agli altri, anche se nemici. "La salvezza non sta nell'autonomia, ma nel riconoscere umilmente il proprio bisogno e nel saperlo esprimere liberamente.".

Attenzione, sembra dire Leone XIV, anche per gli educatori e i formatori perché questo "sentire e riconoscere il nostro bisogno". non può essere imposto, ma deve essere scoperto liberamente ogni persona (si può essere aiutati dolcemente a scoprirlo), come via di liberazione da se stessi verso Dio e gli altri. "Siamo creature fatte per dare e ricevere amore".

Il grido di speranza 

Degno di nota è il fatto che Gesù non muore in silenzio. "Non si spegne lentamente, come una luce che si affievolisce, ma lascia la vita con un grido: "Gesù, con un forte grido, esalò l'ultimo respiro". (Mc 15, 37). Questo grido contiene tutto: dolore, abbandono, fede, offerta. Non è solo la voce di un corpo che si arrende, ma l'ultimo segno di una vita che si abbandona a Dio." (Audizione generale, 10-IX-2025).

Il suo grido è preceduto da queste parole: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".Sono tratte dal Salmo 22 ed esprimono il silenzio, l'assenza e l'abisso vissuti dal Signore. "Non si tratta di -dice Leone XIV di una crisi di fede, ma dell'ultima tappa di un amore che si dona fino in fondo. Il grido di Gesù non è disperazione, ma sincerità, verità spinta al limite, fiducia che resiste anche quando tutto tace.".

In questo anno giubilare, il grido di Gesù ci parla di speranza, non di rassegnazione. "Si grida quando si pensa che qualcuno possa ancora sentirci. Non si grida per disperazione, ma per desiderio.". In particolare: "Gesù non ha gridato "contro" il Padre, ma "verso" di Lui. Anche nel silenzio, era convinto che il Padre fosse lì. E così ci ha mostrato che la nostra speranza può gridare, anche quando tutto sembra perduto.".

Gridiamo quando nasciamo (arriviamo piangendo), quando soffriamo e anche quando amiamo, quando chiamiamo e invochiamo: "...".Gridare significa dire che ci siamo, che non vogliamo svanire nel silenzio, che abbiamo ancora qualcosa da offrire.".

E questo è l'insegnamento del grido di Gesù per il cammino della vita, piuttosto che tenere tutto dentro e deperire lentamente (o cadere nello scetticismo o nel cinismo).

La saggezza dell'attesa 

Segue il silenzio di Gesù nel sepolcro (cfr. Gv 19,40-41): "Un silenzio gravido di significato, come il grembo di una madre che custodisce il suo bambino non ancora nato ma già vivo".(Pubblico generale17-IX-2025). 

È stato sepolto in un giardino, in una tomba nuova. Come era accaduto all'inizio del mondo, nel paradiso: Dio aveva piantato un giardino, ora la porta di questo nuovo giardino è la tomba chiusa di Gesù. 

Dio aveva "riposato".dice nel libro della Genesi (2, 2), dopo la creazione. Non perché fosse stanco, ma perché aveva terminato la sua opera. Ora l'amore di Dio si è mostrato di nuovo, compiuto "fino alla fine". 

Gesù riposa finalmente

È difficile riposare. Ma "sapersi fermare è un gesto di fiducia che dobbiamo imparare a compiere.". Dobbiamo scoprire che "la vita non dipende sempre da ciò che facciamo, ma anche da come sappiamo rinunciare a ciò che avremmo potuto fare.".

Gesù è silenzioso nel sepolcro, come il seme che attende l'alba. "Qualsiasi momento di pausa può diventare un momento di grazia, se lo offriamo a Dio.".

Gesù, sepolto nella terra: "È la Dio che ci lascia fare, che aspetta, che si ritira per lasciarci la libertà. È il Dio che si fida, anche quando tutto sembra finito.". 

Dobbiamo imparare a lasciarci abbracciare dal limite: "... dobbiamo imparare a lasciarci abbracciare dal limite...".A volte cerchiamo risposte rapide, soluzioni immediate. Ma Dio lavora in profondità, nel tempo lento della fiducia.". 

E tutto questo ci parla ancora una volta in questo Giubileo della Speranza: "La vera gioia nasce da un'aspettativa vissuta, da una fede paziente, dalla speranza che ciò che è stato vissuto nell'amore salirà certamente alla vita eterna.".

Scende per proclamare la luce e la vita

Sempre mercoledì 24 settembre, il Papa si è soffermato sul Sabato Santo. Cristo non solo è morto per noi, ma è anche sceso nel regno degli "inferi", per portare l'annuncio della risurrezione a tutti coloro che erano sotto il dominio della morte. Questi "inferni" non si riferiscono solo ai morti, ma anche a chi vive nelle tenebre (dolore, solitudine, colpa) e soprattutto nel peccato. "Cristo -dice il Papa. Entra in tutte queste realtà oscure per testimoniare l'amore del Padre (...) Lo fa senza clamore, in punta di piedi, come chi entra in una stanza d'ospedale per offrire conforto e aiuto.".

I Padri della Chiesa lo descrivono come un incontro tra Cristo e Adamo per riportarlo alla luce, con autorità, ma anche con dolcezza. Nemmeno le nostre notti più buie o i nostri peccati più profondi sono ostacoli per Cristo. Scendere per Dio non è un fallimento, ma la via della vittoria. Nessuna tomba è troppo sigillata per il suo amore. Dio può sempre fare, a partire dal perdono, una nuova creazione.

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Vaticano

Il Vaticano promuove investimenti coerenti con la fede

Gestori e istituzioni cattoliche cercano di allineare 1,75 miliardi di dollari ai principi della Dottrina Sociale Cattolica attraverso nuovi strumenti e standard di investimento.

Michele Mifsud-2 ottobre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

I gestori globali degli investimenti cattolici e le istituzioni cattoliche si sono impegnati dal 2025 a costruire un nuovo sistema di servizi coerenti con la fede, con l'obiettivo di allineare 1,75 trilioni di dollari di capitale con i principi della Dottrina Sociale Cattolica.

Gli impegni sono emersi durante la seconda conferenza Mensuram Bonam, tenutasi a Londra nel novembre 2024. Organizzato alla luce del testo “Mensuram Bonam”, un documento vaticano del 2022 della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, l'evento ha riunito oltre 90 dirigenti del settore finanziario e leader ecclesiastici provenienti da 16 paesi per rafforzare gli investimenti cattolici e cristiani.

Iniziative chiave annunciate

Sono stati presentati diversi progetti importanti per colmare l'attuale lacuna nei servizi di investimento pensati per gli investitori cristiani:

  • Nuovo indice di mercato cattolico: Bloomberg Index Services collaborerà con le istituzioni cattoliche per creare l'indice Mensuram Bonam. Questo indice amplierà i precedenti benchmark cattolici, incorporando linee guida della Chiesa più ampie che vanno oltre il quadro della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti (USCCB).
  • Consorzio per il voto per delega: I Cavalieri di Colombo, in collaborazione con la Catholic University of America, stanno lanciando un consorzio senza scopo di lucro per fornire una guida basata sulla Dottrina Sociale Cattolica sul voto per delega. I partecipanti pagheranno solo commissioni a livello di costo e manterranno il diritto di voto indipendente.
  • Ricerca sui rendimenti a lungo termine: Catholic Investment Services, Captrust e i Cavalieri di Colombo pubblicheranno un white paper che analizzerà l'impatto sulla performance a lungo termine degli investimenti conformi alla fede (FCI).
  • Identificazione dei fondi cattolici: CCLA e le società di ricerca sugli investimenti mapperanno i fondi esistenti per gli investitori cattolici ed esploreranno la creazione di nuovi settori di fondi cattolici/cristiani, simili alle categorie consolidate per gli investimenti che seguono la fede islamica.
  • Quadro di riferimento standardizzato per la rendicontazione: i partecipanti hanno approvato l'adozione di un modello di rendicontazione Faith-Consistent Investing comune, come il framework ""Engage, Enhance, Exclude"" di "Mensuram Bonam", per semplificare la supervisione per gli investitori che lavorano con più gestori.

Costruire un ecosistema di investimenti cristiani

Questa spinta riflette la crescente domanda di investimenti che generano rendimenti finanziari competitivi, aderendo al contempo ai valori cattolici. I portafogli di orientamento cattolico in genere escludono settori come sostanze stupefacenti, pornografia, violazioni del diritto del lavoro, armi nucleari e pratiche contrarie alla sacralità della vita.

La conferenza ha inoltre sottolineato le opportunità negli investimenti alternativi, sottolineandone il potenziale di diversificazione e performance a lungo termine, a condizione che gli investitori ricevano una formazione e un supporto adeguati per affrontare le complessità.

Un mercato pronto per la crescita

Sebbene le istituzioni cristiane detengano collettivamente circa 1,75 trilioni di dollari di asset, il settore degli investimenti orientati alla fede per i cristiani rimane non sviluppato abbastanza rispetto alla finanza islamica, che si prevede raggiungerà i 6,7 trilioni di dollari entro il 2027. Le iniziative annunciate a "Mensuram Bonam" rappresentano uno sforzo coordinato per colmare questo divario e costruire una solida infrastruttura di mercato per gli investitori cattolici e cristiani in tutto il mondo. Con l'affermarsi degli investimenti orientati alla fede, la conferenza "Mensuram Bonam" potrebbe segnare una svolta, gettando le basi per un ecosistema finanziario che non solo persegue il profitto, ma riflette anche gli insegnamenti morali e sociali della fede cristiana.

L'autoreMichele Mifsud

Economo generale aggiunto della Congregazione della Missione dei Padri Vincenziani, consulente finanziario e di investimento registrato.

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Vangelo

Il giusto vivrà per la sua fede. 27ª domenica del Tempo Ordinario (C)

Joseph Evans commenta le letture della 27ª domenica del Tempo Ordinario (C) del 5 ottobre 2025.

Giuseppe Evans-2 ottobre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

La fede si manifesta soprattutto quando le circostanze esterne sono più avverse. La fede si manifesta quando Dio sembra lento a rispondere alle nostre preghiere, ma noi continuiamo a credere in Lui. La fede si vive nelle circostanze concrete del nostro dovere quotidiano. La fiducia è il cuore della fede.

Questo è un riassunto di ciò che le letture di questa domenica ci dicono sulla fede, che è il loro tema principale. Nella prima lettura, il profeta Abacuc osa interrogare Dio su alcune ingiustizie che vede intorno a sé: perché Dio non sembra aiutarlo? Perché c'è tanta violenza? Perché Dio permette tanto male? Sono domande che potremmo essere tentati di porre anche noi oggi.

Ma il Signore risponde con un appello alla pazienza. La sua risposta, dice, "Se è tardi, aspettalo, perché verrà e non tarderà".. E questa disponibilità a vivere in uno stato di pazienza fiduciosa è proprio la fede. Mentre l'uomo orgoglioso confida in se stesso, "Il giusto vivrà per la sua fede"..

Il salmo ci dà un esempio di come gli israeliti non si siano fidati di Dio: gli episodi di Meribah e Massah, che potrebbero essere due luoghi diversi o forse lo stesso, in cui Israele ha "messo alla prova" e dubitato di Dio a causa della mancanza di acqua (che poi Dio ha fornito). Il salmista vede la mancanza di fede come un indurimento del cuore: l'opposto della fiducia.

Timoteo, che sembra intimorito dal compito che Paolo gli ha affidato come vescovo, viene incoraggiato dall'apostolo nella seconda lettura a confidare nella grazia che gli è stata data, a "riaccendere il dono di Dio". che ha ricevuto attraverso l'ordinazione episcopale. Paolo intende dire che, anche se umanamente non siete all'altezza di una particolare missione, Dio può darvi tutta la grazia necessaria per compierla. Confidare in questo è fede. Crediamo più nella potenza di Dio che nella nostra debolezza. Poiché Timoteo ha fatto questo, ora è un santo della Chiesa.

Infine, il Vangelo completa la lezione sulla fede. Anche la fede più piccola, "come un granello di senape"Questa fede, però, di solito non viene vissuta attraverso eventi miracolosi, ma attraverso il fedele adempimento dei compiti legati al nostro ruolo nella vita". Questa fede, però, di solito non viene vissuta attraverso eventi miracolosi, ma attraverso il fedele adempimento dei compiti legati al nostro ruolo nella vita, sapendo che, in realtà, qualunque sia il nostro lavoro o ruolo, siamo tutti servi. Quando viviamo la nostra fede, non dobbiamo aspettarci ricompense straordinarie: "Siamo servi inutili, abbiamo fatto quello che dovevamo fare.".

Spagna

Jacques Philippe terrà conferenze e ritiri a Madrid dal 16 al 18 ottobre

Redazione Omnes-1 ottobre 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto

Il famoso sacerdote e scrittore francese Jacques Philippe visiterà Madrid dal 16 al 18 ottobre per tenere una serie di conferenze e ritiri incentrati sulla preghiera, la speranza e la pace interiore.

Philippe, che trascorre la maggior parte dell'anno in preghiera personale nella sua comunità religiosa e per alcune settimane predica ritiri in tutto il mondo. È una delle voci spirituali più influenti di oggi. I suoi insegnamenti cercano di offrire una guida alla fede e alla serenità in un mondo segnato dalla fretta e dall'ansia.

La visita di Jacques Philippe è un'opportunità per chi cerca di approfondire la propria vita spirituale e trovare la pace interiore attraverso la preghiera e la riflessione.

Programma della visita

Giovedì 16 ottobre: Conferenza "Fiducia, gioia e speranza: antidoti per un mondo ansioso".alle 19:00 nel Campus dell'Università di Navarra (Marquesado de Santa Marta, 3). Registrazione.

Venerdì 17 ottobre:

  • Ritiro per sacerdoti. "Il dono della preghieranella chiesa parrocchiale Santísimo Cristo de la Victoria (C/ Fernando el Católico, 45). Si svolgerà dalle 9.30 alle 12.30. Registrazione.
  • Evento aperto intitolato "Il dono della preghieranella chiesa parrocchiale Santísimo Cristo de la Victoria (C/ Fernando el Católico, 45). Si svolgerà dalle 17:00 alle 20:30. Registrazione.

Sabato 18 ottobre:

  • Evento aperto. Santa Messa e ritiro presso il Convento Santa Teresa di Gesù - Carmelitas Descalzas (C/ Ponzano, 79). Inizierà con la Messa delle 8:00 e proseguirà fino alle 12:30.
  • Evento aperto. "Tempo di speranza"ritiro presso la Parroquia San Fernando de Madrid (Av. de Alberto de Alcocer, 9), dalle 16:00 alle 19:00.

Domenica 19 ottobre: Giornata Agorà. "Crescere nella carità". Studio Hakuna (C. Mártires Concepcionistas, 12, Las Rozas de Madrid). Dalle 11.30 alle 19.00. Registrazione.

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Vaticano

Il Papa incoraggia gli "strumenti di riconciliazione" e il rosario per la pace

Papa Leone XIV nell'udienza di oggi ha incoraggiato la recita quotidiana del Rosario per la pace. Lo ha fatto in diverse lingue, tra cui il tamil (India). Come messaggio centrale, ha esortato le persone a essere "testimoni di pace, amore e perdono", "strumenti di riconciliazione nella vostra vita quotidiana". Ieri ha definito "realistico" il piano di Trump su Gaza.

Francisco Otamendi-1 ottobre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Nel Pubblico Papa Leone XIV ha consegnato mercoledì in Piazza San Pietro due messaggi ai fedeli e ai pellegrini in varie lingue, a cui si è aggiunto il tamil hindi. Essere strumenti di riconciliazione e di perdono nella nostra vita quotidiana e pregare il Rosario quotidiano per la pace in questo mese di ottobre.

Se in una catechesi si chiedesse qual è la missione della Chiesa, la risposta l'ha data il Papa questa mattina, in una sessione incentrata sul tema della risurrezione. "La pace sia con voi" (Gv 20,21).

Missione della Chiesa: non il potere

"Il cuore della missione della Chiesa", ha detto il Papa, "non consiste nell'amministrare il potere sugli altri, ma nel comunicare la gioia di chi è stato amato proprio quando non lo meritava. È questa la forza che ha fatto nascere e crescere la comunità cristiana: uomini e donne che hanno scoperto la bellezza di tornare alla vita per donarla agli altri.

Poi ha ricordato: "Anche noi siamo inviati. Anche il Signore ci mostra le sue ferite e ci dice: "La pace sia con voi. Non abbiate paura di mostrare le vostre ferite guarite dalla misericordia. Non abbiate paura di avvicinarvi a coloro che sono chiusi nella paura o nella colpa. Che il soffio dello Spirito renda anche noi. testimoni di questa pace e di questo amore più forte di ogni sconfitta". 

Riscoprire la gioia e la bellezza della vita 

E ancora, il consiglio per la preghiera: "Contempliamo Cristo risorto, chiediamogli di aiutarci a riscoprire la gioia e la bellezza di vivere per dare vita agli altri, e di insegnarci a essere strumenti di misericordia e di riconciliazione nel mondo, flagellato da morte e distruzione". 

Allusione alle divisioni

Nei suoi messaggi ai pellegrini in varie lingue, il Papa ha ribadito queste idee in un modo o nell'altro. "Diventiamo testimoni di pace e di amore, più forti dei nostri fallimenti e delle nostre divisioni" (francese).

"Mentre iniziamo il mese dedicato al Santo Rosario, vi invito a recitarlo quotidianamente per la pace nel nostro mondo, che la pace di Cristo risorto sia con tutti voi".

"Che possiate essere fedeli strumenti di riconciliazione nella vostra vita quotidiana e che la pace di Cristo risorto sia con tutti voi" (lingua tamil).

"Saluto i fedeli di lingua araba, in particolare quelli del Libano e della Terra Santa. Il cristiano è chiamato a testimoniare che l'amore e il perdono sono più grandi di ogni ferita e più forti di ogni ingiustizia; il Signore vi benedica tutti e vi protegga sempre da ogni male" (arabo).

Gaza: proposta "realistica

Nella tarda serata di ieri, lasciando Castel Gandolfo, alle porte di Villa Barberini, il Papa ha risposto ad alcune domande dei giornalisti. Su il piano proposta dal Presidente degli Stati Uniti Trump, con l'approvazione del Primo Ministro israeliano Netanyahu, ha dichiarato: "Speriamo che accettino, finora sembra una proposta realistica. Un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi è importante", ha detto, aggiungendo: "Speriamo che Hamas accetti entro la scadenza".

L'autoreFrancisco Otamendi

Zoom

Ottobre, mese del Rosario

Ottobre è considerato il mese dedicato a questa preghiera mariana. Papa Leone XIV ha lanciato l'iniziativa "Un milione di bambini che pregano il Rosario" e l'11 ottobre 2025 reciterà questa preghiera in San Pietro in modo speciale per la pace.

Maria José Atienza-1 ottobre 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto
Spagna

Muore d'infarto José Antonio Álvarez, vescovo ausiliare di Madrid.

Il vescovo ausiliare di Madrid è morto per un attacco di cuore all'età di 50 anni.

Redazione Omnes-1 ottobre 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto

Il vescovo ausiliare di Madrid, José Antonio Álvarezè morto nelle prime ore del 30 settembre-1° ottobre dopo un attacco di cuore. Aveva 50 anni e da poco più di un anno era vescovo ausiliare di una delle più grandi diocesi della cristianità.

Tutta la diocesi è sconvolta dalla morte di un vescovo ausiliare molto conosciuto e amato dal clero di Madrid, soprattutto per i suoi legami con il seminario maggiore diocesano.

Una vita dedicata alla diocesi di Madrid

Il sito web dell'arcidiocesi di Madrid elenca le principali tappe della vita di José Antonio Álvarez Sánchez. Questo madrileno aveva appena compiuto 50 anni ed è stato ordinato sacerdote il 18 giugno 2000.

In questi quasi 25 anni di sacerdozio, ha lavorato a lungo nell'arcidiocesi di Madrid come vicario parrocchiale di Nuestra Señora de la Fuensanta (1999-2001); cappellano universitario presso la Scuola di Architettura dell'Università Politecnica di Madrid (2000-2002); formatore presso il seminario minore e insegnante presso il collegio arcivescovile (2001-2005).

È stato anche cappellano delle Suore Oblate di Cristo Sacerdote (2003-2008), segretario personale del vescovo César A. Franco Martínez come vescovo ausiliare di Madrid (2005-2014) e formatore del seminario maggiore di Madrid (2008-2015). Dal 2015 al 2024 è stato rettore del Seminario maggiore di Madrid, incarico che ha lasciato quando è stato nominato vescovo ausiliare di Madrid il 23 aprile 2024. Ha ricevuto la consacrazione episcopale il 6 luglio 2024.

Da allora, il suo lavoro si è concentrato sulle necessità della diocesi di Madrid, che nei prossimi giorni darà l'addio al suo più giovane vescovo ausiliare, in modo solenne.

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Ottobre: il mese missionario per eccellenza

Nella nostra Chiesa spagnola, la missione occupa un posto importante e di rilievo. Speriamo di non lasciarla decadere, di non permettere che la miccia si spenga.

1 ottobre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Lo scorso giugno il Le Pontificie Opere Missionarie in Spagna abbiamo presentato il memoria delle nostre attività e dei nostri risultati per l'anno 2024. Sinceramente... possiamo farlo con gioia perché i dati sono buoni, il lavoro è spettacolare e i risultati... molto ambiziosi!

Ma non è merito di chi scrive, né di chi fa parte di questa grande famiglia che sono le Pontificie Opere Missionarie in Spagna, con le sue settanta delegazioni diocesane. O almeno non è solo merito nostro... è merito di tutti coloro che, con grande generosità, ci sostengono, ci appoggiano, ci incoraggiano, condividono il loro tempo, i loro talenti... il loro denaro!

Ho la fortuna di rappresentare, davanti alla Santa Sede, il lavoro missionario svolto dai cristiani spagnoli, o meglio, dai cristiani che vivono la nostra fede in Spagna... e tutto è congratulato e ringraziato dal capo del Dicastero per l'Evangelizzazione, il pro-prefetto cardinale Tagle. E non sono pieno di vanità, ma di gioia ed entusiasmo per il lavoro che dobbiamo fare.

Il fatto è che la Spagna, e noi che viviamo in questo bellissimo Paese, siamo molto missionari e abbiamo un grande bagaglio missionario nella nostra coscienza e nel nostro spirito. L'anno prossimo, nel 2026, celebreremo il 100° anniversario della DOMUND in tutto il mondo e, in particolare, in Spagna, il 100° anniversario della nomina del primo direttore nazionale della PMS. E credo sinceramente che questo sacerdote, Ángel Sagarmínaga, sia stato un grande apostolo delle missioni. E dopo di lui sono venuti uomini come monsignor Francisco Pérez e D. Anastasio Gil. Anastasio Gil, tutti dediti alla causa della missione.

Oggi nella nostra Chiesa spagnola la missione occupa un posto importante e di rilievo. Speriamo di non lasciarla decadere, di non permettere che la miccia si spenga. Pregate per l'attuale direttore nazionale e per coloro che verranno dopo di lui, affinché possiamo essere degni successori di coloro che hanno fatto della missione una crociata e affinché la Spagna, ancora per un anno, questo 2025, continui a essere un esempio di Chiesa missionaria per il mondo intero.

L'autoreJosé María Calderón

Direttore delle Pontificie Opere Missionarie in Spagna.

Evangelizzazione

Santa Teresa di Lisieux, carmelitana, Dottore della Chiesa, Patrona delle missioni

Il 1° ottobre la Chiesa celebra Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, meglio conosciuta come Santa Teresa di Lisieux, una delle sante più amate e Dottore della Chiesa. Teresa era la carmelitana scalza della "piccola via" dell'infanzia spirituale, quella della "fiducia", il "Piccolo Fiore".  

Francisco Otamendi-1 ottobre 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto

Therese Guérin è nata ad Alençon (Francia) nel 1873 in una famiglia profondamente cristiana. I suoi genitori, Louis Martin e Celia Guérin, sono stati canonizzati nel 2015. Dopo la morte prematura della madre, Teresa si trasferì con la famiglia a Lisieux, dove crebbe in un ardente amore per Cristo. 

Le sue quattro sorelle entrarono nel Carmelo, e anche Santa Teresa di Gesù Bambino poté entrare nell'Ordine Carmelitano all'età di 15 anni, grazie a una permesso speciale di Papa Leone XIII. 

Giunta al Carmelo di Lisieux, visse nella preghiera, nel silenzio e nella dedizione quotidiana fino alla morte, avvenuta nel 1897. Dalla sua cella scoprì la via della santità: la "piccola via" dell'amore fiducioso, fatta di semplicità, sacrifici nascosti e abbandono filiale a Dio.

"Storia di un'anima

La sua autobiografia, "Storia di un'anima", è diventata un classico spirituale. In essa insegna che la santità consiste nel vivere ogni momento con amore e confidare nella misericordia di Dio senza limiti. Morì all'età di 24 anni, offrendo la sua vita per la salvezza delle anime.

Pio XI l'ha canonizzata nel 1925 ed è la Patrona universale delle Missioni (pur non essendo mai stata una missionaria esterna). Nel 1997 San Giovanni Paolo II l'ha dichiarata Dottore della Chiesa.

Papa Francesco ha scritto in un Esortazione lavoro apostolico a lei dedicato, che la sua "piccola via" continui a illuminare il cammino della Chiesa. "Cést la confiance ("È la fiducia") è il titolo, che evoca le prime parole dell'originale francese di una frase tratta dagli scritti di Teresa. Nella sua forma completa dice: "È la fiducia e nient'altro che la fiducia che ci deve condurre all'Amore!

L'autoreFrancisco Otamendi

Famiglia

Pellegrinaggio dei tre cuori: unire le famiglie e pregare in Oklahoma

Il pellegrinaggio dei tre cuori (Gesù, Maria e Giuseppe), prevede di accogliere tremila partecipanti il 9 ottobre, per una camminata di 35 miglia e tre giorni attraverso l'Oklahoma rurale. La meta è l'Abbazia di Nostra Signora di Clear Creek, un monastero benedettino di Hulbert. L'obiettivo è riunire le famiglie e pregare per il Paese.

OSV / Omnes-1 ottobre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

- Jack Figge (OSV News).

Sei anni fa, Marcus Robinson e altri genitori organizzarono un breve pellegrinaggio per i loro figli. La cosa è piaciuta così tanto che hanno ripetuto lo stesso pellegrinaggio l'anno successivo e quello dopo ancora, invitando ogni anno sempre più persone. Quest'anno, il Pellegrinaggio dei Tre Cuori prevede di accogliere 3.000 partecipanti per camminare per tre giorni attraverso l'Oklahoma rurale fino all'Abbazia di Nostra Signora di Clear Creek a Hulbert. 

"Molti pellegrini dicono che è il momento culminante del loro anno e non vedono l'ora di tornare e partecipare", ha detto Robinson a OSV News. Ha detto che il primo anno, nell'ottobre 2020, circa 500 persone hanno risposto all'invito a unirsi a loro e a pregare per il Paese nel bel mezzo della pandemia COVID-19.

"È una di quelle cose di cui si parla per il resto della vita", ha detto.

Favorire le relazioni familiari

Chiamato così in onore del Sacro Cuore di Gesù, del Cuore Immacolato di Maria e del Sacro Cuore di San Giuseppe, il Pellegrinaggio dei Tre Cuori cerca di promuovere le relazioni familiari pregando per il Paese.

"Ci concentriamo sulla famiglia, e il pellegrinaggio serve proprio a questo", ha detto Robinson. "Camminiamo in difesa della famiglia tradizionale e della santità della vita". 

L'evento di quest'anno inizierà il 9 ottobre con un raduno presso il fiume Illinois a Tahlequah, in Oklahoma, dove i pellegrini si riuniranno in comunione, ascolteranno un discorso e si accamperanno per la notte. Il pellegrinaggio inizierà la mattina seguente, con una sosta a mezzogiorno per la messa all'aperto e il pranzo. 

Con l'adorazione eucaristica e i giovani provenienti da altri paesi

Quella sera, il 10 ottobre, il Adorazione eucaristica mentre i pellegrini si accampano all'aperto. Il pellegrinaggio continua fino a Abbazia di Clear Creek per una messa pontificale seguita da un barbecue l'11 ottobre.

"Vedere la gioia e la bellezza che emerge dai pellegrini che fanno questo insieme è la parte che preferisco di ogni anno", ha detto Robinson. "Vedo i padri che si legano ai loro figli e le madri alle loro figlie. Stanno tutti facendo qualcosa di molto difficile, ma hanno un profondo senso di spiritualità e di realizzazione".

Tradizione familiare annuale

Nel corso degli anni, Robinson ha detto di aver visto come il pellegrinaggio sia diventato una potente opportunità per i pellegrini per le famiglie si uniscono e partecipare a un'esperienza di legame significativa. 

"Nella società americana di oggi, le famiglie non fanno molte cose significative insieme", ha detto Robinson. "Durante la settimana ci perdiamo nella televisione, nei videogiochi o nello sport e spesso non ci prendiamo il tempo per connetterci con la realtà e la preghiera".

"Fare questo pellegrinaggio come famiglia li unisce e permette loro di sentirsi uniti come una famiglia", ha detto.

Il pellegrinaggio è diventato una tradizione annuale per molte famiglie: sia i bambini che i genitori non vedono l'ora di recarsi in Oklahoma per rivedere gli amici degli anni passati e camminare insieme. 

Riconnettersi con la famiglia, gli amici e la comunità

"Parte di ciò che attira tutti è vedere i volti familiari e sperimentare quel legame e quella comunità che si riunisce una volta all'anno", ha detto Robinson. "Penso che sia una grande attrattiva per le famiglie e le comunità in generale".

Famiglie e singoli viaggiano da tutto il Paese per partecipare al pellegrinaggio e anche da altri Paesi, il che dimostra l'attrattiva e il desiderio dei cattolici di partecipare ai pellegrinaggi.

"C'è un grande richiamo alla natura umana: impegnarsi nella realtà e nel sacrificio", ha detto Robinson. "Offrire qualcosa a Dio, disconnettersi dal mondo e dal caos digitale che ci circonda, riconnettersi con la famiglia, con gli amici, con la comunità, essere parte di una comunità cattolica più ampia e rendersi conto che ci sono molte persone che la pensano come noi in tutto il Paese che vogliono essere coinvolte in qualcosa del genere".

"Il futuro è nei giovani".

Robinson ha detto che spera che nei prossimi 10 anni sempre più scuole superiori e college cattolici inviino i loro gruppi in pellegrinaggio. 

"Il futuro è nei giovani", ha detto Robinson. Più partecipazione c'è da parte dei giovani adulti, meglio è". 

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Jack Figge scrive per OSV News dal Kansas.

Queste informazioni sono state pubblicate originariamente su OSV News. È possibile leggerle all'indirizzo qui.

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L'autoreOSV / Omnes

Cultura

Flannery O'Connor: «L'esperienza religiosa deve essere nella carne stessa del racconto»

La narrativa di Flannery O'Connor rivela la Grazia nei momenti più inaspettati, quando le illusioni e le certezze dei suoi personaggi vanno in frantumi.

Gerardo Ferrara-1 ottobre 2025-Tempo di lettura: 5 minuti

Dopo gli articoli su Maria Callas e Whitney Houston Non potevo non scrivere di un'altra grande donna e artista, Flannery O'Connor (1925-1964), una delle voci più originali della narrativa americana del XX secolo. La sua vita è durata solo quarant'anni, ma ha lasciato due romanzi e diversi racconti che hanno cambiato il modo di intendere il rapporto tra fede e letteratura.

Come narratore, mi ha colpito una sua frase, tipica del suo stile: "L'idea di essere uno scrittore attira molti incompiuti..." ("Il vizio di vivere. Lettere 1948-1964"). Per O'Connor, infatti, la scrittura e l'arte non sono un esercizio narcisistico, ma una missione: penetrare in un "territorio in gran parte posseduto dal diavolo" e cercare di raccontare la presenza nascosta della Grazia (salvezza, redenzione).

L’ispirazione del profondo Sud 

Flannery O’Connor nacque a Savannah, Georgia, e visse quasi tutta la sua vita nel profondo Sud rurale degli Stati Uniti, segnato da segregazione e fanatismo religioso. Si sentiva “straniera in patria” perché cattolica in un ambiente protestante. Affetta da lupus, malattia che la condusse alla morte, scrisse gran parte delle sue opere nella fattoria di famiglia, “Andalusia”, a Milledgeville.

La malattia e l’isolamento non ne minarono la lucidità; anzi, ne affinarono visione, impregnata della certezza che la Grazia non sia mai addomesticabile.

I suoi racconti, infatti, sono popolati da personaggi arroganti, razzisti, superficiali, o da fanatici religiosi. Eppure, in momenti imprevisti, nella vita di questi stessi personaggi irrompe letteralmente la Grazia: non una luce flebile dal cielo o un “Deus ex machina", ma una Grazia dura, a volte brutale, che non risparmia la sofferenza.

In “A Good Man Is Hard to Find", la nonna, bigotta e superficiale, in punto di morte prova un attimo di autentica compassione per un criminale, cui dice: “Sei uno dei miei figli”. E qui si concentra la teologia narrativa della O’Connor: la Grazia che si manifesta proprio quando crollano le illusioni.

Scrive O'Connor in una lettera del 1955 ("Il vizio di vivere"): "Credo che ciò che si chiama esperienza religiosa non sia qualcosa che si possa appendere come un'etichetta su un'opera, ma debba essere nella carne stessa della storia". 

Arte per l'arte

Si parla spesso dell'arte come di un'oscillazione tra due estremi: da un lato, la forma pura ("arte per l'arte") e, dall'altro, l'arte come strumento sociale o politico. O'Connor si colloca tra queste due concezioni. In "Il territorio del diavolo" scrive: "La narrativa non dovrebbe mai essere usata come veicolo di idee astratte". Infatti, "il compito del narratore cristiano è quello di mostrare il mistero attraverso il materiale, non di eliminare il materiale per arrivare al mistero".

Da un lato, quindi, rifiuta la riduzione della narrativa a propaganda religiosa o politica, dall’altro non accetta un’estetica priva di contenuto spirituale.

Come ho scritto in altra parte O'Connor è un testimone radicale del fatto che l'arte non può essere solo "utile", ma nemmeno confinata in una torre d'avorio. L'autenticità nasce dalla tensione tra gratuità e responsabilità. 

Per esprimere questa tensione, O'Connor sceglie uno strumento: il "grottesco". Il termine, che deriva dalle "caverne" del Domus Aurea di Nerone I dipinti, in cui sono stati ritrovati quadri raffiguranti personaggi fantastici e stravaganti, indicano ciò che è comico e inquietante allo stesso tempo e ricordano, nella letteratura italiana, lo stile di Luigi Pirandello.

Figure deformi, improvvisa violenza, scene buffe o crudeli: O’Connor nei suoi scritti fa sì che il lettore guardi la realtà senza veli, poiché la deformità e l’eccesso sono appunto vie attraverso cui, nella sua letteratura, la Grazia può manifestarsi. Oggi le chiameremmo “periferie esistenziali.

Avviene, ad esempio, ne “La saggezza nel sangue”, che il protagonista, Hazel Motes, fondi una “Chiesa di Cristo senza Cristo”, tragico tentativo di espellere il religioso dalla vita, ma la sua curiosa nemesi testimonierà l’ineluttabilità della Grazia.

La “tradizione” statunitense

Flannery O’Connor s’inserisce in una lunga scia di narratori statunitensi che scavano nel profondo della coscienza del Paese, come Faulkner e McCullers, ma se ne distingue per la visione teologica che non teme lo “scandalo” della Grazia. Il suo linguaggio duro e la sua visione radicale non “consolano” il lettore, ma gli spiattellano davanti il mistero cristiano.

Nel leggerla, mi è parso di rivedere alcuni tratti della scrittura di Raymond Carver, maestro del minimalismo. Come O’Connor, infatti, Carver non racconta eroi o personaggi straordinari, bensì persone mediocri, spesso sconfitte dalla vita, “senza apparenza né bellezza”. 

I due autori hanno poi in comune l’attenzione maniacale alla quotidianità, che si traduce in un concetto che mi è caro: gli “occhi” e la memoria, per osservare, ricordare e riportare nel racconto eventi e caratteristiche fisiche e psicologiche di persone reali. Occhi e memoria sono dunque una componente tanto necessaria per il narratore quanto il talento e il dono contemplativo.

Carver lascia i suoi protagonisti come sospesi, senza redenzione o aperture trascendenti. O’Connor, invece, mostra lo stesso squallore umano, però condito con una dose abbondante di Grazia: non una salvezza spicciola, ma la possibilità di redimersi.

Una figura più attuale che mai

Nell’odierno dibattito culturale a stelle e strisce emergono figure antitetiche tra loro e polarizzanti: “woke” da una parte, conservatori oltranzisti (evangelici ma non solo) dall’altra che utilizzano i media per affermare una visione identitaria e militante. Ciò spinge a riflettere sulla diversa visione cattolica, rispetto a quella protestante, sulla comunicazione e la presenza nella sfera pubblica.

Il Concilio Vaticano II, con “Inter mirifica” e i documenti successivi, ma anche con la “Gaudium et Spes” e le Lettera agli Artisti di Giovanni Paolo II, ha indicato ai comunicatori e agli artisti uno stile improntato sulla sobrietà, sul rispetto e sul dialogo. Certi modelli comunicativi oggi molto in voga privilegiano invece il sensazionalismo, la visibilità ad ogni costo e la ricerca di follower, con uno stile spesso aggressivo e divisivo che alimenta il fondamentalismo e la spettacolarizzazione. 

Flannery O’Connor era l’opposto: dalla sua fattoria in Georgia, rifuggiva la propaganda e metteva in guardia contro l’uso strumentale della narrativa e dell’arte per scopi sociali o politici. Il rischio, dal suo punto di vista, era la trasformazione del cristianesimo in slogan, privandolo della dimensione “scandalosa” e misteriosa della Grazia. Ed è un rischio non solo comunicativo, bensì prettamente teologico. 

Non si tratta di un'assenza di redenzione (come in Carver), ma di una redenzione palese e condizionata, troppo materialista, presentata dalla cosiddetta "teologia della prosperità": il Vangelo trasformato in uno strumento per garantire il successo e il benessere terreno, al punto da "ridurre Dio a un potere al nostro servizio, e la Chiesa a una supermercato della fede"Un "vangelo diverso" che nega lo scandalo della croce e della Grazia.

Flannery O’Connor ne rappresenta l’antitesi: i suoi personaggi non ottengono prosperità o successo, ma sono travolti, proprio nelle loro periferie esistenziali, da una Grazia che spoglia, umilia, salva in modo inatteso e impensabile.

Altro ambito in cui O’Connor incarna una visione tipicamente cattolica è quello “identitario”. A differenza dell’integralismo protestante, dove fede e politica sono legate a doppio filo, il cattolicesimo ha sviluppato nel tempo (specie grazie a Benedetto XVI) il concetto di “laicità positiva”: non religione di Stato né fede privata, ma fermento nella società (come nella Lettera a Diogneto). 

Flannery O’Connor, con la sua vita e la sua arte, non fa propaganda e rimane una figura complessa, capace, con una scrittura spesso impietosa, di mostrare senza ritegno l’esistenza e la gravità del male, ma pure lo scandalo di una Grazia in grado di fare incursione, senza ridursi a ideologia, nel “territorio del diavolo”.

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51 motivi per pregare il rosario

Perché pregare il rosario? Una preghiera semplice e potente che vince le battaglie, rafforza la fede e unisce le famiglie. Tanto che Papa Leone XIV ci invita a recitarlo per la pace in questo mese di ottobre.

1 ottobre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Leone XIV ha lanciato un appello a pregare il rosario per la pace per tutto il mese di ottobre, che inizia oggi. Già questa richiesta del Papa, nel bel mezzo dell'atmosfera di guerra che si respira nel mondo nel 2025, dovrebbe essere sufficiente per unirci all'appello, ma ci sono molte altre ragioni. 

La principale è quella della sua efficacia. Quante battaglie ha vinto il Rosario! Non solo la battaglia di Lepanto, il 7 ottobre 1571, che è proprio il giorno in cui si commemora la Madonna del Rosario e, per estensione, il mese del Rosario; ma perché chiunque si sia aggrappato ai 50 grani nei momenti di pericolo, di prova o di particolare necessità, può sicuramente contare diverse vittorie ottenute da questa semplice preghiera. Ed ecco un'altra delle sue più grandi virtù: quella della semplicità. Conosciuto anche come "salterio dei poveri", il rosario era in origine uno strumento per facilitare la preghiera degli illetterati. Mentre i monaci e le monache recitavano i 150 salmi che compongono la liturgia delle ore, la gente semplice ripeteva a memoria 50 Ave Maria per i tre gruppi di misteri (gaudiosi, dolorosi e gloriosi - quelli luminosi sono stati aggiunti solo in questo secolo), meditando sui diversi momenti della vita di Cristo e della Vergine. Il rosario può essere recitato ovunque; è economico e, se non lo si possiede, si possono usare le 10 dita come grani; ne esistono modelli per tutti i gusti e le dimensioni; è discreto se si vuole passare inosservati mentre lo si prega, ma appariscente nei momenti in cui potrebbe essere interessante metterlo in mostra; si adatta molto bene al tempo che si ha a disposizione; la struttura è facile da memorizzare e, per i più maldestri, esistono app e video su internet. Youtube per guidarci.

Accanto a queste prime dieci ragioni pratiche, troviamo anche potenti ragioni spirituali, come il fatto che il suo esercizio ci aiuta ad entrare alla presenza di Dio, ci immerge nella contemplazione della vita di Gesù; ci invita a imitare le virtù di Maria; accresce la nostra fede; ci porta alla pace dello spirito; rafforza la nostra speranza; ci accompagna nel discernimento della volontà di Dio; ci avvicina ai sacramenti; ci muove alla carità e ci spinge a camminare sulla retta via. 

Recitando il rosario adempiamo al comando del Signore di "Vegliate e pregate per non entrare in tentazione, perché lo spirito è pronto, ma la carne è debole" (Mt 26,41); anche a quello di "Pregate così..." (Mt 6,9) perché recitiamo più volte il Padre nostro; e, con la sua ripetizione quotidiana, a quello di San Paolo di "Siate costanti nella preghiera" (1 Ts 5,17). È anche un approccio alla Sacra Scrittura perché ogni mistero è un piccolo Vangelo; e ci aiuta persino a meditare su dogmi mariani come l'Assunzione.

La preghiera del rosario ha molti benefici spirituali e anche fisici. È un'arma contro le tentazioni, allontana l'influenza del male, è una difesa nei momenti di crisi spirituale, Maria promette protezione e grazie a chi lo prega e, in diverse apparizioni - come a Lourdes e a Fatima - la Madonna ce lo raccomanda per superare divisioni e discordie. Fermarsi a pregare il rosario, nel nostro mondo dove tutto è urgente, ci aiuta a superare lo stress, ci allena alla pazienza e alla perseveranza, è un rimedio contro la tristezza, unisce la famiglia che lo recita e mette in armonia la comunità, la parrocchia o il movimento che si riunisce per recitarlo.

Ma ripetere le 50 Ave Maria meditando la Parola di Dio non è un atto egoistico; al contrario, ci porta ad amare i nostri fratelli e sorelle. Pregando il rosario ricordiamo coloro che soffrono, preghiamo per coloro che non conoscono Dio, preghiamo per la conversione dei peccatori, ci uniamo spiritualmente alla Chiesa orante in cielo e in terra e ci aiuta a riconoscere le nostre colpe quando abbiamo mancato al nostro prossimo. 

Se la preghiamo con i bambini, è un'abitudine che li aiuta a crescere nella fede e dà loro fiducia, sapendo che i loro genitori si appoggiano a qualcuno ancora più grande. I più piccoli scoprono che è possibile stare tranquilli e senza schermi per un po' di tempo ogni giorno, questo dà loro cultura biblica e li fa sentire che possono partecipare, come un altro, alla preghiera comunitaria e possono persino guidare la loro preghiera.

Infine, pregare il rosario è come pregare per il paradiso, dove saremo, insieme a tutti i nostri cari e in compagnia di Gesù e Maria, alla presenza di Dio. Può essere offerto anche per le anime del purgatorio e per quei cari o amici che ci hanno chiesto di pregare per una causa specifica. Introdurre la sua preghiera nella nostra routine quotidiana ci permette un momento di contemplazione e di riposo in mezzo ai nostri impegni per concentrarci su ciò che è importante e, per me, una delle cose più gratificanti è che ti riempie di gioia e di calma interiore. 

Se a questi 50 spunti aggiungiamo, ancora una volta, il fatto che si tratta di una petizione speciale con la quale il Papa ha voluto continuare la tradizione dei suoi predecessori chiedendo l'intercessione della Vergine Maria per ottenere il dono della pace, facciamo gli imperdonabili 51 motivi per pregare il rosario, vi sembrano troppo pochi? Ave Maria Purissima!

L'autoreAntonio Moreno

Giornalista. Laurea in Scienze della Comunicazione e laurea in Scienze Religiose. Lavora nella Delegazione diocesana dei media di Malaga. I suoi numerosi "thread" su Twitter sulla fede e sulla vita quotidiana sono molto popolari.

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Evangelizzazione

Karl Rahner spiega il significato della visita al Santissimo Sacramento

Nel luglio 1966, il tedesco Karl Rahner (1904-1984), uno dei più importanti teologi del XX secolo, collaborò con la rivista Palabra (1904-1984).No. 11) pubblicare un articolo sulla "visita" al Santissimo Sacramento. Pubblichiamo l'articolo in occasione del 60° anniversario di Omnes.

Karl Rahner-1 ottobre 2025-Tempo di lettura: 12 minuti

Sarebbe necessario iniziare, nel trattare un simile argomento, con una serie di generalità sulla meditazione, il raccoglimento, il silenzio, la preghiera e la pietà privata. Possiamo solo supporre di conoscerle già. Ma è probabile che le questioni e le difficoltà sollevate in relazione alla "visita" al Santissimo Sacramento - cioè la preghiera davanti al sacramento dell'Eucaristia conservato nel tabernacolo - abbiano spesso in realtà un oggetto più generale: la preghiera contemplativa privata di una certa durata; e quanto alle obiezioni sollevate contro la "visita", non sono forse spesso una sorta di "visita" al Santissimo Sacramento? non sono forse spesso una sorta di motivazioni intellettuali addotte subito per evitare le esigenze dell'atteggiamento contemplativo? D'altra parte, conoscete molte persone che si dedicano generosamente alla meditazione e che, allo stesso tempo, incontrano difficoltà nella "visita"? In ogni caso, coloro che si dichiarano contrari alla "visita" dovrebbero essere invitati a esaminare meglio il loro atteggiamento e a chiedersi se le loro obiezioni non riflettano in realtà la reazione di un uomo che, divorato dalle sue occupazioni, cerca costantemente di sottrarsi allo sguardo di Dio, fuggendo dal raccoglimento perché incapace di sopportare questa pace di Dio che giudica e purifica. 

La "visitazione" nella tradizione della Chiesa

Chi attacca il significato della "visitazione" deve essere consapevole dell'estrema fragilità delle teorie che spesso vengono avanzate a questo proposito sulla base della storia dei dogmi e della pietà. Spesso, infatti, queste teorie commettono l'errore di dare un'interpretazione errata a fatti precisi. Non devono quindi essere invocate per respingere la dottrina del Concilio di Trento o semplicemente per disattenderla nella pratica. 

1. La dottrina del Concilio di Trento 

Secondo questo Concilio, è una vera e propria eresia, un'eresia dichiarata, negare, in teoria o in pratica, il dovere di circondare Gesù Cristo, nel Sacramento dell'altare, con un culto di adorazione che abbia una forma esterna; o negare la legittimità di una festa speciale in onore di Gesù Sacramentato, delle processioni eucaristiche, delle "esposizioni", della santa riserva (cfr. Denz, 878, 888, 889). della santa riserva (cfr. Denz, 878, 879, 888, 889). Questi testi dogmatici lasciano ovviamente molte domande senza risposta: qual è il significato intrinseco di tutte queste cose, come si deve integrare questo culto eucaristico e la pratica della Santa Riserva nell'insieme della vita cristiana e dell'azione liturgica? È chiaro che nel corso della storia della Chiesa ci sono stati momenti ed espressioni di pietà cristiana che, come è stato detto con pungente umorismo, hanno dato l'impressione che la Messa del mattino servisse solo a consacrare l'ostia destinata all'esposizione serale del Santissimo Sacramento. Da parte sua, la Chiesa ufficiale non è intervenuta con sufficiente energia, dando luogo a vere e proprie distorsioni in senso eucaristico. Ma questo non tocca il cuore della questione. 

2. Una tradizione secolare 

Il motivo principale della santa riserva è la comunione dei malati. La definizione del Concilio di Trento, così come una prassi più volte ripetuta, secolare, unanime, feconda e partecipata dai santi più illuminati, non lascia dubbi sul valore specifico e globale della devozione al Santo Sacramento al di fuori (se così si può dire) del Sacrificio, sia che si tratti di esercizi di pietà personale sia che si tratti di alcune forme pubbliche e comuni, come le "visite" e le "esposizioni". Questi esercizi sono la manifestazione di una fede autenticamente cristiana. Dicendo questo, non pretendiamo di essere i sostenitori di alcuna iniziativa in questo campo: né dell'esposizione del Santissimo Sacramento durante la Messa, né del gusto delle esposizioni "per il piacere di vedere l'ostia", che porta alla moltiplicazione indiscreta di questa pratica, ecc. 

3. L'ideale del ritorno all'antichità 

Vorrei anche sottolineare la vanità di un argomento spesso avanzato contro la devozione eucaristica fuori dalla Messa: il fatto che tale devozione non è sempre esistita nella Chiesa.

Ciò significherebbe impoverire in modo significativo il patrimonio della pietà cattolica, cedere a un falso romanticismo tornando costantemente alla pratica della Chiesa delle prime epoche e negando il carattere evolutivo della pietà nel corso della storia. Perché il cristianesimo si sviluppa nella storia. E una pratica millenaria che non ha al suo attivo la storia dei primi mille anni ha comunque il suo perfetto diritto di cittadinanza nella Chiesa. Se si vuole porre la pratica dei primi secoli come regola assoluta di pietà, allora si sia logici e la si applichi a ogni sorta di cose: al digiuno, alla stima universale di cui era circondata la verginità fino al disprezzo del matrimonio, alla lunghezza (che oggi consideriamo eccessiva) degli Uffici, al pesante apparato delle pratiche di vita monastica, e così via. Ma i criteri dell'autenticità cristiana non vanno cercati altrove, bensì nello Spirito della Chiesa, della Chiesa di tutti i tempi, in un'umile riflessione sulle strutture fondamentali della realtà cristiana.

La caratteristica di queste strutture è che sono sempre presenti e che la Chiesa è lì a testimoniarle. Ciò non significa che le conseguenze a cui queste strutture fondamentali conducono non abbiano esse stesse una storia e che sul piano teorico, così come su quello pratico, raggiungano in tutte le epoche lo stesso grado di esplicitazione; il che non impedisce che esse costituiscano un aspetto essenziale dell'esistenza della Chiesa dal momento in cui queste conseguenze emergono chiaramente nella coscienza della Chiesa. È dimostrare una notevole mancanza di senso storico (come se si potesse tornare indietro nel corso della storia!) affermare, in nome di una certa "purezza", che le realtà ecclesiali ritornano alle loro forme primitive quando hanno raggiunto un certo grado di sviluppo. Bisogna piuttosto dire che nella Chiesa, come nella vita dell'individuo, c'è un divenire e che questo divenire gode di un diritto di possesso. E questo non vale solo per le verità di natura teorica.

Se si concorda su questi principi generali di apprezzamento per quanto riguarda lo sviluppo e l'uso delle "cose della Chiesa", e se si tiene conto del carattere universale, potente, duraturo e chiaramente manifesto delle approvazioni e dei pressanti incoraggiamenti che la pietà eucaristica non ufficiale ha ricevuto dalla Chiesa, del rifiuto di quest'ultima di abbandonare la pratica della Santa Riserva, della dottrina che la Chiesa professa sul carattere latreutico della devozione al Santo Sacramento, ecc, il rifiuto di questi ultimi di abbandonare la pratica della Santa Riserva, la dottrina che la Chiesa professa sul carattere latreutico della devozione al Santo Sacramento, ecc; Questo non vuol dire che non possa subire alcune vicissitudini in futuro. In questo senso, l'enciclica Mediator Dei, non contenta di raccomandare l'adorazione dell'Eucaristia, è promotrice di "pie e quotidiane visite al Tabernacolo". Anche il diritto canonico raccomanda la "visita al Santissimo Sacramento" (can. 125,2; can. 1.273) e vuole che la "visita" faccia parte dell'istruzione religiosa impartita a tutti i fedeli (cfr. anche i canoni 1.265-1.275, che trattano della prenotazione e del culto della Santa Eucaristia: per molte chiese è addirittura un dovere conservare il Santissimo Sacramento).

Legittimità della "visita

Ma veniamo ora agli argomenti intrinseci: qual è il significato e quale dovrebbe essere il contenuto delle "visite"? Ci sembra che non si debba, come di solito si è fatto, collegarle esclusivamente alla presenza reale di Cristo e all'adorazione che merita in quanto tale. Ci si può infatti chiedere se questo fondamento tradizionale, di per sé giusto, ma un po' formale, sia psicologicamente abbastanza forte da eliminare le resistenze che oggi si oppongono alla pratica in questione. È necessario sviluppare le implicazioni reali. 

1. Un'obiezione: L'Eucaristia è essenzialmente cibo 

Questa è la difficoltà fondamentale che viene addotta in nome della teologia. È vero che Cristo è realmente presente nel Santissimo Sacramento. Ma perché questa presenza, per il piacere di essere in mezzo a noi, di essere adorato e onorato per questa presenza, di sedere su un trono e di concedere udienze? Sia che si risponda affermativamente sia che, come indica la teologia dogmatica, ci si accontenti di dire che c'è solo una motivazione valida tra le altre, è meglio rivolgersi innanzitutto all'insegnamento del Concilio di Trento (Denzinger 878): il sacramento dell'Eucaristia è stato istituito da Cristo, ci viene detto, "ut sumatur" (per essere preso come cibo). La struttura fondamentale dell'Eucaristia consiste nel suo carattere di cibo, nella sua relazione con l'uso che se ne vuole fare. Questa è la verità di fondo di tutta la nostra riflessione.

Non dimentichiamolo. Non creiamo quindi, con la nostra pratica eucaristica o la nostra "sensibilità" eucaristica, un ostacolo privo di qualsiasi fondamento tra noi e i protestanti (che partono sempre da questa verità nella loro teoria e pratica della Cena). Per il teologo, l'alfa e l'omega di tutta la teologia dogmatica è la parola del Vangelo: "Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo", e non una proposizione di questo tipo: "Cristo è qui presente". Betz ha quindi ragione nell'affermare che la divisione tripartita del trattato sull'Eucaristia, che inizia con la questione della presenza reale e solo successivamente affronta il tema della comunione e del sacrificio, crea un disagio e costituisce una sfocatura.

La riflessione teologica volta a chiarire il problema della "visitazione" deve basarsi anche sul principio fondamentale enunciato dal Concilio di Trento: "L'Eucaristia è stata istituita per essere presa come cibo" (Denzinger, 878). Questo principio implica certamente la presenza reale di Cristo, perché il cibo offerto non è altro che il suo Corpo e il suo Sangue. Ma va oltre questa semplice affermazione, perché presenta il dono che ci viene fatto come destinato a essere assunto come cibo. Deve quindi essere usato qui con tutta l'ampiezza del suo contenuto.

Stando così le cose, si vedrà subito da cosa nasce l'obiezione. È evidente, si dirà, che Cristo merita il culto quando "si serve di lui", perché è presente quando si dona a noi come cibo di vita eterna. Ma come giustificare, a partire da questo principio fondamentale, un culto al di fuori di tale presenza, un culto che non si confonde con l'adorazione del Signore necessariamente concomitante alla ricezione del suo Corpo, un culto che si pone al di fuori di tale ricezione e indipendentemente da essa? Questa è la posizione dei protestanti: essi sono riluttanti a fare un uso formale della logica e non si ritengono autorizzati dalla Scrittura a estendere il culto eucaristico fino a questo punto.

Sottolineiamo che il Concilio di Trento giustifica la Santa Riserva con la necessità di poter dare la comunione ai malati. Non invoca nessun altro motivo, e su questo punto riprende i dati della storia: è infatti la necessità (o la legittimità) di ricevere la comunione al di fuori della Messa che ha motivato in primo luogo la Santa Riserva, e non il bisogno di avere vicino Gesù, "il dolce solitario del Tabernacolo". Il Concilio considera quindi la Santa Riserva essenzialmente connessa con la ricezione del sacramento e, così facendo, spiega la pratica della Santa Riserva sulla base del principio fondamentale sopra menzionato (Denzinger, 879, 889). 

2. Risposta scritturale 

Qui ci affidiamo esclusivamente alla Bibbia, ai dati biblici più originali.

Cominciamo col dire che un'esegesi rigorosa vede nel Corpo e nel Sangue l'intera Persona del Signore. Il Corpo e il Sangue designano qui la Persona di Gesù incarnata, il suo "io" nella sua costituzione fisica, questo essere vivente che si è "legato" al sangue per svolgere il suo ruolo di servo di Dio stabilendo la Nuova Alleanza nel suo Sangue. È quindi Lui stesso che si dà come cibo. Ma allora, nel linguaggio del Nuovo Testamento, non si tratta solo del Corpo e del Sangue di Gesù nel senso che il linguaggio moderno attribuisce a queste parole (anche se la speculazione teologica e la nozione di "concomitanza" (Denzinger, 876) permettono di estendere legittimamente il significato delle parole concrete di Gesù e di designare con esse la presenza di tutta la sua Persona nel sacramento). La verità è ben diversa. Ciò che Cristo ci dà, se ci si attiene alle sue parole esplicite interpretate direttamente secondo il significato che hanno nella lingua aramaica, è se stesso: non vediamo, inoltre, che San Giovanni (6,57) usa il pronome personale di prima persona al posto di carne e sangue? È dunque tutto Lui che ci viene veramente dato in cibo. Anche in questo caso, l'adorazione è pienamente legittima, perché è a Lui che ci si rivolge, e non a un cibo che sarebbe composto da "elementi". Gli antichi cristiani potevano avere un atteggiamento "cosista" nei confronti dell'Eucaristia. Ma tale atteggiamento non poteva assolutamente essere presentato come l'interpretazione esatta ed esaustiva dei dati biblici. Al contrario, il sentimento del Medioevo di trovare nell'Eucaristia la Persona incarnata di Gesù è del tutto nello spirito della Bibbia. Per questo è del tutto legittimo invocare la Sacra Scrittura per legittimare tutti gli atti con cui si vuole testimoniare la considerazione dovuta alla propria natura; e qui si tratta della Persona di Gesù! 

Facciamo ora un passo avanti. Il linguaggio della Scrittura è tanto chiaro quanto semplice: se il Signore, con la sua realtà corporea e la sua potenza creatrice della salvezza e della Nuova Alleanza, è lì come cibo, è lì come cibo "offerto per il nostro uso", e non come cibo già preso. Una frase come questa: "Cristo è lì come cibo" non può significare, nel linguaggio della Bibbia, che egli sarebbe presente nel momento in cui viene preso come cibo, ma piuttosto presente per essere preso come cibo. L'uso del sacramento presuppone il realismo del suo contenuto; quest'ultimo non è la conseguenza del primo: su questo punto i luterani sono d'accordo con i cattolici, i riformati protestanti contro.

Se si comprende questo, non ci sono difficoltà insuperabili ad ammettere la seguente proposizione: mentre il cibo è lì per essere preso, il Signore è lì per essere ricevuto da noi; e mentre è lì, come non potremmo e dovremmo venire a Lui come al Signore che si è dato per noi e che vuole darsi a noi?

È necessario dire qui senza timore che il cristianesimo, fin dai primi tempi, ha sviluppato pacificamente l'idea che il cibo sacramentale, come i pasti ordinari, non perde il suo carattere di cibo per il fatto che l'intervallo di tempo che separa le parole di consacrazione dal momento in cui deve essere ricevuto si allunga. Non lo vediamo forse nella Messa stessa? Anche nella Messa, infatti, intercorre un certo lasso di tempo tra la consacrazione delle specie eucaristiche e la loro ricezione. La stessa cosa avvenne nella Cena, tra il momento in cui Gesù pronunciò le sacre parole presentando il pane e il vino ai suoi apostoli e il momento in cui essi aprirono la bocca per riceverlo. Mentre, nell'opinione comune degli uomini, il pane rimane pane, cioè qualcosa fatto per essere mangiato (abbiamo a che fare con un concetto essenzialmente umano e non con un mero oggetto chimico), lì è presente Cristo, Cristo che si offre come cibo, con tutto ciò che questo implica come atteggiamento corrispondente da parte dell'uomo chiamato a riceverlo. È questo che legittima il culto di adorazione dell'Eucaristia.

Ma è altrettanto vero il contrario: l'adorazione di Cristo nell'Eucaristia raggiunge pienamente l'oggetto del culto solo quando il Signore è lì adorato come colui che si offre a noi in cibo, come il "servo di Dio" che ha preso un corpo ed è lì presente corporalmente, che ha fondato nel suo Sangue la nuova ed eterna Alleanza e che vuole, donandoci questo pane in cibo, donarsi a noi e donarci, perché diventi nostra, la salvezza che è lui stesso, con tutto il suo peso di realtà e il suo carattere definitivo. Intesa in questo modo, la presenza di Cristo, ovunque si realizzi, è, sotto le specie sensibili, la presenza stessa della nostra salvezza: una presenza che richiama l'atto sacrificale e sacramentale a cui deve la sua origine, una presenza che prelude alla ricezione dell'Eucaristia, quell'atto con cui questa salvezza diventerà pienamente e sacramentalmente il nostro bene.

È superfluo, a nostro avviso, sollevare la questione di quale ospite io adori qui o là. La teologia non c'entra nulla. L'essenziale è che Cristo è lì e che sono stato invitato a riceverlo ogni volta che apro la bocca per prendere un'ostia consacrata, qualunque essa sia.

3. Due aspetti del Santo Sacramento

Si arriva così a determinare, insieme al suo contenuto, l'esatto significato della "visita". La "visitazione" - anch'essa - pone l'uomo alla presenza del segno oggettivo e sacramentale della morte offerta da Gesù in sacrificio per la nostra salvezza; è la continuazione della Messa a livello interiore e personale e "impegna", per così dire, la comunione prossima. È necessario, quindi, dire della "visitazione" tutto ciò che si dovrebbe dire del ringraziamento e tutto ciò che è, nel senso proprio del termine, preparazione alla comunione. Entrambe le pratiche sono, infatti, perfettamente legittime, perché ci troviamo davanti al segno oggettivo di ciò che è contemporaneamente il fondamento della nostra salvezza e il mezzo per appropriarcene: davanti al Corpo e al Sangue del Signore, davanti al Signore presente con la realtà concreta del suo Corpo che vuole donarci come cibo sacrificale in un modo che è proprio di ciascuno di noi.

Il Signore "conservato" nelle specie sacramentali lo è a doppio titolo: come il Signore che si è offerto in sacrificio nella Santa Messa e come il Signore che vuole darsi a noi come cibo. È in questa stessa prospettiva che deve essere concepita l'adorazione del Santissimo Sacramento così "conservato"; altrimenti perderebbe il suo significato agli occhi dell'uomo, sarebbe come uno strano sostituto dell'adorazione dovuta a Dio per la sua presenza universale, non sarebbe altro che un modo, il cui significato rimane incerto, di attualizzare la nostra unione soprannaturale con Cristo, che peraltro è sempre e ovunque possibile. Infatti, se Dio ci ha dato la presenza eucaristica e ci ha garantito la sua importanza, se questa presenza non è un inutile doppione della presenza universale e della nostra unione con Cristo, è perché ci dà il Signore nella misura in cui si offre nel sacrificio della croce e che, nella Messa (e nel cibo che abbiamo di conseguenza), si rende presente come tale e come tale si offre per diventare il nostro nutrimento.

4. L'Eucaristia, segno sacramentale dell'unione della Chiesa

Potremmo anche ricordare, quando ci troviamo davanti al Santissimo Sacramento, che esso rappresenta anche il segno sacramentale dell'unità della Chiesa. Come dice il Concilio di Trento, è "simbolo dell'unità e della carità con cui Cristo ha voluto che tutti i suoi fedeli fossero uniti tra loro" (Denz. 873a); è il "simbolo di questo unico Corpo di cui egli stesso è il capo" (Denz. 875).

Nella visita al Santissimo Sacramento, dunque, siamo davanti a Cristo come unità della Chiesa, al mistero stesso della Chiesa, alla manifestazione più santa di questa Chiesa che è, sotto il suo aspetto visibile, la forma storica e sensibile della salvezza che Dio opera in noi. Si può così comprendere fino a che punto la più personale "devozione al Tabernacolo", lungi dall'essere il segno di un individualismo religioso, costituisca, se si adotta un'espressione adeguata, un mezzo per manifestare l'appartenenza alla Chiesa e il conseguente senso di responsabilità, nonché l'occasione per pregare per la Chiesa. È qui che si potrebbe parlare, in un senso molto autentico e molto profondo, di apostolato della preghiera....

L'autoreKarl Rahner

Sacerdote e teologo gesuita tedesco (1904-1984), considerato uno dei più influenti del XX secolo.

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America Latina

María Inés Castellaro (CLAR): "Il nostro obiettivo è tornare a una vita significativa basata sull'essenziale".

María Inés Castellaro è una suora argentina che ricopre una posizione di leadership nella Confederazione latinoamericana dei religiosi (CLAR). Da qui promuove la riflessione e l'azione delle comunità religiose su questioni sociali, educative e spirituali in America Latina e nei Caraibi.

Javier García Herrería-1 ottobre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Nel maggio 2025, suor María Inés Castellaro, delle Suore della Vergine Bambina (HVN), è stata eletta segretaria generale della Confederazione Latinoamericana dei Religiosi (CLAR) durante la XXII Assemblea Generale tenutasi a Quito, in Ecuador. La sua missione: rafforzare la vita consacrata in America Latina e nei Caraibi in un contesto caratterizzato da molteplici sfide sociali ed ecclesiali. Abbiamo parlato con lei delle priorità della CLAR in questo nuovo triennio e delle sfide che la vita religiosa deve affrontare nella regione.

Suor María Inés, quali sono le priorità di CLAR per questo triennio?

-Abbiamo affrontato questo triennio ispirandoci alla scena biblica dell'incontro di Nicodemo con Gesù, perché è una chiamata alla trasformazione. Si tratta di "nascere di nuovo": tornare al nostro primo amore con Cristo, ritrovare la nostra vocazione per riapprezzare i nostri fratelli e sorelle.

Da qui vogliamo rinnovare i legami, le comunità e le strutture che oggi a volte dicono poco. Si tratta anche di riconoscere e abbracciare le nostre fragilità e vulnerabilità come spazio in cui lo Spirito può aprire una nuova alba per la vita consacrata.

E quali sono le particolarità della vita religiosa in America Latina rispetto ad altre regioni?

-Direi che qui c'è una grande forza intorno alle famiglie carismatiche, cioè ai laici che, senza sostituirci, condividono la nostra spiritualità e il nostro carisma. La missione non è quella di supplire all'assenza dei religiosi, ma di accompagnare i laici nel cammino di scoperta della ricchezza della loro vocazione battesimale.

In America Latina abbiamo camminato insieme per molti anni e continuiamo a farlo oggi, segnati dall'Assemblea Ecclesiale, dalla Conferenza Ecclesiale dell'Amazzonia (CEAMA) e dalle relazioni con il CELAM (Consiglio Episcopale Latinoamericano e dei Caraibi) e altre istituzioni.

Concretamente, che ruolo hanno le donne nella vita religiosa latinoamericana?

-In molte comunità sono le donne a sostenere il ministero della parola, il servizio, l'ascolto, a volte percorrendo lunghe distanze, navigando fiumi, raggiungendo luoghi dove nessun altro arriva. La sfida è continuare a dare uno spazio reale a quella voce e a quella presenza femminile, che è già protagonista in molte realtà ecclesiali.

La regione deve affrontare disuguaglianze, violenze e, in alcuni luoghi, l'assedio della Chiesa. Qual è l'impatto sulla vita religiosa?

-La vita consacrata è chiamata a stare nelle periferie, ai margini, dove si subiscono situazioni difficili, persino persecuzioni. I martiri di alcune regioni ci ricordano che siamo chiamati a dare una testimonianza radicale, ad annunciare, denunciare e rinunciare a ciò che non è evangelico in contesti ostili. Il nostro posto è sempre al fianco dei più poveri e vulnerabili, accompagnando e cercando percorsi di riconciliazione e giustizia.

Che ruolo ha la vita religiosa nell'immigrazione?

-Siamo al fianco dei migranti, accompagnandoli nel loro dolore e aiutandoli a rinascere in nuove terre. Vogliamo che siano riconosciuti nella loro dignità, soprattutto sul lavoro, dove spesso sono sfruttati. In questo campo lavoriamo in reti intercongregazionali: la missione si fa unendo le forze.

Sono particolarmente colpito dal lavoro in rete che la CLAR sta facendo: con la Rete ecclesiale pan-amazzonica, con la Conferenza ecclesiale dell'Amazzonia, con le reti contro il traffico di esseri umani, con le iniziative intercongregazionali. Non siamo una confederazione chiusa in se stessa, ma parte di un tessuto vivo della Chiesa che cerca di trasformarsi e di camminare nella sinodalità. Questa collaborazione è un segno di speranza per il futuro.

Le vocazioni sono in calo, come vede CLAR questo quadro?

-Non lo vediamo solo in termini numerici. Ciò che conta è la testimonianza e la qualità della vita fraterna, dei legami intessuti nelle comunità. Certo, siamo meno numerosi e stiamo invecchiando come comunità, ma il Signore continua a chiamarci. Dobbiamo andare incontro ai giovani dove sono, aprire le nostre case e accompagnarli nella loro ricerca. È anche qui che entra in gioco la ricchezza delle famiglie carismatiche: laici che condividono la nostra spiritualità e la nostra missione.

I giovani sono assetati di significato, ma spesso non trovano uno spazio accogliente nella Chiesa. Dobbiamo rinnovare le nostre strutture comunitarie per renderle più fraterne, aperte e ospitali.

Una vita consacrata che offra casa e comunità può essere molto significativa per loro e renderla realtà è la nostra sfida. Siamo tutti chiamati a "nascere di nuovo", a intraprendere percorsi di rinnovamento, trasformazione e cambiamento. A superare le paure, a disimparare modi vecchi e antievangelici e ad aprirci alla novità di ciò che genera vita, autenticità, speranza, gioia, con la certezza che la "Ruah" divina ci spinge su questi sentieri.

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Gli insegnamenti del Papa

La Pasqua di Gesù, viva di speranza

Nell'ambito della catechesi che si sta svolgendo durante l'Anno Giubilare 2025, il cui titolo è Gesù Cristo, la nostra speranza, Leone XIV ha dedicato le ultime settimane alla Pasqua di Gesù. Vale a dire, agli eventi che si sono svolti intorno alla sua passione, morte e risurrezione.

Ramiro Pellitero-1 ottobre 2025-Tempo di lettura: 7 minuti

Quale posto occupa nella nostra vita la donazione di Gesù per noi? La consideriamo un evento del passato, estraneo al nostro presente e al nostro futuro? La fede cristiana ci assicura che è qualcosa di centrale, pieno di implicazioni per la nostra vita personale, sociale ed ecclesiale. 

Preparazione all'incontro con Dio e con gli altri

Il primo di questi mercoledì (cfr. Pubblico generale, 6-VIII-2025)il Papa si è soffermato sulla parola prepararsi. "Dove volete che andiamo a preparare il vostro pranzo di Pasqua?" (Mc 14, 12). Infatti, tutto è stato preparato in anticipo da Gesù: "..." (Mc 14, 12).La Pasqua, che i discepoli devono preparare, è in realtà già preparata nel cuore di Gesù.". 

Allo stesso tempo, invita i suoi amici a fare la loro parte: "Dobbiamo fare la nostra parte.La grazia non elimina la nostra libertà, ma la risveglia. Il dono di Dio non elimina la nostra responsabilità, ma la rende feconda.".

Anche noi, quindi, dobbiamo preparare questo pasto. Non si tratta solo, avverte il successore di Pietro, della liturgia o dell'Eucaristia (che significa "ringraziamento"), ma anche dell'"Eucaristia".la nostra disponibilità a entrare in un gesto che è al di là di noi". 

"L'Eucaristia -Osserva Leone XIV non si celebra solo sull'altare, ma anche nella vita di tutti i giorni, dove è possibile vivere tutto come offerta e ringraziamento.". 

Da qui la domanda: "Possiamo allora chiederci: quali spazi della mia vita devo risistemare perché siano pronti ad accogliere il Signore? Cosa significa per me oggi "preparare"??".

Alcuni suggerimenti: "Forse rinunciare a una finzione, smettere di aspettare che l'altro cambi, fare il primo passo. Forse ascoltare di più, agire di meno o imparare a fidarsi di ciò che è già in atto.".

Riconoscere la nostra vulnerabilità

Nel mezzo della cena più intima di Gesù con i suoi, si rivela anche il più grande tradimento: "La cena più intima con i suoi".In verità vi dico che uno di voi mi tradirà: colui che mangia con me." (Mc 14, 18). "Sono parole forti. Gesù non le dice per condannare, ma per mostrare che l'amore, quando è vero, non può fare a meno della verità.". 

Sorprendentemente, Gesù non alza la voce o il dito per accusare il traditore. Lascia che ognuno si interroghi da solo:"Cominciarono a rattristarsi e gli chiesero uno dopo l'altro: 'Sono io? (Mc 14,19). Mercoledì 13 agosto, il Papa si è soffermato su questa questione, perché, ha sottolineato, "... le parole del Papa non sono solo una questione di Chiesa, ma anche di mondo.è forse una delle domande più sincerepossiamo fare a noi stessi". Ed ecco perché: "Il Vangelo non ci insegna a negare il male, ma a riconoscerlo come una dolorosa occasione di rinascita.".

Ciò che segue può sembrare una minaccia:"Guai a quell'uomo dal quale il Figlio dell'uomo sarà tradito; sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!". (Mc 14,21). Ma è piuttosto un grido di dolore, di sincera e profonda compassione. Perché Dio sa che, se rinneghiamo il suo amore, saremo infedeli a noi stessi, perderemo il senso della nostra vita e ci escluderemo dalla salvezza. Invece, "se riconosciamo il nostro limite, se ci lasciamo toccare dal dolore di Cristo, allora possiamo finalmente rinascere.". 

L'amore che non si arrende e perdona

Durante l'ultima cena, Gesù offre il boccone a colui che sta per tradirlo. "Non è solo un gesto di condivisione, è molto di più: è l'ultimo tentativo dell'amore di non arrendersi."Gesù continua ad amare: lava i piedi, bagna il pane e lo offre anche a colui che lo tradirà.

Il perdono che Gesù offre - sottolinea il Vescovo di Roma - si rivela qui in tutta la sua forza e manifesta il volto della speranza: "... il perdono che Gesù offre è il volto della speranza...".Non è dimenticanza, non è debolezza. È la capacità di lasciare libero l'altro, amandolo fino alla fine. L'amore di Gesù non nega la verità del dolore, ma non permette al male di avere l'ultima parola.". 

Il Papa insiste: "Perdonare non significa negare il male, ma impedire che esso generi altro male. Non significa dire che non è successo nulla, ma fare tutto il possibile affinché non sia il risentimento a decidere il futuro.".

E si rivolge a noi: "Anche noi viviamo notti dolorose ed estenuanti. Notti dell'anima, notti di delusione, notti in cui qualcuno ci ha ferito o tradito. In questi momenti, la tentazione è quella di chiudersi, di proteggersi, di reagire. Ma il Signore ci mostra che c'è speranza, che c'è sempre un'altra strada. (...) Oggi chiediamo la grazia di saper perdonare, anche quando non ci sentiamo compresi, anche quando ci sentiamo abbandonati.". In questo modo ci apriamo a un amore più grande. 

Arrendersi per amore

Poi Gesù affronta coraggiosamente e liberamente il suo arresto nell'Orto degli Ulivi: "Chi state cercando?" (Gv 18,4). Il suo amore è pieno e maturo, non teme il rifiuto, ma si lascia catturare. "Non è vittima di un arresto, ma autore di un dono. In questo gesto si incarna una speranza di salvezza per la nostra umanità: sapere che, anche nell'ora più buia, si può rimanere liberi di amare fino alla fine." (Udienza generale del 27-VIII-2025).

Il sacrificio di Gesù è un vero atto d'amore: "Il sacrificio di Gesù è un vero atto d'amore.Gesù si lascia catturare e imprigionare dalle guardie solo per liberare i suoi discepoli."Egli sa bene che perdere la vita per amore non è un fallimento, ma porta con sé una misteriosa fecondità (cfr. Gv 12,24).

Ecco cosa ci insegna. "È in questo che consiste la vera speranza: non nel cercare di evitare il dolore, ma nel credere che, anche nel cuore della sofferenza più ingiusta, c'è il seme di una nuova vita.".

Imparare a ricevere

La catechesi del Papa sulle parole di Gesù alla sua crocifissione è stata particolarmente forte: "Ho sete" (Gv 19,28), appena prima di questi altri: "Ogni cosa è compiuta" (19,30).

"La sete del Crocifisso -Osserva Leone XIV- non è solo il bisogno fisiologico di un corpo distrutto. È anche, e soprattutto, l'espressione di un desiderio profondo: di amore, di relazione, di comunione". (Udienza generale, 3-IX-2025).

Da qui un insegnamento sorprendente: "L'amore, per essere vero, deve imparare anche a chiedere e non solo a dare. Ho sete", dice Gesù, e in questo modo manifesta la sua umanità e anche la nostra. Nessuno di noi può bastare a se stesso. Nessuno può salvarsi da solo. La vita è "compiuta" non quando siamo forti, ma quando impariamo a ricevere.". Ed è allora, proprio quando tutto è compiuto. "L'amore è diventato bisognoso, e proprio per questo ha compiuto la sua opera.".

È questo, sottolinea il Vescovo di Roma, il paradosso cristiano: ".Dio salva non facendo, ma lasciandosi fare. Non vincendo il male con la forza, ma accettando la debolezza dell'amore fino in fondo.". 

Dalla croce, Gesù insegna che ognuno di noi non si realizza nel potere, ma nell'apertura fiduciosa agli altri, anche se nemici. "La salvezza non sta nell'autonomia, ma nel riconoscere umilmente il proprio bisogno e nel saperlo esprimere liberamente.".

Attenzione, sembra dire Leone XIV, anche per gli educatori e i formatori perché questo "sentire e riconoscere il nostro bisogno". non può essere imposto, ma deve essere scoperto liberamente ogni persona (si può essere aiutati dolcemente a scoprirlo), come via di liberazione da se stessi verso Dio e gli altri. "Siamo creature fatte per dare e ricevere amore".

Il grido di speranza 

Degno di nota è il fatto che Gesù non muore in silenzio. "Non si spegne lentamente, come una luce che si affievolisce, ma lascia la vita con un grido: "Gesù, con un forte grido, esalò l'ultimo respiro". (Mc 15, 37). Questo grido contiene tutto: dolore, abbandono, fede, offerta. Non è solo la voce di un corpo che si arrende, ma l'ultimo segno di una vita che si abbandona a Dio." (Audizione generale, 10-IX-2025).

Il suo grido è preceduto da queste parole: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".Sono tratte dal Salmo 22 ed esprimono il silenzio, l'assenza e l'abisso vissuti dal Signore. "Non si tratta di -dice Leone XIV di una crisi di fede, ma dell'ultima tappa di un amore che si dona fino in fondo. Il grido di Gesù non è disperazione, ma sincerità, verità spinta al limite, fiducia che resiste anche quando tutto tace.".

In questo anno giubilare, il grido di Gesù ci parla di speranza, non di rassegnazione. "Si grida quando si pensa che qualcuno possa ancora sentirci. Non si grida per disperazione, ma per desiderio.". In particolare: "Gesù non ha gridato "contro" il Padre, ma "verso" di Lui. Anche nel silenzio, era convinto che il Padre fosse lì. E così ci ha mostrato che la nostra speranza può gridare, anche quando tutto sembra perduto.".

Gridiamo quando nasciamo (arriviamo piangendo), quando soffriamo e anche quando amiamo, quando chiamiamo e invochiamo: "...".Gridare significa dire che ci siamo, che non vogliamo svanire nel silenzio, che abbiamo ancora qualcosa da offrire.".

E questo è l'insegnamento del grido di Gesù per il cammino della vita, piuttosto che tenere tutto dentro e deperire lentamente (o cadere nello scetticismo o nel cinismo).

La saggezza dell'attesa 

Segue il silenzio di Gesù nel sepolcro (cfr. Gv 19,40-41): "Un silenzio gravido di significato, come il grembo di una madre che custodisce il suo bambino non ancora nato ma già vivo".(Pubblico generale17-IX-2025). 

È stato sepolto in un giardino, in una tomba nuova. Come era accaduto all'inizio del mondo, nel paradiso: Dio aveva piantato un giardino, ora la porta di questo nuovo giardino è la tomba chiusa di Gesù. 

Dio aveva "riposato".dice nel libro della Genesi (2, 2), dopo la creazione. Non perché fosse stanco, ma perché aveva terminato la sua opera. Ora l'amore di Dio si è mostrato di nuovo, compiuto "fino alla fine". 

Gesù riposa finalmente

È difficile riposare. Ma "sapersi fermare è un gesto di fiducia che dobbiamo imparare a compiere.". Dobbiamo scoprire che "la vita non dipende sempre da ciò che facciamo, ma anche da come sappiamo rinunciare a ciò che avremmo potuto fare.".

Gesù è silenzioso nel sepolcro, come il seme che attende l'alba. "Qualsiasi momento di pausa può diventare un momento di grazia, se lo offriamo a Dio.".

Gesù, sepolto nella terra: "È la Dio che ci lascia fare, che aspetta, che si ritira per lasciarci la libertà. È il Dio che si fida, anche quando tutto sembra finito.". 

Dobbiamo imparare a lasciarci abbracciare dal limite: "... dobbiamo imparare a lasciarci abbracciare dal limite...".A volte cerchiamo risposte rapide, soluzioni immediate. Ma Dio lavora in profondità, nel tempo lento della fiducia.". 

E tutto questo ci parla ancora una volta in questo Giubileo della Speranza: "La vera gioia nasce da un'aspettativa vissuta, da una fede paziente, dalla speranza che ciò che è stato vissuto nell'amore salirà certamente alla vita eterna.".

Scende per proclamare la luce e la vita

Sempre mercoledì 24 settembre, il Papa si è soffermato sul Sabato Santo. Cristo non solo è morto per noi, ma è anche sceso nel regno degli "inferi", per portare l'annuncio della risurrezione a tutti coloro che erano sotto il dominio della morte. Questi "inferni" non si riferiscono solo ai morti, ma anche a chi vive nelle tenebre (dolore, solitudine, colpa) e soprattutto nel peccato. "Cristo -dice il Papa. Entra in tutte queste realtà oscure per testimoniare l'amore del Padre (...) Lo fa senza clamore, in punta di piedi, come chi entra in una stanza d'ospedale per offrire conforto e aiuto.".

I Padri della Chiesa lo descrivono come un incontro tra Cristo e Adamo per riportarlo alla luce, con autorità, ma anche con dolcezza. Nemmeno le nostre notti più buie o i nostri peccati più profondi sono ostacoli per Cristo. Scendere per Dio non è un fallimento, ma la via della vittoria. Nessuna tomba è troppo sigillata per il suo amore. Dio può sempre fare, a partire dal perdono, una nuova creazione. 

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Vaticano

Intenzione del Papa per il mese di ottobre: "Le religioni siano lievito di unità".

Nel 60° anniversario del documento conciliare "Nostra Aetate", che cade in ottobre, Papa Leone XIV dedica l'intenzione di preghiera di questo mese alla collaborazione tra le diverse tradizioni religiose, affinché siano "lievito di unità in un mondo frammentato".  

Redazione Omnes-30 settembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

"Preghiamo affinché i credenti di diverse tradizioni religiose possano lavorare insieme per difendere e promuovere la pace, la giustizia e la fratellanza umana". Questa è l'intenzione di preghiera di Papa Leone XIV per il mese di ottobre, diffusa da The Pope's Video. 

Leone XIV prega affinché "in un mondo pieno di bellezza, ma anche ferito da profonde divisioni, le religioni "non siano usate come armi o muri, ma siano vissute come ponti e profezia". 

Difendere e promuovere la pace, la fratellanza umana

In un tempo segnato da conflitti, il Papa invita tutti i credenti a cercare ciò che unisce, per "difendere e promuovere la pace, la giustizia e la fratellanza umana".

La sua intenzione, che il Pontefice affida alla Rete mondiale di preghiera del Papa, invita, in un tempo segnato da conflitti e polarizzazioni, a riscoprire nella religione un ponte di fraternità e una forza riconciliatrice.

Non armi o muri, ma ponti e profezia

Il significato profondo della preghiera di Papa Leone XIV è che la collaborazione tra i credenti sia alimentata da un impegno concreto e quotidiano che coinvolga ciascuno di noi. Il Papa prega infatti affinché impariamo a "riconoscerci come fratelli, chiamati a vivere, pregare, lavorare e sognare insieme". Invoca inoltre lo Spirito per "riconoscere ciò che ci unisce" e "collaborare senza distruggere". 

Le diverse tradizioni religiose sono chiamate a essere "lievito di unità in un mondo frammentato". Continua ricordando che spesso accade il contrario: "invece di unirci, diventa motivo di scontro".

Il video racconta le tappe storiche del cammino interreligioso, come lo storico incontro organizzato da Papa San Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986. La visita di Papa Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma nel 2010. La firma del Documento sulla fraternità umana ad Abu Dhabi nel 2019, sotto il pontificato di Papa Francesco. E gli ultimi incontri ecumenici di Papa Leone XIV in Vaticano.

La preghiera di ottobre di Papa Leone XIV

Per la collaborazione tra diverse tradizioni religiose.

Pregate affinché i credenti di diverse tradizioni religiose lavorino insieme per difendere e promuovere la pace, la giustizia e la fratellanza umana.

Signore Gesù, Tu che nella diversità sei uno e guardi con amore ogni persona, aiutaci a riconoscerci come fratelli e sorelle, chiamati a vivere, pregare, lavorare e sognare insieme.

Viviamo in un mondo pieno di bellezza, ma anche ferito da profonde divisioni. A volte le religioni, invece di unirci, diventano fonte di scontro.

Donaci il tuo Spirito per purificare i nostri cuori, affinché possiamo riconoscere ciò che ci unisce e, da lì, reimparare ad ascoltare e a collaborare senza distruggere.

Che gli esempi concreti di pace, giustizia e fraternità nelle religioni ci incoraggino a credere che è possibile vivere e lavorare insieme, al di là delle differenze.

Che le religioni non siano usate come arma o muro, ma vissute come ponti e profezia. Rendere credibile il sogno del bene comune, accompagnare la vita, sostenere la speranza ed essere lievito di unità in un mondo frammentato.

Amen

L'autoreRedazione Omnes

America Latina

Teresa Flores: "Cuba e Nicaragua limitano la libertà religiosa con quadri giuridici".

La direttrice dell'Osservatorio della Libertà Religiosa in America Latina, l'avvocato Teresa Flores, ha presentato al simposio "Faith under Fire: Religious Freedom and Resistance in Cuba and Nicaragua", in Florida (Stati Uniti), che illustra come questi governi usino le leggi come strumenti di controllo sulle "comunità di fede" e sulle entità religiose.  

Francisco Otamendi-30 settembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Il titolo dice tutto: "Strumenti legali di repressione - un'analisi comparata tra Cuba e Nicaragua". Teresa Flores, avvocato e direttore dell'Osservatorio per la libertà religiosa in America Latina (Olire), ha spiegato come "i governi di Cuba e Nicaragua limitano le libertà religiose e civili". Entrambi controllano lo spazio pubblico e digitale, ha detto alla Florida International University (FIU),

Al simposio, tenutosi all'inizio di settembre, l'avvocato nicaraguense Yader Valdivia ha affermato che "in Nicaragua continuano ad essere commesse violazioni dei diritti umani". La fede è stato perseguitatochiese sotto assedio, pastori e sacerdoti attaccati e detenuti arbitrariamente, o scomparsi e perseguiti, banditi". 

"Persecuzione religiosa

"In Nicaragua la religione non è una questione dottrinale, né una disputa teologica, ma un termometro della democrazia. Voglio che sia chiaro che la persecuzione religiosa esiste nel Paese", ha aggiunto Valdivia. L'evento è stato co-organizzato da Outreach Aid to the Americas (OAA), dall'Istituto di ricerca cubano (CRI) e dal Centro latinoamericano e caraibico Kimberly Green (LACC).

Teresa Flores ha riassunto il suo discorso per Omnes. Ovviamente, anche se non ne parliamo, la cacciata del Mons. Rolando Álvarez in Vaticano, a partire dal gennaio 2024. La persecuzione e l'allontanamento di altri vescovi e sacerdoti, o esilio di oltre mezzo milione di nicaraguensi dal 2018.

@Teresa Flores.

Cuba e Nicaragua hanno usato le leggi come meccanismo di controllo sulla società e, in particolare, sulle "comunità di fede", come lei ha sottolineato.

- Sia a Cuba che in Nicaragua, le autorità hanno creato un quadro giuridico apparentemente legittimo, ma che in pratica limita le libertà religiose e civili. Durante la presentazione ho sottolineato che sia a Cuba che in Nicaragua è stato costruito un quadro giuridico. Sebbene sulla carta riconosca la libertà religiosa, nella pratica la subordina a concetti ambigui come "ordine pubblico", "interesse sociale" o "sicurezza nazionale". Ciò consente alle autorità di limitare l'esercizio dei diritti in qualsiasi momento.

A Cuba, la Costituzione del 2019 sancisce la supremazia del Partito Comunista, che svuota di contenuti e condiziona le libertà riconosciute. In Nicaragua, le più recenti riforme costituzionali hanno ampliato le cause di perdita della cittadinanza e di esclusione politica, rafforzandone la natura punitiva.

Questi regolamenti consentono la censura, la sorveglianza e la punizione dei leader religiosi e delle organizzazioni, aggiunge.

- Entrambi i Paesi hanno approvato leggi che danno loro il potere di controllare lo spazio pubblico e digitale. A Cuba, decreti come il 35 e il 370 obbligano a subordinare tutte le comunicazioni alla "costituzione socialista", sanzionando i contenuti critici con pesanti multe o addirittura con accuse penali. 

In Nicaragua, la legge sulla criminalità informatica punisce con il carcere la diffusione di quelle che il governo considera "fake news" e consente la sorveglianza in tempo reale degli utenti.

Questo quadro normativo rende la libertà di espressione e la libertà di religione diritti vulnerabili. Infatti, i leader e le comunità religiose possono essere accusati di diffondere "disinformazione" o "propaganda sovversiva" per aver semplicemente espresso opinioni critiche.

Come funzionano i livelli di controllo e le modalità di pressione sulle chiese e sulle comunità?

- L'Ufficio per gli Affari Religiosi del Partito Comunista controlla direttamente la registrazione e il funzionamento delle chiese a Cuba, e qualsiasi associazione non riconosciuta rischia la criminalizzazione. In Nicaragua, le leggi sulle organizzazioni senza scopo di lucro, sugli agenti stranieri e sui finanziamenti hanno permesso la cancellazione della personalità giuridica, la confisca dei beni e la sospensione delle attività religiose.

In Nicaragua e a Cuba, le sanzioni sono di natura penale e anche per via amministrativa, consentendo un massiccio e sistematico smantellamento delle comunità religiose considerate oppositrici del regime.

Lei afferma che la comprensione degli strumenti giuridici è fondamentale per rendere visibili gli abusi e trovare modi per difendere i diritti fondamentali.

- Per comprendere l'impatto degli strumenti legali a Cuba e in Nicaragua, ho sottolineato che è necessario innanzitutto comprendere l'ampiezza della libertà religiosa. Questo diritto non si limita al culto privato. Comprende l'istruzione, l'associazione, la partecipazione pubblica e la trasmissione delle credenze, solo per citare alcune libertà. Senza questa visione olistica, è impossibile identificare pienamente come le leggi possano diventare strumenti restrittivi.

In entrambi i Paesi, sono proprio queste dimensioni più ampie a essere limitate: il quadro giuridico non garantisce i diritti, ma li svuota di contenuto. Da qui l'importanza di analizzare queste norme, perché mostrano come la repressione sia incanalata anche attraverso norme, regolamenti e leggi che vanno oltre la repressione fisica, dando una parvenza di legalità alle misure arbitrarie.

E il percorso internazionale?

Sia Cuba che il Nicaragua si sono ritirati dai meccanismi regionali per i diritti umani, riducendo le possibilità di protezione internazionale. Tuttavia, il monitoraggio da parte degli organismi delle Nazioni Unite e la pressione internazionale rimangono fondamentali per documentare gli abusi. E anche per offrire sostegno alle comunità religiose che devono affrontare un alto grado di repressione.

Aggressioni

Notizie OSV ha riportato un mese fa che gli attacchi alla Chiesa cattolica in Nicaragua sono diminuiti nel 2025. Ma un rapporto sulla persecuzione della Chiesa nel Paese centroamericano attribuisce il calo a pochi sacerdoti e religiosi che denunciano molestie e persecuzioni contro di loro e le proprietà della Chiesa, ha scritto David Agren.

Dal 2018 sono stati commessi 1.010 attacchi contro la Chiesa nicaraguense, secondo Martha Patricia Molina, avvocato nicaraguense in esilio che segue questa persecuzione. Questo numero è sceso a soli 32 nel 2025, rispetto al picco di 321 attacchi del 2023, secondo quanto riportato da Molina nella settima edizione del suo rapporto "Nicaragua, una Chiesa perseguitata".

"Chiesa decimata".

"Il calo dei numeri registrato nel 2025 non significa che si stia instaurando una relazione cordiale tra la dittatura (nicaraguense) e la Chiesa cattolica, ma piuttosto che in questa fase di repressione la Chiesa è decimata", ha detto Molina. In nessun caso il clero può denunciare gli abusi e la sorveglianza quotidiana a cui è sottoposto. Non esprimono pubblicamente le loro sofferenze a causa delle minacce che ricevono dai membri della Polizia nazionale", ha dichiarato nel rapporto.

L'autoreFrancisco Otamendi

Evangelizzazione

Stella Maris: un faro per i dimenticati del mare

Stella Maris apre una delegazione ad Algeciras, il primo porto della Spagna. Il sacerdote filippino Jovannie Postrano assiste i marittimi che arrivano in città; molti non hanno messo piede a terra per mesi e soffrono le difficoltà di un lavoro tanto duro quanto necessario.

José Ángel Cadelo-30 settembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Nelle prime ore del mattino, grazie a un salvacondotto che gli permette di muoversi tra i moli di Algeciras, il giovane sacerdote Jovannie Postrano sale sulla scaletta di una delle più grandi navi container della compagnia di navigazione Maersk. Nessuno a bordo è stato avvisato della sua visita, ma l'emblema Stella Maris sullo scafo e il suo gilet giallo aprono le porte e provocano la più calorosa delle accoglienze. Il marinaio di guardia avverte i compagni e l'equipaggio esce per andare incontro a Postrano; non lo conoscono ma lo salutano in tagalog o in cebuano, le principali lingue delle Filippine.

Tutti sanno che cos'è Stella Maris e tutti vogliono una egoista con il sacerdote. Postrano si interessa a ciascuna delle loro città di provenienza, alle loro famiglie e ai loro figli, a quanto tempo sono stati a bordo e alla rotta commerciale verso cui sono diretti. A volte capita che anche gli ufficiali della nave provengano dallo stesso lontano Paese asiatico; allora è probabile che venga invitato sul ponte di comando, a trascorrere la giornata con loro, a pranzare con tutto l'equipaggio e persino a celebrare la Messa nel più dignitoso e spazioso salone della cabina. Nessun problema: Postrano ha sempre con sé tutto ciò di cui ha bisogno.

Questo sacerdote pioniere della delegazione di Stella Maris di Algeciras, aperta di recente, è originario dell'isola di Cebu e, oltre al cebuano, sua lingua madre, parla tagalog, inglese e sta già facendo progressi con lo spagnolo. Fino a pochi mesi fa viveva a Londra, dove lavorava con i migranti. Anche se ora è incardinato in una parrocchia locale, la sua missione principale non è a terra, ma a bordo delle enormi petroliere e navi container che fanno scalo nel primo porto della Spagna e del Mediterraneo. La sua organizzazione ecclesiastica, diretta da Roma, è presente in più di sessanta Paesi di tutti i continenti e in trecento porti diversi. Il porto di Algeciras, paradossalmente, è stato l'ultimo ad aggiungersi alla lista.

Vita in alto mare

25 % dei marittimi di tutti gli equipaggi nel mondo sono di nazionalità filippina. "Spesso passano mesi e mesi senza toccare terra, senza mettere piede su un molo, e apprezzano molto la visita di un connazionale che parla con loro nella loro lingua, che offre loro informazioni e aiuto in qualsiasi modo possibile, che ascolta i loro problemi, li accompagna per un po', risolve qualsiasi problema materiale o logistico e, naturalmente, fornisce assistenza spirituale se ne hanno bisogno", racconta Jovannie a Omnes. 

"L'atmosfera che si respira all'interno di una nave da carico non è affatto facile", dice il sacerdote cebuano: "I marinai devono convivere 24 ore su 24 con compagni non sempre amichevoli, di nazionalità, cultura e confessione diverse, con i quali a volte non possono nemmeno conversare a causa della differenza di lingua", continua. Anche le famiglie dei membri dell'equipaggio sono lontane e questo a volte rende la vita quotidiana molto complicata, dice. Dice anche che molti marittimi rinunciano alle settimane di riposo a casa a cui hanno diritto dopo ogni viaggio e restano a bordo per non perdere il necessario per vivere e mantenere le loro famiglie; la stragrande maggioranza di loro guadagna migliaia di dollari e, nella quasi totalità dei casi, i loro stipendi vanno direttamente a casa loro a Manila, Cebu o Davao.

Le grandi compagnie di navigazione si avvalgono quasi sempre di agenzie locali per il reclutamento degli equipaggi. I salari sono irrisori se si considera il duro lavoro in alto mare, le 24 ore a bordo, i mesi e mesi lontani dalla famiglia e senza mettere piede a terra, i problemi di comunicazione con le loro case, l'impossibilità di intervenire nella soluzione di piccoli problemi domestici... Sono in molti a denunciare lo sfruttamento del lavoro, anche se non si lamentano mai con i loro superiori per paura di essere licenziati. cancellato delle liste d'attesa per i prossimi contratti. Quando i sacerdoti, i diaconi o i volontari di Stella Maris vengono a conoscenza di una grave irregolarità lavorativa su una nave, portano la questione all'attenzione della Federazione Internazionale dei Lavoratori dei Trasporti (ITF), con la quale sono in regolare comunicazione.

È clinicamente documentato che i marittimi delle navi da carico soffrono di stress, ansia e, soprattutto, depressione e disturbi dell'umore in misura molto maggiore rispetto a qualsiasi altro gruppo professionale. Le cause, oltre al frequente sovraccarico di lavoro, sono l'isolamento sociale e l'esposizione a condizioni ambientali avverse, insieme alla lontananza dalle famiglie e alla mancanza di riposo adeguato. Questi fattori portano talvolta a problemi più gravi, come tendenze suicide e dipendenze. A livello mondiale, i dati dell'anno scorso mostrano una spaventosa cifra di 403 morti di marittimi a bordo, di cui 26 suicidi e 91 persone misteriosamente scomparse in mare.

Il sostegno di Stella Maris

Stella Maris è un servizio ecclesiastico attivo dal 1920 e dipende dalle conferenze episcopali di ciascun Paese. Il suo obiettivo è quello di fornire ai marittimi, attraverso i suoi centri, l'assistenza umana e spirituale di cui possono avere bisogno per il loro benessere durante la permanenza in porto, nonché il sostegno alle loro famiglie. Si rivolge a tutti i marittimi di qualsiasi razza, nazionalità e sesso, sempre nel rispetto della loro cultura, religione o ideologia. "Ci sono occasioni in cui forniamo ai membri dell'equipaggio musulmani i contatti che chiedono con moschee e imam; il nostro obiettivo è aiutare tutti per quanto possibile", afferma il delegato di Stella Maris ad Algeciras. 

In molti porti spagnoli Stella Maris dispone di locali o saloni dove i marinai possono rilassarsi e incontrare persone estranee alla loro vita quotidiana, spezzare la routine, prendere un caffè o giocare a calcio balilla. Dispone anche di furgoni per portare i membri dell'equipaggio lontano dal molo, da un dentista, un dermatologo o un avvocato. In alcuni centri fuori dalla Spagna, i sacerdoti, i diaconi e i volontari dell'organizzazione dispongono persino di piccole imbarcazioni per visitare le navi alla fonda che non attraccano. "Le navi passano sempre meno tempo in porto; spesso incontro marinai che non mettono piede a terra da più di sei mesi", lamenta Postrano. E conclude: "Siamo appena arrivati ad Algeciras: sembra incredibile, ma nel primo porto del Mediterraneo non c'era ancora nessuno di Stella Maris".

L'autoreJosé Ángel Cadelo

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La mia esperienza in carcere

Ho vissuto un'esperienza unica: incontrare i detenuti del carcere di Estremera. Mi hanno mostrato come vedono la libertà e la Fondazione Invictus mi ha aiutato ad abbattere i pregiudizi.

30 settembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Di recente sono stato nel carcere di Estremera. Un luogo in cui non avrei mai immaginato di andare. Si entra con molta paura, ma soprattutto con pregiudizi. Immaginavo che sarebbe stato spaventoso come nei film, ma niente di più sbagliato.

Siamo passati attraverso circa quattro controlli di sicurezza. Ci hanno preso le chiavi dell'auto e ci hanno dato un badge con la scritta "visitatore". "Se perdete questo tesserino in prigione, non uscirete di qui", ci hanno detto. Abbiamo tutti scherzato sul fatto che i prigionieri ci avrebbero fatto da cambiamentoma avevo davvero paura.

Un'agente donna ci ha portato in un campo da calcio sabbioso dove abbiamo atteso l'arrivo dei protagonisti di questa storia. All'improvviso si è aperta un'enorme porta di metallo e sono apparsi circa 40 prigionieri. Da quel momento in poi, tutto è filato liscio e posso dire di aver trascorso una delle mattinate più interessanti della mia vita, grazie alla Fondazione Invictusche cerca di trasmettere valori attraverso lo sport. Abbiamo chiacchierato per un po' e poi hanno giocato a rugby.

Cosa significa essere liberi per un prigioniero?

Abbiamo fatto un cerchio e abbiamo fatto una bella chiacchierata sulla libertà. "Nessuno è veramente libero, né qui né in strada. Le cose di fuori ti legano e non ti permettono di pensare con chiarezza", ha detto Carlos. Là fuori si grida all'assurdità, perché si è legati alle cose del mondo". Carlos ha espresso il suo rammarico per i suoi crimini, ma ha sottolineato quanto il carcere lo abbia aiutato perché, avendo tempo per pensare, ha potuto riflettere e "rendersi conto di molte cose. Mi ha reso più libero". 

Molti hanno detto che quando interagiscono tra loro si sentono più liberi: "Ci calmiamo. Ci vogliamo bene". Era chiaro che molti di loro avevano un buon rapporto e un grande senso dell'umorismo. Mentre alcuni giocavano a rugby, altri mi raccontavano gli aneddoti più divertenti.

Ma l'idea che ha risuonato maggiormente è stata la seguente: la libertà è nella mente. "La libertà è qualcosa da valorizzare, ma ce la portiamo via e non ce ne rendiamo conto", ha detto Adonái Guerra, un canario a cui resta un mese di carcere. 

Smantellare i pregiudizi

Ho potuto solo pensare che, indirettamente, stessero trasmettendo l'idea che il peccato ci toglie la libertà, ci rende sempre più schiavi. Quante volte questo ci viene ripetuto nella Chiesa, e quanto poco ce ne rendiamo conto. Questi prigionieri hanno potuto sperimentarlo fisicamente. Mi ha fatto piacere vedere che questo è ciò che hanno interiorizzato di più e ho pensato: "Vorrei esserne altrettanto consapevole". Mi ha aiutato molto essere di fronte a un pentimento così reale e a un'esperienza di consapevolezza del peccato.

Questa visita mi ha fatto riflettere anche sui pregiudizi. "Siamo solo a un errore di distanza l'uno dall'altro", hanno detto. "Fuori pensano in modo molto negativo a quelli di noi che sono dentro", hanno ripetuto. Tutti hanno detto che non avrebbero mai pensato di finire lì, ma che i loro errori li hanno portati lì: "non importa cosa abbiamo fatto, siamo persone". Tutte queste affermazioni mi hanno toccato il cuore. Ho pensato a tutte le volte che ho giudicato tutte quelle persone il cui peccato è stato esposto. E quanto è facile giudicarle. Vorrei poter tenere sempre presente che potrei trovarmi nella stessa situazione.

Potrei raccontare altri mille aneddoti, ma concluderò con un'altra lezione che ho imparato da quelli che chiamerò i pentiti. "La prigione non è dura. Quello che è duro è il tempo perso con la tua famiglia, con le persone che ami", ha detto Jesús, che si è fatto tatuare le sue due figlie, una su ogni lato del viso. All'interno, sanno come dare valore al tempo. E sfruttano al meglio ogni vis a vis con le loro famiglie. Non vedono l'ora che arrivi la tanto attesa visita settimanale di sabato. "Apprezziamo le cose quando le perdiamo", ha detto Adonai, e quanto è vero!

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Mondo

Storia, fede e cultura in Algeria e Tunisia

Con questo articolo, lo storico Gerardo Ferrara conclude una serie di due scritti sulla presenza cristiana nel Maghreb, dai tempi di Sant'Agostino alle sfide attuali dell'Algeria e della Tunisia.

Gerardo Ferrara-30 settembre 2025-Tempo di lettura: 5 minuti

Dagli ottomani all’indipendenza

Dal XVI secolo Algeria e Tunisia entrarono nell’orbita ottomana, seppur mantenendo un’ampia autonomia. È di questo periodo lo sviluppo del fenomeno dei corsari barbareschi, che terrorizzavano il Mediterraneo avendo come base i porti di Tunisi e soprattutto Algeri, roccaforte dei corsari e governata da un dey soggetto de iure a Costantinopoli ma autonomo de facto. Pure in Tunisia dal 1574 la dinastia dei bey Husaynidi (fondata da un corso convertito all’islam) mantenne una relativa indipendenza.

Questo lungo periodo di relativa autonomia dei due Paesi terminò nel XIX secolo, quando la Francia occupò l’Algeria nel 1830, trasformandola in colonia di popolamento: i coloni europei si insediarono in massa specie sulla costa, mentre la popolazione locale veniva espropriata delle terre e privata di diritti. In Tunisia, nel 1881, Parigi impose invece un protettorato.
Le lotte nazionalistiche condussero alle rispettive indipendenze: la Tunisia nel 1956, guidata da Habib Bourguiba, e l’Algeria nel 1962, dopo la sanguinosa guerra condotta dal Fronte di Liberazione Nazionale (FLN).

Dall’indipendenza ai nostri giorni

Dopo l’indipendenza, le strade che i due Paesi intrapresero furono diverse.
La Tunisia, o meglio Bourguiba, optò per un modello laico e modernizzatore: il Codice dello Statuto Personale del 1956 abolì la poligamia, introdusse il divorzio regolamentato e sancì diritti senza precedenti per le donne nel mondo arabo-islamico. Pur essendo infatti l’islam religione di Stato, la legislazione (e i costumi) era improntata sulla laicità. Ancora nel 2000, quando passai un mese a Tunisi, ricordo di aver respirato un’atmosfera decisamente diversa da quella di altri Paesi musulmani.

Dopo Bourguiba, la Tunisia visse la lunga dittatura di Ben Ali (1987-2011), che mantenne formalmente laicità e stabilità, reprimendo però le opposizioni, soprattutto quelle islamiste. Proprio qui, nel dicembre 2010, con l’autoimmolazione del giovane Mohamed Bouazizi, esplose la Rivoluzione dei gelsomini, che rovesciò il regime e innescò il fenomeno delle Primavere arabe, diffusosi poi in tutto il Medio Oriente. Il Paese avviò allora una transizione democratica: la Costituzione del 2014 rimane una delle più avanzate del mondo arabo, ma le tensioni tra laici e islamisti del partito Ennahda, la crisi economica e gli attentati jihadisti hanno minato la stabilità. Nel 2021 il presidente Kaïs Saïed ha sospeso il Parlamento e concentrato i poteri nelle proprie mani, avviando di fatto un ritorno all’autoritarismo.

L’Algeria, dal canto suo, rimase dominata dal FLN, che instaurò un regime a partito unico con forti legami tra esercito e potere politico. La costituzione del 1963 proclamava anche qui l’islam religione di Stato, e negli anni ’70 il governo attuò una politica di nazionalizzazione delle risorse energetiche. Tuttavia, la corruzione, l’autoritarismo e la crescita demografica alimentarono grandi proteste che, nel 1989, sfociarono nell’adozione di una nuova costituzione multipartitica: il Fronte Islamico di Salvezza (FIS) fu quindi libero di presentarsi alle elezioni municipali e ottenere un successo così travolgente da far prevedere un suo trionfo anche in quelle politiche.
Di conseguenza, temendo una deriva islamista, l’esercito annullò le elezioni del 1991, scatenando la guerra civile, che in quasi 10 anni causò oltre 100 mila vittime.

Arabi e berberi, ma quasi tutti musulmani

Mentre dal punto di vista etnico l'Algeria e la Tunisia hanno due componenti principali della popolazione, quella arabofona e quella di lingua araba. Lingua berbera (in Algeria, dove la lingua berbera tamazight è ufficiale insieme all'arabo, i berberi sono circa 25 %, soprattutto in Cabilia, patria del calciatore francese Zineddine Zidane; in Tunisia, invece, meno di 2 %, concentrati soprattutto in piccole comunità come l'isola di Djerba), dal punto di vista religioso c'è un'impressionante uniformità: ben il 99 % della popolazione di entrambi i Paesi professa la religione islamica, nel suo ramo Maliki (scuola giuridica).

Nel 2025, la Tunisia continua a vivere in uno stato di emergenza, rinnovato a causa della persistente minaccia jihadista dopo gli attentati del 2015 e dei pericoli di infiltrazione dell'ISIS. Tuttavia, l'influenza dell'Islam rimane meno pressante che in Algeria, dove rimane la spina dorsale della vita pubblica e persistono severe restrizioni alla libertà di culto per i cristiani e le comunità non sunnite. Fonte di tensione e preoccupazione per le poche comunità cristiane locali sono anche le richieste di conversione da parte dei musulmani, che vengono però "respinte" o severamente vagliate dal clero e dalle autorità religiose cristiane per timore di infiltrazioni dei servizi segreti algerini in quella che può essere considerata un'attività sovversiva da parte della Chiesa (proselitismo). Allo stesso tempo, l'Algeria conserva un ricco patrimonio mistico sufi, con confraternite diffuse che, come in Algeria, hanno una forte eredità mistica sufi. LibiaL'Islam del mondo musulmano, per secoli, ha incarnato un Islam popolare meno rigido di quello ufficiale.

Gli ebrei

In Algeria, dopo la conquista francese del 1830, gli ebrei ottennero condizioni privilegiate con il decreto Crémieux del 1870, che li rese cittadini francesi ma fece perdere le antiche strutture comunitarie. Nonostante l’integrazione culturale francese, i rapporti con i musulmani locali restarono buoni fino al regime di Vichy (1940-42), quando il decreto fu sospeso e la cittadinanza revocata. Ripristinati i diritti nel 1943, la comunità visse serenamente fino all’indipendenza del 1962, quando circa 115 mila ebrei emigrarono in Francia. Oggi ne restano poche centinaia.

In Tunisia, il “Patto fondamentale” del 1857 garantì parità agli israeliti, rafforzata sotto il protettorato francese (1881). Negli anni ’50 la comunità contava 105.000 persone, con centri a Tunisi e a Djerba, sede della sinagoga della Ġrībah, che ho avuto modo di visitare e che purtroppo ha subito due gravi attentati islamisti nel 2002 e 2003. Anche qui Vichy introdusse leggi discriminatorie. Dopo l’indipendenza (1956) gli ebrei ottennero pieni diritti e persino rappresentanza politica, ma l’emigrazione ridusse la comunità a meno di 1.500 membri.

I cristiani

A differenza del Mashrek, ove sopravvivono, pur tra drammatiche difficoltà, comunità cristiane di millenaria tradizione, nel Magreb il cristianesimo è pressoché svanito. In epoca romana e tardo-antica il Nordafrica fu una culla della Chiesa, ma la conquista araba del VII secolo produsse una rapida islamizzazione, anche a causa del contesto tribale e della maggiore rigidità dell’islam sunnita malikita. Nel XIX secolo il colonialismo francese costruì chiese e “importò” fedeli dall’Europa, ma con l’indipendenza quasi tutti gli europei lasciarono la regione.
Come in un articolo su GiapponeAnche in questa terra, sia nell'antichità che in epoca contemporanea, soprattutto in Algeria, i cristiani hanno comunque rappresentato "l'anima del mondo".

Non possiamo non menzionare l’incredibile testimonianza di fede di Charles de Foucauld, ufficiale francese convertito al cristianesimo che scelse una vita eremitica tra i tuareg del Sahara algerino. Non cercò di fare proseliti, preferendo testimoniare la propria fede con una vita semplice e fraterna, definendosi “fratello universale”. Studiò lingua e cultura locali e ha lasciato un prezioso dizionario tuareg. Ucciso nel 1916, è stato canonizzato da papa Francesco nel 2022 ed è un simbolo di dialogo e fraternità silenziosa nel cuore dell’islam.

Sulla scia di Foucauld, nel pieno della guerra civile algerina, i sette trappisti di Tibhirine rimasero anch’essi accanto alla popolazione musulmana del loro villaggio, condividendone vita e sofferenze. Rapiti e uccisi nel 1996 da un gruppo islamista, sono stati testimoni di fedeltà radicale al Vangelo e segno di una fraternità possibile tra cristiani e musulmani. Beatificati nel 2018, la loro storia è narrata anche dal film Uomini di Dio.

In conclusione, Algeria e Tunisia, regioni “periferiche” per la cristianità (solo numericamente), non sono certo poco importanti di altre, per quanto vi hanno contribuito (un po’ come Betlemme per la nascita del Messia), da Sant’Agostino fino ai nostri giorni, con un papa agostiniano, Leone XIV, che segue la spiritualità del fondatore, fatta di interiorità, ricerca della verità, vita comunitaria e amore per la Chiesa, il tutto con intensa attività pastorale e dialogo e ascolto.
Si è vociferato, a Roma, che il primo viaggio di papa Leone XIV potrebbe essere proprio a Tagaste (Souk Ahras) e a Ippona (Annaba), in Algeria. Se pure così non fosse, Cartagine, Tagaste, Ippona e l’antica Africa Proconsolare, cioè Algeria e Tunisia, sono ancora protagoniste della vita spirituale della Chiesa.

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Educazione

Il cardinale Koch e altri tre intellettuali ricevono il dottorato onorario dalla Santa Croce.

Il cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero della Santa Sede per la promozione dell'unità dei cristiani, e i professori Helmuth Pree (Monaco di Baviera), Pierpaolo Donati e Anne Gregory, Huddersfield (Regno Unito), riceveranno il 7 ottobre il dottorato honoris causa dall'Università della Santa Croce.

Redazione Omnes-29 settembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

La cerimonia di inaugurazione del nuovo anno accademico 2025/26 si terrà il 7 ottobre presso il Università della Santa Crocea Roma. Nel suo 40° anniversario, la cerimonia assume un significato speciale: la consegna di quattro dottorati. Honoris Causa a personalità di spicco del mondo accademico ed ecclesiastico. Non si tratta solo di un gesto celebrativo, ma della scelta di figure che incarnano, ciascuna a suo modo, dimensioni decisive per la vita della Chiesa e della società contemporanea: l'unità, la relazione, la comunicazione e la giustizia. Se ci pensiamo, è su questi quattro assi che si concentra oggi gran parte della sfida culturale e spirituale del nostro tempo, richiamata anche dagli ultimi pontefici.

L'unità come orizzonte: il cardinale Kurt Koch

La laurea in teologia è stata conferita al cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la promozione dell'unità dei cristiani. Teologo di solida formazione e pastore di lunga esperienza, ha dedicato la sua vita alla promozione del dialogo ecumenico. Già vescovo di Basilea e presidente della Conferenza episcopale svizzera, nel 2010 è stato chiamato da Benedetto XVI a guidare il Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani, incarico che Francesco ha poi confermato nel nuovo Dicastero. In questo contesto, il suo impegno per l'ecumenismo è instancabile e indiscutibile. Pertanto, in un momento in cui le divisioni, anche all'interno del mondo cristiano, rischiano di diventare fratture permanenti, la figura del cardinale Koch diventa il segno di un servizio teologico che non si limita all'aula accademica, ma diventa un gesto concreto di riconciliazione.

La società come relazione: Pierpaolo Donati

Il riconoscimento della Facoltà di Filosofia va al sociologo Pierpaolo Donati, che ha dedicato la sua ricerca a ripensare radicalmente le scienze sociali. Professore all'Università di Bologna fino al 2016, Donati è conosciuto a livello internazionale come il fondatore della "sociologia relazionale". Con la sua proposta ha superato le categorie riduzionistiche del funzionalismo e dell'individualismo, ponendo la relazione al centro dell'analisi sociale. Al centro del suo pensiero ci sono concetti come ragione relazionale e beni relazionali, che hanno trovato applicazione nei campi più diversi: dalla cittadinanza alle politiche sociali, dal welfare alle dinamiche del multiculturalismo.

La comunicazione come vocazione: Anne Gregory

Significativa anche la scelta della Facoltà di Comunicazione, con Anne Gregory, professore emerito dell'Università di Huddersfield e una delle figure più importanti al mondo nel campo della comunicazione strategica ed etica. Ex presidente del Chartered Institute of Public Relations nel Regno Unito e presidente del l'Alleanza GlobaleHa guidato il progetto internazionale che ha definito le competenze globali della professione. Autrice di oltre 150 pubblicazioni, ha affiancato alla ricerca accademica la consulenza per governi, ONG e aziende, offrendo strumenti per una comunicazione intesa come responsabilità sociale. Secondo il suo pensiero, la comunicazione non è una semplice trasmissione di informazioni, ma una condizione costitutiva della vita umana e sociale. Può distruggere e avvelenare, come dimostra la diffusione di fake news e hate speech, ma può anche costruire la pace, generare fiducia e favorire la collaborazione. 

La giustizia come servizio: Helmuth Pree

Infine, la Facoltà di Diritto Canonico conferisce un riconoscimento al professor Helmuth Pree, austriaco, docente a Linz, Passau e Monaco, e collaboratore di lunga data di Santa Croce. Giudice ecclesiastico e consulente del Dicastero per i testi legislativi, ha contribuito con le sue oltre 400 pubblicazioni allo sviluppo del diritto canonico contemporaneo. Il suo lavoro, che spazia dai fondamenti del diritto alle applicazioni concrete nei tribunali ecclesiastici, mostra come il diritto canonico non sia una mera costruzione giuridica, ma un servizio reso alla giustizia e, in ultima analisi, alla salvezza delle anime. 

Quattro figure diverse per origini, discipline e carriere, ma unite da una tensione comune: quella di pensare e servire la verità all'interno delle dinamiche reali della vita umana. Una missione che la Pontificia Università della Santa Croce sente come propria e continua a proiettare nel futuro.

L'autoreRedazione Omnes

Cosa ho imparato da Dominga sulla fede e sulla vita

Dominga ha trovato, nella sua semplicità e naturalezza, la strada che forse i grandi intellettuali e metafisici non hanno mai raggiunto, ma grazie a lei molte persone hanno scoperto il volto di Cristo.

29 settembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Prima di scrivere queste righe ho chiesto alla protagonista se mi avrebbe autorizzato e lei ha detto di sì. Ci ha pensato un attimo e le è sembrato giusto. Si chiama Dominga, ha 16 anni e ama fare coreografie su Tik Tok, cosa che sua madre vedeva molto lontana, perché quando la figlia è nata questo social network non esisteva e perché Dominga ha dovuto fare molta terapia per camminare. "Domi", come la chiamano i suoi quattro fratelli, è l'unica figlia femmina. La gravidanza della madre è stata normale e quando è nata Dominga ha guardato i genitori con uno sguardo fisso, quasi intimidatorio. "Questa ragazza ci darà lavoro!". dicevano scherzando mentre la famiglia festeggiava il suo arrivo, anche se non sapevano che questa frase fosse del tutto vera. Al suo primo compleanno Domi era una bambina sana, ma era già stata visitata da più di sei specialisti. Quello che apparentemente sembrava essere sinonimo di "figlia tranquilla" cominciò a preoccupare il suo medico di famiglia. Mangiava poco, dormiva male e non raggiungeva le tappe dello sviluppo. La storia è lunga e devo riassumerla. Vi darò un spoilerDominga ha una disabilità intellettiva che le fa vedere il mondo in modo diverso dai suoi fratelli e alcune cose sono più difficili da capire per lei. Anche altri aspetti della vita quotidiana non sono facili per lei, come abbottonarsi una camicia al collo o calcolare il resto del pane quando fa la spesa al supermercato. 

Anche per sua madre, che sono io, ci sono cose che sono state difficili per lei. Avere una figlia diversa ti fa esplorare luoghi molto inaspettati e anche riformulare il film che avevi fatto per la tua vita. Le "conquiste" che non sono arrivate, le foto che non appenderete alla parete (perché sono semplicemente cose che non accadranno) e le domande sul futuro che abbiamo dovuto porci in anticipo. Il dolore c'è, è molto salutare e persino liberatorio affrontarlo. Dominga mi ha anche insegnato cose tanto profonde quanto divertenti. Ha una grande fede e, dopo la comunione, si raccoglie in un modo che mi impressiona. È un'olimpionica nel chiedere a Dio le cose; voleva un'altra aggiunta alla famiglia e io stavo per avere il mio quinto figlio a 42 anni, quando avevo già dimenticato l'esistenza di Peppa Pig e dei giubbotti di salvataggio per il nuoto. Quando la vedo pregare penso "Cosa chiede, che paura! A volte le sue richieste sono anche insolite, come un iPhone 13 o la possibilità di ottenere un piercing. Ma se ci pensiamo bene, Dominga è la più saggia... tratta Dio come un padre, con affetto e vicinanza. E spero che, come finora, tenendomi per mano, possa continuare a guidarla in un mondo pieno di ostacoli, anche se è lei che mi indica la strada per vedere il volto di Gesù con tanta chiarezza e pace.

Evangelizzazione

Pregare: aprirsi alla presenza di Dio

Nel febbraio 2024, il sacerdote Álex Muñoz ha tenuto un discorso in una parrocchia su come pregare. Nonostante sia stato registrato con scarsa qualità, il video su youtube ha più di 170.000 visualizzazioni. Questa è la proposta che offre.

Miguel Janer-29 settembre 2025-Tempo di lettura: 6 minuti

Álex Muñoz ha raggiunto un obiettivo raro nella letteratura spirituale di oggi: trasmettere la profondità teologica con una semplicità calda e accessibile. Il suo libro Come ascoltare Dio? Un modo per trovare la Sua vocepubblicato quest'anno, rompe con i metodi di preghiera tradizionali e strutturati. In contrasto con schemi chiusi o formule ripetitive, Muñoz propone un percorso liberatorio, basato sul silenzio, sull'abbandono e sulla contemplazione dell'amore.

Il cuore della sua proposta non è fare molto, ma rendersi disponibili: smettere di controllare, aprirsi alla presenza di Dio e ascoltare dal profondo. "Non trattate Dio come la vostra stampella o il vostro mago; è un Padre che vi ama più di chiunque altro".avverte l'autore. Con esempi quotidiani - come il paragone tra la presenza di Dio e il grasso del prosciutto iberico che permea ogni cosa - unisce il trascendente all'ordinario e dimostra che il divino abita nelle cose più comuni.

Il suo metodo si articola in quattro passi chiari, accessibili e profondamente trasformativi: decentrarsi, arrendersi, scrivere e credere. Questi passi non sono tecniche o esercizi, ma atteggiamenti interiori che ci permettono di vivere una preghiera autentica, silenziosa e fruttuosa.

Decentrare: smettere di girare intorno a se stessi

Il primo passo che Muñoz propone è il decentramento. Consiste nell'uscire dal centro di se stessi. Molti ostacoli a una preghiera viva e profonda derivano dal fatto che siamo troppo occupati dai nostri pensieri, paure, desideri o problemi. L'anima, quando si ripiega su se stessa, diventa rumorosa e autoreferenziale.

Decentrarsi non è negare o fuggire da se stessi, ma aprirsi all'altro. È riconoscere che il vero centro non sono io, ma Dio. È un atto di umiltà che trasforma il punto di partenza della preghiera. Muñoz la mette in questo modo: passare dal "Devo pregare". a "Signore, eccomi".

Questo passo ci invita a fermarci, a respirare, a fare silenzio e a prendere coscienza che Dio è già presente. Non abbiamo bisogno di crearlo o di forzarlo. Basta essere. Solo di renderci disponibili. Disimpegnarsi significa svuotarsi dolcemente, senza sforzo, per ricevere.

Arrendersi: mettere tutto ciò che siamo nelle mani di Dio.

Il secondo passo è arrendersi. Se il decentramento ci svuota della IL'abbandono ci rende disponibili a Dio. Qui la preghiera diventa un atto di fiducia. 

Arrendersi è offrire a Dio ciò che si è e si vive in quel momento, senza filtri: gioie, stanchezze, ferite, confusione, desideri, persone care.

Non si tratta di spiegare nulla in dettaglio, né di risolvere prima le questioni interiori. Consegnare è presentare tutto così com'è, con semplicità, con verità, con il cuore aperto. In altre parole: "Signore, questo sono io. Prendimi come vengo oggi"..

Muñoz insiste sul fatto che la preghiera spesso ristagna perché non lasciamo andare ciò che ci appesantisce. Continuiamo a controllare, a trattenere, a sorvegliare. Arrendersi significa lasciar andare. È abbandonare i propri schemi affinché Dio possa agire in libertà.

Questo gesto può essere espresso a parole, con un simbolo (come l'apertura delle mani) o semplicemente con un silenzio pieno di intenzione e fiducia.

Scrivere: riconoscere ciò che si è ascoltato e memorizzarlo.

Il terzo passo consiste nella scrittura, che aggiunge una sfumatura molto particolare alla proposta di Muñoz. Nel suo metodo, la scrittura è parte attiva della preghiera. Dopo il silenzio e l'ascolto, l'autore propone di scrivere ciò che si è sentito, compreso o percepito alla presenza di Dio.

Non si tratta di scrivere lunghe riflessioni o teologia. È sufficiente annotare l'essenziale: una parola del Vangelo che ha risuonato, un'immagine interiore, un movimento del cuore, una domanda, una gratitudine. A volte, l'annotazione può essere semplice come: "Oggi non ho sentito nulla, ma ero con voi"..

La scrittura ha un doppio valore. Da un lato, ordina e fissa interiormente ciò che abbiamo vissuto; dall'altro, ci permette di riconoscere nel tempo il filo del passaggio di Dio nella nostra vita. Diventa una memoria spirituale, come un quaderno in cui Dio lascia le sue impronte.

Questo scritto non è per gli altri. È intimo, sincero e non cerca stile o correzione. È un'estensione dell'ascolto, un modo di dire: "Questa cosa che è accaduta con te, Signore, è reale e voglio mantenerla"..

Credere: fidarsi di ciò che non si vede

Il quarto e ultimo passo è credere. Qui l'autore tocca il nocciolo di molte difficoltà contemporanee nella preghiera: la tendenza a misurare tutto in base ai risultati o alle sensazioni. Se non proviamo nulla, pensiamo che la preghiera non abbia funzionato. Se non ci sono emozioni, pensiamo di aver sprecato il nostro tempo.

Muñoz risponde con un'affermazione essenziale: Dio agisce nell'invisibile, anche se noi non lo vediamo. 

Spesso i frutti della preghiera si manifestano più tardi. A volte senza che ce ne rendiamo conto. Ecco perché credere significa avere fiducia che ciò che sperimentiamo nella preghiera è vero, anche se sembra piccolo o invisibile.

Credere è un atto umile. È uscire dalla preghiera senza certezze rumorose, ma con la pace di essere stati con Dio. È confidare che la Parola ha agito, anche se non ce ne accorgiamo. È uscire dalla giornata con il desiderio di vivere con più attenzione, con più apertura, con più amore.

Questo passo trasforma la preghiera in vita. Perché, come dice giustamente l'autore, la preghiera non finisce quando finisce il silenzio. Continua nella vita di tutti i giorni.

Le impronte dei santi

Uno degli aspetti più solidi del libro è come Álex Muñoz ancori la sua proposta all'esperienza dei grandi maestri spirituali, che presenta non come figure idealizzate, ma come testimoni reali di una preghiera incarnata, viva e concreta.

Santa Teresa di Gesù appare come un modello di fiducia radicale e di dialogo intimo con Dio. La sua affermazione"Pregare è cercare di essere amici, mentre spesso siamo soli con colui che sappiamo che ci ama".- diventa la cornice affettiva dell'intera proposta di Muñoz. La preghiera è relazione, non tecnica. È un legame, non un'attività.

Santa Teresa di Lisieux, da parte sua, porta all'autore la tenerezza e la piccolezza come cammino spirituale. Teresa insegna che non è necessario saper pregare bene per poter pregare. È sufficiente offrire il proprio desiderio, anche con parole povere. La sua spiritualità infantile"È la fiducia, e nient'altro che la fiducia, che deve condurci all'amore".- illumina l'intero percorso.

San Giovanni della Croce porta l'esperienza del silenzio e dello spogliamento. Per Muñoz, Giovanni è la chiave per capire che Dio spesso comunica senza parole, senza luce, senza consolazione, e che questa apparente oscurità non è assenza, ma mistero. L'anima, dice San Giovanni, impara nel non sapere. La preghiera può essere arida, ma questo non la rende meno vera.

San Josemaría Escrivá appare come il testimone di una preghiera perseverante nel mezzo della vita quotidiana. In lui Muñoz riconosce una spiritualità che unisce lavoro, silenzio interiore e presenza di Dio. La preghiera non si riduce a un momento, ma si prolunga nella vita concreta, dalla più semplice e abituale.

La frase "inutile

Una delle idee più potenti del libro è quella che l'autore chiama "preghiera inutile".. Questa espressione, lungi dall'avere un significato negativo, è una denuncia della spiritualità utilitaristica che misura la preghiera in base a ciò che "produce". Al contrario, Muñoz propone una preghiera che non cerca risultati, consolazione o chiarezza. Una preghiera che è semplicemente presenza condivisa.

Pregare senza aspettarsi nulla. Stare con Dio solo perché. Questa è, per Muñoz, la forma più alta di preghiera: quella che non pretende, che non manipola, che non strumentalizza Dio.

Questa "inutilità" è, paradossalmente, la più feconda. Perché libera dall'ansia spirituale e apre il cuore a un'esperienza di Dio che non dipende dallo sforzo personale, ma dalla grazia. È una preghiera spoglia, umile, silenziosa. Ma è anche ferma, fedele, fiduciosa.

Per praticarlo, questo è sufficiente:

-Stare in silenzio, con la certezza che Dio è lì.

-Non cercate di sentire nulla.

-Non cercate di "fare bene la preghiera".

-Essere e basta. Solo per restare.

-E uscire con la fiducia che stare con Dio è sufficiente.

Una spiritualità libera e vera

Alex Muñoz non presenta solo un altro metodo, ma un modo diverso di stare davanti a Dio. Il suo libro non è insegnato con formule, ma è trasmesso come una testimonianza. L'itinerario che propone - concentrarsi, arrendersi, scrivere, credere - è in realtà una pedagogia del cuore: silenziosa, paziente, umile.

In un momento in cui la spiritualità rischia di diventare tecnica o emotiva, questo libro ci ricorda che la vera preghiera non ha bisogno di abbellimenti, ma solo di verità. Non richiede parole sofisticate, ma solo disponibilità. E che Dio non si trova nello spettacolare, ma nel piccolo, nel nascosto, nel fedele.

Perché, alla fine, ascoltare Dio non è un'abilità. È un dono. E dobbiamo solo imparare ad ascoltarlo nell'unico luogo in cui parla sempre: il cuore.

Il Vangelo, la chiave

La conclusione del libro sottolinea che pregare e leggere il Vangelo non è un mezzo utile o un manuale di regole, ma un incontro personale con Dio. La preghiera, come l'amore o la bellezza, è "inutile" nel senso che non cerca di ottenere cose, ma ha valore in sé: Dio è il fine, non il mezzo.

Il Vangelo non deve essere ridotto a moralismo o a consigli pratici, ma alla ricerca del volto di Cristo. L'autore ci invita a entrare nelle scene evangeliche con la nostra immaginazione, come un personaggio qualsiasi, seguendo l'esempio di san Josemaría, che raccomandava di trattare Gesù, Maria e Giuseppe con fiducia e affetto.

Anche le scene più intense - come la discesa di Cristo dalla croce - aiutano a vivere la fede con realismo e tenerezza, rendendo la preghiera e la lettura del Vangelo un incontro intimo, amorevole e trasformante con Dio.

L'autoreMiguel Janer

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Vaticano

San John Henry Newman diventerà Dottore della Chiesa il 1° novembre

Leone XIV ha annunciato oggi all'Angelus che proclamerà San John Henry Newman Dottore della Chiesa il 1° novembre, durante il Giubileo del Mondo dell'Educazione. Il Papa lo ha detto dopo la Messa giubilare per i catechisti, in cui ha detto loro che il loro amore e la loro testimonianza possono cambiare la vita.

CNS / Omnes-28 settembre 2025-Tempo di lettura: 6 minuti

- Cindy Wooden, Città del Vaticano (CNS)

Papa Leone XIV ha detto questa domenica nel suo discorso in occasione del Angelusche proclamerà San John Henry Newman Dottore della Chiesa il 1° novembre, in occasione del Giubileo del Mondo dell'Educazione.

L'annuncio ha avuto luogo dopo la Messa del 28 settembre, presso la Giubileo dei catechisti. Il Papa ha detto che San Newman "ha contribuito in modo decisivo al rinnovamento della teologia e alla comprensione dello sviluppo della dottrina cristiana".

Leone XIV conferma il parere di cardinali e vescovi

Il Dicastero per le cause dei santi aveva annunciato il 31 luglio che Papa Leone "ha confermato il parere affermativo" dei cardinali e vescovi membri del dicastero su San John Henry Newman. Teologo e cardinale di Santa Romana Chiesa, fondatore dell'Oratorio di San Filippo Neri in Inghilterra. Leone XIV ha ora fissato la data della sua proclamazione: il 1° novembre.

Numerose richieste

San John Henry Newman nacque a Londra il 21 febbraio 1801 e fu ordinato sacerdote anglicano. Si convertì al cattolicesimo nel 1845, fu nominato cardinale nel 1879 da Papa Leone XIII e morì a Edgbaston, vicino a Birmingham, in Inghilterra, nel 1890.

Già prima della canonizzazione di San Newman da parte di Papa Francesco il 13 ottobre 2019, si chiedeva che fosse nominato uno dei tre dozzine di Dottori della Chiesa. Uomini e donne santi, sia dell'Oriente che dell'Occidente cristiano, che vengono onorati per contributi particolarmente importanti alla teologia e alla spiritualità.

I 37 santi attualmente riconosciuti come Dottori della Chiesa comprendono i primi Padri della Chiesa, come San Girolamo, San Giovanni Crisostomo e Sant'Agostino. E teologi come i santi Tommaso d'Aquino, Bonaventura e Giovanni della Croce. Ma anche Santa Teresa di Lisieux, onorata da San Giovanni Paolo II nel 1997, nonostante i suoi scarsi risultati accademici.

San John Henry Newman, filosofo, teologo e cardinale britannico, sarà proclamato Dottore della Chiesa da Papa Leone XIV il 1° novembre.

20 conferenze episcopali

Il Dicastero per le Cause dei Santi ha dichiarato che 20 conferenze episcopali hanno chiesto che San Newman sia dichiarato dottore della Chiesa. Tra queste, i vescovi di Inghilterra e Galles, Scozia, Irlanda, Stati Uniti, Canada e Australia.

"Il tuo pensiero ha avuto un impatto significativo sulla teologia del XX secolo, soprattutto nel Concilio Vaticano II", ha dichiarato il dicastero. "Diversi papi, da Leone XIII a Francesco, si sono ispirati a lui nel loro magistero papale.

Papa Francesco ha autorizzato il dicastero ad avviare il processo per la dichiarazione nel maggio 2024. A settembre, il Dicastero per la Dottrina della Fede ha affermato che non c'è "alcun dubbio sull'eccellenza e la qualità degli scritti del santo. E ha espresso un giudizio del tutto positivo sulla sua 'eminens doctrina' (eminente insegnamento)".

I consultori del dicastero hanno appoggiato all'unanimità la petizione, come hanno fatto i cardinali e i vescovi membri del dicastero.

Vicinanza e preghiera per le vittime dei tifoni in Asia

Sempre prima di recitare l'Angelus, il Papa ha condiviso con i fedeli e i pellegrini il suo vicinanza all'AsiaL'UE è stata colpita da un tifone di forza eccezionale in diversi territori asiatici, in particolare le Filippine, l'isola di Taiwan, la città di Hong Kong, la regione di Guangdong e Hainan", ha dichiarato.

"Sono vicino alle popolazioni colpite, soprattutto alle più povere. E prego per le vittime, i dispersi, le tante famiglie sfollate, le tante persone che hanno subito disagi e anche per le squadre di soccorso e le autorità civili. Invito tutti a confidare in Dio e nella solidarietà. Che il Signore dia loro forza e coraggio per superare tutte le avversità", ha aggiunto.

Catechisti: mettere la parola di vita nel cuore delle persone

Nell'omelia della Messa del Giubileo dei Catechisti, Papa Leone XIV ha detto che "quando i catechisti insegnano, il loro scopo non è semplicemente quello di trasmettere informazioni sulla fede". Ma "di depositare la parola di vita nei cuori, affinché essa porti i frutti di una vita buona", ha detto Papa Leone XIV. 

"Il Vangelo ci dice che la vita di tutti può cambiare perché Cristo è risorto. Questo evento è la verità che ci salva. Pertanto, deve essere conosciuta e proclamata", ha detto il Papa ai circa 20.000 catechisti provenienti da più di 115 Paesi che partecipano al Giubileo dei catechisti.

Ma proclamare la Buona Novella non è sufficiente, ha detto il Papa nell'omelia della Messa del 28 settembre in Piazza San Pietro. "Dobbiamo amarla. È l'amore che ci porta a capire il Vangelo.

Papa Leone XIV pronuncia l'omelia durante la Messa per il Giubileo dei Catechisti in Piazza San Pietro, in Vaticano, il 28 settembre 2025. (Foto CNS/Lola Gómez).

39 uomini e donne provenienti da 16 paesi

Durante la liturgia, Papa Leone ha formalmente insediato nel ministero dei catechisti 39 donne e uomini provenienti da 16 Paesi. Tra loro c'erano David Spesia, direttore esecutivo del Segretariato dei vescovi statunitensi per l'evangelizzazione e la catechesi, e Marilyn Santos, direttore associato del Segretariato.

Prima che il Papa pronunciasse l'omelia, un diacono ha nominato ciascuno dei 39, che hanno risposto in italiano: "Eccomi", cioè "presente". Dopo l'omelia, Papa Leone ha consegnato a ciascuno un crocifisso.

"Che il vostro ministero sia sempre fondato su una profonda vita di preghiera, fondato sulla sana dottrina e animato da un autentico zelo apostolico", ha detto loro il Papa. "Come amministratori della missione affidata alla Chiesa da Cristo, dovete essere sempre pronti a rispondere a chiunque vi chieda ragione della speranza che è in voi".

Il ricco e Lazzaro 

La lettura del Vangelo durante la Messa è stata la parabola del ricco e di Lazzaro, tratta da Luca 16:19-31. Nella parabola, ha detto il Papa, Lazzaro è ignorato dall'uomo ricco, "eppure Dio gli è vicino e si ricorda del suo nome".

Ma il ricco non ha nome nella parabola, "perché ha perso se stesso dimenticando il suo prossimo", ha detto il Papa. "Si è perso nei pensieri del suo cuore: pieno di cose e vuoto di amore. I suoi beni non fanno di lui una persona buona".

Storia attuale: opulenza e miseria

"La storia che Cristo ci racconta è, purtroppo, molto attuale oggi", ha detto Papa Leone. "Alle porte dell'opulenza odierna c'è la miseria di interi popoli, devastati dalla guerra e dallo sfruttamento.

"Attraverso i secoli, nulla sembra essere cambiato: quanti Lazzaro muoiono davanti all'avidità che dimentica la giustizia, davanti ai profitti che calpestano la carità e davanti alle ricchezze che sono cieche al dolore dei poveri", ha detto.

Nella parabola, il ricco muore e viene gettato negli inferi. Chiede ad Abramo di inviare un messaggero ai suoi fratelli per avvertirli e chiamarli al pentimento.

Il racconto del Vangelo e le parole della Scrittura che i catechisti sono chiamati a condividere non hanno lo scopo di "deludere o scoraggiare" le persone, ma di risvegliare le loro coscienze, ha detto il Papa.

Il cuore della catechesi

Facendo eco alle parole di Papa Francesco, Papa Leone ha detto che il cuore della catechesi è questo annuncio. Che "il Signore Gesù è risorto, il Signore Gesù vi ama e ha dato la sua vita per voi; risorto e vivo, è vicino a voi e vi aspetta ogni giorno".

Questa verità, ha detto, dovrebbe spingere le persone ad amare Dio e ad amare gli altri a loro volta.

L'amore di Dio, ha detto, "ci trasforma aprendo il nostro cuore alla Parola di Dio e al volto del nostro prossimo".

I genitori, i primi a insegnare ai figli la conoscenza di Dio

Papa Leone ha ricordato ai genitori che sono loro i primi a insegnare ai loro figli il significato di Dio, delle sue promesse e dei suoi comandamenti.

Ha ringraziato tutti coloro che sono stati testimoni di fede, speranza e carità, collaborando al lavoro pastorale della Chiesa "ascoltando le domande, condividendo le lotte e servendo il desiderio di giustizia e verità che abita la coscienza umana".

L'insegnamento della fede è uno sforzo comunitario, ha detto, e il Catechismo della Chiesa Cattolica "è la 'guida turistica' che ci protegge dall'individualismo e dalla discordia, perché testimonia la fede di tutta la Chiesa Cattolica".

L'autoreCNS / Omnes

Risorse

Georges Lemaître: quando nasce l'universo tra scienza e fede

Georges Lemaître, sacerdote e fisico belga, ha rivoluzionato la cosmologia proponendo che l'universo è in espansione e ha avuto origine nell'"atomo primordiale", oggi noto come Big Bang.

Eduardo Riaza-28 settembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Può un sacerdote essere anche un grande scienziato? La storia di Georges Lemaître dimostra che è possibile. Questo fisico belga, che era anche un sacerdote cattolico, non solo ha coniugato naturalmente scienza e fede, ma ha rivoluzionato la nostra comprensione dell'universo. È stato infatti il primo a proporre quella che oggi conosciamo come teoria del Big Bang.

Un sacerdote con vocazione scientifica

Fin da giovane, Lemaître sognava due cose: essere uno scienziato e un sacerdote. Studiò ingegneria, filosofia, fisica e matematica e prestò servizio come volontario nella Prima Guerra Mondiale. Entrò poi in seminario e fu ordinato sacerdote. Ma la sua passione per la conoscenza non si fermò lì.

Scoprì la teoria della relatività generale di Einstein attraverso i testi dell'astronomo Arthur Eddington, con il quale avrebbe poi studiato a Cambridge. Affascinato dalle nuove idee sullo spazio e sul tempo, Lemaître iniziò a studiare come applicarle all'intero universo.

Un universo in espansione

Fino ad allora, la maggior parte degli scienziati credeva in un universo statico. Lemaître la pensava diversamente: se l'universo era pieno di galassie che si allontanavano l'una dall'altra - come indicavano alcune osservazioni - allora doveva essere in espansione.

Con questa idea in mente, nel 1927 propose un modello matematico in cui l'universo si espandeva nel tempo. Questa espansione spiegava un fenomeno noto come "redshift": le galassie più lontane si allontanano più velocemente. Anni dopo, Edwin Hubble osservò esattamente questo fenomeno, dando un forte sostegno empirico all'ipotesi di Lemaître.

L'origine: l'"atomo primitivo".

Ma Lemaître si spinse oltre. Nel 1931 avanzò un'idea ancora più audace: l'universo era partito da un punto estremamente denso e caldo che chiamò "atomo primordiale". Questa fu la prima formulazione scientifica dell'origine dell'universo, oggi nota come teoria del Big Bang.

Invece di immaginare un universo eterno, ne propose uno con un inizio, in cui lo spazio e il tempo emergevano da un'esplosione cosmica iniziale. Sebbene la comunità scientifica abbia inizialmente accolto questa idea con scetticismo - e alcuni pensarono addirittura che Lemaître stesse cercando di introdurre la creazione biblica nella scienza - egli fu sempre chiaro: il suo modello era una proposta scientifica, non religiosa.

Fede e scienza: due vie per la verità

Lungi dall'utilizzare la scienza per "dimostrare" l'esistenza di Dio, Lemaître insisteva nel mantenere una sana separazione tra fede e scienza. Per lui, entrambe cercano la verità, ma da piani diversi: la scienza spiega il "come" dell'universo; la fede, il "perché" ultimo dell'esistenza.

Lemaître credeva che Dio non sostituisse le leggi naturali, ma fosse il fondamento di tutto ciò che esiste. Secondo le sue stesse parole, "Dio non deve essere ridotto a un'ipotesi scientifica". Egli affermava che la Rivelazione non aveva lo scopo di insegnare la scienza e che uno scienziato credente poteva indagare liberamente come chiunque altro.

L'eredità del "padre del Big Bang

Durante la sua vita, Lemaître è stato riconosciuto sia per la sua genialità scientifica che per la sua profonda umiltà. Le sue idee sono state alla base della cosmologia moderna. Poco prima della sua morte, venne a conoscenza della scoperta della radiazione cosmica di fondo, un'"eco" del Big Bang che confermava la sua teoria. Fu un momento simbolico: la scienza aveva finalmente confermato ciò che lui aveva intravisto decenni prima.

Oggi la sua figura ispira molti come esempio che scienza e fede non devono essere in contrasto. Georges Lemaître visse convinto che l'universo sia razionale, bello e accessibile all'intelligenza umana, proprio perché opera di un Creatore.

E forse proprio per questo è stato in grado di vedere più lontano di molti altri: fino all'origine stessa del cosmo.

L'autoreEduardo Riaza

Fisico e autore di "La storia dell'inizio: Georges Lemaître, padre del big bang".

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Evangelizzazione

8 idee su ciò che le persone si aspettano dai loro catechisti

Cosa significa essere un catechista? Può esserlo chiunque? Cosa si aspettano i catechisti? In questo articolo vengono presentate due visioni di ciò che significa essere un buon catechista.

Teresa Aguado Peña-28 settembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

In occasione del Giubileo dei Catechisti, il 28 settembre, Papa Leone XIV presiede la Santa Messa in Piazza San Pietro con l'insediamento dei nuovi catechisti, un gesto che sottolinea l'importanza della loro missione nella vita della Chiesa. In questo contesto, abbiamo chiesto a catechisti e catechiste quali sono, secondo la loro esperienza, le chiavi per svolgere questo compito con frutto e gioia. Da qui questo articolo: otto chiavi concrete per essere un buon catechista, raccolte da coloro che trasmettono e ricevono la fede.

Molti pensano che essere catechista sia il frutto di una collezione di meriti, come se fosse un semplice incarico che viene assegnato quando si sale una grande scala di prove di fede. Niente di più sbagliato. Il primo "requisito" per essere catechista è riconoscersi peccatore, perché solo chi sperimenta la misericordia di Dio può annunciarla autenticamente. Da questa umiltà nasce la disponibilità a servire, ad accompagnare gli altri nel loro cammino di fede e a permettere allo Spirito Santo di agire attraverso di sé. Il catechista non parla a partire dalla perfezione personale, ma dall'esperienza viva di un Dio che trasforma e sostiene, condividendo con semplicità il tesoro ricevuto. Su questa base, cosa dicono i catechisti e cosa dicono i catechizzati?

Cosa dicono i catechisti?

1. Testimoniare l'amore di Dio

Il catechista non trasmette una teoria o un elenco di regole: comunica un'esperienza viva. Essere testimoni dell'amore di Dio significa averlo sperimentato in se stessi e lasciare che questo amore trasformi le proprie parole, i propri gesti e i propri atteggiamenti. Il catechista è colui che, avendo incontrato Cristo, può dire con sincerità "vieni e vedi", perché condivide a partire dalla propria esperienza e non da concetti astratti.

2. La Chiesa come madre

I catechisti non camminano da soli né agiscono da soli. Vivono la loro missione dall'interno della Chiesa, la madre che fa nascere e nutre la fede. Ciò implica sentirsi parte attiva della comunità cristiana, imparare da essa, ricevere formazione e sostegno, e allo stesso tempo accompagnare gli altri nella loro crescita spirituale. A partire da questa consapevolezza, il catechista è segno di accoglienza e vicinanza, mostrando ai suoi catechisti che la Chiesa è casa e famiglia.

3. La preghiera come fonte

Il cuore del catechista si nutre della preghiera personale e comunitaria. Non si può dare ciò che non si ha: chi accompagna gli altri nella fede ha bisogno di abbeverarsi ogni giorno alla fonte viva del proprio rapporto con Dio. La preghiera sostiene nei momenti di stanchezza, illumina nelle decisioni e fa della catechesi qualcosa di più di una lezione: è un incontro che può portare a un incontro personale con Dio.

4. Parresia per annunciare il Vangelo

La parresia è l'audacia dello Spirito Santo: annunciare il Vangelo con coraggio, gioia e libertà interiore. Un buon catechista non si lascia frenare dalla paura, dalla timidezza o dal "cosa dirà la gente", ma si fida dello Spirito e si adatta al linguaggio e alla realtà di chi ha davanti. Come Gesù, cerca di rendere comprensibile la Buona Novella, senza annacquarne il contenuto, ma rendendola attuale e pertinente.

Che cosa chiedono i catechisti ai loro assistiti?

1.No alle percosse

Un catechista definisce bene cosa significa avere questa vocazione: "essere un testimone e non picchiare la gente". La catechesi non può essere un bombardamento di contenuti o un discorso moraleggiante. La fede non si impone, si propone; non si trasmette con la freddezza di un manuale, ma con la vicinanza di un'esperienza reale che spinge a credere in Lui. Un buon catechista sa accompagnare, ascoltare e adattarsi al ritmo e alla realtà dei suoi catechisti, affinché la catechesi sia uno spazio di incontro, dialogo e crescita, non di noia o imposizione.

2. Coerenza

Niente ha più impatto dell'esempio. Un catechista può avere molte risorse didattiche, ma se la sua vita è in contrasto con ciò che insegna, il messaggio è privo di forza. Vivere in modo coerente non significa essere perfetti, ma sforzarsi di allineare la propria vita quotidiana con ciò che viene proclamato: preghiera, partecipazione alla comunità, carità, perdono. È questa autenticità, per quanto imperfetta, che risveglia la fiducia nei catechisti e mostra loro che il Vangelo è possibile nella vita reale. Come ha detto uno di loro: "Non mi aspetto che il mio catechista sia un santo, ma mi aspetto che creda in quello che dice".

3. L'empatia

Ogni persona che viene alla catechesi ha la sua storia, i suoi dubbi, il suo ritmo e le sue ferite. Un buon catechista ha bisogno, oltre che della formazione, dell'intelligenza emotiva per mettersi nei panni dei suoi catechisti, per accogliere le loro domande senza scandalizzarsi, per ascoltare senza giudicare e per trovare il modo di accompagnare il loro processo. Questa empatia crea un clima di fiducia in cui essi possono aprirsi al messaggio evangelico. I catechisti lo esprimono così: "Ci sentiamo ascoltati quando non siamo trattati come un numero, ma come persone con un nome e una vita propria".

4. Discernimento

Non tutti i consigli sono appropriati e non tutti i percorsi sono uguali per tutti. Per questo, oltre all'empatia, il catechista ha bisogno di discernimento: saper leggere i segni di Dio nella vita di ogni persona, pregare per coloro che accompagna e lasciare che lo Spirito Santo ispiri le sue parole e le sue azioni. Il discernimento aiuta a guidare senza imporre, a suggerire senza pressare, a indicare percorsi che portano all'incontro con Cristo e non a semplici prescrizioni. In questo modo, il catechista diventa un vero compagno di viaggio, aiutando ogni persona a scoprire ciò che Dio vuole per la sua vita.

Vaticano

Il Papa ai catechisti: "c'è un 'sesto senso' per le cose di Dio".

Papa Leone XIV ha difeso nell'Udienza di questa mattina, in occasione del Giubileo dei Catechisti, l'esistenza del "sensus fidei", un "sesto senso" della gente semplice per le cose di Dio. È l'"infallibilità del popolo di Dio nella fede". Quella che ha portato un bambino di Milano a gridare: "Ambrogio, vescovo!", ed era un catecumeno.

OSV / Omnes-27 settembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

- Francisco Otamendi

Nella Milano del IV secolo, la Chiesa era divisa da grandi conflitti e l'elezione di un nuovo vescovo si stava trasformando in un tumulto, che papa Leone XIV descrisse nella Pubblico del Giubileo dei catechisti. 

"Si racconta che si alzò la voce di un bambino che gridò: "Ambrosio vescovo! E tutto il popolo gridò: "Ambrogio vescovo! E Ambrogio, che non era nemmeno battezzato, un catecumeno che si preparava al battesimo, è stato "uno dei vostri più grandi vescovi e dottore della Chiesa", ha detto il Papa.

Intuizioni nel popolo di Dio

Il Giubileo ci rende pellegrini di speranza, "perché avvertiamo un grande bisogno di rinnovamento che riguarda noi e tutta la terra", ha detto Leone XIV in un'assolata Piazza San Pietro, in occasione del Giubileo dei Catechisti, davanti a più di 35.000 pellegrini.

"Ho appena detto "intuiamo": questo verbo - intuire - descrive un movimento dello spirito, un'intelligenza del cuore che Gesù ha trovato soprattutto nei piccoli, cioè nelle persone di animo umile. 

Spesso, infatti, le persone istruite hanno poche intuizioni, perché presumono di sapere tutto. "È bello, invece, avere ancora spazio nella mente e nel cuore perché Dio si riveli. Quale speranza quando nuove intuizioni nascono nel popolo di Dio!".

Infallibilità del popolo di Dio nella fede

Gesù si rallegra di questo, è pieno di gioia, ha proseguito il Pontefice, perché si rende conto che i piccoli percepiscono. Hanno il "sensus fidei", che è come un "sesto senso" delle persone semplici per le cose di Dio. Dio è semplice e si rivela ai semplici. 

"Pertanto", ha sottolineato, "esiste un'infallibilità del popolo di Dio nella fede, di cui l'infallibilità del Papa è espressione e servizio" (cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 12; Commissione Teologica Internazionale, Il sensus fidei nella vita della Chiesa, 30-40)".

"Ambrogio, Vescovo!"

Ha poi ricordato quel momento della storia della Chiesa che dimostra come la speranza possa nascere dalla capacità di intuizione del popolo. Come il nome Ambrogio, Sant'Ambrogio, sia nato nel IV secolo a Milano, dal pianto di un bambino.

Ambrogio all'inizio non voleva, era persino scappato. Poi ha capito che era una chiamata di Dio, così si è lasciato battezzare e ordinare vescovo. "E diventa cristiano diventando vescovo", ha ricordato il Papa. 

Dono dei piccoli alla Chiesa

"Vedete che grande dono hanno fatto i piccoli alla Chiesa? Anche oggi è una grazia da chiedere: diventare cristiani vivendo la chiamata che avete ricevuto! Siete madre, siete padre? Diventa cristiano come madre e padre. Sei un imprenditore, un operaio, un insegnante, un sacerdote, una suora? Diventa un cristiano sulla tua strada. La gente ha questo "fiuto": capisce se stiamo diventando cristiani o no. E può correggerci, può indicarci la strada di Gesù.

Sant'Ambrogio, nel corso degli anni, ha dato molto al suo popolo, ha sottolineato Leone XIV. Ad esempio, "inventò nuovi modi di cantare salmi e inni, di celebrare, di predicare. Egli stesso sapeva intuire, e così la speranza si moltiplicava. Agustin è stato convertito dalla sua predicazione e battezzato da lui. L'intuizione è un modo di aspettare, non dimentichiamolo!".

Che il Giubileo ci aiuti a diventare piccoli secondo il Vangelo per percepire e servire i sogni di Dio", ha concluso la catechesi.

L'autoreOSV / Omnes

Vaticano

La misericordia che rifà l'uomo

Papa Leone XIV sottolinea che la misericordia di Dio non solo perdona, ma ricrea: dove l'uomo distrugge, Dio ricrea.

Diego Blázquez Bernaldo de Quirós-27 settembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

La recente catechesi di Papa Leone XIV di mercoledì 24 settembre ci pone al centro del cristianesimo: la misericordia di Dio come fonte inesauribile di vita nuova. Non si tratta di un'idea devozionale secondaria, ma del cuore stesso della Rivelazione.

San Giovanni Paolo II lo ha affermato con forza: "la misericordia è il più grande attributo di Dio" (Dives in misericordia, 13). E Benedetto XVI ha ricordato che "la fede cristiana non è innanzitutto un'idea, ma un incontro con un avvenimento, con una Persona" (Deus caritas est, 1): quell'incontro è con Cristo che, sulla croce, fa del suo perdono il volto visibile dell'amore divino.

La proposta di Leone XIV

La novità della catechesi di Papa Leone XIV sta nel sottolineare che il perdono divino non è una semplice "dimenticanza" del peccato, ma un atto creativo. Dove l'uomo distrugge, Dio ricrea. Il perdono non solo assolve: ricrea. Per questo la misericordia di Dio è sempre fonte di speranza. Il credente non è definito dalle sue cadute, ma dall'amore che lo rialza.

Tuttavia, questa esperienza richiede un cammino spirituale: umiltà e pentimento. L'orgoglio chiude l'accesso alla grazia, mentre la confessione sincera spalanca la porta del perdono. Il Figliol Prodigo ha potuto sperimentare l'abbraccio del Padre solo quando ha riconosciuto la sua miseria e ha detto: "Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te" (Lc 15,21). La misericordia non umilia, anzi, dà dignità. Ma richiede il coraggio di riconoscere che si è nel bisogno.

Perdonare se stessi

Questo apre un altro aspetto decisivo: il perdono di Dio richiede anche che noi
impariamo a perdonare noi stessi. Molte volte il cristiano vive come un
se l'assoluzione sacramentale fosse inefficace, gravandoci di colpe che sono già state
redenti. Ma la fede ci insegna che il giudizio finale sulle nostre vite non è dato dalla
pronunciare le nostre colpe, ma il sangue di Cristo versato per noi. Perdonare noi stessi significa, in definitiva, accettare lo sguardo di Dio sulla nostra storia.

Da questa certezza nasce la gioia del Vangelo. Il perdono non è solo riposo psicologico, è pace ontologica: ci restituisce lo stato di figli riconciliati, riportati alla comunione. Come insegna il Catechismo, "non c'è limite o misura a questo perdono essenzialmente divino" (CCC 2845). Pertanto, l'esperienza della misericordia non porta alla rassegnazione, ma alla missione: il perdonato diventa testimone e ministro del perdono in un mondo ferito dalla durezza e dal risentimento.

La catechesi di Papa Leone XIV ci invita, insomma, a contemplare il perdono come un dono che richiede umiltà e dona speranza, umiltà: perché riconoscere la propria colpa è condizione per aprirsi alla grazia, speranza: perché ogni caduta può diventare luogo di incontro con il Dio che "fa nuove tutte le cose" (Ap 21,5). E soprattutto la gratitudine: perché tutto nella vita cristiana nasce dallo stupore grato di fronte a un Dio che non si stanca di rifarci con la sua misericordia.

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Stati Uniti

Mons. Paprocki: "Non è contro l'unità dire la verità".

L'arcidiocesi di Chicago e il cardinale Blase J. Cupich intendono consegnare al senatore Dick Durbin un "premio alla carriera" per il suo lavoro sull'immigrazione. Il senatore ha mantenuto "una politica abortista molto forte e coerente", afferma il vescovo Thomas J. Paprocki in questa intervista a OSV News, e l'arcidiocesi dovrebbe revocare il premio. Durbin risiede ufficialmente nella sua diocesi.

OSV / Omnes-27 settembre 2025-Tempo di lettura: 8 minuti

- Gretchen R. Crowe (Notizie OSV)

L'Ufficio per la Dignità Umana e la Solidarietà dell'Immigrazione dell'Arcidiocesi di Chicago e il Cardinale Blase J. Cupich hanno in programma di consegnare al senatore Dick Durbin, cattolico, un "Premio alla Carriera" per il suo lavoro sui temi dell'immigrazione a novembre. Questo nonostante la posizione pubblica di lunga data del senatore sull'aborto. Il vescovo Thomas J. Paprocji di Springfield, Illinois, nella cui diocesi Durbin risiede ufficialmente, ha emesso una correzione fraterna al cardinale Cupich, chiedendo all'arcidiocesi di cambiare i suoi piani.

"Poiché questa decisione minaccia di scandalizzare i fedeli e di danneggiare i legami della comunione ecclesiale, deve essere annullata", ha scritto il 23 settembre il vescovo Paprocki su First Things.

In un'intervista rilasciata a OSV News il 24 settembre, monsignor Paprocki ha affermato che, a prescindere dal curriculum del senatore Durbin su altre questioni, la sua posizione pubblica a favore di politiche che proteggono l'aborto legale lo squalifica dal ricevere qualsiasi premio, secondo le politiche sia della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti che dell'arcidiocesi di Chicago. Egli ha sostenuto che il premio non è coerente con la dottrina della Chiesa sulle questioni relative alla vita e che difendere la verità non significa rompere l'unità all'interno della Chiesa.

Di seguito riportiamo l'intervista completa, modificata per chiarezza e lunghezza.

OSV News: All'inizio di questa settimana, lei ha emesso una correzione fraterna formale al cardinale Cupich per la decisione di dare al senatore Dick Durbin dell'Illinois un "premio alla carriera". Quale pensa sia il risultato migliore a questo punto? 

- Mons. Thomas J. Paprocki: Credo che a questo punto il risultato migliore sarebbe che il cardinale Cupich e l'arcidiocesi di Chicago revocassero il premio alla carriera al senatore Durbin. 

Penso che sia chiaro che ha mantenuto una politica abortista molto forte e coerente come senatore degli Stati Uniti. E nonostante le sue altre buone azioni, stiamo parlando di un'etica della vita coerente. 

Questo è stato un grosso problema con il cardinale Joseph Bernardin, arcivescovo di Chicago negli anni '90, quando ero il suo cancelliere. Al senatore Durbin, che ricopre questa carica da diversi anni, sembra che tutte le altre sue buone azioni superino il fatto di essere un politico abortista, ma non è così. Sarebbe come dire che qualcuno è un buon cattolico perché segue nove dei dieci comandamenti: "Il quinto comandamento, "Non uccidere", non lo seguiamo, ma gli altri nove li seguo perfettamente. È quindi molto incoerente dire che daremo un premio alla carriera a qualcuno che promuove l'omicidio di feti. 

OSV News: Nella sua dichiarazione il cardinale Cupich ha fatto riferimento alla "coerente etica della vita", coniata, come lei ha detto, dal cardinale Bernardin. Potrebbe spiegare cosa intende con questo concetto?

- Mons. Paprocki: Lo stesso cardinale Bernardin è stato molto schietto al riguardo. Gli è stato chiesto molte volte. Questo accadeva quando, negli anni '80, promuoveva l'etica della vita coerente. Anche allora c'erano politici e altri che usavano questa etica per dire: "Beh, come il senatore Durbin, finché aderisco alla dottrina cattolica sulla maggior parte delle questioni, non c'è alcun problema, e l'aborto non è così importante". 

C'è una citazione molto forte del cardinale Bernardin - fu intervistato dal National Catholic Register nel 1988 - e io ho questa citazione che mi piace usare spesso, perché penso sia sua. Ha detto: "So che alcune persone di sinistra, se posso usare questa etichetta, hanno usato un'etica coerente per dare l'impressione che la questione dell'aborto non sia più così importante. Che dovrebbero essere contro l'aborto in generale, ma ci sono questioni più importanti, quindi non ritenete nessuno responsabile solo per l'aborto. Questo è un abuso coerente dell'etica, e lo deploro". È una citazione molto forte e penso che sia molto applicabile a ciò che sta accadendo qui con il senatore Durbin. 

Il senatore statunitense Dick Durbin, democratico dell'Illinois, nel 2019, e il cardinale Blase J. Cupich di Chicago, nel 2018 in Vaticano (foto di OSV News/Jim Bourg, foto di Reuters/CNS/Paul Haring).

OSV News: Con la correzione fraterna, pensa che ogni risposta che potrebbe ricevere sarà resa pubblica, dato che la sua correzione fraterna era pubblica? 

- Mons. PaprockiCredo che il cardinale Cupich abbia già dichiarato pubblicamente che intende andare avanti con l'omaggio al senatore Durbin. Quindi, se dovesse revocarlo, credo che sarebbe molto pubblico. Ma per ora non sembra che abbia intenzione di farlo. Infatti, ha rilasciato la sua dichiarazione lunedì dopo che gli ho fatto notare queste cose. Quindi, in sostanza, è abbastanza chiaro che sta raddoppiando i suoi sforzi e tende a continuare a dare questo premio. 

OSV News: Non sembra ideale che i vescovi siano in disaccordo con i media. Non è certo l'ideale per l'unità della Chiesa. Che cosa la spinge a farsi avanti in questo modo? 

- Mons. Paprocki: La ragione per cui ho deciso di fare questo passo è in risposta a qualcosa che il cardinale Cupich e l'arcidiocesi di Chicago stanno facendo. Non ho iniziato io. Stanno facendo qualcosa che contraddice la dichiarazione della Conferenza episcopale degli Stati Uniti su "I cattolici nella vita politica". Una dichiarazione che noi, come vescovi degli Stati Uniti, abbiamo rilasciato nel 2004. 

Il testo afferma molto chiaramente: "La comunità cattolica e le istituzioni cattoliche non dovrebbero onorare coloro che agiscono contro i nostri principi morali fondamentali. Non dovrebbero ricevere premi, onorificenze o piattaforme che suggeriscano il sostegno alle loro azioni". Questo è abbastanza chiaro. E, di fatto, l'arcidiocesi di Chicago ha una politica molto simile a quella di non concedere onorificenze o opportunità di parlare a persone la cui posizione pubblica si oppone ai principi morali fondamentali della Chiesa cattolica. 

Pertanto, quando si verifica una situazione come questa, o quando qualcuno non rispetta tale politica, non credo che sia una rottura dell'unità farlo notare e chiedere che le nostre politiche e gli insegnamenti della Chiesa cattolica vengano rispettati.

In realtà, penso che dobbiamo dire la verità, e Papa Leone ha recentemente tenuto un discorso in cui ha detto che dire la verità non danneggia l'unità, che dobbiamo dire la verità. E credo che questo sia ciò che stiamo facendo qui. 

Perché altrimenti che senso ha avere queste politiche? Passiamo molto tempo a discuterle, le adottiamo, e poi quando qualcuno le infrange, c'è qualche conseguenza, almeno una dichiarazione pubblica, che dica che si tratta di una violazione delle politiche della nostra Conferenza episcopale? 

Altri vescovi sono già intervenuti. Ho visto che l'arcivescovo Cordileone di San Francisco ha rilasciato una dichiarazione, così come il vescovo James Conley di Lincoln, Nebraska. Sono grato per il loro sostegno e prevedo che anche altri vescovi faranno sentire la loro voce. 

OSV News: È normale che un vescovo ignori le linee guida e le politiche dell'USCCB e della sua stessa diocesi su questi temi?

- Mons. Paprocki: Non credo. Voglio dire, non sono a conoscenza di un riconoscimento pubblico e di alto profilo di un senatore statunitense così importante. Non ho visto nulla di simile. C'è la questione della ricezione della Santa Comunione. È un'altra questione. E, come sapete, so che anche l'arcivescovo Cordileone di San Francisco ha detto a Nancy Pelosi che non dovrebbe ricevere la Santa Comunione. Quindi ci sono altri casi come questo in cui i vescovi hanno applicato il diritto canonico. Che fondamentalmente dice che quando qualcuno persiste ostinatamente nel promuovere un peccato grave manifesto, non dovrebbe ricevere la Santa Comunione.

OSV News: Nella sua dichiarazione del 22 settembre, il cardinale Cupich ha giustificato in parte le sue azioni, dicendo che si trattava di un modo per rimanere fedeli all'istruzione della CDF del maggio 2021. Come risponderebbe a questa affermazione? 

- Mons. Paprocki: Beh, sapete, l'istruzione è di dialogare con i politici, e va bene. Io lo faccio. Ho dialogato con il senatore Durbin. Ma quando un vescovo cerca di farlo e il politico lo ignora, allora bisogna agire. E questo è qualcosa che mi precede qui in diocesi. 

Questo risale al 2004, quando il parroco della sua parrocchia, la Blessed Sacrament Parish di Springfield, era monsignor Kevin Vann. Oggi è il vescovo Kevin Vann, vescovo di Orange, California. All'epoca, disse al senatore Durbin che non avrebbe dovuto fare la comunione, e ciò fu confermato dal mio predecessore, il vescovo George Lucas, che ora è arcivescovo emerito di Omaha.

E questo è ciò che è stato osservato qui. Il senatore Durbin mi ha detto personalmente che non fa la comunione nella nostra diocesi. Beh, a quanto pare fa la comunione in una chiesa di Chicago. Ha un appartamento a Chicago, ma ha ancora la sua casa qui a Springfield. Direi che, per quanto riguarda questo aspetto, sono ancora il suo vescovo. È molto interessante che il cardinale Cupich sia stato interpellato su questo argomento nel 2018. 

E a proposito dell'incapacità del senatore Durbin di ricevere la Santa Comunione, in un articolo apparso sullo State Journal Register, il quotidiano di Springfield, il cardinale Cupich ha detto questo. 

"Lascio che sia ogni vescovo, che ha l'obbligo di dialogare con i suoi funzionari eletti su questo tema in relazione alla propria pratica della fede cattolica, a decidere". Non sono stato coinvolto nella conversazione tra il vescovo e il senatore Durbin su questo tema, quindi non posso commentare, ma rispetto qualsiasi vescovo che abbia bisogno di agire all'interno della propria diocesi, e credo anche che la conversazione debba rimanere tra loro due". 

Ebbene, questi due, come ha detto lo stesso cardinale Cupich, sarebbero il senatore Durbin e io, il vescovo Paprocki. Quindi, al momento, la situazione non è cambiata. Egli ha ancora la sua casa qui, quello che nel diritto canonico è chiamato il suo domicilio. Ha il suo domicilio qui, in questa diocesi. E, in questo senso, mi trovo in una posizione in cui penso di dover dire qualcosa. Non è solo una questione di dire o meno qualcosa. Credo di avere l'obbligo di farlo. 

OSV News: E la sua casa è nella diocesi di Springfield?

- Mons. Paprocki: La usa ancora come registrazione ufficiale. Il suo registro elettorale indica che vota da qui, e anche se si va sul sito ufficiale del senatore Durbin, si legge che risiede a Springfield. Quindi è abbastanza chiaro. 

OSV News: Esiste un modo per una diocesi di premiare o onorare un politico per il suo lavoro in un settore, anche se è pubblicamente in disaccordo con la Chiesa in un altro? Forse ci sarebbe stato un modo più appropriato per l'arcidiocesi di Chicago di riconoscere il lavoro del senatore Durbin sull'immigrazione? O non c'è alcun modo? 

- Mons. Paprocki: Beh, suppongo che si potrebbe sostenere che se si fosse molto limitati e ci si limitasse a dire che vogliamo riconoscere tutto ciò che avete fatto per aiutare gli immigrati, questo potrebbe funzionare. Ma vorrei sottolineare due cose.

Una è che la politica dell'USCCB, la Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti, dice semplicemente che non dovremmo onorare coloro che agiscono contro i nostri principi morali fondamentali e che non dovrebbero essere premiati. Quindi, se qualcuno non segue gli insegnamenti della Chiesa, sembrerebbe che anche per evidenziare un'area da onorare, non dovremmo farlo. 

L'altro aspetto, che vorrei sottolineare in questo caso, è che lo chiamano "premio alla carriera". Quindi non viene premiato solo per quella particolare questione.

OSV News : C'è qualcos'altro che vorrebbe aggiungere? 

- Mons. Paprocki: Chiedo solo di pregare. Credo che sia molto importante. Preghiamo sempre per un cambiamento del cuore e crediamo nel potere della grazia di Dio e della conversione. Quindi chiedo preghiere per il senatore Durbin, per il cardinale Cupich e anche per tutti coloro che sono coinvolti nel movimento pro-vita.

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Gretchen R. Crowe è caporedattore di OSV News.

Questa intervista è stata pubblicata originariamente su OSV News. Potete leggerla qui qui

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L'autoreOSV / Omnes

Evangelizzazione

Rosa Pich: "Il paradiso in terra è possibile, con sacrificio, umorismo e caos".

Rosa Pich, madre di 18 figli, trasforma il dolore delle sue perdite in insegnamento e gioia nel suo nuovo libro "C'è anche il cielo".

Teresa Aguado Peña-27 settembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Rosa Pich, madre di 18 figli - tre dei quali già in cielo - e vedova, è un turbine di gioia, fede ed energia contagiosa. Nel suo nuovo libro "C'è anche il cielo", dimostra che si può ridere anche in mezzo al dolore e che il dolore può essere trasformato in apprendimento. Con il suo famoso "caos organizzato", Rosa trasforma ogni giorno in uno spettacolo di vita familiare, mostrandolo sui suoi network con l'obiettivo di portare "un piccolo granello di speranza" a tutti coloro che ne hanno bisogno.

Fin dai primi anni di matrimonio, Rosa e suo marito hanno deciso di lasciare la loro famiglia nelle mani della Provvidenza. "Non abbiamo deciso se averne uno, due, tre... Abbiamo parlato di volere una famiglia numerosa, ma alla fine è quello che Dio ti dà", ricorda.

La loro esperienza personale non è stata facile: quando è nato il terzo figlio, è morto nel giro di dieci giorni, e quattro mesi dopo è morto il secondo figlio, entrambi con problemi cardiaci. I medici hanno consigliato loro di non avere altri figli, dicendo che potevano morire tutti e che il più grande sarebbe vissuto solo tre anni. Nonostante ciò, Rosa e Chema decisero di andare avanti: "Nessuno entra nel vostro letto, faremo quello che vogliamo veramente fare", dice Rosa, e così si assunsero il rischio e si fidarono.

Rosa e i suoi figli in una foto di famiglia ©Immagine dai suoi social media.

Per Rosa, ogni bambino è un dono immeritato di Dio, un dono temporaneo che i genitori ricevono per educarlo e accompagnarlo, sapendo che presto andrà per la sua strada. Sottolinea l'enorme responsabilità che deriva dalla libertà di decidere di formare una famiglia: "Dio ci dà la libertà..., se mamma e papà dicono di no, non nascono", dice, sottolineando che la decisione di mettere al mondo un figlio spetta solo ai genitori, e che questa responsabilità trascende la vita terrena. Ogni figlio richiede dedizione, sacrificio e servizio: anche se a volte i piccoli dettagli della genitorialità sembrano opprimenti, Rosa ci ricorda che si tratta di un atto di adorazione e di amore, un dare costante che rafforza il legame familiare.

Educare alla fede

Rosa spiega che in casa sua si vive una vita di pietà: "Andiamo a Messa la domenica e anche nei giorni in cui possiamo durante la settimana. Recitiamo il Rosario a casa", senza che i bambini decidano se partecipare o meno, così come "non si lascia che siano loro a decidere se vogliono andare a scuola". Rosa mostra ai suoi figli come integrare lo spirituale nella vita quotidiana. "I bambini devono vedere i genitori che pregano", dice, sottolineando che la spiritualità si impara soprattutto con l'esempio.

Tuttavia, quando i bambini crescono, prendono le loro decisioni: "dobbiamo lasciarli sbagliare". Ogni bambino ha la sua identità e, anche se l'educazione alla fede è costante, lei rispetta il fatto che, a un certo punto, i bambini decidono da soli. "Si educa a casa una fede vissuta fin dalla culla, ma alla fine bisogna rispettarla", spiega.

La perdita

Nonostante abbia vissuto la morte di tre figli e quella del marito, Rosa, nel suo nuovo libro "C'è anche il cielo", afferma di essere stata "molto coccolata dal Signore". Vede il dolore come un'opportunità per trasformarlo in qualcosa di più fecondo, in un insegnamento. Per questo motivo, sottolinea l'importanza di affrontare la realtà e di non fuggire da essa. Quando vede che è sopraffatta, sa a chi rivolgersi: "Signore, aiutami. Dammi la forza perché non posso farcela da sola". Commenta che siamo stati creati per essere felici qui sulla terra, "anche se a volte ce ne dimentichiamo".

C'è anche il Paradiso

AutoreRosa Pich
Editoriale: Lode
AnnoDicembre 2024
Numero di pagine: 90

Influencer" per caso

Condividere la sua testimonianza e il modo in cui Dio ha operato nella sua vita le viene naturale. Racconta di aver iniziato a scrivere su Instagram quasi per caso, seguendo il suggerimento di un figlio, e di non aver mai cercato fama o follower. Per lei, la chiave è mostrare la vita così com'è, con le sue gioie, le sue cadute e le sue sfide, come quando suo figlio Rafa ha affrontato il cancro: "il Signore ha voluto mostrare attraverso il mio account... un altro modo di vedere la malattia... per far emergere un lato più umano e dare un granello di speranza". Rosa crede che, attraverso il suo esempio e la sua testimonianza, possa trasmettere conforto, speranza e motivazione, aiutando gli altri ad affrontare le difficoltà quotidiane e a valorizzare la vita familiare come spazio in cui la fede e la dedizione sono vissute con autenticità.

Con più di 123.000 follower sul suo account come essere felici con tre o tre figlile sue pubblicazioni mostrano sia il caos che il divertimento di vivere con 15 figli. È quello che lei chiama "caos organizzato": un equilibrio tra l'inevitabile disordine di una famiglia numerosa e la sua gioia traboccante. Rosa Pich ritiene che la gente la segua perché riflette la vita reale, senza filtri, mostrando sia le sfide che le risate, i giochi improvvisati e gli aneddoti che riempiono la sua casa. Questo caos, lungi dall'essere negativo, genera ottimismo, creatività e vicinanza, e trasmette che, sebbene la vita non sia perfetta, la vita familiare può essere divertente, arricchente e profondamente umana.

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