Evangelizzazione

«De Arte Sacra», ovvero cosa hanno in comune una cattedrale e Starbucks

De Arte Sacra, il sito web creato da quattro amici che realizza sorprendenti collegamenti tra fede, arte e cultura contemporanea.

Javier García Herrería-9 dicembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Sulla facciata romanica della Cattedrale di Lucca, scolpita nella pietra quasi mille anni fa, appare una figura sorprendente: una sirena con due code. Non si tratta di un ornamento capriccioso. Nella tradizione biblica e medievale — ispirata da San Girolamo e dalla sua lettura del profeta Isaia — la sirena simboleggia la seduzione che conduce al peccato: la voce che allontana da Dio e trascina verso una vita superficiale, vanitosa, “babilonese”.

Quella stessa immagine, la sirena con la doppia coda, è quella che milioni di persone vedono oggi ogni mattina sui bicchieri di Starbucks. Non è un caso. I fondatori hanno scelto quella figura perché esprime esattamente ciò che volevano trasmettere: l'irresistibile richiamo del caffè, una seduzione gentile ma potente che invita — o trascina — ad entrare.

Una sirena, due messaggi opposti. Quella di Lucca avverte: “Attenzione, questo può allontanarti dal bene”. Quella di Starbucks sussurra: “Arrenditi, non puoi resistere”. La prima libera. La seconda cattura. Ed entrambe, separate da secoli, ci raccontano la stessa cosa: l'eterna battaglia tra tentazione e libertà.

Questo tipo di connessioni —tra arte, teologia e cultura popolare— sono proprio quelle che mette in luce Arte sacra, un piccolo sito web realizzato nel tempo libero da quattro amici: due laici e due sacerdoti che amano mostrare come l'arte cristiana continui a parlare al mondo di oggi.

Origini, obiettivi e finanziamento

Enrique Sañoso spiega che “il progetto è nato alcuni anni fa in modo del tutto naturale, come risultato di una preoccupazione condivisa da diversi amici. Ognuno di noi ha un modo diverso di percepire il mondo e di scrivere. David dialoga maggiormente con il mondo contemporaneo, Ferran ha un approccio più diretto e pastorale, Marcel è sintetico e va nei dettagli, mentre forse nel mio caso ho una certa debolezza per far parlare i testi sfruttando l'attualità... insomma, ci completiamo a vicenda”. 

Uno dei suoi obiettivi è quello di “offrire uno spazio di silenzio”. In un mondo così frenetico, caratterizzato dalla frenesia digitale, il sito web vuole essere “uno spazio contemplativo online. Sarebbe già un miracolo”, commenta David. “Nel silenzio si possono generare cose molto interessanti. Beh, in realtà penso che tutte le cose interessanti si generino nel silenzio. Se riusciamo a ottenere il silenzio, siamo riusciti ad aprire le porte dell'anima”. 

Marcel, dal canto suo, ritiene che il contenuto faciliti l'approfondimento della realtà e del Mistero. “A volte questa comprensione mi viene donata attraverso una conoscenza più profonda di un artista, delle Sacre Scritture o di un santo; altre volte, semplicemente, mi riconosco capace di guardare le cose con uno sguardo nuovo, come quello di chi cerca la persona amata in tutte le cose”, aggiunge.

Per quanto riguarda il finanziamento del sito web, al momento il progetto ha costi minimi. “Paghiamo noi stessi i costi del dominio”, spiega Ferrán, “anche se ci piacerebbe poter investire qualcosa per poter arrivare a più lingue e rendere il sito più internazionale. Stiamo cercando qualche donatore che condivida questa nostra preoccupazione”. 

Instagram, l'ultima novità

Da alcune settimane «De arte sacra» ha iniziato a pubblicare i propri contenuti su Instagram, nel tentativo di diffondere i propri contenuti in nuovi formati.

 
 
 
 
 
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Evangelizzazione

San Juan Diego, veggente della Vergine di Guadalupe e promotore della sua devozione

San Juan Diego Cuauhtlatoatzin era un indigeno messicano al quale apparve Nostra Signora nel 1531. Ambasciatore-messaggero di Santa Maria di Guadalupe, beatificato (1990) e canonizzato (2002) da San Giovanni Paolo II, la liturgia lo celebra il 9 dicembre. Tre giorni prima del 12, festa della Vergine di Guadalupe.

Francisco Otamendi-9 dicembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Dopo il battesimo lo chiamarono Juan Diego, ma il suo nome originale era Cuauhtlatoatzin, che in azteco significa “colui che parla come un'aquila”. Era un contadino indigeno che ogni sabato, giorno dedicato dai missionari spagnoli alla catechesi, si recava dal suo villaggio a Città del Messico. 

Juan Diego, 57 anni, camminava su un terreno roccioso all'alba del 9 dicembre 1531, secondo il giorni dei santi vaticani. Giunto ai piedi del colle Tepeyac, fu attratto dal canto di un uccello che non aveva mai sentito prima. Poi il silenzio, e una voce dolce che lo chiamava: «Juantzin, Juan Diegotzin». 

L'uomo sale in cima alla collina e si trova di fronte a una giovane donna con un abito che brilla come il sole. Si inginocchia e la ascolta presentarsi: ‘Sono la perfetta e sempre Vergine Maria, la Madre dell'unico e vero Dio’.

Il vescovo chiede un segno 

La Signora affida un compito a Juan Diego: informare il vescovo di ciò che gli è accaduto affinché venga costruito un tempio mariano ai piedi della collina. L'arcivescovo di Città del Messico, fra Juan Zumárraga, non gli crede. Nel pomeriggio, la Signora invita Juan Diego a riprovare il giorno successivo. 

Questa volta il vescovo pone alcune altre domande sull'apparizione, ma rimane scettico e chiede un segno. Il contadino riferisce la richiesta alla Signora, che si impegna a dargli un segno il giorno seguente. 

Il contadino viene a sapere che suo zio malato sta morendo e va in cerca di un sacerdote. La mattina del 12, Juan Diego, all'altezza di Tepeyac, cambia strada per evitare di incontrare la Signora.

Ma la Vergine Maria gli si para davanti e gli chiede perché tanta fretta. Il contadino si getta a terra e chiede perdono. La Signora lo rassicura. Suo zio è già guarito, dice, e invita Juan Diego a salire sulla collina a raccogliere dei fiori da portare al vescovo, delle “rose di Castiglia”. Qualcosa di impossibile in pieno dicembre. 

L'indiano le raccoglie e le avvolge nella tilma, la coperta di tela ruvida che indossa, e si reca a Città del Messico. Juan Diego racconta i fatti al vescovo e dispiega la sua coperta davanti ai presenti. 

L'immagine della Vergine si riproduce sul mantello

Nello stesso istante, sulla tilma appare l'immagine della Vergine, l'icona venerata ovunque. Il vescovo si reca sul luogo delle apparizioni, dà inizio ai lavori e il 26 dicembre la prima cappella è pronta accanto alla collina.

San Juan Diego, vedovo da alcuni anni, chiede di poter abitare in una piccola casa vicino alla cappella. Per altri 17 anni, fino al 1548, continuerà a essere il custode della Signora, la Vergine morena. È possibile trovare una biografia più completa qui.

Il Santuario del Tepeyac, il cui cuore è costituito dalla Sacra Immagine della Vergine Maria di Guadalupe, è dal XVI secolo meta continua di pellegrini non solo della nazione messicana  ma di tutto il continente americano, spiega il Santuario.

L'autoreFrancisco Otamendi

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Vaticano

Il Papa prega affinché Maria riempia di speranza i credenti e apra oasi di pace

Nel celebrare la festa dell'Immacolata Concezione mentre si conclude l'Anno Giubilare, Papa Leone XIV ha pregato oggi a Roma affinché la “speranza giubilare” “fiorisca a Roma e in ogni angolo della terra”, portando con sé la riconciliazione, la non violenza e la pace.

CNS / Omnes-8 dicembre 2025-Tempo di lettura: 5 minuti

- Cindy Wooden, Roma (CNS) 

Papa Leone XIV ha pregato oggi davanti alla statua della Vergine Immacolata a Roma, come i suoi predecessori, pregando affinché Maria dia speranza ai credenti. E affinché “dopo le porte sante, si aprano ora altre porte di case e oasi di pace, dove la dignità possa rifiorire, si insegni l'educazione alla non violenza e si apprenda l'arte della riconciliazione”.

In piedi vicino a Piazza di Spagna, nel centro di Roma, ai piedi di un'imponente colonna sormontata da una statua di Maria, l'8 dicembre il Papa ha rivolto una preghiera a migliaia di romani, pellegrini e turisti.

Il pompiere Roberto Leo

All'alba di questa mattina, un pompiere di nome Roberto Leo, capo del dipartimento dei vigili del fuoco con più anni di servizio a Roma, ha salito 100 gradini di una scala aerea. Per posare una corona di fiori bianchi sulle braccia tese della statua, a circa 90 piedi dal suolo.

Seguendo una tradizione iniziata nel 1958 da San Giovanni XXIII, Papa Leone ha benedetto un cesto di rose bianche che i presenti hanno deposto ai piedi della statua. Ha poi letto una preghiera scritta appositamente per la festa di quest'anno, con riferimenti a ciò che sta accadendo nella Chiesa, nella città e nel mondo.

Che ora si aprano altre porte

A la preghiera A Maria, Papa Leone ricordò che l'anno giubilare aveva portato a Roma milioni di pellegrini. Rappresentanti di “un'umanità provata, a volte schiacciata, umile come la terra da cui Dio l'ha plasmata e in cui non cessa di infondere il suo Spirito di vita”.

“Guarda, o Maria, tanti figli e figlie in cui la speranza non si è spenta: fa” germogliare in loro ciò che tuo Figlio ha seminato, Lui, il Verbo vivente che in ogni persona chiede di crescere ancora di più, di prendere carne, volto e voce», ha pregato il Papa. .

Quando le Porte Sante delle basiliche maggiori di Roma stanno per chiudersi alla fine del Giubileo il 6 gennaio, ha detto che “altre porte si aprono ora. Porte di case e oasi di pace dove possa rifiorire la dignità, dove si insegni la non violenza, dove si impari l'arte della riconciliazione”.

“Nuove luci nella Chiesa”

Il Papa ha pregato affinché Maria “ispiri nuove luci nella Chiesa che cammina a Roma e nelle Chiese particolari che in ogni contesto raccolgono le gioie e le speranze, ma anche le tristezze e le angosce dei nostri contemporanei, specialmente dei poveri e di tutti coloro che soffrono”.

Papa Leone XVI ha anche espresso la speranza che il battesimo, che lava ogni persona dal peccato originale, “generi uomini e donne santi e immacolati. Chiamati ad essere membri viventi del Corpo di Cristo, corpo che agisce, consola, riconcilia e trasforma la città terrena dove si prepara la città di Dio”.

L'intercessione di Maria in un mondo pieno di cambiamenti

In un mondo pieno di “cambiamenti che sembrano coglierci impreparati e impotenti”, ha chiesto a Maria di intercedere e aiutare.

“Ispira sogni, visioni e coraggio, tu che sai meglio di chiunque altro che nulla è impossibile a Dio e allo stesso tempo che Dio non fa nulla da solo”, ha pregato.

Il Papa ha anche chiesto a Maria di aiutare la Chiesa a essere sempre “con e tra il popolo, lievito nella pasta di un'umanità che invoca giustizia e speranza”.

Papa Leone XIV impartisce la sua benedizione ai pellegrini e ai romani riuniti in Piazza San Pietro in Vaticano per la recita dell'Angelus l'8 dicembre 2025. (Foto CNS/Vatican Media).

All'Angelus

Prima di recarsi in Plaza de España, il Papa ha guidato la recita del Angelus a mezzogiorno con i visitatori in Piazza San Pietro.

Preservando Maria da ogni macchia di peccato fin dal momento del suo concepimento, ha detto, Dio le ha concesso “la grazia straordinaria di un cuore completamente puro, in vista di un miracolo ancora più grande: la venuta di Cristo Salvatore nel mondo come uomo”.

Quella grazia straordinaria ha dato frutti straordinari, ha detto, “perché nella sua libertà l'ha accolta, abbracciando il piano di Dio”.

“Il Signore agisce sempre così: ci dona grandi doni, ma ci lascia la libertà di accettarli o meno”, ha affermato il Papa. “Così, questa festa, che ci rallegra per la bellezza immacolata della Madre di Dio, ci invita anche a credere come lei ha creduto, dando il nostro generoso assenso alla missione alla quale il Signore ci chiama”.

Sagoma della statua mariana in Piazza di Spagna a Roma, dopo che un pompiere ha posto una corona di fiori sul braccio della statua l'8 dicembre 2025, festa dell'Immacolata Concezione. (Foto CNS/Lola Gomez).

Preghiera del Santo Padre Leone XIV

Dio ti salvi, Maria! Rallegrati, piena di grazia, in quella grazia che, come una luce delicata, illumina coloro sui quali risplende la presenza di Dio.

Il Mistero ti ha circondato fin dall'inizio, fin dal grembo di tua madre ha iniziato a compiere in te grandi cose, che presto hanno richiesto il tuo consenso, quel «sì» che ha ispirato molti altri «sì».

Immacolata, Madre di un popolo fedele, la tua trasparenza illumina Roma con luce eterna, il tuo cammino profuma le sue strade più dei fiori che oggi ti offriamo.

Molti pellegrini provenienti da tutto il mondo, o Immacolata, hanno percorso le strade di questa città nel corso della storia e in questo Anno Giubilare.

Un'umanità provata, a volte schiacciata, umile come la terra che Dio ha plasmato e in cui il suo Spirito di vita non smette mai di respirare.

Guarda, o Maria, tanti figli e figlie in cui la speranza non è morta: fa' germogliare in loro ciò che tuo Figlio ha seminato, Lui, il Verbo vivente che in ciascuno chiede di crescere, di prendere corpo, volto e voce.

Che la speranza gioiosa fiorisca a Roma e in ogni angolo della terra, speranza nel mondo nuovo che Dio prepara, e di cui tu, o Vergine, sei come il germoglio e l'aurora.

Dopo le porte sante, si aprano ora altre porte di case e oasi di pace dove la dignità possa rifiorire, si insegni l'educazione alla non violenza e si apprenda l'arte della riconciliazione.

Venga il regno di Dio, quella novità che tanto desideravi e alla quale ti sei aperta completamente, da bambina, da giovane e come madre della Chiesa nascente. Ispira nuove prospettive nella Chiesa che cammina a Roma e nelle Chiese particolari che, in ogni contesto, accolgono le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei nostri contemporanei, specialmente dei poveri e di tutti coloro che soffrono.

Che il battesimo continui a generare uomini e donne santi e immacolati, chiamati ad essere membri viventi del Corpo di Cristo, un Corpo che agisce, consola, riconcilia e trasforma la città terrena in cui si prepara la Città di Dio.

Intercedi per noi, che affrontiamo cambiamenti che sembrano coglierci impreparati e impotenti. Ispira sogni, visioni e coraggio, tu che sai meglio di chiunque altro che nulla è impossibile a Dio, e allo stesso tempo che Dio non fa nulla da solo.

Guidaci avanti, con la fretta che un tempo spinse i tuoi passi verso tua cugina Elisabetta e con l'inquietudine con cui ti sei trasformata in esiliata e pellegrina, per essere benedetta, sì, ma tra tutte le donne, la prima discepola di tuo Figlio, Madre di Dio con noi. Aiutaci ad essere sempre Chiesa con e tra il popolo, lievito nella pasta di un'umanità che grida giustizia e speranza.

Immacolata, donna di infinita bellezza, custodisci questa città, questa umanità. Mostrala a Gesù, portala a Gesù, presentala a Gesù. Madre, Regina della Pace, prega per noi.

L'autoreCNS / Omnes

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Vaticano

Il momento più importante della carriera di Michael Bublé: cantare per il Papa e per i poveri

Il cantante canadese è stato l'ospite d'onore del Concerto con i poveri, tenutosi sabato scorso in Vaticano.

Luísa Laval-8 dicembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

L'Aula Paolo VI in Vaticano ha già un appuntamento fisso nel calendario natalizio: il Concerto con i poveri, che nella sua sesta edizione ha portato il cantante che è presente in tutti i nostri Successi natalizi: Michael Bublé. Nelle prime file c'erano 3.000 poveri di Roma, mentre altre 5.000 persone hanno riempito l'auditorium.

Il cantante canadese si è detto emozionato per l'opportunità di cantare a Roma alla presenza di Papa Leone XIV: “È il momento più importante della mia carriera. Dio mi sta benedicendo per poter condividere insieme questa serata fraterna”.

Bublé si è mostrato a proprio agio sul palco e ha cercato di interagire in modo particolare con il pubblico più svantaggiato. Si è rivolto più volte alla parte sinistra del palco, dove si trovava un gruppo di persone in sedia a rotelle. Ha invitato il pubblico a cantare, senza paura di sbagliare il testo o il tono.

Tra le canzoni scelte per l'occasione, non poteva mancare il classico natalizio Comincia a sembrare proprio Natale (impossibile leggerlo senza canticchiarlo), oltre al suo successo Sentirsi bene.

Ma il momento clou della serata è stata l'interpretazione del Ave Maria di Schubert, la cui anteprima durante la conferenza stampa del giorno precedente era già diventata virale sui social network. Bublé ha ringraziato, dicendo che è una delle canzoni più belle di tutti i tempi.

La presenza del Papa

Tra gli ospiti della serata, il Papa ha assistito all'intero concerto e ha ricordato che il tradizionale concerto in Vaticano è nato nel cuore del suo predecessore, Papa Francesco. “Stasera, mentre le melodie toccavano le nostre anime, abbiamo sentito il valore inestimabile della musica: non è un lusso per pochi, ma un dono divino accessibile a tutti, ricchi e poveri”.

Con questo gesto, León dimostra di essere d'accordo con il motto del suo maestro spirituale, Sant'Agostino: chi canta prega due volte. Ha ricordato che la musica e la bellezza sono una forma d'amore, una via pulchritudinis (cammino di bellezza) che conduce a Dio.

“La musica è come un ponte che ci porta a Dio. È in grado di trasmettere sentimenti, emozioni, persino i moti più profondi dell'anima, elevandoli e trasformandoli in una scala ideale che collega la terra e il cielo. Sì, la musica può elevare la nostra anima! Non perché ci distragga dalle nostre miserie, perché ci stordisca o ci faccia dimenticare i problemi o le situazioni difficili della vita, ma perché ci ricorda che non siamo solo questo: siamo molto più dei nostri problemi e delle nostre pene, siamo figli amati da Dio!”.”

Sulla strada della bellezza

Non possiamo dimenticare il protagonista fisso del Concerto con i poveri, il maestro e compositore Marco Frisina, direttore del Coro della Diocesi di Roma. Come sempre, ha colto l'occasione per ricordare il significato cristiano del Natale e la speranza che la musica porta nell'oscurità del mondo.

Nelle precedenti edizioni dell'evento natalizio, Frisina ha condiviso il palco con grandi nomi della musica come Hans Zimmer ed Ennio Morricone. Ogni anno è un'occasione per questi artisti e le centinaia di persone che li accompagnano di incontrare privatamente il Santo Padre e di compiere un gesto di generosità: condividere il proprio talento con chi forse non avrebbe mai avuto l'opportunità di vederli.

Il sacerdote italiano si è già consacrato come portavoce della musica sacra e crede nel suo forte potenziale di evangelizzazione. Iniziative come questo concerto e lo spettacolo di pietà da lui diretto durante la veglia del Giubileo dei Giovani ad agosto dimostrano che la via pulchritudinis è davvero un ottimo modo per parlare di Dio al giorno d'oggi.

Alla fine del concerto, tutti i poveri hanno ricevuto una cena italiana distribuita dal Vaticano: lasagne, polpette e broccoli.

Evangelizzazione

«Potuit, decuit, ergo fecit». L'Immacolata, devozione, dogma e mistero

Reynaldo Jesús-8 dicembre 2025-Tempo di lettura: 7 minuti

La solennità dell'Immacolata Concezione occupa un posto privilegiato nella fede cattolica, non solo per il contenuto dottrinale che trasmette, ma anche per la ricchezza spirituale e pastorale che ha generato nel corso dei secoli. In essa coincidono la devozione del popolo cristiano, la solennità definitoria del magistero e la riflessione teologica. 

Maria, preservata per grazia dalla macchia del peccato nel primo istante della sua esistenza, appare come punto di unione tra fede celebrata, fede creduta e fede vissuta. In questo senso, la Chiesa scopre nell'affermazione dell'angelo Gabriele in Lc 1,28 - “Læaetare, gratia plena” (κεχαριτωμένη) - il fondamento biblico privilegiato della sua santità originale. I Padri greci, come san Efrem e san Giovanni Damasceno, videro in questa pienezza di grazia un'esclusione radicale del peccato: “Tu, e solo Tu, sei totalmente bella, senza alcuna macchia” (Efrem, Carmina Nisibena 27,8). 

Ora, la classica premessa immacolatista —Potuit, decuit, ergo fecit—, condensa con semplicità la logica del mistero mariano che si riassume nel fatto che «Dio potuto preservare Maria dal peccato originale; conveniva alla dignità della Madre del Verbo incarnato che così fosse; pertanto, nella sua amorevole provvidenza, lo ha fatto». Vale la pena ricordare che questa formula è presente nella tradizione francescana ed è stata progressivamente assunta dalla Chiesa, e con essa non solo esprime un argomento teologico, ma un dinamismo spirituale e pastorale che attraversa la vita ecclesiale. 

Duns Scoto formulò magistralmente questa logica, che raccolse la bolla Ineffabilis Deus; tuttavia, già sant'Ireneo anticipò lo spirito di questa premessa contrapponendo Eva e Maria: “il nodo della disobbedienza di Eva fu sciolto dall'obbedienza di Maria” (Adv. Haer. III,22,4). Se era opportuno che la nuova Eva introducesse la vita dove l'antica aveva introdotto la morte (cfr. Rm 5,12-21), era anche opportuno che fosse interamente rinnovata fin dall'origine. 

Il dogma dell'Immacolata Concezione non è un privilegio isolato, ma costituisce la manifestazione luminosa della gratuità di Dio e della piena disponibilità della libertà umana alla sua opera. Questo dogma, definito da Papa Pio IX nel Ineffabilis Deus (1854), è stato celebrato per secoli sia nella liturgia che nella devozione del popolo cristiano, anche molto prima del suo riconoscimento magisteriale, il cuore del credente già intuiva e venerava la purezza originale di Maria, comprendendo che Dio l'aveva preparata in modo singolare per essere la Madre di suo Figlio. 

Pio IX raccoglie questo “istinto di fede” del popolo fedele affermando che la Chiesa ha sempre considerato l'Immacolata Concezione come una dottrina ricevuta dai Padri e, inoltre, ha cercato di perfezionare l'insegnamento affinché ricevesse chiarezza, luce e precisione (cfr.  Ineffabilis Deus, proemio). Benedetto XVI sottolinea questa continuità riconoscendo che l'espressione di Lc 1,28 raccoglie il titolo più bello dato da Dio a Maria proponendola inoltre come stella della speranza e aurora che annuncia il giorno della salvezza, senza trascurare la lettura cristologica ed ecclesiale di Maria, in cui spicca la sua vocazione singolare, la sua elezione anticipata e il suo ruolo nella Chiesa, valorizzando il dogma come autentica integrazione del piano divino (Angelus, 8 dicembre 2005-2007). 

Non si possono mettere a tacere le voci di coloro che, attraverso una molteplicità di opere di carattere devozionale, esprimono con bellezza poetica e teologica la convinzione ecclesiale che Maria è “tutta pura”, tota pulchra. La devozione del popolo, il magistero ecclesiale e la riflessione teologica si orientano verso una visione integrata del mistero mariano che illumina sia la storia della salvezza che la vocazione dell'essere umano. La liturgia applica a Maria i testi del Cantico dei Cantici: “Tutta tu sei bella, amica mia, e non c'è alcuna macchia in te” (Ct 4,7), che sant'Ambrogio interpretava in chiave mariana (Esposizione in Luca. II,7). 

Il «potuit»: possibilità teologica in Ineffabilis Deus

Dobbiamo ricordare che la convinzione popolare della cosiddetta “convenienza” del mistero trovò la sua affermazione dottrinale in Ineffabilis Deus (8 dicembre 1854). In questa bolla, Papa Pio IX articola il dogma dell'Immacolata a partire dalla piena onnipotenza divina: «Se Dio poteva preservare Maria dal peccato originale in previsione dei meriti di Cristo, allora tale atto appartiene legittimamente alla sua sovrana libertà», quindi, non si tratta solo di una semplice affermazione di potere operativo, ma è l' espressione di una possibilità inscritta nel disegno salvifico. 

Sebbene il testo pontificio citi esplicitamente sant'Efrem, sant'Agostino e sant'Andrea di Creta come antichi testimoni di questa santità originaria, è curioso notare che nei testi di sant'Agostino, prudente nella sua formulazione, quando affronta la questione del peccato afferma: “Trattandosi della Vergine Maria, non voglio che si parli di peccato”, riassumendo questo concetto nell'espressione latina «eccepta itaque sancta virgine», cioè, eccetto quindi la Santa Vergine Maria (De natura et gratia, 36). 

La bolla, offrendo i fondamenti biblici e patristici, mostra che questo potuit non nasce dal volontarismo, ma dalla coerenza interna del piano divino. La nuova Eva doveva essere pienamente associata alla missione del nuovo Adamo; la pienezza di grazia proclamata dall'angelo doveva avere un inizio proporzionale al suo destino. Il potuit diventa così il fondamento del dogma: se Dio è Padre onnipotente e Salvatore, certamente poteva compiere in Maria questa opera singolare. 

L'Incarnazione richiedeva una libera cooperazione umana; e se Dio prepara le vie per la venuta di suo Figlio, nulla impedisce che tale preparazione raggiunga la radice stessa dell'essere di Maria. Ciò che la Chiesa proclama è che Dio ha agito in anticipo; che la sua azione redentrice non è limitata dal tempo; e che la grazia di Cristo può irrompere anche all'origine di un'esistenza umana per preservarla dal male. 

Il «decuit»: convenienza dell'Immacolata nell'intuizione devozionale del popolo. Se la Chiesa ha riconosciuto in Maria una purezza originaria è, in gran parte, perché il popolo cristiano la percepiva così molto prima della definizione dogmatica. 

Devo dire che la nona Candore della luce eterna (scritta in Guatemala intorno al 1720 dal francescano Fr. Rodrigo de Jesús Sacramentado) può essere considerata un'autentica e notevole testimonianza di questa sensibilità; è un'opera che, utilizzando un linguaggio poetico e simbolico, esprime la profonda “convenienza” —il decuit— che la Madre del Salvador fosse fin dalle sue origini uno spazio senza ombre per la luce di Dio. 

Lungi dall'essere un sentimento popolare, questa convinzione nasce dal contatto continuo con il Mistero. Identificare Maria come candore della luce eterna, presenta un'intuizione teologica importante: se il Figlio è la Luce, era opportuno che sua Madre fosse trasparenza pura, aurora senza tramonto, creatura aperta senza fessure all'azione della grazia

Il decuit La devozione è evidente nelle immagini bibliche che la novena dispiega: Maria come specchio senza macchiacome giardino recintato o come stella del mattino. In queste figure si percepisce che il popolo cristiano ha “riconosciuto” in Maria ciò che era conforme alla sua missione materna. Ciò che secoli dopo sarebbe stato formulato dogmaticamente era già vivo nella preghiera e nella contemplazione dei fedeli. Come tante volte nella storia, la liturgia e la pietà precedono la definizione teologica, esprimendo la profonda saggezza del sensus fidelium

Il «fecit»: realizzazione storica e sua ricezione contemporanea in Benedetto XVI Se la teologia ha affermato la possibilità (potuit) e il popolo credente intuì l'opportunità (decuit), il ergo fecit sottolinea la certezza che Dio lo ha fatto. In Maria Santissima, la preservazione dal peccato originale non è solo un pensiero teologico, ma è in realtà un evento storico che rivela qualcosa di essenziale sull'azione di Dio nel mondo: il suo desiderio di salvare radicalmente, di ricostruire l'umanità dalle fondamenta

Vorrei riferirmi al pensiero di Papa Benedetto XVI, che ha saputo illuminarci con un'interpretazione opportuna. Il Papa tedesco sembra leggere il ergo fecit come una pedagogia della libertà. Dio non ha annullato la natura di Maria, ma l'ha portata alla sua pienezza. La grazia preservante non l'ha allontanata dagli altri, ma l'ha resa icona di ciò che l'umanità è chiamata ad essere quando accoglie senza riserve l'amore divino. In un mondo che sperimenta la frattura interiore, l'Immacolata appare come segno della vittoria definitiva della grazia: Dio lo ha fatto per mostrare ciò che farà pienamente nell'umanità rigenerata. Maria è “trasparenza dell'amore di Dio, dimostrazione di ciò che Dio voleva fin dall'inizio per l'uomo” (Omelia, 8 dicembre 2005). 

Per Papa Benedetto XVI, l'Immacolata è il “SÌ” puro e originario dell'umanità a Dio. In lei si compie il fecit divino in modo profondamente cristologico: ciò che Dio compie in Maria anticipa, illumina e conferma l'opera di Gesù Cristo in tutti gli uomini. Maria non è un'eccezione isolata, sarebbe un grave errore pensarlo, ma il frutto più prezioso della redenzione. Ricordiamo che la definizione del dogma punta da Maria a Gesù Cristo: “La beata Vergine Maria è stata preservata immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo”.”. Maria è l'icona della risposta totalmente libera dell'uomo a Dio, perché la libertà umana, preservata ed elevata, diventa il luogo in cui si dispiega la Grazia. 

Unità del mistero nel dinamismo del potuit–decuit–fecit 

L'Immacolata Concezione, contemplata dalla classica premessa immacolatista, come ho accennato all'inizio, «Potuit, decuit, ergo fecit», rivela la profonda coerenza dell' agire divino: Dio può fare ciò che vuole, vuole ciò che è conveniente al suo amore e realizza ciò che manifesta più pienamente la sua gloria e la sua misericordia..

Il popolo cristiano intuì intuitivamente questa opportunità in opere devozionali come Candore della luce eterna, novena composta nel contesto della spiritualità barocca e ampiamente diffusa nella tradizione ispanica, testimonianza privilegiata di questa devozione; il magistero della Chiesa confermò la possibilità e la realtà del mistero in Ineffabilis Deus; e il pensiero di Benedetto XVI lo presenta da un'interpretazione cristologica come una verità profondamente attuale per l'uomo, chiamato anche lui a lasciarsi trasformare dalla grazia. 

Maria, la Signora che è candore della luce eterna, è presenza di ciò che Dio può, di ciò che conviene al suo amore e di ciò che ha effettivamente realizzato nella storia.  Contemplarla significa imparare a confidare nell'azione divina che, ancora oggi, continua a ricreare il mondo e a guidarlo verso la sua pienezza nonostante le ferite e l'evidente perdita del senso del peccato. Maria continua ad essere segno di speranza, ricordo della bellezza del cuore puro, modello di autenticità interiore e garanzia del trionfo definitivo della grazia. Non c'è dubbio che in Maria vediamo realizzata la promessa di Dio nel senso che la grazia è più forte del peccato. Così, il «potuit–decuit–fecit» non è un ragionamento, ma una spiritualità: descrive come agisce la grazia, come trasforma e come culmina la sua opera in coloro che si aprono pienamente ad essa.

L'autoreReynaldo Jesús

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Ecologia integrale

Intelligenza artificiale: opportunità, limiti e accompagnamento umano

L'intelligenza artificiale (IA) è un potente strumento tecnologico che, pur suscitando fascino e timori, richiede un'educazione critica, un uso equilibrato e una responsabilità etica.

JC Montenegro-8 dicembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Viviamo in un'epoca in cui la tecnologia non è più solo “intorno” alla vita umana, ma dentro di essa. L'intelligenza artificiale, o IA, ha smesso di essere una promessa futuristica per diventare un compagno silenzioso che traduce testi, organizza compiti, suggerisce video e persino corregge i nostri errori. Se siamo adulti, questo ci sorprende. Se siamo giovani, questo è già normale. Questa differenza generazionale è fondamentale per comprendere come ci relazioniamo con l'IA e perché è urgente conoscerne i vantaggi e i rischi.

L'intelligenza artificiale non è magia. Si basa su dati, algoritmi e modelli. Impara dalle nostre ricerche, dalle nostre preferenze, dal comportamento collettivo di milioni di utenti. E lo fa a grande velocità. Ecco perché affascina. Ed ecco perché incute timore.

Risultati di un sondaggio

In uno studio condotto su 1.013 giovani della regione salesiana interamericana, il 61,51% ha affermato di avere «una discreta familiarità» con l'IA Salesian Youth and Ai. Ciò rivela che le nuove generazioni non solo sentono parlare dell'argomento, ma convivono con esso. Lo incorporano nella loro vita quotidiana, nei loro compiti scolastici, nel loro tempo libero digitale. Eppure, quando viene chiesto loro quali siano le loro paure, la risposta è sorprendentemente matura. Il 47,91% esprime preoccupazione per l'uso irresponsabile dell'IA, il 46,41% teme l'impatto sulle relazioni umane e il 45,11% mette in discussione il rischio di sostituire il lavoro umano Salesian Youth and Ai. Non abbiamo di fronte una gioventù ingenua. È inquieta, consapevole e, soprattutto, chiede di essere accompagnata.

Questo dato apre un dibattito che non è solo tecnologico, ma profondamente umano. Per secoli, il progresso è stato inteso come la capacità di automatizzare. Prima sono state le macchine a sostituire le braccia. Poi i computer ad accelerare i calcoli. Oggi l'IA impara, suggerisce, crea e decide. Ma la domanda non è se l'IA possa farlo, bensì se debba farlo. E ancora di più: cosa facciamo noi con questo potere.

I giovani che hanno partecipato allo studio non vogliono che l'IA sostituisca la loro intelligenza. Immaginano un tutor che spieghi passo dopo passo, che insegni, che ispiri. Non vogliono risposte che evitino lo sforzo, ma strumenti che consentano di comprendere meglio. Questa aspirazione rivela qualcosa di essenziale: l'IA non è un fine in sé. È un mezzo. La sua moralità dipenderà da come verrà utilizzata.

Contrasto generazionale

Gli adulti, invece, tendono a vedere l'IA come una novità lontana. O come una minaccia culturale. Facciamo fatica a riconoscere che il digitale non è un'estensione della vita giovanile: è parte dell'ecosistema in cui sono cresciuti. In un sondaggio condotto su 1.375 collaboratori laici salesiani, il 78,81% vede nell'IA nuovi strumenti educativi, mentre il 55,61% teme la dipendenza tecnologica Salesian Lay and Ai v1. La tensione è evidente. Entusiasmo e prudenza coesistono, perché l'IA promette efficienza, ma suscita anche il sospetto che possa privarci del nostro giudizio.

Questo contrasto tra generazioni non deve portarci a posizioni estreme. Né idolatrare l'IA come soluzione universale, né demonizzarla come nemica dell'umanità. Entrambe le strade nascondono lo stesso pericolo: smettere di pensare con la nostra testa. L'IA è potente quando amplifica la nostra capacità di apprendere, discernere e creare. Ma ci impoverisce se ci abitua a rispondere senza chiedere, a consumare senza verificare, a delegare senza riflettere.

Negli ultimi anni ho lavorato con giovani, educatori e operatori sociali che stanno vivendo questa transizione. In molti di loro ho notato un fenomeno affascinante. Quando devono affrontare compiti complessi, come la risoluzione di problemi matematici, l'IA può mostrare loro la procedura. Quando devono comprendere testi complessi, può sintetizzarli. Quando hanno bisogno di esempi, può generarli. Questo aiuto è prezioso, purché non annulli il processo di apprendimento. Quando il giovane smette di leggere perché “l'IA gli ha già detto ciò che è importante”, perde qualcosa di più di un voto. Perde autonomia intellettuale.

Come funziona l'IA

Noi adulti corriamo lo stesso rischio. Quante volte consultiamo strumenti digitali per decidere cosa mangiare, dove viaggiare o cosa pensare di un dibattito pubblico? L'IA funziona come uno specchio delle nostre preferenze. Ci dà ciò che crediamo di volere, ma non necessariamente ciò di cui abbiamo bisogno. Le piattaforme che raccomandano contenuti, ad esempio, imparano i nostri gusti e li intensificano. Il risultato è comodo, ma pericoloso: viviamo in bolle informative, sempre più personalizzate e meno diversificate.

Per comprendere l'IA con maturità è opportuno ricordare una cosa semplice. Essa non ha valori propri. Non sa cosa sia giusto o sbagliato. Sa solo correlare ciò che è probabile. Funzionerà in base allo scopo che le assegniamo e alla cura etica con cui la utilizziamo. Un martello può costruire una casa o rompere un vetro. Lo strumento non definisce il significato. Lo definisce l'intenzione umana.

Alcuni suggerimenti

Allora, come procedere? Ci sono tre fattori chiave per un uso umano dell'IA.

In primo luogo, un'educazione critica. L'IA non deve essere presentata come un sostituto dello sforzo, ma come un'alleata del pensiero. I giovani devono sapere come funziona, non solo come si usa. Quali dati raccoglie, quali pregiudizi comporta, come verificarne le informazioni. Lo stesso vale per gli adulti. Comprendere i suoi limiti evita delusioni e abusi.

Secondo, equilibrio. Se ci affidiamo all'IA per tutto, perderemo la capacità di scegliere. Usarla non è sbagliato. Dipenderne, sì. La tecnologia è un supporto, mai un sostituto dell'incontro umano, del dialogo, della pazienza che si impara risolvendo un problema senza scorciatoie.

Terzo, responsabilità etica. L'IA crea immagini, testi, voci. Può imitare stili o fabbricare dati. Ciò richiede prudenza. Verificare le fonti. Citare correttamente. Proteggere la privacy. Rispettare il lavoro degli altri. Essere trasparenti sul suo utilizzo quando il contesto lo richiede.

In fondo, parlare di IA significa parlare di umanità. Le generazioni più giovani ci stanno inviando un messaggio. Non ci chiedono di vietare loro l'uso della tecnologia. Ci chiedono di accompagnarli nell'uso consapevole della stessa. Non vogliono un mondo senza IA. Vogliono un mondo in cui l'IA non sostituisca ciò che ci rende umani.

La tecnologia avanza. Noi dobbiamo avanzare con essa. Ma se dimentichiamo che l'intelligenza non è solo elaborare dati, ma anche amare, dialogare, immaginare e cercare un senso, allora nessuna macchina sarà responsabile. Saremo noi ad aver rinunciato a pensare e ad agire liberamente.

L'IA può rappresentare un'immensa opportunità per imparare, creare e crescere. Ma anche un rischio silenzioso che limita l'autonomia e indebolisce la convivenza. La decisione non spetta agli algoritmi. Spetta a noi. Conoscere i suoi vantaggi e svantaggi, ascoltare le voci di chi già convive con essa e scegliere consapevolmente saranno le chiavi affinché la tecnologia sia al servizio della vita, e non il contrario.

L'autoreJC Montenegro

Direttore esecutivo del Centro giovanile della Famiglia Salesiana a Los Angeles.

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Evangelizzazione

Quale miracolo mariano è avvenuto il giorno dell'Immacolata?

L'8 dicembre celebriamo l'Immacolata Concezione, una festa che unisce il dogma proclamato dalla Chiesa al miracolo che ha reso la Vergine patrona dei Terzi spagnoli.

Álvaro Gil Ruiz-8 dicembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

L‘8 dicembre celebriamo il dogma dell'Immacolata Concezione. Infatti, proprio in questo giorno del 1854, Papa Pio IX (Pio IX) proclamò il dogma dell'Immacolata Concezione della Vergine con la bolla ’Ineffabilis Deus". L'Immacolata Concezione è uno dei quattro dogmi mariani: la maternità divina, la verginità perpetua e l'assunzione al cielo in corpo e anima.

Immacolata deriva da immacolato, senza macchia di peccato. In Spagna esiste il privilegio delle vesti blu in questo giorno. 

Ma pochissimi sanno che il motivo per cui è l'8 dicembre e non il 27 marzo o il 3 aprile è il miracolo di Empel.

Questo miracolo avvenne nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1585, all'epoca di Filippo II. Durante la Guerra degli Ottant'anni nei Paesi Bassi (conosciuta in Spagna come guerra delle Fiandre e nei Paesi Bassi come guerra d'indipendenza dei Paesi Bassi). Nello specifico, il Tercio Viejo de Zamora, composto da 5000 uomini e comandato dal maestro di campo Francisco Arias de Bobadilla, si trovava sull'isola di Bommel, situata tra i fiumi Mosa e Waal. 

Erano in inferiorità numerica e con scarse provviste rispetto alle truppe dell'ammiraglio Holak. Inoltre, furono circondati sul monte Empel. Lì, mentre scavavano trincee per prepararsi alla battaglia, trovarono una tavola fiamminga dell'Immacolata. Posero l'immagine su un altare improvvisato e il Maestro Bobadilla, che aveva grande devozione per la Vergine, chiese ai suoi soldati di pregare la Vergine Immacolata per la vittoria.

Durante la notte avvenne il seguente miracolo. Soffiò un vento gelido che congelò le acque. In questo modo i tercios spagnoli se ne accorsero, riuscirono ad attraversare i fiumi a piedi e cogliere di sorpresa i loro avversari. Ottennero una vittoria così schiacciante che l'ammiraglio Holak arrivò a dire: «Sembra che Dio sia spagnolo, per aver compiuto, secondo me, un miracolo così grande». Quello stesso giorno l'Immacolata Concezione fu proclamata patrona dei tercios spagnoli nelle Fiandre e in Italia.

Da allora è considerata la patrona della Spagna e dell'esercito di terra. Fu celebrata per la prima volta in Spagna nel 1644, ma fu dichiarata festa religiosa e dogma, come abbiamo detto, l'8 dicembre 1854 da Papa Pio IX.

Per celebrare la festa vengono celebrate 9 messe a partire dal giorno di Sant'Andrea fino al giorno della festa. 

Vaticano

«La pace è possibile»: 7 lezioni del Papa dopo il viaggio in Turchia e Libano

Durante l'Angelus di questa seconda domenica di Avvento, Papa Leone XIV ha affermato che quanto accaduto in questi giorni durante il suo viaggio in Turchia e Libano “ci insegna che la pace è possibile e che i cristiani possono contribuire a costruirla”. Lo ha sintetizzato in 7 lezioni.  

Redazione Omnes-7 dicembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Il viaggio apostolico in Turchia e Libano ha permesso a Papa Leone XIV di assicurare domenica scorsa, durante l'Angelus in Piazza San Pietro, davanti a migliaia di persone, che questi giorni “ci insegnano che la pace è possibile. E che i cristiani, nel dialogo con uomini e donne di altre religioni e culture, possono contribuire a costruirla. Non dimentichiamo che la pace è possibile”, ha ribadito.

Dopo una breve riflessione sul Vangelo di questa seconda domenica di Avvento, incentrata sulla figura del precursore, San Giovanni Battista, e sul suo messaggio di conversione, il Papa ha recitato la preghiera mariana dell'Angelus. Ha poi commentato che pochi giorni fa è tornato dal suo primo viaggio apostolico in Turchia e Libano, di cui Omnes ha dato notizia ogni giorno.

7 conclusioni del viaggio

León XIV ha redatto questo breve riassunto del viaggio in sette punti.

1.- “Insieme al mio caro fratello Bartolomeo, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, e i rappresentanti di altre confessioni cristiane, ci siamo riuniti per pregare insieme a Íznik, l'antica Nicea, dove 1700 anni fa si tenne il primo Concilio ecumenico”.

Oggi ricorre proprio il 60° anniversario della Dichiarazione congiunta tra Paolo VI e il Patriarca Atenagora, che pose fine alle reciproche scomuniche, ha ricordato.

“Ringraziamo Dio e rinnoviamo il nostro impegno nel cammino verso la piena unità visibile di tutti i cristiani". 

2. “In Turchia ho avuto il la gioia di trovare la comunità cattolica. Attraverso il dialogo paziente e servizio a chi soffre, questa comunità testimonia il Vangelo dell'amore e della logica di Dio che si manifesta nella piccolezza”.”

3.- “Il Il Libano continua a essere un mosaico di convivenza e mi ha confortato sentire tante testimonianze in questo senso”. 

4.- Ho trovato persone che annunciano il Vangelo accogliendo gli sfollati, visitando i prigionieri, condividendo il pane con i bisognosi. 

5.- “Mi ha confortato vedere tanta gente per strada che mi saluta e mi ha commosso l'incontro con i familiari di le vittime dell'esplosione nel porto di Beirut”. 

6- “I libanesi aspettavano una parola e una presenza di conforto, ma sono stati loro a consolarmi con la sua fede e il suo entusiasmoRingrazio tutti coloro che mi hanno accompagnato con le loro preghiere! 

7.“Quello che è successo negli ultimi giorni in Turchia e in Libano ci insegna che la pace è possibile e che i cristiani, nel dialogo con uomini e donne di altre religioni e culture, possono contribuire a costruirla".

Vicino ai popoli del Sud e Sud-Est asiatico

“Sono vicino alle popolazioni del Sud e Sud-Est asiatico, duramente colpite dalle recenti calamità naturali“, ha aggiunto il Papa.

Il Santo Padre prega “per le vittime, per le famiglie che piangono i loro cari e per coloro che prestano soccorso. Esorto la comunità internazionale e tutte le persone di buona volontà a sostenere con gesti di solidarietà i fratelli e le sorelle di quelle regioni”.

Il Papa ha salutato con affetto tutti i romani e i pellegrini. “Saluto tutti coloro che sono venuti da altre parti del mondo, in particolare i fedeli peruviani di Pisco, Cusco e Lima. Ai polacchi, ricordando anche la Giornata di preghiera e sostegno materiale alla Chiesa dell'Est. Anche al gruppo di studenti portoghesi. E ai gruppi parrocchiali italiani.

Prima dell'Angelus

Commentando il Vangelo della domenica, Papa Leone ha affermato che “certamente il tono del Battista è severo, ma il popolo lo ascolta perché nelle sue parole risuona l'invito di Dio a non giocare con la vita, a cogliere il momento presente per prepararsi all'incontro con Colui che non giudica dalle apparenze, ma dalle opere e dalle intenzioni del cuore”.

Inoltre, ha sottolineato che il mondo ha bisogno di speranza e che “nulla è impossibile a Dio. Prepariamoci al suo Regno, accogliamolo. Il più piccolo, Gesù di Nazareth, ci guiderà. Lui, che si è affidato alle nostre mani, dalla notte della sua nascita fino all'ora buia della sua morte sulla croce, risplende nella nostra storia come il sole nascente”.

“È iniziato un nuovo giorno: svegliamoci e camminiamo nella sua luce! Impariamo a farlo come Maria, nostra Madre, donna che attende con fiducia e speranza”, ha concluso.

L'autoreRedazione Omnes

Evangelizzazione

Sant'Ambrogio, vescovo di Milano, figura chiave nella conversione di Sant'Agostino

Il 7 dicembre la Chiesa celebra sant'Ambrogio, anche se oggi è la seconda domenica di Avvento. Il vescovo sant'Ambrogio di Milano (IV secolo) è uno dei quattro grandi dottori latini della Chiesa. Gli altri tre sono sant'Agostino, san Gregorio Magno e san Girolamo.

Francisco Otamendi-7 dicembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Sant'Ambrogio, vescovo di Milano (Italia), è una delle figure più influenti del cristianesimo antico e Dottore della Chiesa. La sua vita e la sua opera sono state ampiamente documentate da fonti ufficiali della Santa Sede e dalla tradizione agostiniana. In particolare nelle ‘Confessioni’ di sant'Agostino, dove questi racconta il ruolo decisivo che sant'Ambrogio ebbe nella sua conversione.

Figlio di una famiglia cristiana romana e formatosi in retorica e diritto, Ambrogio arrivò a Milano come governatore della provincia della Liguria e dell'Emilia. La sua elezione a vescovo nel 374 fu rapida e quasi improvvisa. Secondo le fonti ecclesiastiche, era ancora catecumeno quando la comunità lo acclamò per occupare la sede vescovile. Dopo aver ricevuto il battesimo e gli ordini sacri in pochi giorni, Ambrogio fu vescovo per più di due decenni.

Rimase saldo di fronte agli imperatori Teodosio e Valentiniano II, insistendo sempre sulla supremazia della coscienza cristiana e sulla necessità che i governanti si sottomettessero alla legge morale.

Impatto su Sant'Agostino 

Le ‘Confessioni’ narrano l'impatto prodotto dall'eloquenza, dall'intelligenza e dall'interpretazione spirituale delle Scritture che sant'Ambrogio offriva nelle sue omelie. Sant'Agostino All'inizio era un intellettuale scettico, ma trovò in Sant'Ambrogio un testimonianza vivente della fede cristiana. 

Fu Sant'Ambrogio a battezzarlo nella Veglia Pasquale dell'anno 387. Gli agostiniani dicono che “se non avessimo avuto Sant'Ambrogio, non avremmo l'Ordine degli Agostiniani come lo conosciamo oggi‘.

“Ubi Petrus, ibi Ecclesia”

Sant'Ambrogio riconobbe sempre il primato del vescovo di Roma affermando: “Ubi Petrus, ibi Ecclesia” (‘Dove è Pietro, lì è la Chiesa’). La teologia sacramentale, la liturgia, la musica sacra – compreso il celebre ‘Te Deum’, tradizionalmente a lui associato – fecero di Sant'Ambrogio un pilastro della Chiesa latina. 

L'autoreFrancisco Otamendi

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Libri

Genealogia dei diritti umani

La Dichiarazione universale dei diritti umani è nata dopo la guerra per fondare universalmente la dignità umana, che Hans Joas suggerisce essere una "sacralizzazione della persona" che la rende inviolabile.

José Carlos Martín de la Hoz-7 dicembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Alla fine della seconda guerra mondiale e di fronte alla portata dell'olocausto ebraico, il clamore della dichiarazione universale dei diritti umani si impose come un dovere ineludibile e indifferibile dell'umanità nei confronti della storia e del futuro del genere umano.

Certamente, la dichiarazione dei diritti umani è stata resa possibile grazie a un accordo totale e universale, e da allora quella carta magna è servita a unire gli uomini di ogni razza e condizione, come se fossero applicazioni del diritto naturale, di un'etica globale e di un presupposto di partenza per impedire o almeno condannare gli attacchi alla dignità della persona umana.

Il problema è che, nella mente dei cristiani, degli ebrei e dei musulmani che credono in un Dio unico e trascendente, era molto chiaro che i diritti umani si basavano sulla dignità della persona umana come figlio di Dio o, almeno, come creatura di Dio. 

La difficoltà risiedeva nei non credenti, che cominciavano ad aumentare di numero e che non riuscivano a trovare un principio solido su cui basare i diritti umani se non nei “propri” diritti umani.

Il fondamento dei diritti umani

L'idea sviluppata da Hans Joas nel saggio che stiamo commentando è proprio questa: fondare i diritti umani sulla dignità della persona umana equivarrebbe a sacralizzare la persona umana, ovvero conferirle una dignità e una reputazione tali da allontanare realmente la tentazione di attentare, umiliare o degradare tale dignità.

In un certo senso, il patto del Leviatano di Hobbes impallidirebbe di fronte alla sacralizzazione della persona che assume impegni di verità e libertà nei confronti degli altri esseri umani, riconoscendo che tale relazione nobilita e diventa fonte di feconda creatività. In definitiva, sarebbe come interpretare il Concilio Vaticano II, nella Costituzione dogmatica “Gaudium et spes”, quando afferma che l'uomo è “l'unica creatura terrestre che Dio ha amato per se stessa, e che non può trovare la propria pienezza se non nella sincera donazione di sé agli altri” (n. 24).

Questo è molto importante, poiché secondo Hans Joas, dopo alcuni anni, si correva il rischio di trasformare la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, che ha costituito il fondamento dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, in un “processo riuscito di generalizzazione dei valori” (p. 21). 

Libertà religiosa

Alcuni, con il passare degli anni, potrebbero addirittura citarla come esempio dell'evoluzione storica delle buone intenzioni del XVIII secolo nell'attualizzazione delle idee della rivoluzione americana o della dichiarazione della rivoluzione francese (p. 24).

Soprattutto, teniamo presente che la rivoluzione francese era al di sopra del diritto canonico e civile e manipolò il popolo e la Chiesa a suo piacimento per diventare persecutori di Dio in tutto il territorio francese, disseminando il paese di cadaveri ghigliottinati fino a diventare essi stessi tali (p. 31).

La prima conseguenza negli Stati Uniti fu il principio della libertà religiosa, secondo cui nessuno doveva essere molestato per le proprie convinzioni o costretto ad abbracciare una religione o un credo (p. 53). Anni dopo, lo stesso Concilio Vaticano II riprese questo principio di libertà e lo diffuse in tutto il mondo: senza libertà non si può amare Dio.

Era logico, poiché i diritti umani valgono per tutti gli uomini di tutte le razze, culture e nazioni e tutti siamo uguali davanti alla legge e abbiamo pari opportunità.

La tortura

Hanno anche immediatamente vietato la tortura nelle costituzioni di tutte le nazioni europee, in modo che la tortura non fosse più parte integrante del diritto penale o delle indagini su un furto (p. 63).

La scomparsa della tortura non è solo il risultato dell'umanizzazione delle punizioni e delle pene, ma è qualcosa di molto più profondo: è il ritorno al principio della presunzione di innocenza e al fatto che l'uomo deve essere sempre trattato come immagine e somiglianza di Dio e che è preferibile che menta piuttosto che essere torturato.

La tortura è indubbiamente aberrante in uno Stato di diritto e lontana da ogni logica umana (p. 69). Pertanto, i diritti umani introducono nelle relazioni penali una nuova sensibilità (p. 71).

Pertanto, dal 1830 sarà praticamente abolita in tutta Europa, in Spagna dalle corti di Cadice nel 1812, anche se è vero che la tortura è stata occasionalmente applicata in alcuni luoghi nel XX secolo, ma non è più né ufficiale né sistematica. Purtroppo, dobbiamo segnalare il caso contrario della Cina (p. 105).

È anche interessante notare che, come risultato di quelle prime dichiarazioni sui diritti umani, si iniziò a esercitarli e ben presto si riuscì ad abolire la schiavitù in Europa, cosicché, con maggiore o minore accordo nell'esecuzione, scomparve la schiavitù, che era una piaga infamante.

Infine, il nostro autore tornerà sull'idea della spiritualizzazione dei diritti umani. Proprio parlando dello Spirito Santo, suggerirà che con il suo aiuto si potrebbe ottenere “la forza sovrana della rifusione” (188).

Subito dopo, afferma che Dio “si rivela nella storia e nell'azione umana” (193), per questo sarebbe importante che noi cristiani mostrassimo un rapporto personale con Dio, in modo da agire contando su di Lui, chiedendogli aiuto, coinvolgendolo nei nostri progetti.

Arriverà persino ad affermare che “le istituzioni prive di spirito sarebbero poco affidabili” (p. 204). Pertanto, i diritti umani finirebbero per essere come “la carta magna dell'autonomia degli uomini” (206). Concluderà affermando che l'uomo o si sacralizza unendosi a Dio o rimarrà disincantato dalla vita (p. 244).

La sacralità della persona. Una nuova genealogia dei diritti umani

Autore: Hans Joas
Editoriale: Sal terrae
Anno: 2025
Numero di pagine: 311
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Dossier

Autorità e obbedienza. Gentilezza e abuso

Autorità e obbedienza sono il rapporto fondamentale di amore di Dio come Creatore con la sua creazione (il modello Cristo-Padre). L'abuso è la perversione di questa autorità, un uso egoistico del potere che rompe la carità e la comunione.

Raúl Sacristán López-7 dicembre 2025-Tempo di lettura: 5 minuti

"Eccomi, Signore, per fare la tua volontà” (Eb 10, 7), con queste parole viene presentata la missione di Cristo, rimandando all'autorità del Padre e all'obbedienza del Figlio. Autorità e obbedienza appaiono qui in modo molto diverso da come le percepiamo oggi alla luce delle denunce per i diversi tipi di abusi, specialmente nella vita consacrata. Come minimo, entrambi i termini suscitano un certo sospetto e diffidenza, tuttavia nessuna di queste reazioni si riscontra in Cristo nei confronti del Padre, “All'inizio non era così” (Mt 19, 8).

L'autorità è la qualità dell'autore, l'autore ha autorità sulla sua opera e ha con essa un rapporto di paternità. L'opera è uscita dalle sue mani, meglio ancora, dal suo cuore. Come dicono le parole del libro della Sapienza: “Ami tutto ciò che hai creato, perché altrimenti non lo avresti creato”.” (Sapienza 11, 24). Proprio come l'artista esprime ciò che ha nel cuore, così anche l'autore divino ha espresso ciò che porta eternamente nel suo Cuore. Dio è “il Padre da cui prende il nome ogni paternità nei cieli e sulla terra” (Efesini 3, 15), è il principio di ogni autorità (cfr. Romani 13, 1), ed è un principio sacro, che in greco si dice “gerarchia”. E questo principio, questa autorità, vuole la nostra santificazione (cfr. 1 Tessalonicesi 4, 3), la nostra salvezza, che conosciamo la verità (cfr. 1 Tessalonicesi 2, 4-5). 

Di fronte a tale disegno d'amore, Cristo ascolta attentamente, ovvero obbedisce per realizzare la salvezza. Autorità, gerarchia, salvezza, verità, obbedienza... Inquadrare adeguatamente questi termini è essenziale per affrontare correttamente il problema degli abusi. 

Solo se li comprendiamo alla luce della verità di Dio e della relazione tra loro, ci renderemo conto della loro bontà e, di conseguenza, della gravità degli abusi.

Nella vita consacrata

La vita consacrata appare fin dall'inizio come un tentativo di vivere una sequela di Cristo più radicale, il che è senza dubbio un bene. 

In questo desiderio di seguire e imitare Cristo, la vita consacrata può essere un luogo dove crescere nella grazia, al servizio di Dio e degli uomini, ma, purtroppo, lo stesso ambito della consacrazione si presta a diventare terreno fertile per situazioni di abuso. Situazioni che, d'altra parte, possono verificarsi in qualsiasi altro rapporto umano in cui vi sia un'autorità (famiglia, scuola, lavoro, politica...), ma che nella vita consacrata sono più pressanti a causa della missione di vivere e mostrare la carità in modo particolare. 

Ogni tipo di abuso è, come dice il termine stesso, un modo di usare qualcosa che si allontana da ciò che dovrebbe essere, per perseguire il proprio interesse e non il bene comune, il bene della comunione. Dio non “usa” la sua creazione, e tanto meno suo Figlio o gli uomini, ma gode della relazione con loro, gode della comunione, di quella relazione in cui tutti crescono nella carità. 

Per questo motivo, ogni abuso è un peccato che deteriora e può distruggere la carità, il rapporto con Dio, e sempre prima di tutto colui che commette l'abuso, anche se non lo pensa. Essendo questa la condizione dell'uomo, dobbiamo riconoscere che il peccato c'è stato, c'è e ci sarà finché gli uomini, ciascuno in particolare, non lotteranno per convertirsi a Gesù Cristo. Dato che il peccato allontana l'uomo da Dio, dobbiamo anche sottolineare che c'è un oscuramento della fede e della speranza insieme alla carità: la vita divina nel credente si oscura.  

Alla ricerca di Dio

È fondamentale tenere conto sia dell'origine divina dell'autorità sia della realtà dell'uomo. Questa prospettiva antropologica che considera l'essere umano come creato, decaduto e redento è la chiave per comprendere la sua azione e anche per agire in modo adeguato in situazioni di abuso.

Per poter prevenire, nella misura del possibile, qualsiasi tipo di abuso, in particolare in ambito religioso, è necessario ripensare la situazione dal punto di vista del rapporto con Dio. Una persona che abusa di un'altra sta cercando se stessa, quindi è una persona che si trova in una grande debolezza e mancanza, anche se esternamente non sembra. È qualcuno che non sa, né si sente, amato da Dio e, per questo, cerca altri amori. Queste situazioni non sono facili da discernere, perché a volte si può arrivare a situazioni di abuso fingendo di cercare il servizio a Dio, come sarebbe successo a santa Marta se non fosse stata avvertita dal Signore. Si tratta di preoccupazioni non sante, ma mondane e persino peccaminose. Sono casi di manipolazione psicologica comuni ad altri ambiti, che hanno l'aggravante di verificarsi in un ambiente religioso.

Riconoscere gli abusi

D'altra parte, ci sono altre persone che, di fronte a queste debolezze personali, reagiscono cercando sicurezza e fermezza negli altri, per cui la convergenza di un tipo e un altro di persone, dominanti e dipendenti, facilita il verificarsi di abusi. A tutto ciò si aggiunge la difficoltà umana, in tutti gli ambiti, di riconoscere i propri errori, le proprie debolezze e i propri peccati. Riconoscere un abuso è difficile sia per l'abusante che per l'abusato, più di quanto si possa inizialmente pensare. Con questo non si vuole dire che gli abusati siano solo e sempre persone deboli: una persona forte può essere oggetto di abusi, ma sarà più facile per lei individuarli o trovare il modo di difendersi, cercare sostegno, denunciare e uscirne; anche se ci sono situazioni di abuso che possono finire per distruggere questa forza iniziale.

In momenti di confusione culturale come quelli che stiamo vivendo, è normale che si verifichino processi in cui alcune persone, forse con buone intenzioni, finiscono per fare del male. È importante distinguere tra leadership e autorità. Ci sono persone che hanno un carattere forte, capaci di attrarre gli altri e di condurli verso un obiettivo. Ma questa leadership non è identificabile con l'autorità, nel senso che abbiamo descritto prima. La nostra società, a causa delle dolorose esperienze con l'autorità, è arrivata a rifiutarla e ha estrapolato questa situazione dal umano al divino, finendo per rifiutare Dio. La cosa peggiore è che questa diffidenza mondana verso l'autorità si è insinuata anche nella Chiesa, e così come nel mondo si cercano leader, anche nella Chiesa si può cadere nella tentazione di promuovere la leadership piuttosto che l'autorità. Capire cosa sono le due cose e le loro differenze è anche oggi un compito urgente.

La difficoltà di scoprire e fermare questi processi, come dimostrano i casi che conosciamo, è molto maggiore di quanto pensiamo inizialmente. Il male si nasconde e si difende. Così, il desiderio di unità può finire nell'uniformità, la discrezione nel segreto, l'allontanamento nell'isolamento... Per questo sarebbe importante promuovere uno studio più dettagliato ed esaustivo dell'azione umana, per poter comprendere meglio come si configura l'intenzione, come si muove la volontà, quando l'intenzione devia, qual è il ruolo dell'affettività in questo processo, ecc. 

La complessa situazione attuale richiede un ripensamento teologico del problema, un'analisi più dettagliata della situazione culturale, anche intraecclesiale, uno studio più approfondito dell'azione umana e il ricorso a mezzi spirituali e psicologici per prevenire, fermare e sanare gli abusi. 

L'autoreRaúl Sacristán López

professore dell'Università di San Dámaso

Vaticano

Il Papa ai laici: “Aspettare significa partecipare ai problemi del mondo”

Davanti a oltre trentamila persone che hanno partecipato all'udienza giubilare, Papa Leone XIV si è rivolto oggi in modo particolare ai “fedeli laici”. E ha lanciato un messaggio dell'Avvento: “L'attesa non è passiva. Attendere significa partecipare ai problemi e alle bellezze del mondo”.

Francisco Otamendi-6 dicembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Nella festa di San Nicola di Bari, “vescovo noto per la sua sensibilità verso i bisognosi”, ha detto il Papa, il nervo del suo breve catechesi di questa mattina in Piazza San Pietro è stato il tempo liturgico del Avvento. Ma “un'attesa che non è passiva. Aspettare significa partecipare ai problemi e alle bellezze del mondo”.

Dio ci coinvolge nella sua storia, nei suoi sogni. “Aspettare, quindi, è partecipare. Il motto del Giubileo, ‘Pellegrini di speranza’, non è uno slogan che scomparirà tra un mese”, ha detto il Santo Padre. “È un programma di vita: ‘pellegrini di speranza’ significa persone che camminano e aspettano, ma non con le mani in tasca, bensì partecipando”.

“Il Concilio Vaticano II ci ha insegnato a leggere i segni dei tempi: ci dice che nessuno può farlo da solo, ma che insieme, nella Chiesa e con molti fratelli e sorelle, si leggono i segni dei tempi”.

Dio non è fuori dal mondo, fuori da questa vita: “Abbiamo imparato dalla prima venuta di Gesù, Dio con noi, a cercarlo tra le realtà della vita. Cercarlo con intelligenza, cuore e mani rimboccate!”, ha esortato.

Vaticano II: missione per i fedeli laici, in modo particolare

E il Concilio ha affermato che “questa missione spetta in modo particolare ai fedeli laici, uomini e donne, perché il Dio incarnato ci viene incontro nelle situazioni di ogni giorno». 

Nei problemi del mondo, “Gesù ci aspetta e ci coinvolge, ci chiede di lavorare con Lui. Ecco perché aspettare è partecipare!”, ha ribadito alle decine di migliaia di pellegrini e fedeli in Piazza San Pietro.

Esempio del giovane politico Alberto Marvelli

Papa Leone ha dato l'esempio di "Alberto Marvelli, un giovane italiano vissuto nella prima metà del secolo scorso. Cresciuto in una famiglia cristiana, formato nell'Azione Cattolica, si laureò in ingegneria e entrò nella vita sociale durante la Seconda Guerra Mondiale, che egli condannava fermamente.

A Rimini e dintorni “si impegnò con tutte le sue forze per soccorrere i feriti, i malati e gli sfollati”. Molti lo ammiravano per la sua dedizione disinteressata e, dopo la guerra, fu eletto consigliere comunale e incaricato della commissione per l'edilizia abitativa e la ricostruzione. 

“Entra così nella vita politica attiva, ma proprio mentre si reca in bicicletta a un comizio viene investito da un camion militare. Aveva 28 anni”. 

“Perdere un po” di sicurezza e tranquillità per scegliere il bene”

La lezione di Marvelli che il Papa trae è questa: “Alberto ci mostra che aspettare è partecipare, che servire il Regno di Dio dà gioia anche in mezzo a grandi rischi. Il mondo diventa migliore se perdiamo un po” di sicurezza e tranquillità per scegliere il bene. Questo è partecipare».

Chiediamoci, ha esortato il Pontefice: “Sto partecipando a qualche buona iniziativa che impegna i miei talenti? Ho la prospettiva e lo slancio del Regno di Dio quando presto qualche servizio? Oppure lo faccio brontolando, lamentandomi che tutto va male? Il sorriso sulle labbra è il segno della grazia in noi”.

“Nessuno può salvare il mondo da solo: insieme è meglio”

Infine, il Papa ha ribadito: “Aspettare è partecipare: questo è un dono che Dio ci fa. Nessuno salva il mondo da solo. E nemmeno Dio vuole salvarlo da solo: potrebbe farlo, ma non vuole, perché insieme è meglio. Partecipare ci fa esprimere e rende più nostro ciò che alla fine contempleremo per sempre, quando Gesù tornerà definitivamente”.”

Preghiera alla nostra Madre Immacolata

Nel suo saluto ai pellegrini di lingua spagnola, in vista della festa dell'Immacolata dell“8 dicembre, Papa Leone ha esortato: ”Chiediamo alla nostra Madre Immacolata di insegnarci a partecipare alla costruzione della Città di Dio, offrendo i nostri doni con gioia e gratuità. Che il Signore vi benedica. Grazie mille».

Ai pellegrini di lingua inglese e a tutti i fedeli presenti, il Papa ha detto: “All'inizio di questo tempo di Avvento, prepariamo i nostri cuori non solo a riconoscere i modi in cui Dio viene incontro a noi, ma anche i modi in cui ci invita a partecipare alla sua vita. Dio vi benedica tutti!».

L'autoreFrancisco Otamendi

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Evangelizzazione

Sacerdote a bordo. Due sacerdoti colombiani lanciano un canale di evangelizzazione di grande successo

“Sacerdote a Bordo” è un progetto di evangelizzazione digitale nato durante la pandemia che, attraverso i social network, avvicina alla fede.

Javier García Herrería-6 dicembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Quello che era iniziato come un modo per accompagnare spiritualmente i fedeli durante il confinamento dovuto alla pandemia, è diventato un progetto di evangelizzazione digitale con migliaia di follower e un grande impatto sui social media. Sacerdote a bordo è nato nel marzo 2020, promosso da due sacerdoti colombiani dell'Opus Dei, Santiago Villa e Luis Miguel Bravo. Entrambi hanno studiato giornalismo all'Università di La Sabana e successivamente hanno compiuto studi teologici a Roma.

Entrambi hanno sentito il bisogno di stare vicini alle loro comunità durante la pandemia, quando il confinamento ha limitato molte delle attività pastorali. Padre Luis Miguel spiega che “Abbiamo deciso di iniziare registrando brevi discorsi spirituali per gli studenti delle nostre scuole. I primi, dedicati a San Giuseppe e all'Annunciazione, sono stati accolti così bene che, incoraggiati da molti genitori, abbiamo aperto un canale di YouTube e più tardi Instagram, grazie all'aiuto di quattro collaboratrici volontarie con sede in Colombia, Madrid e Guatemala”.

Varietà dei contenuti

Da allora, Sacerdote a bordo è cresciuto in modo organico e creativo. Con uno stile accessibile e flessibile – che i suoi autori paragonano a una passeggiata in bicicletta – hanno prodotto un'ampia varietà di formati: video di strada, interviste approfondite, testimonianze di conversione e partecipazioni a eventi come la Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona. Hanno ospitato personaggi come la madre di Carlo Acutis, Eduardo Verástegui o l'attivista pro-vita Lupe Batallán.

Inoltre, il canale ha sviluppato un'importante linea di podcast. Tra i più popolari ci sono Meditare con il calcio, dove si collegano riflessioni sul Vangelo con l'attualità calcistica; Meditare con il cinema o la letteratura; Domande e risposte sulla fede; e più recentemente Meditare con The Chosen, uno spazio dedicato alle meditazioni spirituali ispirate alla fortunata serie sulla vita di Gesù. Quest'ultimo progetto ha persino un proprio sito web e vede la collaborazione di sacerdoti provenienti da diversi paesi.

Assistenti chiave

Come spiega padre Luis Miguel, “il canale Sacerdote a bordo non sarebbe possibile senza l'aiuto costante di quattro collaboratrici che sono state presenti sin dall'inizio in Instagram. Sono giovani donne, professioniste di diversi settori, che si sono offerte volontarie per aiutare in compiti quali la progettazione grafica, l'editing video, la gestione dei social media e l'assistenza ai follower. Una di loro, madre di cinque figli, risiede in Guatemala; un'altra vive a Madrid; e le altre due sono in Colombia.”. Anche se all'inizio non si conoscevano, oggi formano una squadra affiatata che sostiene gran parte del lavoro dietro le quinte ed è stata fondamentale per la crescita del canale.

Con quasi 84.000 follower su Instagram e una comunità in crescita su YouTube e piattaforme audio, Sacerdote a bordo è oggi un esempio di come la creatività, la fede e l'amicizia possano dare i loro frutti anche nelle avversità. La sua missione, assicurano, “rimane sempre la stessa: aiutare le persone a pregare nella vita quotidiana e ad avvicinarsi a Dio ovunque si trovino”.”.

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Risorse

Gli schiavi del Signore

Per agire liberamente è assolutamente necessario amare e sentirsi amati. E non possiamo amare sentendoci schiavi o servi, dobbiamo farlo liberamente dalla nuova prospettiva che Gesù Cristo ci ha portato: ora siamo figli di Dio!

Bernardo Hontanilla Calatayud-6 dicembre 2025-Tempo di lettura: 9 minuti

Parlando con amici psichiatri e psicologi, mi dicono che è sempre più frequente incontrare nei loro studi persone con una formazione cristiana che esprimono il desiderio di liberarsi dagli impegni che avevano assunto in un determinato momento della loro vita. Sposati che si pentono di averlo fatto, sacerdoti che vogliono sposarsi, genitori che non vogliono occuparsi dei propri figli, mogli stanche dei propri mariti che desiderano rifarsi una vita in modo indipendente, religiosi e religiose che desiderano godere dei piaceri del mondo...

Ciò che accomuna tutte queste situazioni è un desiderio di libertà o autonomia che evidenzia il fatto che la persona non si sente libera e interpreta gli impegni assunti come un peso intollerabile che inizia a renderla schiava. Questa tensione tra l'impegno assunto e il desiderio di autonomia lacera l'interiorità psicologica della persona al punto da creare veri e propri quadri di ansia, depressione e conflitti interni molto gravi che, come minimo, producono una sensazione continua di insoddisfazione e infelicità, di tale entità da portare a uno stato patologico di lamentela permanente e aggressività verso se stessi e verso la persona o l'istituzione che minaccia la propria libertà.

Questa situazione porta inevitabilmente alla tentazione, a volte alla determinazione, di mandare tutto al diavolo, seguendo lo stile di Camilo José Cela. Poiché questo fenomeno sembra essere molto frequente, ho deciso di riflettere sull'origine di tale situazione.

Lo spirito

L'uomo non è composto solo da corpo e anima razionale. C'è un terzo elemento che, oltre all'anima razionale, lo distingue dal resto degli animali e si chiama “spirito”. Parlare di spirito non è di moda, tanto meno in ambito psichiatrico e neuroscientifico, dove alcuni vogliono far emanare la mente, la coscienza o la psiche, elementi dell'anima umana, dalla mera attività cerebrale. E io non voglio parlare dell'anima, ma dello spirito.

Quell'immagine e somiglianza con Dio, che esiste dentro ogni uomo, è di fondamentale importanza perché ci permette di riconoscere noi stessi e di capire come trattare gli altri. È l'origine della nostra libertà e della nostra capacità di amare, e entrambe sono intrinsecamente legate.

La difficoltà che abbiamo nel riconoscere o negare lo spirito di Dio dentro di noi, penso che derivi fondamentalmente da due motivi: da un lato, Dio, che con le sue leggi potrebbe costituire una minaccia alla nostra libertà, e dall'altro, l'esperienza di percepire nel mondo la sofferenza o l'ingiustizia che subiscono gli innocenti. Quasi nessuno è ateo intellettuale, ma c'è molto ateismo affettivo per questi motivi. È proprio sulla minaccia alla nostra libertà che volevo continuare a riflettere.

Il rapporto con Dio

Nella Genesi compare un racconto interessante su come era il nostro rapporto con Dio. Si trattava di un rapporto familiare, di conversazione spontanea e di fiducia. Tuttavia, il male esisteva già nel mondo e si trattava di introdurlo nell'uomo. E il serpente sapeva bene come tentare Eva. Innanzitutto, presentando Dio come un tiranno: “Dio vi ha detto di non mangiare da nessun albero del giardino?” (Genesi 3, 2). Prima menzogna: “solo uno”, rispose Eva.

Il serpente attaccò nuovamente, questa volta trattando Dio come un invidioso: “È che Dio sa […] che sarete come Dio nella conoscenza del bene e del male” (Gen 3, 5). E ora aveva raggiunto il suo obiettivo. L'effetto immediato che ebbe su Eva e il suo compagno fu quello di non vedere Dio per quello che era realmente: un Padre che aveva dato loro l'intera creazione.

La conseguenza immediata fu che l'immagine e la somiglianza di Dio nel nucleo del suo essere, la dimensione spirituale, si distorse: ora dentro di lei abitava un dio tiranno, crudele, capriccioso, invidioso e padrone, che avrebbe assunto nomi diversi nel corso della storia e delle generazioni, come Baal, Moloch, Giove o Zeus. Da questa nuova immagine che abbiamo di Dio dipenderà il modo in cui trattiamo noi stessi e gli altri. Se il dio interiore è vendicativo, lo saremo anche noi, e se è distruttivo adotteremo anche noi questo atteggiamento, anche contro noi stessi, e se è un padrone, allora tenderemo a dominare gli altri e a sentirci schiavi di Dio.

Schiavi

Continuiamo ad analizzare l'origine di questo sentirsi schiavi. Nel mondo religioso è molto comune usare la parola schiavo o servo per riferirsi al rapporto che esiste tra l'uomo e Dio. Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica, siamo stati creati proprio per questo: per servire, dare gloria a Dio ed essere felici (cfr. CIC, 356 e 358).

Ci ha incaricati di lavorare e prenderci cura dell'Eden. Era un incarico, ma non ci ha creati per lavorare nel giardino. Se l'uomo fosse stato creato per lavorare, allora la creazione sarebbe più importante dell'uomo. Dio sarebbe il padrone del giardino e noi i suoi servi o schiavi che dovrebbero prendersene cura. La cura del creato materiale sarebbe un incarico affidato all'uomo al servizio di Dio, invece che un dono di Dio all'uomo, che si sentirebbe felice di prendersene cura e di lavorarlo. Se non comprendiamo bene questo, potremmo sentirci schiavi del lavoro. E questa fu la prima conseguenza: vedere Dio come un Dio che mi rende suo schiavo e servitore, che devo temere.

Tutta la storia dell'Antico Testamento si riassume nel rapporto di Dio con un popolo che è ottuso e dal cuore duro: che vede, ma non capisce, né sa amare. Solo pochi sapevano amare Dio con libertà, anche se con non poche difficoltà, come Abramo, Isacco, Giacobbe o Mosè.

Redenzione

Questo rapporto di Dio con il suo popolo era un'operazione di salvataggio. Dio aiutava il suo popolo per liberarlo dalla schiavitù e condurlo alla libertà, dall'Egitto alla terra promessa, e questo culmina con la venuta di Gesù Cristo. Con la sua venuta, inizia un punto di svolta che mira a recuperare l'idea primordiale di Dio nell'uomo, affinché non si senta schiavo ma figlio ed erede. Cominciamo ad abbandonare il rapporto di paura per un rapporto di amore.

Dio continua a voler salvarci dall'unica schiavitù che realmente esiste, quella del peccato, ma ci sono sempre state e ci saranno sempre persone che vogliono continuare a essere schiave e tornare in Egitto. Dio insiste: “Non vi chiamo più servi/schiavi […] Vi chiamo amici” (Giovanni 15, 15). Non possiamo mai sentirci servi o schiavi, perché ora siamo amici di Dio. Anzi, ora siamo figli di Dio! Lo afferma con forza Giovanni nella sua prima lettera: “Guardate quanto amore ci ha dimostrato il Padre nel chiamarci figli di Dio, perché lo siamo davvero!” (1 Giovanni 3, 1).

Linguaggio e sguardi

Allora, da dove viene questa insistenza nel continuare a chiamarci schiavi o servi e non figli nel nostro rapporto con Dio? È vero che, come dice Campoamor, “In questo mondo traditore nulla è vero né falso, tutto dipende dal colore della lente con cui lo si guarda”. E quel cristallo con cui si guardano le cose e gli eventi della vita può essere trasparente, sporco o rotto.

Questo modo di vedersi schiavi ha una doppia origine: da un lato, deriva da un problema interno, dal cristallo con cui ci si guarda, da un'idea errata di Dio che il serpente ha introdotto nell'uomo, la tentazione primordiale di cui parlavamo prima, facendoci pensare che Dio sia un padrone e un tiranno, e che possa fare capricciosamente ciò che vuole delle nostre vite. Ci sentiamo minacciati da Dio, che con le sue leggi morali impedisce lo sviluppo della nostra libertà, invece di vedere che le sue norme danno felicità e vita all'uomo (Deuteronomio 4, 40; Giovanni 6, 63). Questa concezione minacciosa di Dio porta automaticamente alla distruzione della fonte dell'Amore che è in noi stessi e, di conseguenza, della nostra libertà.

D'altra parte, c'è un'origine esterna: l'uso improprio del linguaggio che ci fa pensare, con l'uso delle parole, che il rapporto con Dio sia quello di schiavi. Abbondanti sono le preghiere cristiane, molte delle quali di origine medievale, in cui il fedele rinuncia alla propria libertà per sottomettersi a Dio. Che barbarie! Se questa rinuncia diventa effettiva, non c'è da stupirsi di sentire lamentele sulla vita e sugli impegni presi. E io farei lo stesso. Se si vede Dio in questo modo, come un padrone e me come uno schiavo, andiamo dritti, di solito in modo inconscio, verso un ateismo affettivo che ci porterà a espellere quel dio dalla nostra vita. E a ragione. Avrebbe quindi tutto il senso dire “Dio è morto. Noi lo abbiamo ucciso”.” (Nietzsche) quando uccido in me quella specie di dio che non coincide con il vero Dio. E considererò quella morte come un trionfo che mi riporterà in una situazione di libertà per tornare al vero Dio.

Servi

Continuiamo ad analizzare il concetto di schiavo. Nell'antichità esistevano molti modi di servire. La parola doulos al maschile significava spesso schiavo o servo, ma al femminile aveva anche un altro significato. Uno dei significati di δούλŋ (doula), fa riferimento al lavoro che alcune donne svolgevano nell'accompagnare la gravidanza, il parto e il puerperio. Non erano ostetriche. Erano serve che accompagnavano affettuosamente le loro padrone in quelle circostanze. Serve che erano considerate parte della famiglia. C'erano anche le doulas thana, che offrivano servizi di accompagnamento nei casi di malattie terminali.

In generale, nei Vangeli canonici, il termine più comunemente usato in greco è δούλoς, doulos, che in latino si traduce come servus, schiavo, il più delle volte, o servo, meno frequentemente. La differenza fondamentale tra i due, pur essendo la stessa parola, è che lo schiavo era proprietà del suo padrone, come se fosse una cosa, mentre il servo poteva coltivare le terre del padrone e riceveva un certo grado di protezione senza separarsi dal suo padrone. Ma la cosa più sconcertante è che se esisteva una parola specifica in greco per indicare lo schiavo (σκλάβος), perché si usa δούλoς, doulos? Perché nei Vangeli scritti in greco non si usa mai la parola schiavo (σκλάβος), ma nelle traduzioni sì?

Nei Vangeli viene utilizzata anche un'altra parola: διακονος, diakonos, che viene tradotta come servitore o servitore, come ad esempio quando Gesù diceva: “…non sono venuto per essere servito, ma per servire…” (Matteo 20, 28). Il motivo per cui queste parole sono state tradotte dal greco al latino come schiavo, servo o servitore dipende dall'intenzionalità del traduttore, San Girolamo, nel IV secolo dopo Cristo. Ad esempio: nelle parabole del Signore, viene utilizzata la parola doulos, e viene tradotta in latino come servus e in spagnolo come schiavo o servo indistintamente.

San Paolo in Filippesi 2, 7, quando dice “si spogliò di sé stesso assumendo la condizione di schiavo” ricorre a doulosservus in latino e siervo o esclavo in spagnolo. Tuttavia, è anche interessante notare che nel passaggio dell'Annunciazione della Vergine si utilizzi δούλŋ (doula), e si traduca come ancella dal latino e schiava in spagnolo. San Luca avrebbe ricevuto dalla Vergine la testimonianza diretta di ciò che accadde durante l'Annunciazione e non è forse strano che la Vergine Maria si definisca schiava del Signore (Luca 1, 38)? Lei che proprio non aveva bisogno di essere redenta dal peccato, poiché era stata concepita senza peccato e non ne aveva commesso alcuno. È corretto, quindi, in questo caso, l'uso improprio della parola schiava nella traduzione dal greco e dal latino?

Se leggiamo attentamente il brano dell'Annunciazione, notiamo che l'angelo informa Maria che sua parente Elisabetta, ormai anziana, “Quella che chiamavano sterile è incinta di sei mesi” (Luca 1, 36). E Maria risponde: “Ecco la serva del Signore” (Luca 1, 38). Non potrebbe essere che Maria si offrisse come doula per accompagnare Elisabetta nella sua gravidanza, nel parto e nel puerperio dopo l'annuncio dell'angelo, come ha fatto immediatamente? È corretto chiamare schiava la creatura più libera di Dio? Perché con Gesù, quando dice che è venuto per servire, usa la parola diacono e non schiavo? E, soprattutto, perché esistendo una parola specifica per schiavo in greco, questa non viene utilizzata in nessun punto dei Vangeli?

Modi di pensare

Sentirsi schiavi nel cristianesimo è molto frequente e pericoloso. E potrebbe essere che questo modo di pensare sia stato ereditato dal Medioevo. Modi di pensare di questo tipo si sono verificati nel corso della storia della Chiesa. Un altro possibile esempio risiede nel fatto che, fino a non molti anni fa, non si concepiva che una persona sposata potesse raggiungere la santità. Come dicevamo, esistono numerosi testi e contesti in cui la parola schiavo ricorre frequentemente nei Vangeli canonici, in situazioni in cui i protagonisti si sentono schiavi. Uno dei più significativi si trova nella parabola del figliol prodigo. Il fratello minore, tornando pentito dal Padre, dice: “Non merito di essere chiamato tuo figlio: trattami come uno dei tuoi braccianti”.” (Luca 15, 19). E il figlio maggiore, che apparentemente non aveva mai lasciato la casa del padre, dice: “Guarda: in tutti questi anni in cui ti ho servito, senza mai disobbedire a un tuo ordine” (Luca 15, 29). Entrambi si sentono schiavi. Uno vorrebbe mangiare ghiande e non può, l'altro può mangiare agnello e non vuole. Entrambi presentano lo stesso disturbo. Sia quello che torna sia quello che rimane. E questo è molto tossico nella vita religiosa di chi si definisce cristiano.

Sentirsi amati

Per agire liberamente è assolutamente necessario amare e sentirsi amati. E non possiamo amare sentendoci schiavi o servi, dobbiamo farlo liberamente dalla nuova prospettiva che ci ha portato Gesù Cristo: ora siamo figli di Dio! E non possiamo essere amati da chiunque e in qualsiasi modo.

Facciamo un esempio: in Spagna ci sono 32 milioni di animali domestici e l'85% della popolazione argentina ne possiede uno. Perché molte persone adottano così tanti animali domestici nelle loro case, invece di adottare o avere figli? Credo che la causa principale di questo fenomeno non sia l'egoismo o la comodità. Penso che, in molti casi, alla base ci sia il bisogno di sentirsi amati da qualcuno in modo incondizionato e automatico, non libero. E gli animali, specialmente i cani e i gatti, sanno farlo molto bene. Forse, in fondo, non sono in grado di accettare che qualcuno libero mi ami come un figlio. Non voglio correre il rischio che qualcuno libero mi ami o smetta di amarmi, e preferisco che mi ami uno schiavo. Ma Dio ha voluto correre il rischio di creare l'uomo libero, fatto a sua immagine e somiglianza, che lo ami volontariamente.

Smettiamo di sentirci schiavi o servi nel nostro rapporto con Dio. Correggiamo il linguaggio. Siamo stati chiamati alla filiazione divina, non alla servitù. Quando Gesù usava il termine schiavo o servo era prima della sua morte e Resurrezione. Ora siamo già stati salvati, siamo suoi ma con un rapporto paterno-filiale. Non facciamo nulla senza amore, poiché una buona madre o un buon padre non si sentono né schiavi né servi del proprio coniuge o dei propri figli.

Rettifichiamo il prima possibile, altrimenti trasformeremo i nostri impegni cristiani in regole insopportabili e finiremo per diventare psicologicamente instabili. Dio vuole figli felici, che lo amino liberamente. Convincetevi che con la luce della Resurrezione abbiamo smesso di essere schiavi delle nostre miserie. Cristo ha supplicato suo Padre affinché smettessimo di chiamarci così. Non insistiamo nel chiamarci così. Così come c'era un'idea primordiale del matrimonio all'inizio della creazione, c'era anche un'idea primordiale di Dio come Padre dentro di noi che abbiamo potuto distorcere.

Abbandoniamo il linguaggio degli schiavi e recuperiamo, con uno sguardo limpido e trasparente, l'immagine vera, originale e genuina di Dio che vive dentro di noi. Sono convinto che, vedendo Dio in questo modo dentro di noi, tratteremo meglio noi stessi e gli altri, i nostri impegni smetteranno di essere un peso per diventare fonte di vita e felicità e, di conseguenza, smetteremo di dare tanto lavoro a psicologi e psichiatri.

L'autoreBernardo Hontanilla Calatayud

Membro titolare della Real Academia Nacional de Medicina de España (Accademia Nazionale di Medicina Spagnola).

Cultura

Criteri per la selezione dei canti nella Messa

La scelta dei canti durante la Messa ha lo scopo di arricchire spiritualmente la celebrazione eucaristica e incoraggiare la partecipazione dei fedeli. Dal canto d'ingresso a quello della comunione, ogni brano musicale ha uno scopo specifico che risponde al tempo liturgico e alle disposizioni della Chiesa.

Daniel Alberto Escobar-5 dicembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

La celebrazione eucaristica si apre con l'antifona o canto d'ingresso, il cui scopo è quello di favorire l'unione di coloro che si sono riuniti, introdurli nel mistero del tempo liturgico o della festa e accompagnare la processione dei sacerdoti e dei ministri. Per quanto riguarda la modalità di esecuzione, è intonato dal schola e il popolo, o un cantante e il popolo, o tutto il popolo, o solo la schola. Possono essere utilizzati per questo canto o per l'antifona con il suo salmo, come si trovano nel Graduale romano o nel Semplice graduale, o un altro canto adatto all'azione sacra o alla natura del giorno o del tempo liturgico, con un testo approvato dalla conferenza episcopale.

Il Graduale Romano contiene il repertorio ufficiale proprio e ordinario per le diverse occasioni. Certamente, il confronto con questo innario è una delle varie possibilità per la scelta della musica durante l'Eucaristia. Tuttavia, oggettivamente è il criterio più solido quando si tratta di stabilire il canto di ingresso della celebrazione.

Non è un caso che i incipi dalle entrate del Graduale hanno tradizionalmente dato il nome a determinati giorni. Gli esempi più significativi si trovano nei periodi salienti dell'anno liturgico, come nel caso, per citarne due, della terza domenica di Avvento, chiamata Gaudete, e la quarta domenica di Quaresima, Laetare. Per quanto riguarda la durata, è opportuno che questo canto processionale si adatti alle esigenze di durata dell'ingresso della processione iniziale della Messa.

È anche possibile l'uso dell'organo da solo o di qualsiasi altro strumento o insieme di strumenti legittimamente ammessi, prima dell'arrivo del sacerdote all'altare, così come nell'offertorio, durante la comunione e alla fine della stessa. Non bisogna quindi avere alcun timore nel sostituire la musica vocale con quella strumentale in queste occasioni, avvalendosi dell'aiuto di professionisti della musica. Lungi dal minare una partecipazione dei fedeli a volte mal interpretata, la celebrazione liturgica si arricchisce e acquista maggiore vivacità quando esiste la possibilità di integrare diverse forme musicali vocali o strumentali.

Kyrie, Gloria e Alleluia

Con il Kyrie i fedeli acclamano il Signore e chiedono la sua misericordia. Vi partecipano regolarmente il popolo e la schola o un cantor. Quando forma parte del terzo modo di compiere l'atto penitenziale, il Kyrie è preceduto da tropi, che sottolineano solitamente il carattere di acclamazione attraverso la figura retorica dell'apostrofe, che consiste nel rivolgersi direttamente a Cristo con l'espressione “Tu”. Le espressioni dei tropi hanno un contenuto biblico e ci mostrano aspetti della vita e dell'azione di Cristo. Pertanto, il testo non è mai incentrato sulla condizione peccaminosa dell'uomo, cioè in questo momento non chiediamo misericordia perché siamo peccatori, ma perché Cristo è venuto a concederci il perdono.

Di solito, la domenica e in alcune festività si canta il Gloria. Si tratta di un inno antichissimo con cui la Chiesa glorifica Dio Padre e l'Agnello e presenta le sue suppliche. È intonato dal sacerdote o, a seconda dei casi, dal cantore o dal coro, e cantato da tutti insieme o dal popolo in alternanza con i cantori, o solo dalla schola. È necessario sottolineare che, come nel caso del Credo, del Santo o dell'Agnello di Dio, non è consentito modificare il testo di questo inno, poiché non si tratta di un canto di accompagnamento, ma costituisce un rito a sé stante.

Dopo la lettura che precede immediatamente il Vangelo è previsto il canto del Alleluia, tranne che durante la Quaresima, quando si canta il versetto prima del Vangelo o un altro salmo o tratto del Graduale. Il canto ha carattere di acclamazione, costituendo di per sé un rito. Con esso, da un lato, i fedeli accolgono e salutano il Signore, che sta per parlare loro nel Vangelo e, dall'altro, professano la loro fede in Lui attraverso il canto. Esistono diverse possibilità nella forma di esecuzione. Se non vengono cantati, l'Alleluia o il versetto prima del Vangelo possono essere omessi. Questa soppressione, specialmente nei giorni feriali, lungi dal sminuire la celebrazione, aiuta ad esprimere la gradualità della solennità dei diversi giorni. Come espresso nel messale, è prevista l'intervento dell'assemblea e della schola o di un cantore. Mentre all'assemblea spetterebbe ripetere l'acclamazione, al coro o al solista spetterebbe il verso.

Offertorio e Santo

Nel rito romano si chiama Offertorio il canto che accompagna la processione delle offerte all'altare. Le norme relative alla modalità di esecuzione coincidono con quelle del canto d'ingresso. Anche per questo momento sono previste due alternative: in primo luogo, l'esecuzione di polifonia o canto gregoriano attraverso la musica corale; in secondo luogo, l'intervento dell'organista con un brano musicale come solista, senza escludere l'intervento di altri strumenti musicali.

Il Santo costituisce un'antichissima acclamazione integrata nella preghiera eucaristica. È previsto che l'acclamazione sia proclamata dal popolo insieme al sacerdote. Essendo il canto principale della Messa, è opportuno valorizzarlo, poiché il suo significato pieno non può essere espresso con una semplice recita. Il rispetto del testo impedisce, in linea di principio, la sua sostituzione con un altro. 

Agnello di Dio e comunione

Non è prevista l'esistenza di un canto per la pace. La frazione del pane è uno dei riti più significativi della celebrazione eucaristica, poiché riproduce uno dei gesti più significativi compiuti dal Signore: spezzare il pane. Il canto del Agnello di Dio ha il compito di accompagnare questo momento in modo litanico. Il messale prevede la partecipazione del popolo, almeno nella risposta.

Il canto di comunione è l'ultimo canto comunitario previsto nella Messa. Il Messale Romano prevede, in primo luogo, il canto che accompagnerà la distribuzione della comunione. La sua funzione è quella di esprimere, attraverso l'unione delle voci, l'unione spirituale di coloro che comunicano, dimostrare la gioia del cuore e manifestare chiaramente la natura comunitaria della processione per ricevere l'Eucaristia.

Per quanto riguarda il repertorio previsto, è possibile utilizzare l'antifona del Graduale romano, con o senza salmo, oppure l'antifona con il salmo del Graduale semplice, o ancora qualche altro canto appropriato. Il canto di comunione può essere eseguito dal coro solo o anche dal coro o da un cantore con il popolo. Per questo momento può essere appropriata anche l'esecuzione di un brano strumentale. Allo stesso modo, il messale presenta come possibilità il canto di un salmo, un inno o un canto di lode dopo la distribuzione della comunione e il canto che la accompagna.

La Messa non prevede un canto di uscita. Non c'è quindi, simmetria tra il canto di ingresso e la fine della celebrazione. Tuttavia, il direttorio sul canto e la musica nelle celebrazioni della Conferenza Episcopale Spagnola sottolinea che può essere opportuno, senza trattenere i fedeli. Valuta inoltre positivamente la possibile esecuzione di un brano d'organo. 

L'autoreDaniel Alberto Escobar

Docente di liturgia. Università di San Dámaso.

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Cultura

La bevanda alcolica resa popolare da Dickens e il suo legame con San Nicola

Cedric Dickens, pronipote dello scrittore britannico Charles Dickens, parla della bevanda calda alcolica ‘Smoking Bishop’ (Vescovo fumante) nel suo libro ’Bebiendo con Dickens‘ (Bevendo con Dickens). Gli olandesi preparano ancora oggi il Bisschopswijn, o vino del vescovo, per festeggiare la vigilia di San Nicola (6 dicembre). Guarda la ricetta.  

OSV / Omnes-5 dicembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

 – Sarah Robsdottir, OSV

Buon Natale, Bob! disse Scrooge con sincerità inequivocabile, dandogli una pacca sulla spalla. Un Natale più felice, Bob, mio caro amico, di quelli che ti ho regalato in tanti anni! Ti aumenterò lo stipendio e farò del mio meglio per aiutare la tua famiglia, che sta attraversando un momento difficile, e parleremo dei tuoi affari proprio questo pomeriggio, Bob, davanti a una tazza di ‘Smoking Bishop’ natalizio.

Questo scambio finale tratto da ‘Un racconto di Natale’ di Charles Dickens mostra un Ebenezer Scrooge pentito che serve al suo dipendente Bob Cratchit, maltrattato per molto tempo, una tazza fumante di Smoking Bishop. Si tratta di una bevanda a base di vino rosso speziato e agrumi che prende il nome dal colore della bevanda, che ricorda il cappello o la “mitra” di un vescovo.  

Origini medievali

“Il suo nome stravagante ricorda [anche] le sue origini medievali, quando veniva talvolta servito nei municipi e nei banchetti universitari in ciotole che ricordavano la forma della mitria di un vescovo”, spiega Andrea Broomfield nel suo libro ‘Cibo e cucina nell'Inghilterra vittoriana: una storia».

Cedric Dickens, pronipote di Charles Dickens, parla del significato della bevanda calda e alcolica e del suo ruolo nella scena finale di ‘Un racconto di Natale’, nell'introduzione al suo libro ‘Bebiendo con Dickens’ (Bevendo con Dickens): La gente ama parlare di [Charles Dickens], forse perché era il difensore dell'uomo comune... Prendiamo ad esempio ‘Un racconto di Natale’... 

Sì, anche il povero Bob Cratchit, che guadagnava una miseria, preparava il suo punch a Natale. I Bob Cratchit, e in effetti tutti i personaggi del mondo di Dickens, continuano a vivere nella nostra immaginazione e, in realtà, continuano ad esistere. 

Vini comuni nell'Inghilterra vittoriana

Tra i commenti di Broomfield e Cedric Dickens sul ‘Vescovo Fumante’ e i numerosi video tutorial sulla bevanda festiva, è facile trarre la seguente conclusione. 

Sebbene questi vini caldi fossero già comuni nell'Inghilterra vittoriana prima della pubblicazione del capolavoro natalizio di Dickens del 1843, la bevanda calda, agrumata, con chiodi di garofano, vino e porto, divenne un alimento natalizio ancora più popolare, apparendo alle feste e alle fiere all'aperto negli anni successivi. 

Olanda: vino del vescovo alla vigilia di San Nicola

Molto prima, tuttavia, le tradizioni inglesi dei vini caldi e dei sidri si diffusero in molti paesi europei. 

Gli olandesi producono ancora il Bisschopswijn, o vino del vescovo, per celebrare la vigilia di San Nicola, che si festeggia il 6 dicembre. 

La festività commemora la morte dello storico “Babbo Natale”, il vescovo di Myra del IV secolo, che combatté l'eresia al Concilio di Nicea e il cui lascito duraturo è quello di fare generosi regali ai bambini.

Da San Nicola, Sinterklaas, a Babbo Natale

Gli immigrati olandesi portarono questa tradizione negli Stati Uniti, dove San Nicola, “Sinterklaas”, si trasformò foneticamente in Babbo Natale. Non perdetevi domani, proprio qui, ‘La leggenda di San Nicola: l'origine di Babbo Natale’.

Il Centro di San Nicolás esiste per promuovere la devozione a questo amato santo ed è una risorsa preziosa e ricca di dati storici, aneddoti e modi creativi per celebrare la prossima festività. 

Bisschopswijn, molto simile al Vescovo Fumante

La sua ricetta del Bisschopswijn è quasi identica agli ingredienti della ricetta del Vescovo Fumante, scritta da Cedric Dickens.

Ho la sensazione che la ricetta riportata di seguito sia una bevanda che il suo bisnonno avrebbe apprezzato molto. Gustatela con moderazione, in buona salute e con spirito di gratitudine! 

Ricetta del Bisschopswijn (vino del vescovo olandese)

(Per gentile concessione del Centro San Nicolás. Bevanda tradizionale per la vigilia del giorno di San Nicolás, il 6 dicembre).

1 litro di vino rosso
1 limone
1 arancia
20 chiodi di garofano (spezia).
2 cucchiai di zucchero
1 stecca di cannella
un pizzico di macis e zafferano (facoltativo)

Lavate e asciugate il limone e l'arancia. 

Inserisci 10 chiodi di garofano in ciascuno. 

Versare il vino, lo zucchero, il limone, l'arancia e la cannella (e il macis e lo zafferano legati in un sacchetto di mussola, se utilizzati) in una casseruola. 

Coprite e lasciate bollire lentamente. 

Abbassate la fiamma e lasciate cuocere il vino a fuoco lento per circa 1 ora. 

Rimuovere le spezie e la frutta. 

Riscalda nuovamente il vino, ma non farlo bollire. 

Servire in bicchieri resistenti al calore. 

Buon appetito!

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– Sarah Robsdottir è una cattolica convertita e madre di sette figli che educa a casa. Il suo ultimo romanzo, Juana de Arkansas, è stato pubblicato da Voyage Publishing all'inizio di quest'anno. Visitate Sarah su www.sarahrobsdottir.com.

– Queste informazioni sono state originariamente pubblicate su OSV News in inglese. È possibile consultarle qui.

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L'autoreOSV / Omnes

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Vangelo

Il ciondolo d'oro. Immacolata Concezione (A)

Vitus Ntube ci commenta le letture dell'Immacolata Concezione (A) corrispondenti all'8 dicembre 2025.

Vitus Ntube-5 dicembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Nel cammino dell'Avvento incontriamo questa bellissima festa della Madre di Cristo: la solennità dell'Immacolata Concezione. Oggi contempliamo la Madonna nella sua bellezza: la bellezza della santità e la bellezza della grazia. L'angelo nel Vangelo di oggi la chiama "pieno di grazia".: “Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te” (Lc 1, 28). Papa Benedetto XVI diceva che "pieno di grazia". è il nome più bello di Maria, il nome che Dio stesso le ha dato per indicare che è sempre stata e sempre sarà l'amata.

Maria non solo ha un nome bellissimo, ma anche una personalità e un'identità meravigliose. È stata benedetta con tutte le benedizioni spirituali del cielo per essere santa e immacolata. La festa di oggi ci permette di contemplare questa bellezza senza macchia, la bellezza di essere piena di grazia, di essere piena di Cristo.

Questa bellezza è stata immortalata in molte opere d'arte. Ricordo la mia breve esperienza pastorale a Valencia. Per la prima volta mi sono imbattuto in una statua della Vergine adornata con orecchini. Mi ha colpito perché era qualcosa di estraneo alla mia sensibilità. Ma visitando altre chiese, ho scoperto che molte immagini di Maria lì - compresa la patrona della città - erano riccamente adornate con orecchini, bracciali, collane e corone. Que ornamenti non erano semplici oggetti di vanità, ma tentativi artistici di esprimere esternamente lo splendore della santità interiore di Maria. La bellezza di Maria aveva bisogno di essere espressa attraverso quegli oggetti. Erano lì per abbellire la Vergine e, allo stesso tempo, manifestare la sua bellezza interiore. L'antifona d'ingresso della liturgia odierna, tratta dal profeta Isaia, può essere attribuita a Maria, la cui anima gioisce perché è stata rivestita con le vesti della salvezza e il mantello della giustizia: “come una sposa che si adorna con i suoi gioielli” (Isaia 61, 10).

Mentre ci meravigliamo della bellezza di Maria, ricordiamo che anche noi siamo stati resi belli davanti a Dio con tutte le benedizioni spirituali e siamo chiamati ad essere santi. Molto dipende dal fatto che diciamo “sì” al piano di Dio come ha fatto Maria nel Vangelo, o che diciamo “no” come Adamo ed Eva nella prima lettura. Possiamo anche cercare di scoprire la benedizione particolare che Dio ha dato a ciascuno di noi per compiere la missione che ci ha affidato.

Lo scrittore spagnolo Gustavo Adolfo Bécquer, nella sua leggenda Il braccialetto d'oro, racconta la storia di una donna di nome Maria, che si recò alla cattedrale di Toledo durante la festa della Vergine. Mentre pregava, il suo sguardo non si posò sulla Vergine, ma sull'anello d'oro che adornava il braccio che reggeva il Bambino Divino. Rimase affascinata, avida, persino ossessionata dallo splendore del gioiello, al punto che non vedeva più la Vergine che venerava, ma un'altra donna che la derideva perché non possedeva un tale tesoro. Per lei, Maria aveva smesso di essere un modello da cui imparare ed era diventata una rivale.

La Vergine non si vanta dei suoi privilegi, né la sua bellezza e le sue grazie devono essere presentate come motivo di confronto. Lei non ci è stata data come rivale. La festa dell'Immacolata Concezione ci ricorda che tutti siamo stati benedetti in modo speciale per la missione di Dio e che siamo chiamati a rispondere a questo dono con il nostro “sì”, proprio come ha fatto Maria. I suoi gioielli sono doni di Dio e la sua grata accettazione dei doni e della missione ad essi inerente.

Evangelizzazione

Perché le donne non possono diventare sacerdoti?

La Chiesa spiega perché il sacerdozio è riservato agli uomini e qual è il ruolo essenziale della donna.

Teresa Aguado Peña-4 dicembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Negli ultimi decenni, il ruolo delle donne nella Chiesa è stato oggetto di un dibattito sempre più visibile. Molti si chiedono se un giorno sarà possibile che le donne ricevano il sacramento dell'Ordine sacerdotale. Tuttavia, la Chiesa cattolica sostiene che non si tratta di una questione di “diritti” o di “discriminazione”, ma della natura stessa del ministero sacerdotale così come istituito da Gesù Cristo. Perché la Chiesa mantiene questo insegnamento? Quali ragioni bibliche, teologiche e simboliche ci sono dietro il fatto che il sacerdozio ministeriale sia riservato agli uomini e come si collega alla missione propria della donna nella Chiesa?

Già negli anni Settanta, quando alcune comunità cristiane cominciarono a sollevare la possibilità di ordinare le donne, Paolo VI ricordò pubblicamente che per la Chiesa cattolica “non è ammissibile” conferire il sacerdozio ministeriale alle donne. E non lo è, affermava, per ragioni fondamentali:

  • L'esempio di Cristo, che scelse solo uomini come apostoli.
  • La pratica costante della Chiesa, che ha fedelmente imitato Cristo in questa scelta.
  • Il Magistero vivente, che insegna in modo coerente che questa esclusione è in armonia con il piano di Dio per la sua Chiesa.

Per chiarire ulteriormente la questione, Paolo VI incaricò la Congregazione per la Dottrina della Fede di redigere la dichiarazione «Inter Insigniores», che esponeva e approfondiva i fondamenti di questa dottrina, concludendo così: «la vera ragione è che Cristo, nel dare alla Chiesa la sua costituzione fondamentale, la sua antropologia teologica, sempre seguita dalla Tradizione della Chiesa stessa, ha stabilito così».

San Giovanni Paolo II, nella sua lettera apostolica «Ordinatio Sacerdotalis», sottolinea che Cristo scelse i suoi Apostoli in modo totalmente libero e sovrano. Non si è lasciato influenzare da condizionamenti socio-culturali. Nei Vangeli vediamo Gesù agire con grande libertà e dignificare la vocazione della donna, ma nonostante ciò riservò ai maschi la missione apostolica. In seguito, gli stessi Apostoli trasmisero questa stessa pratica quando scelsero i loro successori e collaboratori nel ministero.

Il ruolo delle donne nella Chiesa

San Giovanni Paolo II sottolinea il ruolo essenziale delle donne nella Chiesa nella sua lettera apostolica: «Il fatto che Maria Santissima, Madre di Dio e Madre della Chiesa, non abbia ricevuto la missione propria degli Apostoli né il sacerdozio ministeriale, mostra chiaramente che la non ammissione delle donne all'ordinazione sacerdotale non può significare una minore dignità né una discriminazione nei loro confronti, ma la fedele osservanza di una disposizione che va attribuita alla saggezza del Signore dell'universo». Aggiunge quindi che il ruolo della donna è fondamentale oggi, sia per il rinnovamento e l'umanizzazione della società, sia per riscoprire, da parte dei credenti, «il vero volto della Chiesa».

Papa Francesco ha ribadito questa posizione sottolineando che “è un problema teologico”, ma che non si tratta di una privazione bensì di un ruolo diverso, sul quale c'è ancora molto da approfondire, e ha riconosciuto che occorre dare più spazio alle donne nella Chiesa in altri ambiti.

Inoltre, la Dichiarazione «Inter Insigniores» ricorda che la struttura gerarchica della Chiesa è ordinata totalmente alla santità dei fedeli: «l'unico carisma superiore che deve essere desiderato è la carità (cfr. 1 Cor 12-13). I più grandi nel Regno dei cieli non sono i ministri, ma i santi».

Cristo Sposo, Chiesa Sposa

Dalla Teologia del Corpo di San Giovanni Paolo II si può trarre un ulteriore argomento. In un mondo in cui non importa se il corpo è maschile o femminile, la Chiesa rivendica l'importanza del suo significato. Giovanni Paolo II parlava dell'Eucaristia come del sacramento degli sposi perché è il sacramento in cui gli sposi per eccellenza, cioè Cristo e la Chiesa, si donano l'uno all'altra. E si donano, diceva, allo stesso modo degli sposi nel matrimonio: nel loro corpo femminile o maschile.

L'uomo e la donna non si donano allo stesso modo. Ciò si esprime nell'atto coniugale: il marito si dona uscendo da sé stesso e andando verso la moglie, mentre la moglie si dona accogliendo dentro di sé il marito. Questo stesso linguaggio si incarna nella storia della salvezza. Così, quando il sacerdote prende il pane per consacrarlo e dice «Prendete e mangiatene tutti... questo è il mio corpo che sarà consegnato per voi», è Nostro Signore che dice queste parole alla Chiesa. Una donna non potrebbe pronunciarle perché semplicemente non si dona in questo modo, ma accogliendo in sé il dono del marito: mangiando il Suo Corpo.


Vaticano

Il Vaticano chiude le porte al diaconato femminile, ma non con un giudizio definitivo

La mancanza di consenso impone di mantenere una posizione prudente e di non ammettere il diaconato femminile. Raccomanda di proseguire lo studio del diaconato e di rafforzare la riflessione globale sul servizio (diaconia) nella Chiesa.

Javier García Herrería-4 dicembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Il Vaticano ha pubblicato un ampio riassunto dei lavori svolti dalla Commissione di studio sul diaconato femminile, che dal 2021 – e in continuità con le ricerche precedenti avviate sotto il pontificato di Francesco – analizza la possibile ammissione delle donne al diaconato. 

Il rapporto, firmato dal presidente della Commissione insieme al suo segretario, monsignor Denis Dupont-Fauville, sintetizza quattro anni di ricerche storiche, teologiche e pastorali, nonché le tensioni dottrinali che hanno impedito il raggiungimento di un consenso, ed è stato recentemente presentato a papa Leone XIV come materiale per il suo discernimento.

Il riassunto consegnato a papa Leone XIV riporta che le diverse commissioni vaticane hanno constatato l'esistenza storica di figure chiamate diaconesse, presenti nella Chiesa antica. Tuttavia, gli studi concordano sul fatto che tale ministero non era omogeneo né equivalente al diaconato maschile. Le funzioni, i riti di istituzione e il significato teologico variavano notevolmente da una comunità all'altra, senza che si potesse parlare di un sacramento dell'Ordine in senso pieno.

Mancanza di prove sacramentali

La Commissione presieduta da Mons. Dupont-Fauville ribadisce che, allo stato attuale delle ricerche, non esistono basi sufficienti per attribuire all'antico diaconato femminile un carattere sacramentale. Sebbene alcuni testi possano suggerire il contrario, la valutazione complessiva della Tradizione indica un “ministero». sui generis”, separato dalla successione apostolica. Questa tesi è stata ampiamente approvata all'interno dell'organismo.

Il documento sottolinea che i dati storici, da soli, non consentono di risolvere la questione: la decisione finale dovrà essere dottrinale e magisteriale. La Commissione riconosce l'esistenza di due linee teologiche contrapposte.

Una sottolinea che l'ordinazione diaconale è ad ministerium —orientata al servizio, non al sacerdozio—, il che aprirebbe una possibile strada all'ordinazione delle donne, nella misura in cui le loro funzioni si limitano a servizi ecclesiali non sacramentali. L'altra sottolinea l'unità del sacramento dell'Ordine e il suo significato sponsale nei tre gradi (diacono, presbitero, vescovo), rifiutando la possibilità di un diaconato femminile sacramentale.

Votazioni divise e assenza di consenso

Le votazioni interne riflettono l'esistenza di questioni dottrinali irrisolte e mostrano come molte delle persone consultate siano favorevoli, ma questa mancanza di convergenza rende consigliabile un atteggiamento prudente.

La Commissione ha ricevuto 22 dossier inviati al processo sinodale, ma “non possono essere considerati la voce del Sinodo, e tanto meno del Popolo di Dio nel suo insieme”. In essi si esprimono posizioni molto diverse: da coloro che invocano l'uguaglianza battesimale e l'accesso delle donne a tutti i gradi dell'Ordine, a coloro che mettono in guardia contro un cambiamento considerato contrario alla Tradizione o influenzato dalle tendenze socioculturali contemporanee. 

Secondo la sintesi, la proposta sinodale di studiare l'argomento è stata una delle più controverse, con un numero elevato di voti contrari.

Argomenti antropologici e teologici in conflitto

Le presentazioni favorevoli al diaconato femminile si basano sull'uguaglianza di dignità tra uomo e donna e su una comprensione non legata al genere della rappresentazione di Cristo. Al contrario, altri teologi affermano che la mascolinità di Cristo ha rilevanza sacramentale e che modificare questo punto implicherebbe alterare il significato nuziale del rapporto tra Cristo e la Chiesa.

Molte donne hanno portato la loro esperienza pastorale, specialmente in comunità senza una presenza stabile di sacerdoti. Diverse hanno segnalato di sentire una vocazione al diaconato come pienezza sacramentale del loro servizio; altre hanno espresso il bisogno di visibilità, autorità e riconoscimento ecclesiale. La Commissione avverte, tuttavia, che la dedizione o il desiderio personale non costituiscono di per sé un criterio teologico sufficiente per l'ordinazione.

Verso nuovi ministeri e una maggiore corresponsabilità

Uno dei punti di maggiore consenso è stata la necessità di ampliare i ministeri laici, specialmente quelli che possono essere affidati alle donne, seguendo la linea di Spiritus Domini e Antiquum Ministerium. La Commissione afferma che questo sviluppo sarebbe un segnale profetico, specialmente in contesti in cui persiste la discriminazione di genere. La proposta è stata approvata quasi all'unanimità.

Il testo finale sottolinea che in vaste aree del mondo il diaconato permanente è poco conosciuto o praticamente inesistente, il che rende difficile comprenderne il significato proprio. Pertanto, prima di discutere la sua eventuale apertura alle donne, la Chiesa dovrebbe “chiarirne l'identità sacramentale e la missione ecclesiale”. Questo compito si presenta come prioritario per progredire nel discernimento.

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La vita è peggiore senza Dio

La conversione scatena sempre una serie di reazioni e sentimenti diversi. In chi la vive, la gioia e il fervore si uniscono alla chiarezza di vedere che “ha scelto la parte migliore”, la luce si manifesta dopo una vita di oscurità. Questo atteggiamento di stupore contrasta spesso con l'atteggiamento pessimista e cupo di molti cattolici che si ostinano a vedere solo i lati negativi della Chiesa.

4 dicembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

La conversione scatena sempre una serie di reazioni e sentimenti diversi. In chi la vive, la gioia e il fervore si uniscono alla chiarezza di vedere che “ha scelto la parte migliore”, la luce si manifesta dopo una vita di oscurità. Questo atteggiamento di stupore contrasta spesso con l'atteggiamento pessimista e cupo di molti cattolici che si ostinano a vedere solo i lati negativi della Chiesa. 

Una volta, una giovane convertita si trovava a una conferenza, circondata da...“cristiani di lunga data”. Questi si limitavano a lamentarsi dei problemi che circondavano la fede: i sacerdoti avevano poco zelo pastorale, la società bandiva la fede dalla sfera pubblica, non esistevano politiche cristiane... Interrogata su come lei vedesse “quel panorama”, quella ragazza rispose “Sinceramente, penso che non sia poi così male. Perché io vengo da fuori e voi non avete idea di quanto faccia freddo lì.”. La sua risposta era perfetta: fuori, senza Dio, fa più freddo.

Una delle peggiori menzogne che il diavolo ha instillato con successo nella mentalità di molti cristiani è quella secondo cui chi è lontano da Dio “fuori dalla vigna”, si divertono più di noi, o addirittura sono più felici qui sulla Terra. È la mentalità sciocca di chi esclama di fronte a un ritorno o a una tardiva scoperta di Dio: “Dopo aver vissuto così bene, ora si converte e va in Paradiso, vero?”. Ma non è così. No. Fuori fa molto freddo. 

La vita è peggiore senza Dio. Fuori dalla vigna, lontano dal Padre, fa più freddo. Cadiamo nella trappola diabolica quando pensiamo che quelli che stanno fuori...“sono fortunati" o "hanno vissuto il meglio della vita”, invece di rendere grazie per essere stati chiamati “all'ora stabilita”. I braccianti, che non avevano conosciuto la casa del Signore, soffrirono il freddo; soffrì il freddo e la fame il figliol prodigo che era fuggito da essa, dopo quella falsa promessa del diavolo. 

Perché il peso della giornata e il caldo esistono, certo, ma è un caldo che ha senso, un peso che ha un futuro. Non è il lavoro obbligatorio di uno schiavo senza speranza. Altrimenti noi cattolici saremmo come il figlio maggiore, un “volere senza volerlo”, un “essere dentro” in modo tiepido, mediocre. E così non sentiremo il grido di coloro che sono fuori, che ci chiedono di uscire alla loro ricerca, di essere gli attori del cambiamento nel mondo.

L'autoreMaria José Atienza

Direttore di Omnes. Laureata in Comunicazione, ha più di 15 anni di esperienza nella comunicazione ecclesiale. Ha collaborato con media come COPE e RNE.

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Ode alla disabilità

Ho due sorelle con disabilità. Ma continuo a stupirmi ogni volta che vedo una persona con la sindrome di Down cantare per strada. Allora penso: quanto è buono il Signore!

4 dicembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Recentemente, mentre andavo al lavoro, ho preso un autobus pieno di gente. Seguivo la routine di ogni lavoratore sui mezzi pubblici: in silenzio, con il cellulare in mano, gli occhi fissi sullo schermo e sperando che nessuno mi disturbasse. All'improvviso si è sentita la voce di un passeggero che, a squarciagola e senza alcun imbarazzo, cantava una ballata a una certa Jenny: “sei il mio amore” ripeteva.

Noi sardine in scatola che eravamo lì intorno cercavamo solo di fare una cosa: trattenere le risate. Ci scambiavamo sguardi che dicevano “poverino, è disabile”. Ma la verità è che tutti volevamo iniziare la giornata felici come lui. Sono arrivato al lavoro con un sorriso da un orecchio all'altro e ho detto ai miei colleghi: è successa una cosa molto surreale sull'autobus e mi ha rallegrato la giornata.

Ho due sorelle con disabilità, ma questa condizione continua a colpire la mia attenzione.

Ieri era la Giornata internazionale delle persone con disabilità e ho accompagnato mia sorella Paloma a un torneo di pallacanestro organizzato dall'associazione. Clubamigos. Lì tutti ricevevano un trofeo e la prima cosa che facevano era andare ad abbracciare i propri genitori, che non facevano altro che sbavare di fronte a tanta gioia traboccante. Potevo solo pensare: «Quanto è buono il Signore!».

Si dice che Dio sia un artista e che tutte le sue opere siano perfette. Ma ho sempre pensato che con questo tipo di persone abbia dato il meglio di sé. Infatti, vedendo la malvagità che c'è in molti di noi, nostro Padre ha voluto regalarci dei fratelli in cui vediamo un'innocenza così pura da farci dire “voglio essere come loro”.

Perché non dovrei voler essere una persona che non ha alcuna colpa? Una persona allegra, affettuosa, semplice, sensibile e gentile. Soprattutto gentile. Sono persone che, appena le vedi, suscitano tenerezza e sono felici con poco. Persone che ti fanno venire voglia di prenderti cura di loro.

La società in cui viviamo rifiuta chiunque abbia bisogno di cure: bambini, anziani e, sì, anche i disabili. Chi non è autosufficiente vale meno. Ed è un peccato che si faccia progressi nell'aborto, nell'eutanasia e in altre invenzioni per sbarazzarsi di loro. Se solo ci rendessimo conto che proprio prendersi cura degli altri è ciò che ci porta a Dio, ci rende felici!

Tra i tanti doni che il Signore mi ha fatto, uno dei più preziosi è quello di avere delle sorelle con disabilità. Perché per me sono angeli innocenti che Lui ha messo sul mio cammino per farmi uscire da me stessa. Mi regalano momenti liberatori in cui posso mettere da parte l'inferno di vivere per me stessa e mettermi al loro servizio, vedendo in loro un pezzetto di Paradiso.

Dio è in loro, come in molte altre persone che mi circondano. Ma è più evidente in qualcuno con questa condizione. Per questo, ogni volta che in metropolitana o in autobus incontro una persona con la sindrome di Down con le cuffie e che canta a squarciagola, penso: «Quanto è buono il Signore, che mi permette di vederlo!».

Circondiamoli, impariamo da loro e prendiamoci cura di loro, riconosciamo il loro valore e amiamoli. Perché sono capolavori del più grande artista di tutti i tempi.

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Stati Uniti

William Dailey: «Ci sono germogli di speranza nella vita di fede negli Stati Uniti” 

Fr. William Dailey, sacerdote della Congregazione della Santa Croce (CSC) e professore alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Notre Dame, osserva “germogli verdi nella vita di fede” negli Stati Uniti e vede motivi per “essere ottimisti”.

Francisco Otamendi-4 dicembre 2025-Tempo di lettura: 6 minuti

Un macro-rapporto, elaborato dalla società di consulenza statunitense Ricerca Pew pubblicato all'inizio dello stesso anno, ha rilevato una stabilizzazione nel declino del cristianesimo negli Stati Uniti. Quasi parallelamente, la newsletter ‘Il mattino’, di Il New York Times, affrontava il tema della religione e della spiritualità e concludeva: “Gli Stati Uniti vogliono un Dio”. E poi è arrivata la sorpresa dell'elezione di Papa Leone XIV, il primo Papa proveniente dagli Stati Uniti.

In questo contesto, abbiamo intervistato padre William Dailey, sacerdote della Congregazione della Santa Croce (CSC) e docente presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Notre Dame, che ha appena organizzato un summit sulla libertà religiosa a Dublino.

A suo avviso, esistono “germogli verdi nella vita di fede” nel proprio Paese. E anche se “È troppo presto per giudicare se ci sarà un significativo ‘effetto Leo’ sulla pratica del cattolicesimo negli Stati Uniti, ma i primi segnali sono certamente incoraggianti”.” afferma.

Come valuta lo studio di Ricerca Pew che indica una stabilizzazione del declino del cristianesimo negli Stati Uniti negli ultimi anni?

—Lo studio di Ricerca Pew corrisponde alla mia esperienza personale, aneddotica, sotto diversi aspetti. Mi trovo in una situazione piuttosto insolita all'Università di Notre Dame, dove oltre l'80% degli studenti è cattolico e, nei nostri dormitori universitari e in molti edifici accademici, si celebrano messe quotidiane molto frequentate, quindi il declino è meno evidente nella mia vita quotidiana.

Ma senza dubbio nel 2025 ci sono meno persone che frequentano la Messa, in percentuale rispetto alla popolazione studentesca, rispetto a quando mi sono laureato nel 1990. Tuttavia, almeno tra coloro che frequentano la Messa oggi, il livello di catechesi è più alto rispetto a quello della mia generazione, e l'entusiasmo e la devozione che dimostrano sono “spesso” sorprendenti.

Quindi si possono osservare tendenze in entrambe le direzioni, come indica lo studio: abbiamo conversioni e riammissioni in forme impressionanti e commoventi, ma vediamo anche molte defezioni. Ne parliamo molto nella mia comunità religiosa, la Congregazione della Santa Croce, che ha fondato Notre Dame e continua a prestare servizio lì, e più in generale in tutta l'università: come possiamo attirare nuovamente le persone alla pratica della fede.

Sono stati recuperati almeno i livelli precedenti alla pandemia? E l'evangelizzazione negli ambienti universitari? 

— Senza dubbio stiamo assistendo a una rinascita a Notre Dame dopo i minimi raggiunti durante la pandemia in termini di partecipazione alla Messa, e a un grande fervore nei nostri programmi di confermazione degli adulti e di iniziazione cristiana degli adulti, specialmente tra la nostra popolazione studentesca internazionale. Ciò non contrasta necessariamente la tendenza generale alla disaffiliazione, che riflette la ricerca di Ricerca Pew menzionata in precedenza, ma le cose non sono unidirezionali.

Ritiene che possa esserci una certa rinascita della vita spirituale o della pratica religiosa, come riferisce il New York Times?

—Ancora una volta, il mio lavoro quotidiano con gli studenti e i colleghi docenti, così come le numerose conversazioni casuali o fortuite che si possono avere negli aeroporti o ai matrimoni, concordano pienamente con quanto riportato dal New York Times: che, nonostante il calo dell'adesione alle religioni organizzate, le persone continuano a credere in Dio, a credere che non siamo soli nell'universo, che esiste una dimensione trascendente nella vita alla quale vogliono prestare attenzione.

Qualche aneddoto per illustrare questa affermazione?

—Penso spesso a un uomo che ho conosciuto anni fa, quando lavoravo come cappellano in un ospedale. Sono andato a trovarlo a tarda notte perché le infermiere lo avevano notato agitato. Mi ha salutato con molta cortesia, ma mi ha detto che, sebbene gli piacesse conversare, non era religioso. Abbiamo quindi chiacchierato di come andavano le cose e, dopo circa venti minuti, ho pensato che fosse meglio lasciarlo dormire, quindi mi sono congedato. “Non vai a pregare?”, mi ha chiesto. Gli ho risposto: “Mi hai detto che non eri credente”, al che lui mi ha risposto “Il fatto che non sia credente non significa che non preghi!”. Così abbiamo pregato insieme e mi ha chiesto di tornare a trovarlo la mattina seguente per parlare della fede e del grande miglioramento che aveva sentito dopo la nostra visita.

La correlazione non implica causalità; forse era solo l'effetto del farmaco. Ma è stata un'esperienza molto intensa che mi ha permesso di comprendere la complessità della lotta delle persone con la fede e la vita. 

Oltre alla situazione degli Stati Uniti, lei conosce anche la realtà irlandese. Cosa ricorda?

—In effetti, ho trascorso gli anni dal 2016 al 2020 a Dublino, in Irlanda, come direttore fondatore del Notre Dame-Newman Centre for Faith & Reason e nella chiesa di Nostra Signora Sede della Sapienza, costruita da San John Henry Newman. 

Lì organizziamo conferenze, concerti, diverse forme di catechesi per giovani adulti, ecc., nel tentativo di presentare la fede con raffinatezza, speranza e gioia in un periodo di declino per la Chiesa in Irlanda.

Abbiamo subito riscontrato entusiasmo per una nuova Messa per i giovani, ma il lavoro richiede tempo ed è come nel Vangelo di Marco: “Il regno di Dio è simile a un uomo che getta il seme nella terra, poi dorme e si alza notte e giorno, e il seme germoglia e cresce senza che egli sappia come”.”. Dobbiamo affidare al Santo Spirito il profondo lavoro della conversione e fare tutto il possibile per collaborare!

Si nota qualche impatto dell'elezione di Papa Leone XIV sulla fede dei cattolici americani? Come vede l'accoglienza riservata all'elezione del primo Papa americano?

—Senza dubbio è troppo presto per giudicare se ci sarà un “effetto Leo” significativo nella pratica del cattolicesimo negli Stati Uniti, ma i primi segnali sono certamente incoraggianti. Gli americani sono rimasti sorpresi e affascinati nel vedere che uno di loro era stato eletto; questo rende il papato piuttosto vicino, cosa che deve essere abbastanza normale per gli italiani storicamente, ma che è una novità negli Stati Uniti. “È stato nei nostri negozi di hot dog! Ha tifato per i Chicago White Sox! È andato alla Villanova!”.

Al di là di questi dettagli umani, Papa Leone XIV ha anche dimostrato calore e profondità nei suoi sermoni, una gentilezza e un'attenzione a Cristo che, insieme alla novità della sua elezione, spero possano attirare i cattolici americani che forse si sono sentiti un po' smarriti, affinché tornino ad ascoltare il Vangelo.

Lei ha parlato della polarizzazione che viviamo socialmente. Qualche idea al riguardo?

-Papa Leone XIV ha incentrato le sue prediche su Cristo, non sulla Chiesa in quanto tale e certamente non su se stesso. Nel mondo cattolico praticante tendiamo a incolparci a vicenda – per le nostre dispute sulla liturgia, i nostri diversi orientamenti politici o alcune questioni teologiche controverse – del calo del numero dei fedeli o della frequenza alla Messa. Ho sempre pensato che esagerare in questo senso avrebbe accelerato, anziché frenare, qualsiasi declino.

La gente non vuole partecipare alle discussioni. C'è già abbastanza discordia al di fuori della Chiesa. Vogliono incontrare il Signore, sperimentare l'amore, la misericordia e l'ispirazione, conoscere se stessi come creature e conoscere meglio il loro Creatore. Papa Leone XIV dà tutti i segni di comprendere questo e di spingerci a smettere di ossessionarci con le nostre dispute interne, che senza dubbio hanno il loro posto, naturalmente, per rinnovare la nostra attenzione su Cristo.

Abbiamo appena celebrato la Pasqua, la Pentecoste e la solennità della Santissima Trinità, e molti dei nostri testi biblici ci ricordano la preghiera di Gesù affinché noi siamo uno come Lui e il Padre sono uno. Sono convinto che tale unità attirerà altri alla vita divina.

Negli ultimi mesi gli Stati Uniti hanno vissuto un movimento di rivitalizzazione eucaristica. Come è stato vissuto?

—I vescovi statunitensi hanno chiesto ai sacerdoti che, nelle loro prediche e attività parrocchiali, così come nei loro più ampi sforzi di catechesi e culto, rinnovino il loro senso della Presenza Reale e dell'importanza del culto reverenziale, dell'adorazione eucaristica e dell'idea che l'Eucaristia è la fonte e il culmine della nostra vita come Chiesa. Lo vediamo a Notre Dame, dove c'è un maggiore entusiasmo per l'adorazione, le processioni eucaristiche e simili rispetto a quando sono arrivato qui decenni fa, quando ero adolescente.

Possiamo guardare con speranza al futuro del cattolicesimo americano?

— Senza dubbio ci sono segnali positivi nella vita di fede. È possibile che le cose peggiorino prima di migliorare in termini numerici, ma ciò non significa che non vediamo spiragli di una via da seguire, né che non abbiamo motivi per essere ottimisti. I primi cristiani hanno affrontato difficoltà molto maggiori e una dissonanza culturale molto più grande di quella che la Chiesa affronta oggi nel condividere la nostra esperienza di Cristo con i nostri vicini. 

Le comunicazioni e i viaggi moderni rendono l'evangelizzazione molto meno scoraggiante di quanto non fosse per San Paolo e i suoi compagni! Pertanto, non dobbiamo cedere alla tentazione umana sempre presente di pensare a quanto fossero migliori le cose prima e concentrarci solo sulle nostre lotte: la croce arriva a tutti noi, in modo paradossale, non la invitiamo, è una lotta, ma quando prendiamo la croce ogni giorno con Cristo, scopriamo che, in effetti, siamo sulla via della vita.

L'autoreFrancisco Otamendi

Evangelizzazione

San Giovanni Damasceno, Dottore della Chiesa, il ‘Tommaso d'Oriente’

La liturgia celebra il 4 dicembre San Giovanni Damasceno (675-749), tradizionalmente conosciuto come “il San Tommaso d'Oriente”. Fu monaco, sacerdote e brillante figura della teologia.

Francisco Otamendi-4 dicembre 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto

La vita e l'opera di San Giovanni Damasceno, Dottore della Chiesa, mostrano un monaco teologo e instancabile difensore della fede in un'epoca di intense controversie.

Nato a Damasco (Siria) da una ricca famiglia cristiana, Giovanni ricevette un'istruzione classica e teologica eccezionale. Ciò gli permise di padroneggiare la filosofia, le scienze e le lingue. Dopo aver prestato servizio per alcuni anni nell'amministrazione civile del califfato omayyade, abbracciò la vita monastica nel monastero di San Saba, vicino a Gerusalemme. Fu ordinato sacerdote e nominato predicatore titolare nella Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

San Giovanni Damasceno è ricordato per la sua difesa delle immagini sacre durante la crisi iconoclastica dell'VIII secolo. Di fronte agli imperatori di Costantinopoli, sostenne che, poiché il Figlio di Dio si era fatto carne, era legittimo rappresentare artisticamente Cristo e i santi. I suoi scritti sostenevano la tradizione della Chiesa. 

Sintesi di Scrittura, liturgia e teologia

La sua opera ‘Esposizione della fede ortodossa’ viene spesso paragonata alla Summa Theologica di San Tommaso d'Aquino. Nel suo trattato, egli riassume l'insegnamento patristico precedente e offre una sintesi armoniosa di Scrittura, liturgia e riflessione teologica. Il Direttorio francescano sottolinea il suo spirito contemplativo e il suo amore per la Vergine Maria. A Lei ha dedicato alcuni dei più bei testi mariani. 

Il Papa Leone XIII lo proclamò Dottore della Chiesa nel 1890. San Giovanni Damasceno è considerato un ponte tra Oriente e Occidente, testimone della bellezza della fede e maestro di saggezza per la Chiesa.

L'autoreFrancisco Otamendi

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Cultura

‘Los Domingos’, Rosalía... Risveglio religioso o moda? 9 idee

C'è un risveglio spirituale tra i giovani spagnoli o si tratta solo di una strategia di marketing? Fenomeni come “Lux” di Rosalía, il film ‘Los Domingos’ e altri stimolano la riflessione. Juan Manuel de Prada, Alejandro Rodríguez de la Peña, Julio Llorente e Almudena Calvo Domper hanno analizzato la questione.

Francisco Otamendi-4 dicembre 2025-Tempo di lettura: 5 minuti

Questa non è la tesi di uno scrittore sul possibile risveglio spirituale che si sta delineando. Né è la pubblicità di un podcast. Si tratta di una breve selezione, quindi soggettiva, di alcune idee dei quattro ospiti del programma ‘Contrapoder’ del canale ViOne. L'episodio dura 1 ora e 43 minuti. 

Il presentatore, Carlos Padilla, ha introdotto l'argomento. Cosa sta succedendo? Sta succedendo questo: ci sono artisti che parlano di Dio, film che trattano la vocazione, influencer che si avvicinano alla fede e giovani ’vuoti’ che ricominciano a porsi delle domande. Non è cosa da poco, anche se è già stata tirata in ballo la parola miraggio….

Gli analisti del panel sono stati unanimi: parlare di “moda cattolica”, concetto che viene messo sul tavolo, può risultare fuorviante. Ecco alcune delle sue riflessioni sul fenomeno. 

1. Evitare la trappola di chiamare “moda” ciò che è cristiano

Lo scrittore e editorialista Juan Manuel de Prada precisa: “La fede cattolica è sempre stata contraria alle mode”. Pertanto, se si parla di un rinnovato interesse per la religione, non si dovrebbe farlo in modo superficiale: “Se esiste una moda cattolica, si tratta di una falsificazione, di una banalizzazione, di una conversione in merchandising sentimentale o pop”.

Per De Prada, insistere sul termine “moda” serve a disattivare qualsiasi possibile risveglio reale, diluendolo nell'effimero. “Coloro che non vogliono che questo abbia successo lo trasformano in una tendenza per ucciderlo prima ancora che nasca”, avverte.

“Sono una fan sfegatata di Rosalía”, afferma Almudena C. Domper, giornalista specializzata in comunicazione aziendale. “Alla domanda se si tratti di una moda, credo che se lo è, finirà presto come tutte le mode. Ma allo stesso tempo concordo sul fatto che non può essere una moda qualsiasi».

2. Esiste un'inquietudine spirituale, una sete di trascendenza, in parte della gioventù.

Sebbene Juan Manuel de Prada rifiuti di attribuire al fenomeno il termine “moda”, riconosce che “in alcuni settori della gioventù più attivi può esistere un desiderio confuso di recuperare una tradizione religiosa”. Si tratta di minoranze, sottolinea, perché “la stragrande maggioranza è soggiogata dai dettami del sistema”. Ma questa inquietudine è reale. A suo avviso, “c'è un maggiore bisogno di Dio e di una vita spirituale, credo che questo non lasci spazio a dubbi”.

Alejandro Rodríguez de la Peña, professore di storia medievale al CEU, condivide questa analisi dal suo punto di vista. “C'è un vuoto, una gioventù abbandonata, e quel vuoto va colmato. Ci sono molti modi per farlo”.

3. Ci sono precedenti: questo fenomeno si è verificato in passato in diversi paesi. 

Il professor Rodríguez de la Peña ricorda che “nel 1820-30 e nel 1920-30 ci furono già delle rinascite cattoliche in Europa: in Francia, come reazione al laicismo rivoluzionario, e in Inghilterra con il Catholic Renaissance”. Ogni epoca, spiega, vive questi movimenti in modo diverso: allora erano circoli letterari; oggi, presenza mediatica, social network o artisti mainstream “che indicano che c'è un mercato per lo spirituale”.

Ma lo storico sottolinea un punto decisivo: tutte queste rinascite del passato sono finite per scomparire. “Se si guarda a ciò che è rimasto della rinascita cattolica inglese... nulla”.

4. Identificare i rischi: identitarismo? Fragilità?

Rodríguez de la Peña avverte che una parte di questa rinascita potrebbe essere legata a fenomeni identitari influenzati dal “nazionalismo cristiano” statunitense, dove la religione diventa un segno culturale, non necessariamente una ricerca della verità.

Almudena C. Domper aggiunge: “Forse è diventato cool pensare al lato umano della spiritualità”. Ma una moda spirituale ha la stessa fragilità di qualsiasi moda culturale: “Quanto ti coinvolge, in fondo, bere un matcha?”.

Certamente non sembra fragile ciò che viene descritto in questo articolo: “Il film (‘Los Domingos’) si avvicina all'esperienza della fede, al rapporto con Dio “come un marito, come un fidanzato”, cioè reale. E lo fa dall'esterno, ma con delicatezza, dignità, rispetto - e forse anche un po” di stupore - che lo rendono completamente verosimile».

5. Il cambiamento è reale: la religione torna sulla scena pubblica

Julio Llorente, giornalista e scrittore, interpreta come un buon segno il fatto che oggi la religione torni ad essere oggetto di dibattito pubblico: “Nei decenni precedenti la religione era confinata nei templi. Oggi se ne parla con naturalezza”.

“Mi soffermerò sull'album Rosalía e su ‘Los Domingos’, perché credo che siano un buon segno. Parlavamo dell'efficacia del marketing. Effettivamente, il fatto che oggi la religione cattolica sia considerata una strategia di marketing è un buon segno. Non darei però più importanza di quella che ha all'album di Rosalía né al film ‘Los Domingos’, che tra l'altro mi è piaciuto molto. Mi è piaciuto molto”.

Fenomeni come Rosalía o ‘Los Domingos’ funzionano più come indicatori culturali che come cause. “Non so se ci siano conversioni di massa. Intuisco che non sia così. Ma credo che ci sia un terreno fertile”, afferma Llorente.

“Rosalía ha sempre parlato di Dio”, racconta Almudena C. Domper. “Ma ha realizzato un album chiaramente incentrato sull'idea di Dio o di spiritualità. Dichiara pubblicamente che da un anno e mezzo studia le sante della Chiesa, cita pensatrici, ecc. Ne parla dal 2017”.

6. Distinguere tra conversione autentica ed esperienze superficiali

I relatori concordano sul fatto che molti approcci attuali al cristianesimo sono emotivi o estetici. Julio Llorente osserva la presenza di “turisti della religione”: persone che partecipano a funzioni religiose o eventi alla ricerca della pace interiore senza comprendere che “lo scopo della vita cristiana non è la tranquillità, ma la verità, che può mettere a disagio”.

Sulla stessa linea, Juan Manuel de Prada insiste: “La fede cattolica è una persuasione della ragione. Non può essere ridotta a sentimenti”. E mette in guardia dal copiare modelli evangelici di forte emotività: “Sono imitazioni scadenti”.

7. Ritorno alle origini: la fede si trasmette da cuore a cuore

Qui i relatori sono assolutamente allineati. Julio Llorente riflette: “Dobbiamo riporre le nostre speranze evangelizzatrici nei grandi mezzi di comunicazione o nelle conversioni da cuore a cuore?”.

Juan Manuel Prada dice: “Gesù Cristo avrebbe potuto inventare il telefono, la televisione o i social network, ma non l'ha fatto. Ha chiarito che la fede si trasmette da cuore a cuore”.

Per il giornalista, nessuna strategia digitale può sostituire l'incontro personale. La Chiesa, dice, è sempre cresciuta così. D'altra parte, egli osserva che qualsiasi rinascita spirituale richiede testimoni forti, persino eroici: “Il collante della conversione religiosa è la testimonianza. Martire significa testimone”.

8. Ricostruire il tessuto comunitario: senza comunità, la fede si spegne

Rodríguez de la Peña è particolarmente chiaro: “La fede cristiana si vive in comunità. Il cecchino resterà per qualche anno e poi se ne andrà”. 

Lo ha espresso così: “È chiaro che la fede cristiana si vive in comunità. Quindi, il cecchino, il paracadutista, il turista, resterà qualche anno e poi se ne andrà. Perché? Perché o si vive la fede cattolica, che non c'è altro modo di viverla, in una comunità, qualunque essa sia, parrocchia, movimento... quello che ognuno sceglie, oppure la fede muore”.

A suo avviso, in Spagna manca un tessuto ecclesiale in grado di accogliere i giovani che si avvicinano per la prima volta alla fede. 

9. Comprendere che il digitale aiuta..., ma non basta

Sebbene tutti concordino sul fatto che la fede non possa essere ridotta al digitale, Almudena C. Domper ricorda un dato significativo: “La vendita di Bibbie nel Regno Unito è aumentata del 61% in cinque anni”. E aggiunge: “Esistono comunità digitali reali. Non sono la panacea, ma stanno avvicinando molte persone”.

I relatori riconoscono che questi strumenti possono essere un primo passo, purché conducano a ciò che è veramente essenziale: la vita sacramentale e l'accompagnamento umano.

L'autoreFrancisco Otamendi

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Vangelo

La pace, frutto della conversione. Seconda domenica di Avvento (A)

Vitus Ntube ci commenta le letture della seconda domenica di Avvento (A) corrispondente al 7 dicembre 2025.

Vitus Ntube-4 dicembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Domenica scorsa, la liturgia ci invitava a vegliare. Oggi ci chiama alla conversione. L'Avvento è un tempo di preparazione e la Chiesa ci offre quattro figure che ci accompagnano: Isaia, Giovanni Battista, Maria e Giuseppe. Oggi incontriamo i primi due.

Isaia, con le sue visioni poetiche e belle, ci consola. Giovanni Battista, al contrario, è franco, austero e intransigente. La figura del Precursore ci viene presentata con il suo modo austero di vestirsi e nutrirsi: vestito con pelle di cammello e nutrito di cavallette e miele selvatico. Il profeta Isaia aveva parlato di Lui come della voce di uno che grida nel deserto. Il suo messaggio era chiaro: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”.” La sua missione era quella di preparare e spianare la via del Signore, invitando il popolo d'Israele a pentirsi dei propri peccati. Nel compiere questa missione, i farisei e i sadducei gli si avvicinarono, ma egli si mostrò inflessibile nei loro confronti. Mise in discussione le loro motivazioni per pentirsi e li esortò a dare “il frutto che richiede la conversione.” Si rivolgeva a loro, ma parla anche a noi. Ci chiede di stare attenti all'arroganza e all'ipocrisia che ci fanno pensare di esserci guadagnati la salvezza, il diritto di incontrare Cristo, il diritto di goderci il Natale. La vera conversione è più di un'abitudine culturale o di una osservanza superficiale; deve dare frutti.

Quali sono allora i frutti della conversione? La giustizia e la pace. Il salmo dice che nei giorni del Messia fiorirà la giustizia. Anche San Paolo lo menziona:, “Abbiate tra voi gli stessi sentimenti, secondo Cristo Gesù”.

Nella bella visione del profeta Isaia, vediamo la pacifica coesistenza tra predatori e prede, leoni e agnelli, leopardi e capretti, mucche e orsi, bambini e serpenti, innocenza e astuzia. Questo è il futuro che porterebbe con sé la venuta di Cristo. Questo è il frutto della conversione, dove la realtà creata può vivere in armonia. Dove tutte le razze, le tribù e le religioni possono vivere in pace. Papa Leone XIV ci ha costantemente ricordato di pregare per la pace e l'unità. Cerchiamo di essere collaboratori di pace durante questo tempo di Avvento.

Così come ci prepariamo a incontrare Cristo nelle attività quotidiane, lo incontriamo anche in coloro che ci circondano. Per questo il pentimento e la conversione diventano, per così dire, un primo passo necessario e continuo verso la salvezza, nell'incontro con Cristo.

L'umiltà sarà necessaria per dare frutti di conversione, per vincere la tentazione di credersi sufficienti. Giovanni dice: “Dio è in grado di ricavare figli di Abramo da queste pietre”. Cristo, che può generare figli dalle pietre, non ha voluto trasformare quelle pietre in pane. Piuttosto, si è umiliato e si è fatto uomo. Cristo – vero Dio da vero Dio – per confermare la validità delle parole di Giovanni Battista, è nato in una grotta, in una mangiatoia. Come scherzava Chesterton: “Dio si fece uomo delle caverne.” È diventato, per così dire, uomo di pietra, e ci chiede di essere umili come Lui. Il Figlio eterno è diventato bambino nella grotta, il Principe della Pace. Alla sua nascita gli angeli hanno cantato: “Pace in terra.”

Mondo

Il Papa chiede il dialogo in Medio Oriente, Ucraina, Venezuela e andrà in Africa

Al termine del suo primo viaggio all'estero come Papa, incentrato sul dialogo, Papa Leone XIV affermò che gli esempi di amicizia e rispetto che aveva visto potevano essere un utile esempio anche per i popoli del Nord America e dell'Europa. Il Santo Padre spera di recarsi in Africa, compresa l'Algeria, dove operò Sant'Agostino.

CNS / Omnes-3 dicembre 2025-Tempo di lettura: 5 minuti

– Cindy Wooden, volo papale, CNS

Le storie di cristiani e musulmani che si sono aiutati a vicenda in Libano quando i loro villaggi sono stati distrutti ci insegnano che “forse dovremmo essere un po' meno timorosi e cercare modi per promuovere un dialogo autentico e rispetto”, ha detto il Papa ai giornalisti il 2 dicembre durante il suo volo di ritorno a Roma dal Libano.

Spesso, la paura dei musulmani in Occidente è “generata da persone che si oppongono all'immigrazione e che cercano di escludere chiunque provenga da un altro Paese, abbia un'altra religione o appartenga a un'altra razza”, ha affermato. “In questo senso, direi che dobbiamo lavorare tutti insieme”.

Papa Leone è partito da Roma alla volta della Turchia il 27 novembre e si è recato in Libano il 30 novembre. Ieri, durante il viaggio di ritorno da Beirut, ha trascorso più di 25 minuti sull'aereo rispondendo alle domande dei giornalisti, che potete vedere integralmente qui.

Papa Leone XIV ascolta la domanda di una giornalista a bordo del suo volo di ritorno a Roma dal Libano, il 2 dicembre 2025. (Foto CNS/Lola Gomez) (Foto CNS/Lola Gomez).

Alla ricerca di una pace sostenibile in Medio Oriente

Dopo i suoi ripetuti appelli durante tutto il viaggio per porre fine alla violenza in Medio Oriente, violenza che include attacchi contro Israele da parte dei militanti di Hezbollah e attacchi contro il Libano da parte di Israele contro i militanti, è stato chiesto al Papa Leone, nato negli Stati Uniti, se avrebbe “utilizzato le sue connessioni” con il presidente americano Donald Trump e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per promuovere la pace nella regione.

“Credo che la pace sostenibile sia raggiungibile”, ha affermato il Papa. “In effetti, ho già avviato, su piccola scala, alcuni colloqui con alcuni leader dei luoghi che lei ha citato”, ha detto al giornalista.

Tuttavia, gli sforzi diplomatici del Vaticano vengono compiuti principalmente “dietro le quinte”, ha affermato. L'importante è che coloro che sono coinvolti in conflitti armati mettano a tacere le armi e si siedano allo stesso tavolo per negoziare la pace.

Ucraina: revisioni al piano iniziale

Sulla questione dell'Ucraina e sul piano di pace proposto dal presidente americano Donald Trump, elaborato senza il contributo dei membri europei della NATO, Papa Leone ha affermato di essere felice di vedere che erano già in corso revisioni al piano per includere le preoccupazioni dell'Europa.

Venezuela: “calmare la situazione”, dialogo

Alla domanda sulle attuali tensioni tra Trump e il presidente venezuelano Nicolás Maduro, Papa Leone ha risposto che il Vaticano è in contatto con “i vescovi e il nunzio” per cercare di trovare il modo di “calmare la situazione”, soprattutto perché a soffrire maggiormente sono i semplici cittadini venezuelani.

Tuttavia, Papa Leone ha anche sottolineato che “le voci che arrivano dagli Stati Uniti stanno cambiando”, alternando ultimatum a Maduro e occasionali ammorbidimenti della retorica.

“Non so altro”, ha detto il Papa, ma è sempre meglio cercare la via del dialogo.

Papa Leone XIV è stato ricevuto nel palazzo presidenziale di Ankara, in Turchia, dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il 27 novembre 2025, durante il suo primo viaggio papale all'estero. (Foto CNS/Lola Gomez).

Promuovere la comprensione e il rispetto

In risposta a un'altra domanda sul dialogo e l'amicizia, Papa Leone ha affermato che il suo motto episcopale, “In Illo Uno Unum”, letteralmente “Nell'Uno siamo uno”, è un chiaro riferimento all'unità che si trova nella fede in Cristo.

Ma è anche “un invito a tutti noi e agli altri a dire: ‘Quanto più riusciremo a promuovere l’autentica unità e la comprensione, il rispetto e le relazioni umane – cioè l’amicizia e il dialogo nel mondo – tanto maggiore sarà la possibilità di mettere da parte le armi della guerra’”, ha affermato il Papa.

Quando le persone impareranno a “mettere da parte la sfiducia, l'odio, l'animosità che tante volte si sono creati”, ha affermato, “troveremo il modo di unirci e potremo promuovere una pace e una giustizia autentiche”.

Il conclave: “Signore, Tu sei al comando. Tutto è nelle mani di Dio”.”

Per quanto riguarda il conclave che lo ha eletto l“8 maggio, il Papa ha affermato di mantenere ”molto rigorosamente" il segreto sul processo elettorale.

Il giorno prima dell'inizio del conclave, ha raccontato, un giornalista lo ha fermato per strada e gli ha chiesto cosa ne pensasse delle persone che dicevano che lui fosse un candidato.

“Ho semplicemente detto: ‘Tutto è nelle mani di Dio’, e lo credo profondamente», ha affermato il Papa.

Papa Leone XIII disse che chiunque volesse comprenderlo avrebbe dovuto leggere il libro “La pratica della presenza di Dio”, scritto da un autore conosciuto semplicemente come Fratel Lorenzo. Questo libro ha influenzato la sua spiritualità per anni, affermò. La premessa è: “basta semplicemente affidare la propria vita al Signore e lasciare che sia Lui a guidarci”.

“Nel mezzo di grandi sfide, vivendo in Perù durante anni di terrorismo, essendo chiamato a servire in luoghi dove non avrei mai pensato di essere chiamato a servire, confido in Dio”, ha detto.

“Quando ho visto come stavano andando le cose nel conclave”, ha detto, «ho fatto un respiro profondo. Ho detto: ”Ci siamo, Signore. Tu sei al comando e ci guidi lungo il cammino‘’.

Papa Leone XIV riceve una racchetta da tennis e palline nuove dalle mani della famiglia del presidente libanese Joseph Aoun e di sua moglie Nehmat, nel palazzo presidenziale di Beirut il 30 novembre 2025. (Foto CNS/Lola Gomez).

La gente «vuole vedere Gesù Cristo” e a “un messaggero di pace”

Per quanto riguarda le folle che si riuniscono a Roma e partecipano al viaggio, Papa Leone ha detto che sa che vengono per vedere lui, “ma mi dico: ‘Sono qui perché vogliono vedere Gesù Cristo e vogliono vedere un messaggero di pace’”.

L'entusiasmo, soprattutto dei giovani, “è impressionante”, ha detto, “e spero solo di non stancarmi mai di apprezzarlo”.

Il suo prossimo viaggio, Africa, compresa l'Algeria

Per quanto riguarda i futuri viaggi papali, ha affermato che non c'è ancora nulla di “certo”, ma spera che il suo prossimo viaggio sia in Africa, compresa l'Algeria, dove Sant'Agostino fu vescovo e dove ancora oggi “è molto rispettato come figlio della nazione”.

“Solo per confermare”, disse: “Africa. Africa. Africa”.

Si vociferava che avrebbe viaggiato in Perù, dove aveva prestato servizio come missionario e vescovo per 20 anni, e in Argentina e Uruguay, paesi ai quali Papa Francesco aveva promesso una visita. “Ma il programma non è ancora definitivo”, ha affermato.

L'autoreCNS / Omnes

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Evangelizzazione

Il sacerdote come influencer

I social network, con i loro vantaggi e pericoli, sono un nuovo spazio in cui tutti i cristiani possono condividere la loro fede. L'era digitale offre anche ai sacerdoti una grande opportunità per evangelizzare.

Juan Carlos Vasconez-3 dicembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Il vivace mondo digitale si presenta come una nuova “piazza pubblica”, ricca di opportunità per la missione evangelizzatrice di tutta la Chiesa e con sfide che tutti siamo chiamati a comprendere. Per coloro che sono stati chiamati al sacerdozio, queste piattaforme aprono strade inedite e responsabilità particolari per portare la Buona Novella, costruire comunità e offrire accompagnamento spirituale. 

Intraprendere questo “ministero digitale” richiede a tutti noi una navigazione prudente e piena di fede. A noi sacerdoti richiede un discernimento particolare per bilanciare l'enorme potenziale evangelizzatore con la necessaria cautela di fronte ai rischi.

Lo scopo di queste righe è condividere alcune riflessioni e linee guida pratiche, rivolte in modo particolare ai miei confratelli sacerdoti, ma che possono anche illuminare tutti i fedeli che desiderano addentrarsi con frutto in questo continente digitale. In questo senso, il documento Verso una presenza piena del Dicastero per la Comunicazione, sebbene non sia riservato esclusivamente al clero, fornisce indicazioni preziose per questo compito comune.

Testimonianza autentica

La vita di fede, e in particolare quella del sacerdote, suscita sempre un interesse genuino. I social network possono essere una finestra che permette a molti di conoscere più da vicino la dedizione che implica seguire Cristo e, nel caso del ministero sacerdotale, di apprezzarne la bellezza particolare. Questo può spingere tutti a vivere con maggiore profondità la propria vocazione.

Condividere con semplicità le esperienze di fede – le gioie ma anche le difficoltà del cammino – favorisce una connessione autentica e costruisce ponti di fiducia. Quando un sacerdote si mostra più umano, più vicino, il suo messaggio catechetico, apologetico o i suoi consigli pastorali possono penetrare più profondamente, sia nella sua comunità diretta che in un pubblico più ampio.

Papa Benedetto XVI ci ricordava già che il compito fondamentale del sacerdote è quello di annunciare Cristo, il Verbo fatto carne. Questi nuovi strumenti offrono canali affinché questo annuncio risuoni in ogni angolo, ma possono anche distrarre dagli obblighi più importanti, che sono quelli sacramentali. 

Papa Francesco ci ha anche assicurato che, se usato bene, l'ambiente digitale favorisce la costruzione di relazioni e amicizie. 

Le reti possono quindi essere uno strumento prezioso per accorciare le distanze e servire. Per il sacerdote, ciò significa un'estensione della sua paternità spirituale. Anche da un punto di vista pratico, questi strumenti offrono forme di comunicazione efficienti, consentendo di estendere il ministero oltre i confini fisici della parrocchia. 

Navigare con prudenza

Non possiamo essere ingenui. Così come il mondo digitale offre un mare di opportunità, presenta anche degli ostacoli che tutti noi, e in modo particolare i sacerdoti per la loro particolare responsabilità pastorale, dobbiamo imparare ad aggirare con saggezza.

  • Cristo sempre al centro: È fondamentale che ogni presenza cristiana in rete, e in particolare quella del sacerdote, indirizzi sempre le persone verso Cristo e non verso se stessa. La tentazione dell'autopromozione può essere sottile. Se l'umiltà è una virtù necessaria per ogni cristiano, per il sacerdote è un tesoro che deve coltivare con cura, ricordando sempre che è uno strumento della grazia di Dio.
  • Attenzione ai “naufragi digitali”: Internet può creare dipendenza e portare a perdere tempo prezioso. Tutti dobbiamo essere consapevoli dell'attività online, assicurandoci che questa non sottragga tempo ed energie ai nostri doveri pastorali fondamentali e, soprattutto, alla nostra vita di preghiera personale, che è l'anima del nostro ministero.
  • Consapevolezza e austerità nell'uso: È importante che ciascuno conosca bene se stesso, essendo consapevole delle proprie vulnerabilità. Per il sacerdote, una sana austerità nel tempo dedicato ai social network, esaminandolo alla luce di un uso ordinato e salutare, è sempre un segno di prudenza.
  • Vigilanza di fronte alle tentazioni: L'ambiente digitale può essere un vero e proprio “vaso di Pandora”. Gli algoritmi possono indirizzare verso contenuti inappropriati. Il sacerdote, per il suo ruolo pubblico e il suo impegno alla castità, deve essere particolarmente vigile nei confronti di persone o situazioni che cercano interazioni inappropriate.
  • Prudenza e limiti chiari: La prudenza è fondamentale nelle interazioni online. Stabilire dei limiti salutari è un dovere di carità verso se stessi e verso gli altri. Per il sacerdote, ciò significa evitare situazioni che possano compromettere la sua testimonianza o la sua esperienza di castità, mantenendo un sano equilibrio tra la necessaria trasparenza e la dovuta protezione della sua privacy. Sapendo che le emoticon possono essere fraintese, è sempre bene essere un po' più parsimoniosi nelle manifestazioni di affetto digitale.
  • Profondità contro superficialità: I social network spesso incoraggiano l'effimero. Lo sforzo deve essere diretto alla ricerca di interazioni genuine, evitando che il sacerdote cada nella trappola di cercare conferme attraverso i “mi piace” o i follower. 

Realtà pastorali 

È fondamentale comunicare con chiarezza la portata e i limiti della presenza online. Le interazioni virtuali, per quanto preziose, non potranno mai sostituire la ricchezza insostituibile della vita sacramentale. Come ci ricorda giustamente il Magistero, “I sacramenti non esistono su Internet”.

La presenza del sacerdote nel mondo digitale deve essere sempre un riflesso coerente della sua identità e vocazione. Come è stato giustamente detto, “Il sacerdote che utilizza un social network è anche sacerdote in esso”.”. La sua attività online deve essere guidata da un intento chiaro: l'evangelizzazione, la proclamazione di Cristo e il servizio alle anime.

A tal fine, la preghiera e il discernimento sono assolutamente essenziali per il sacerdote. Egli deve chiedere costantemente illuminazione al Signore per assicurarsi che il suo ministero digitale sgorga da un cuore contemplativo. Comunicare efficacemente nel linguaggio digitale richiede apprendimento, e non si deve esitare a cercare la collaborazione di laici esperti.

È importante essere realistici: non tutti i sacerdoti sono chiamati o preparati ad avere lo stesso grado di attività online. Fattori quali l'età, l'esperienza o il contesto pastorale avranno un'influenza.

Esperienza personale

Condivido con semplicità che la mia esperienza in questi anni mi ha confermato l'immenso potenziale che abbiamo a portata di mano. Ho avuto la fortuna di collaborare con altri influencer della fede, conoscere da vicino preziose iniziative apostoliche e partecipare a eventi e trasmissioni in diretta che cercano di portare la luce e la speranza di Cristo in questo nuovo “continente”. 

Nella pastorale più immediata, con i miei parrocchiani, ho constatato con gioia quanto siano grati di trovare nel mondo digitale spiegazioni della nostra fede, piccoli frammenti di omelie che li illuminano, o anche corsi e laboratori che li aiutano a crescere. 

Per un pubblico più giovane queste apparizioni sono state utili per stabilire altri ponti, comprendere e parlare un gergo comune.

E in modo molto speciale, dove forse il frutto è diventato più tangibile – e questo lo condivido con profonda gratitudine al Signore – è nell'ambito della preghiera attraverso il formato podcast. Con iniziative come Parlare con Gesù, abbiamo assistito in prima persona a innumerevoli testimonianze di persone che, attraverso queste semplici meditazioni quotidiane, hanno ravvivato il loro rapporto con Dio. 

Abbracciando le opportunità che ci si presentano e rimanendo sempre vigili e prudenti – specialmente noi che abbiamo una responsabilità pastorale diretta – potremo usare efficacemente queste piattaforme per proclamare il messaggio eterno del Vangelo in modo nuovo, dinamico e, soprattutto, profondamente personale e autenticamente vicino. Non abbiamo paura di portare Cristo in ogni angolo della rete! 

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Famiglia

Da abortista a «Servitrice di Dio»: la storia di Ruth Pakaluk

Michael Pakaluk, marito di Ruth, condivide alcuni dettagli della vita di santità di sua moglie, mentre la sua causa procede con il nihil obstat che la riconosce come Serva di Dio, primo passo nel processo verso la sua possibile canonizzazione.

Teresa Aguado Peña-3 dicembre 2025-Tempo di lettura: 5 minuti

Ruth Pakaluk, nata nel 1957 in una famiglia presbiteriana, passò dall'essere atea e brillante studentessa di Harvard sostenitrice dell'aborto a sincera ricercatrice della verità insieme a Michael, il compagno con cui discuteva dei suoi dubbi esistenziali.

La sua conversione iniziò quando ritrovò la certezza dell'esistenza di Dio e comprese che conoscerlo doveva essere al centro della sua vita, il che la portò ad abbracciare la fede cattolica: nel 1980 Michael, nato in una famiglia cattolica, tornò alla Chiesa e Ruth fu accolta e cresimata la vigilia di Natale. Col tempo, entrambi trovarono nell'Opus Dei una guida per la loro vita spirituale. Sposata e madre di sette figli, Ruth divenne un'influente sostenitrice del movimento pro-vita nel Massachusetts, una testimonianza legata alla sua esperienza di maternità e a una vita semplice e generosa con la sua comunità: «Era come la ‘madre del quartiere'», ricorda suo marito.

Oggi, il nome di Ruth VK Pakaluk torna a risuonare con forza nella Chiesa. Questo autunno, il Vaticano ha concesso il nihil obstat per aprire la causa di beatificazione e canonizzazione, riconoscendola come Servitrice di Dio, il primo passo verso un processo che potrebbe culminare un giorno nella sua proclamazione a santa.

In una conversazione con suo marito Michael Pakaluk e la sua cara amica Mary Beth Burke, si può intuire come Ruth abbia vissuto una vita esemplare. Michael riconosce la santità di sua moglie Ruth soprattutto nel «suo amore vivo e reale per il Cielo; il suo desiderio di vedere il volto di Dio; il suo ardente desiderio di co-redimere con Cristo; la sua pietà per i suoi maestri e la sua lealtà verso i suoi amici; e la sua costanza nella preghiera».

Ruth Pakaluk e suo marito Michael ©OSV News

La conversione di Ruth

Fin da giovane, Ruth era alla ricerca della verità. Mary Beth ricorda che questo suo atteggiamento la rendeva irresistibile: “Era incredibilmente intelligente, ma mai arrogante”. Le piaceva parlare di tutto – della fede, della vita familiare, della causa pro-vita – con un entusiasmo contagioso. Michael conferma che fu proprio quello stesso impulso interiore a trasformare la sua vita spirituale: quando Ruth comprendeva una verità, non la lasciava passare, ma agiva immediatamente. «Non conosco nessun altro che abbia agito così immediatamente sulla verità una volta compresa», afferma Michael.

La sua conversione, tuttavia, non è stata un percorso facile. Michael spiega che è iniziata con la comprensione del proprio egoismo e dei propri peccati, accompagnata dalla profonda consapevolezza che solo la grazia di Dio avrebbe potuto liberarla da essi. Così ha iniziato a pregare con insistenza. Mary Beth ricorda che quella vita di preghiera l'ha sempre sostenuta, anche quando la malattia era già entrata in scena: il rosario era nella sua mano durante le passeggiate, i viaggi e persino le visite tra amiche. Lei stessa confessa che, grazie a Ruth, ha imparato ad amare quella preghiera.

«La madre del quartiere»

La maternità è stata il grande palcoscenico su cui Ruth ha vissuto la sua vocazione. Michael la descrive come una madre che amava follemente ciascuno dei suoi figli e sapeva apprezzare ciò che rendeva unico ognuno di loro. Anche se la sua vita poteva essere frenetica – sette figli, catechismo parrocchiale, incontri e conferenze pro-vita in tutta la Nuova Inghilterra – trovava ordine iniziando la giornata con la preghiera. E se poi tutto andava a rotoli, aveva una convinzione incrollabile: se era andata a messa, “aveva avuto la giornata migliore possibile”.

Mary Beth vide da vicino quel mix di gioia ed efficienza. In estate, Ruth organizzava gite al lago come se fosse una cosa facile: preparava panini, tè freddo in una brocca enorme e metteva in macchina tutti i bambini, compresi quelli i cui genitori non potevano accompagnarli. Mary Beth ammette che a volte una madre si sente sopraffatta, incapace di organizzare anche solo una semplice gita, ma Ruth lo faceva sembrare facile. Mentre i bambini giocavano, loro recitavano il rosario e condividevano la loro amicizia. Per Mary Beth, quei giorni furono una scuola di fede mascherata da gita campestre.

Ruth contro l'aborto

Questo amore per la vita familiare alimentò anche la passione di Ruth per la difesa dei nascituri. Michael ricorda che lei cercò inizialmente di influenzare la politica, sostenendo coloro che potevano promuovere giudici della Corte Suprema disposti a revocare la sentenza. Roe contro Wade. Quando questo approccio sembrò fallire (anche se alla fine ebbe successo), si concentrò sull'educazione dei giovani: «Negli ultimi anni della sua vita, parlò probabilmente in tutte le parrocchie della sua diocesi e nella maggior parte delle classi delle scuole superiori, oltre a partecipare a molti dibattiti universitari. Credeva che i dibattiti fossero essenziali, perché poche persone avrebbero preso una decisione senza aver ascoltato entrambe le parti», racconta Michael. Mary Beth la ricorda come una “guerriera felice”: risoluta, ma mai negativa o condiscendente, sicura che la verità avrebbe prevalso.

Le argomentazioni di Ruth erano semplici e profonde. Spiegava che se viene negato il diritto umano più fondamentale, quello alla vita, allora vengono negati anche tutti gli altri. Sosteneva inoltre, come riferisce Michael, che «dal momento in cui concepisce un figlio, il corpo di una donna protegge quell'essere non ancora nato. Tutto cambia per essere al servizio di questo essere. Lo stato del suo corpo rivela qualcosa dello stato della sua anima. Pertanto, l'aborto va profondamente contro i suoi interessi genuini come donna. Le fa del male invece di aiutarla». Mary Beth ha ascoltato le sue conferenze e i suoi discorsi molte volte e confessa che grazie ad essi ha imparato ad articolare meglio l'insegnamento della Chiesa sui temi pro-vita e familiari con i propri figli e amici.

Sofferenza e santità

Il dolore ha attraversato anche la vita di Ruth. Ha perso un figlio, e Michael ricorda che ha vissuto quel dolore con la convinzione evangelica che “beati quelli che piangono” perché Dio stesso li consola. Quello stesso sguardo fiducioso l'ha accompagnata fino alla fine. Mary Beth, che l'ha conosciuta solo quando era già malata, dice che a volte dimenticava la gravità delle sue condizioni: Ruth continuava ad essere estroversa, allegra, attiva. Quando è arrivato il momento della sua morte, l'impatto è stato grande per tutti, perché sembrava impossibile che quella vitalità potesse spegnersi.

Mentre la Chiesa sta ora rivedendo la sua vita, Michael spera che non vadano persi due tratti essenziali: il suo senso pratico nelle cose spirituali – “non sprecare la grazia” e «conosci la volontà di Dio, fai la volontà di Dio» ripeteva spesso – e la freschezza giovanile con cui viveva la fede, che considerava una nota fondamentale del discepolato cristiano di oggi. Mary Beth, dal canto suo, conserva una profonda gratitudine: «Il modo in cui ha affrontato la morte, senza mai arrendersi, seguendo fedelmente la sua vocazione di figlia di Dio, moglie, madre e amica fino alla fine, ha insegnato a tutti noi che la conoscevamo come morire da cristiani. Le sarò sempre grata per questo».»

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Messaggio di fratellanza e pace del Papa al Medio Oriente al momento di lasciare il Libano

Papa Leone XIV ha concluso il suo soggiorno in Libano con quello che ha definito “un appello sincero: che cessino gli attacchi e le ostilità”. “Il Medio Oriente ha bisogno di nuovi approcci per rifiutare la mentalità della vendetta e della violenza”, ha affermato.

CNS / Omnes-2 dicembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

– Cindy Wooden, Beirut (Libano), CNS

Papa Leone XIV ha concluso la sua visita in Libano in questo viaggio apostolico iniziato in Turchia, in occasione del 1700° anniversario del primo Concilio di Nicea. E ha lanciato nuovamente un messaggio di fratellanza e pace, anche per il Medio Oriente.

“Dobbiamo riconoscere che la lotta armata non porta alcun beneficio”, dichiarò all'aeroporto di Beirut prima di tornare a Roma il 2 dicembre. “Se le armi sono letali, la negoziazione, la mediazione e il dialogo sono costruttivi. Scegliamo la pace come percorso, e non solo come obiettivo!”.

“Partire è più difficile che arrivare. Siamo stati insieme, e in Libano stare insieme è contagioso; qui ho trovato un popolo che non ama l'isolamento, ma l'incontro”, ha aggiunto.

“Pertanto, non ci separiamo, ma, dopo esserci incontrati, continueremo ad andare avanti insieme. E speriamo che tutto il Medio Oriente si impegni in questo spirito di fratellanza e di impegno per la pace, anche chi oggi si considera nemico”.

“Il mondo non ha dimenticato il Libano”

Da parte sua, il presidente del Libano, Joseph Aoun, ha confessato che “non solo salutiamo un ospite d'onore, ma anche un padre che ci ha portato conforto e ci ha ricordato che il mondo non ha dimenticato il Libano, che ci sono ancora cuori che pregano per lui e lavorano per la sua pace”.

Impegno di tutti 

Durante il suo soggiorno in Libano, dal 30 novembre al 2 dicembre, il Papa ha ripetutamente invocato la pace, la giustizia e uno sforzo concertato da parte di tutti i libanesi per costruire un futuro meglio per loro e per le loro famiglie.

Infatti, dopo la Messa e prima della recita dell'Angelus del 2 dicembre, ha implorato “ancora una volta la comunità internazionale affinché non lesini gli sforzi per promuovere processi di dialogo e riconciliazione”. E ha rivolto un appello “a tutti coloro che detengono autorità politica e sociale qui e in tutti i paesi segnati dalla guerra e dalla violenza: ascoltate il grido dei vostri popoli che chiedono la pace”.

Educare i nostri cuori alla pace

“Il Medio Oriente ha bisogno di nuovi approcci per rifiutare la mentalità della vendetta e della violenza, superare le divisioni politiche, sociali e religiose e aprire nuovi capitoli in nome della riconciliazione e della pace”, ha affermato. “Abbiamo bisogno di cambiare rotta. Abbiamo bisogno di educare i nostri cuori alla pace”.

Tuttavia, non ha mai menzionato per nome Hezbollah, i combattenti islamici militanti che attaccano Israele dal Libano, né ha menzionato Israele, che da oltre due anni attacca città e villaggi libanesi, affermando che stavano attaccando Hezbollah.

Durante la cerimonia di commiato all'aeroporto, ha espresso il desiderio che ”tutto il Medio Oriente si impegni in questo spirito di fratellanza e impegno per la pace, compresi coloro che attualmente si considerano nemici».

“Porto con me la sete di verità e giustizia”

Alle 6.30 del mattino dell'ultimo giorno del primo viaggio papale all'estero di Papa Leone, un doppio arcobaleno apparve nel cielo sopra la baia di Zaitunay a Beirut.

Il Papa ha iniziato la giornata visitando un ospedale psichiatrico gestito dai cattolici e poi pregando nel porto di Beirut, luogo dell'esplosione chimica del 2020 che ha ucciso più di 200 persone, ferito circa 7.000 e lasciato circa 300.000 sfollati.

«Sono rimasto profondamente colpito dalla mia breve visita al porto di Beirut, dove un'esplosione ha devastato la zona e causato molte vittime», ha affermato il Papa durante la messa celebrata in seguito sul vicino lungomare.

«Ho pregato per tutte le vittime e porto con me il dolore e la sete di verità e giustizia di tante famiglie, di un intero Paese», ha detto il Papa . I familiari delle vittime dell'esplosione di nitrato di ammonio immagazzinato in modo improprio si sono uniti a lui per la preghiera sul luogo, dove rimangono ancora montagne di macerie, cumuli di auto bruciate e mucchi di vestiti e tessuti ridotti a brandelli.

Abbracci del Papa

Erano presenti anche i vescovi melchiti e maroniti di Beirut, nonché il primo ministro libanese Nawaf Salam e Haneen Sayed, ministro degli Affari sociali del governo, la cui madre è morta nell'esplosione.

Papa Leone ha deposto una corona di fiori, acceso una candela e pregato prima di salutare le famiglie e i sopravvissuti che ancora portano i segni delle ferite. Una ragazza, in lacrime, ha chiesto un abbraccio, che il Papa le ha dato prima di posarle una mano sulla testa e benedirla.

Bellezza eclissata

Nella sua omelia durante la Messa, Papa Leone ha affermato che la bellezza del Libano “è oscurata dalla povertà e dalla sofferenza, ferite che hanno segnato la sua storia. In questo senso, ho appena visitato il porto per pregare nel luogo dell'esplosione”.

“La bellezza del vostro Paese è anche oscurata dai numerosi problemi che vi affliggono, dal contesto politico fragile e spesso instabile, dalla drammatica crisi economica che vi opprime e dalla violenza e dai conflitti che hanno riacceso antiche paure», ha affermato il Papa senza fornire ulteriori precisazioni.

La lettura del Vangelo del giorno, Luca 10,21-24, inizia citando Gesù, che “esultò nello Spirito Santo e disse: “Ti rendo grazie, Padre, Signore del cielo e della terra””.

Un impegno comune

Papa Leone ha detto alle oltre 100.000 persone presenti alla Messa che sa che non è sempre facile lodare Dio.

“A volte, oppressi dalle lotte della vita, preoccupati dai tanti problemi che ci circondano, paralizzati dall'impotenza di fronte al male e oppressi da tante situazioni difficili — ha detto —, ci sentiamo più inclini alla rassegnazione e al lamento che allo stupore e alla gratitudine2.

Ma, ha detto il Papa, il Vangelo “ci invita a trovare le piccole luci che brillano nel cuore della notte, sia per aprirci alla gratitudine, sia per spingerci a un impegno comune per il bene di questa terra”.

La fede e la carità dei cristiani libanesi, la volontà di dialogare e collaborare con i membri di altre religioni sono “piccole luci che brillano nella notte, piccoli germogli che spuntano e piccoli semi piantati nel giardino arido di questo periodo storico», ha affermato.

“Coltivate questi germogli”, ha detto loro il Papa . Questo è il modo per evitare lo scoraggiamento e per “non cedere alla logica della violenza e all'idolatria del denaro, e per non rassegnarci di fronte alla diffusione del male”.

“Libano, alzati”, ha detto. “Sii una patria di giustizia e fratellanza! Sii un segno profetico di pace per tutto il Levante”, termine che si riferisce alla zona che costeggia il Mediterraneo orientale e che tradizionalmente comprende Turchia, Libano, Siria, Israele, Palestina e Giordania.

L'autoreCNS / Omnes

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Leone XIV grida durante la messa: ‘Libano, alzati!’, salutando il Paese dei cedri

Papa Leone XIV lascia il Libano dopo aver celebrato una messa davanti a 150.000 persone, nella quale ha esortato a unire gli sforzi e a risvegliare il sogno di un Libano unito, dove trionfino la pace e la giustizia. “Libano, alzati! Sii dimora di giustizia e fratellanza! Sii profezia di pace per tutto il Levante!”.

Francisco Otamendi-2 dicembre 2025-Tempo di lettura: 5 minuti

Una messa a Beirut con la partecipazione di centocinquantamila persone è stato l'ultimo atto di Papa Leone XIV in Libano, dopo aver visitato i malati all'ospedale della Croix e aver pregato e salutato le famiglie delle vittime dell'esplosione nel porto di Beirut il 4 agosto 2020. Un'esplosione impressionante che ha causato 218 morti, 7.000 feriti, 300.000 sfollati e ingenti danni materiali. “Libano, alzati!», ha detto il Papa. 

“Sii dimora di giustizia e di fraternità! Sii profezia di pace per tutto il Levante!”, ha esortato il Pontefice nell'omelia della Santa Messa, celebrata in francese e all'aperto, alla quale hanno partecipato anche il presidente della Repubblica, Joseph Aoun, cristiano maronita, sposato e padre di due figli, e numerosi fedeli. 

Durante i suoi spostamenti a Beirut, la visita al Santuario di Nostra Signora del Libano e oggi stesso, migliaia di persone sono scese in strada per salutare e ringraziare il Santo Padre per la sua visita, che ha incoraggiato a “non dimenticare i più fragili”, durante la sua visita all'ospedale gestito dalle Suore Francescane della Croce.

Inclinati alla rassegnazione e alla lamentela, piuttosto che alla lode

Nella sua omelia, il Santo Padre ha fatto riferimento alla bellezza con cui il Signore ha adornato il Libano, cantata dalla Scrittura, e agli alti cedri, nonché all'atteggiamento di lode al Signore, che “non sempre trova spazio dentro di noi”. A volte, oppressi dalle fatiche della vita, preoccupati dai numerosi problemi che ci circondano, paralizzati dall'impotenza di fronte al male e oppressi da tante situazioni difficili, ci sentiamo più inclini alla rassegnazione e alla lamentela che allo stupore del cuore e alla gratitudine».

Papa Leone XIV saluta i fedeli dalla papamobile prima di celebrare la messa a Beirut, in Libano, nell'ultimo giorno del suo primo viaggio apostolico, il 2 dicembre 2025. (Foto CNS/Lola Gomez)

Trovare le piccole luci, i germogli

Per questo motivo, il Papa ha invitato a coltivare sempre atteggiamenti di lode e gratitudine, e ha invitato a “trovare le piccole luci che brillano nel cuore della notte, sia per aprirci alla gratitudine, sia per stimolarci all'impegno comune a favore di questa terra”.

Siamo tutti chiamati a coltivare questi germogli, a non scoraggiarci, a non cedere alla logica della violenza né all'idolatria del denaro, a non rassegnarci di fronte al male che si diffonde, ha incoraggiato.

Unire le forze

“Ognuno deve fare la propria parte e tutti dobbiamo unire i nostri sforzi affinché questa terra possa ritrovare il suo splendore. E c'è solo un modo per farlo: disarmiamo i nostri cuori, abbandoniamo le armature delle nostre chiusure etniche e politiche, apriamo le nostre confessioni religiose all'incontro reciproco”.

Risvegliamo nel profondo del nostro essere, ha esortato, “il sogno di un Libano unito, dove trionfino la pace e la giustizia, dove tutti possano riconoscersi fratelli e sorelle e dove, finalmente, si possa realizzare ciò che ci descrive il profeta Isaia: «Il lupo dimorerà con l'agnello e il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme» (Is 11,6)”.”

“Questo è il sogno che vi è stato affidato”, ha detto il Papa con tono solenne. “È ciò che il Dio della pace mette nelle vostre mani: Libano, alzati! Sii dimora di giustizia e di fraternità! Sii profezia di pace per tutto il Levante!”.

Papa Leone XIV celebra la messa a Beirut, in Libano, l'ultimo giorno del suo primo viaggio apostolico, il 2 dicembre 2025. (Foto CNS/Lola Gómez) (Foto CNS/Lola Gomez).

Fede, famiglie, scuole, parrocchie, congregazioni, movimenti...

Il Papa ha fatto riferimento alle “piccole luci che brillano nella notte, piccoli germogli che spuntano, piccoli semi piantati nell'arido giardino di questo tempo storico, anche noi possiamo vederli, qui e anche ora”. 

“Penso alla loro fede semplice e genuina, radicata nelle loro famiglie e alimentata dalle scuole cristiane; al lavoro costante delle parrocchie, delle congregazioni e dei movimenti per rispondere alle domande e alle esigenze della gente”.

Sacerdoti e religiosi, lavoro dei laici

“Mi vengono in mente i numerosi sacerdoti e religiosi che si dedicano alla loro missione in mezzo a molteplici difficoltà, così come i laici impegnati nel campo della carità e nella promozione del Vangelo nella società”, ha aggiunto.

Per queste luci che con fatica cercano di illuminare l'oscurità della notte, per questi piccoli e invisibili germogli che, tuttavia, aprono la speranza nel futuro, oggi dobbiamo dire come Gesù: “Ti lodiamo, Padre!”, ha esclamato il Santo Padre.

“Fratelli e sorelle”, ha concluso Leone XIV, “anch'io desidero dire, ripetendo le parole di Gesù: “Ti lodo, Padre”. Rendo grazie al Signore per aver condiviso questi giorni con voi, portando nel mio cuore le vostre sofferenze e le vostre speranze.

Papa Leone XIV prega sul luogo dell'esplosione del porto di Beirut nell'agosto 2020, a Beirut, Libano, il 2 dicembre 2025. (Foto CNS/Yara Nardi, pool via Reuters).

La speranza che non declina

Prego per voi, affinché questa terra del Levante sia sempre illuminata dalla fede in Gesù Cristo, sole di giustizia, e, grazie a Lui, conservi la speranza che non tramonta”.

Al termine della Santa Messa, il Patriarca di Antiochia dei Maroniti, Sua Beatitudine il Cardinale Béchara Boutros Raï, ha rivolto alcune parole di ringraziamento al Papa.

Appello al Medio Oriente

Prima di concludere, il Papa ha lanciato un appello intenso, dopo aver confessato che «ho desiderato diventare pellegrino di speranza in Medio Oriente, implorando Dio il dono della pace per questa terra amata, segnata dall'instabilità, dalle guerre e dal dolore”.

Leone XIV ha incoraggiato a cercare la pace e la giustizia, a lavorare insieme per la pace, a superare la violenza, a combattere la disperazione e la rassegnazione, e ad essere costruttori di pace in Libano, con un messaggio per il “Medio Oriente”, che “ha bisogno di nuovi atteggiamenti, per rifiutare la logica della vendetta e della violenza, per superare le divisioni politiche, sociali e religiose”.

Infine, ha invocato la protezione materna della Vergine Maria, Nostra Signora di Harissa, affinché protegga tutto il popolo libanese, ha pregato davanti all'icona della Vergine presente accanto all'altare e ha impartito la benedizione.

L'autoreFrancisco Otamendi

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Miguel Pérez, sacerdote in Palestina: «Non dobbiamo cadere nel vittimismo»

Il parroco spagnolo della città palestinese di Nablus, Miguel Pérez, racconta come i cristiani mantengano viva la fede e la convivenza in mezzo al conflitto e all'incertezza.

Teresa Aguado Peña-2 dicembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Il sacerdote Miguel Pérez è parroco della chiesa di San Giustino Martire, nella località palestinese di Nablus. All'età di 18 anni ha lasciato la Spagna per entrare nel seminario Redemptoris Mater di Galilea, da dove è stato inviato in Giordania e poi in Palestina, dove si trova da quattro anni.

In un clima di incertezza politica e sociale, i cristiani della Terra Santa continuano a vivere la loro fede tra sfide che mettono alla prova la loro speranza. In una conversazione con Omnes, il sacerdote racconta come incoraggia i fedeli tentati dallo scoraggiamento e riflette sulla testimonianza silenziosa del Vangelo in una società a maggioranza musulmana.

In un contesto in cui la tensione e l'incertezza fanno parte della vita quotidiana, come vive e trasmette la speranza cristiana ai fedeli che potrebbero essere tentati dalla disperazione?

Credo che ora la fede in Dio sia fondamentale, ovvero che le persone stiano perdendo la speranza poiché il futuro è molto incerto. Credo che ciò che può mantenerci saldi sia la certezza che tutto va per il meglio e che il Signore saprà portare tutto a buon fine. Questo non significa sfuggire alla realtà, ma piuttosto che la fede in Dio è ciò che può darci la forza e il coraggio per continuare a costruire questo nostro Paese. Diciamo che anche nelle conversazioni quotidiane cerco di trasmettere l'idea che bisogna continuare a impegnarsi nella vita sociale e lavorare per andare avanti, e vedo che in generale hanno questo atteggiamento, ma ciò che non dobbiamo fare è cadere nel vittimismo.

In una società prevalentemente musulmana, come ritiene che i cristiani possano testimoniare il Vangelo senza bisogno di parole, solo attraverso il loro modo di vivere?

I cristiani sono testimoni del Vangelo in Terra Santa nella misura in cui portano la loro croce. La situazione di conflitto che si vive qui è una croce. Rimanere qui senza ribellarsi e senza gridare odio credo sia il modo migliore per evangelizzare attualmente. D'altra parte, è vero che molti cristiani stanno emigrando in cerca di una vita più tranquilla. Come dice Cristo, «lo spirito è forte ma la carne è debole». Pertanto, in primo luogo, è necessario non smettere di evangelizzare i cristiani, affinché continuino ad essere sale. Ciò significa vivere l'occupazione israeliana con pazienza e amare quei musulmani che disprezzano il cristianesimo.

Parli di come la mentalità dello Stato si trasmetta ai piccoli gruppi, subendo così offese nella tua parrocchia. Com'è il rapporto con le autorità musulmane?

La mentalità del Daesh (il cosiddetto Stato Islamico) si sta diffondendo, colpendo soprattutto le persone più vulnerabili dal punto di vista mentale. Per ora non è una minaccia per i cristiani, non siamo perseguitati direttamente. Tuttavia, a causa di alcune persone inclini al fanatismo, i cristiani si trovano talvolta in situazioni spiacevoli nei centri scolastici e nei luoghi di lavoro. Ma questa non è la situazione generale che definisce i rapporti tra cristiani e musulmani in Palestina e a Nablus. Infatti, le autorità musulmane sono molto rispettose delle chiese e dei cristiani.

Molti giovani palestinesi, anche cristiani, emigrano per mancanza di opportunità o per paura del conflitto. Quali “strategie” ha la Chiesa locale per mantenere viva la fede tra i giovani che rimangono?

Non esistono strategie specifiche, ma sono molte le attività per i giovani che si svolgono nelle parrocchie, soprattutto attraverso il gruppo giovanile «La Patria de Jesús», che si impegna a riunire i giovani universitari e a formarli affinché diventino catechisti dei bambini e degli adolescenti della parrocchia. Questo movimento collega inoltre le parrocchie e crea legami tra i cristiani di tutto il Paese. 

Lei ha affermato che i cristiani vivono “abbandonati alla volontà di Dio”. Cosa ha imparato personalmente sui fedeli in Palestina?

Potremmo dire che questa guerra è iniziata nel 1948, quindi la maggior parte della popolazione è nata in guerra ed è abituata a queste situazioni. Molte volte sono stati loro a confortarmi con parole di fede. Tuttavia, è anche vero che la gente è più scoraggiata dopo i bombardamenti che hanno devastato Gaza e dopo la presunta pace firmata nell'ottobre di quest'anno (2025), che non sembra aiutare i palestinesi. Il pessimismo è piuttosto evidente, ma speriamo che la gente ritrovi il buonumore. 

La comunità cristiana di Nablus riunisce cattolici, ortodossi, greco-cattolici e anglicani. Quali frutti spirituali ha visto in questa convivenza ecumenica così stretta e concreta?

Credo che noi cristiani dobbiamo collaborare come fratelli in Cristo. Ogni chiesa deve conservare il proprio patrimonio, tuttavia penso che in luoghi come Nablus dobbiamo anticipare i tempi e iniziare a considerarci come un'unica famiglia cristiana. La gente apprezza molto questa comunicazione costante tra le parrocchie e ci permette di svolgere meglio il nostro ruolo nella società. Inoltre, considerarci una comunità rende le istituzioni e le attività di ogni chiesa una ricchezza per le altre. Inoltre, le divisioni tra le confessioni cristiane sono motivo di scandalo sia per i nostri vicini musulmani che per gli stessi cristiani, poiché i fedeli delle diverse confessioni sono spesso legati da vincoli familiari.

Nonostante le difficoltà, lei e altri sacerdoti rimanete lì, sostenendo piccole comunità. Cosa significa per lei essere in Terra Santa oggi e come vive la missione di essere un segno di unità e speranza?

È una grazia poter soffrire per Gesù Cristo. È vero che nella mia vita quotidiana non sono esposto al pericolo, ma ci sono difficoltà di vario genere, soprattutto l'insicurezza delle strade piene di posti di blocco israeliani. Credo che siamo un segno che la nostra vita non è per costruirci un paradiso in terra, ma per donarci agli altri, annunciando così la venuta del Regno di Cristo. Inoltre, qui dobbiamo vivere alla giornata, perché non sappiamo nulla del domani ed è quasi impossibile pianificare qualcosa, dato che la situazione è molto precaria. La violenza dei coloni nei territori palestinesi sta aumentando e le strade vengono spesso interrotte. Sappiamo solo che dobbiamo vivere l'oggi nella grazia di Dio. 

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Il Papa incoraggia i giovani libanesi: costruite un futuro di pace

Nonostante le difficoltà e la costante minaccia di guerra, i giovani libanesi e i leader religiosi del Paese dispongono di enormi risorse per costruire un futuro migliore per tutti, ha affermato Papa Leone XIV.

CNS / Omnes-2 dicembre 2025-Tempo di lettura: 5 minuti

– Cindy Wooden, Beirut (Libano), CNS

“La vera opposizione al male non è il male, ma l'amore, un amore capace di guarire le proprie ferite e allo stesso tempo di curare le ferite degli altri”, ha affermato Papa Leone XIV il 1° dicembre, incontrando migliaia di giovani davanti alla sede del Patriarcato maronita di Antiochia a Bkerké, con vista su Beirut.

Papa Leone ha incontrato i 15.000 giovani dopo l'incontro con i loro anziani, rappresentanti delle comunità cristiana, musulmana, drusa e alauita del Paese, nella Piazza dei Martiri di Beirut. Un luogo che rende omaggio a coloro che hanno lottato per l'indipendenza del Libano e sono stati giustiziati lì nel 1916. I martiri provenivano da tutte le comunità religiose.

Due domande per il Papa

Durante l'incontro, i giovani hanno posto al Papa due domande: come conservare la pace interiore e la speranza “in un Paese privo di stabilità, sia dal punto di vista della sicurezza che dell'economia”. E come mantenere solide le famiglie, i matrimoni e le amicizie in un mondo dominato dal digitale e dall'effimero.

Papa Leone disse loro di cercare buoni esempi intorno a loro.

“Sfruttate le buone radici di coloro che si dedicano al servizio della società senza usarle per i propri interessi”, ha detto. “Con un generoso impegno per la giustizia, pianifichiamo insieme un futuro di pace e sviluppo. Siate la fonte della speranza che il Paese attende!”.

Gesù, il primo a cui dobbiamo rivolgerci

Per i cristiani, ha affermato il Papa, Gesù è la prima persona a cui dobbiamo rivolgerci in cerca di aiuto, sia nella pace che nelle relazioni, perché entrambe richiedono amore.

“Se il nostro ego è al centro di un'amicizia o di una relazione amorosa, non può dare frutti”, ha affermato. “Allo stesso modo, non è vero amore se amiamo solo temporaneamente, finché dura il sentimento: se l'amore ha un limite di tempo, non è vero amore”.

L'amore e la carità esprimono la presenza di Dio nel mondo “più di ogni altra cosa”, ha detto loro il Papa. “La carità parla un linguaggio universale, perché arriva a ogni cuore”.

Papa Leone XIV saluta la folla da una mini papamobile durante un incontro con i giovani libanesi nella piazza antistante il Patriarcato maronita di Antiochia a Bkerké, in Libano, il 1° dicembre 2025. (Foto CNS/Lola Gomez).

Amicizia con Cristo e persone di altre culture e religioni

Papa Leone li ha incoraggiati a guardare all'esempio dei loro coetanei che non si sono lasciati scoraggiare “dalle ingiustizie e dagli esempi negativi, anche quelli che si verificano all'interno della Chiesa. Al contrario, hanno cercato di aprire nuove strade alla ricerca del regno di Dio e della sua giustizia”.

“Sfruttate la forza che ricevete da Cristo per costruire un mondo migliore di quello che avete ereditato”, ha detto loro, «e stringete amicizia con persone di culture e religioni diverse».

“Il vero rinnovamento che desidera un cuore giovane inizia con i gesti di ogni giorno: accogliere chi è vicino e chi è lontano, tendere la mano agli amici e ai rifugiati, perdonare i nemici: un compito difficile ma necessario”, ha affermato Papa Leone.

Camminare insieme

Il patriarca siro-cattolico Ignazio Giuseppe III Younan ha dato il benvenuto al Papa all'incontro ecumenico e interreligioso in Piazza dei Martiri. “Con la grazia dell'Onnipotente, il Padre Celeste, secondo noi cristiani, e dell'Onnipotente Allah Ta'ala, secondo i nostri fratelli e sorelle musulmani, ci impegniamo a camminare insieme”, ha detto loro. “Sempre ispirati dalla speranza che non delude mai, per diventare costruttori della vera pace in Libano e in tutti i paesi del Medio Oriente”.

Papa Leone è stato ricevuto anche dai leader delle comunità musulmane sunnite e sciite del Paese, dal leader spirituale dei drusi, dai patriarchi delle Chiese greco-ortodossa, siriano-ortodossa e armeno-ortodossa e dal presidente della comunità cristiana evangelica.

Un giovane scatta una foto a Papa Leone XIV durante lo stesso evento con i giovani, a Bkerké, Libano, 1 dicembre 2025 (foto CNS/Lola Gomez).

C'erano anche delle donne

Tutti coloro che hanno parlato erano uomini, ma tra il pubblico c'erano molte donne impegnate nella ricerca della pace e del dialogo.

Mireille Hamouche, una donna greco-ortodossa sposata con un maronita, fa parte della Rete delle donne per il consolidamento della pace in Libano.

“Posso assicurarvi che, dietro le quinte, le vere protagoniste e attiviste della pace sono principalmente le donne”, ha dichiarato al Catholic News Service. “È stato così nel corso della storia perché, ovviamente, dopo ogni guerra, in una società rimangono più donne che uomini”, e sono loro che devono “guarire la società” una volta terminata la lotta.

Il ruolo centrale della fede

In una tenda all'ombra della moschea Mohammad Al Amin a Beirut, Papa Leone disse ai leader che il ruolo centrale della fede nella vita del Libano è evidente.

Cari amici, la vostra presenza qui oggi, in questo luogo unico dove minareti e campanili si ergono uno accanto all'altro, ma entrambi si innalzano verso il cielo, testimonia la fede incrollabile di questa terra e la ferma devozione del suo popolo all'unico Dio.

Il Papa ha pregato affinché ogni suono della campana e ogni invito alla preghiera si fondessero in un unico e sublime inno, non solo per glorificare il misericordioso Creatore del cielo e della terra, ma anche per elevare una sentita preghiera per il dono divino della pace.

Papa Leone XIV prega insieme a numerosi giovani riuniti nella piazza antistante il Patriarcato maronita di Antiochia a Bkerké, in Libano, il 1° dicembre 2025. (Foto CNS/Lola Gomez).

Medio Oriente: concentriamoci su ciò che ci unisce

Troppo spesso, ha affermato, quando si pensa al Medio Oriente, si pensa a un conflitto in corso.

“Tuttavia”, ha affermato Papa Leone, “nel mezzo di queste lotte, è possibile trovare un senso di speranza e incoraggiamento quando ci concentriamo su ciò che ci unisce: la nostra comune umanità e la nostra fede in un Dio di amore e misericordia”.

“In un'epoca in cui la convivenza può sembrare un sogno lontano”, ha affermato, «il popolo libanese, pur abbracciando religioni diverse, è un potente promemoria del fatto che la paura, la sfiducia e il pregiudizio non hanno l'ultima parola, e che l'unità, la riconciliazione e la pace sono possibili”.

Papa Leone disse loro che i leader religiosi devono essere “costruttori di pace: affrontare l'intolleranza, superare la violenza e bandire l'esclusione, illuminando la via verso la giustizia e la concordia per tutti, attraverso la testimonianza della vostra fede”.

Esempio dei santi

Vediamo quanti esempi meravigliosi ci hanno lasciato i santi!, esclamò Papa Leone. “Pensiamo a Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis, due giovani canonizzati in questo Anno Santo Giubilare. Guardiamo ai numerosi santi libanesi. Quale singolare bellezza si manifesta nella vita di Santa Rafqua, che con forza e mitezza ha resistito al dolore della malattia per anni!”.

Leone XIV citò anche il beato Yakub El-Hadda e San Charbel, “diventato uno dei simboli del Libano in tutto il mondo”, la cui tomba ha visitato al mattino. E poi ha ricordato ciò che Papa Benedetto XVI ha detto ai cristiani del Levante: “Vi invito a coltivare continuamente la vera amicizia con Gesù attraverso la forza della preghiera” (Esortazione Apostolica Ecclesia in Medio Oriente e, 63).

“Maria risplende”

“Cari amici, tra tutti i santi, Maria, Madre di Dio e nostra Madre, risplende!”, ha detto il Papa. “Molti giovani portano sempre il rosario in tasca, al polso o al collo. Com'è bello guardare Gesù con gli occhi del cuore di Maria! Anche da qui, dove ci troviamo ora, com'è dolce alzare lo sguardo verso Nostra Signora del Libano con speranza e fiducia!”.

L'autoreCNS / Omnes

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L'amico inutile

L'amicizia inutile si verifica quando nessuna delle due persone ha bisogno dell'altra, ma comunque sceglie di stare insieme. Le amicizie più preziose sono quelle in cui non cerchi nulla, ma ci sono comunque.

2 dicembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Era calata la notte, l'autunno stava iniziando e faceva fresco. Stavo accompagnando mia figlia a lezione di danza in macchina e stavo attraversando una zona di campagna piuttosto deserta. A un semaforo, dove mi sono dovuta fermare, c'era, molto vicino a me, un'auto parcheggiata sul ciglio della strada, più che parcheggiata direi “mal parcheggiata”. Il proprietario, un ragazzo giovane, con i capelli lunghi e spettinati, raccolti in una coda bassa, era visibilmente angosciato. Gli ho chiesto se avesse bisogno di aiuto e lui mi ha risposto di no, ringraziandomi. Mentre guidavo, ho commentato con mia figlia che è molto brutto trovarsi da soli abbandonati sulla strada. 

Ho lasciato mia figlia alla scuola di danza. Un'ora dopo, quando l'ho rivisto nello stesso posto, il ragazzo era seduto sul bordo del marciapiede, insieme a un amico, in attesa del carro attrezzi. Ho sentito, con quelle vibrazioni che arrivano al cuore in modo così autentico quando vediamo certe scene della vita, che erano amici. Mi sono reso conto che quel ragazzo aveva chiesto aiuto al suo amico quando si era trovato in difficoltà, ho persino immaginato la conversazione al cellulare: «Ehi, amico, vieni qui, mi sono bloccato». I due avevano una grande intesa, parlavano, ridevano e scherzavano, rendendo più sopportabile l'attesa del carro attrezzi. 

Il ragazzo dai capelli lunghi e spettinati era meno stressato di prima, non era solo a risolvere il problema. Quanto è bello e importante avere amici veri, amici inutili. 

L'amicizia inutile si verifica quando nessuna delle due persone ha bisogno dell'altra, ma comunque sceglie di stare insieme. Le amicizie più preziose sono quelle in cui non cerchi nulla, ma sono semplicemente lì. L'amicizia utile, al contrario, si verifica con l'amico conveniente, da cui ottieni qualcosa, ad esempio sul lavoro. L'amico utile è quello che, quando sei a terra, non puoi chiamare perché pensi di dare fastidio.

Tutti abbiamo amici utili e inutili, ma sappiamo distinguerli. Credo che abbiamo più amici utili che inutili. Un detto popolare recita che gli amici si contano sulle dita di una mano ed è a quell'amico che ci rivolgiamo quando siamo in difficoltà.

L'amico inutile è quello che sappiamo non infastidire né disturbare con i nostri problemi. L'amico inutile non ci giudica, ci dedica il suo tempo e ci dà quella sensazione di sicurezza che proviamo quando siamo veramente amati. 

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Mondo

L'olivo protagonista dell'incontro ecumenico e interreligioso con il Papa

Papa Leone XIV ha nuovamente elogiato oggi il popolo libanese, in questo caso in occasione di un incontro ecumenico e interreligioso. Il Santo Padre ha affermato che il Libano dimostra che cristiani, musulmani, drusi e molti altri possono costruire un Paese unito. E ha posto l'olivo come protagonista.  

Francisco Otamendi-1 dicembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Alla presenza di un leader sunnita, un leader greco ortodosso, un leader sciita, un leader siriano ortodosso, un leader druso, un leader armeno ortodosso, un leader protestante e un leader alauita, il Papa ha elogiato questo pomeriggio il Libano. Lo ha fatto. domenica, al suo arrivo a Beirut, davanti al presidente del Paese e ai rappresentanti della società libanese, e lo ha ribadito oggi, insieme ai leader delle tradizioni religiose.

Il Papa è stato accolto questo pomeriggio in un grande tendone nella Piazza dei Martiri dal Patriarca siro-cattolico, dal Patriarca maronita, dal Grande Imam sunnita e dal rappresentante sciita. Tutti hanno potuto constatare come Leone XIV abbia dato all'ulivo, simbolo di riconciliazione e pace, il ruolo di protagonista dell'incontro.

Intervallando i canti di un grande coro di bambini, si sono susseguiti i discorsi dei leader, che hanno parlato di unità, apertura, convivenza e rispetto, fino a quando Papa Leone XIV ha posto l'ulivo al centro.

L'olivo, simbolo di riconciliazione e pace

Se il Libano è famoso per i suoi maestosi cedri, “anche l'olivo rappresenta una pietra miliare del suo patrimonio”, ha affermato il Papa. L'olivo non solo adorna lo spazio in cui siamo riuniti oggi, ma “è anche lodato nei testi sacri del cristianesimo, dell'ebraismo e dell'islam, fungendo da simbolo intramontabile di riconciliazione e pace”. 

La loro longevità e la loro grande capacità di fiorire anche negli ambienti più difficili “simboleggiano la resilienza e la speranza, nonché l'impegno costante necessario per coltivare la coesistenza pacifica”, ha sottolineato Leone XIV.

“Da questo albero proviene un olio curativo, un balsamo per le ferite fisiche e spirituali, che esprime l'infinita compassione di Dio per tutti coloro che soffrono”. Inoltre, «l'olio fornisce anche luce, evocando la chiamata a illuminare i nostri cuori attraverso la fede, la carità e l'umiltà». 

Papa Leone XIV, tra il cardinale Bechara Rai, patriarca della Chiesa cattolica maronita (a sinistra), e lo sceicco Abdul Latif Derian, gran muftì del Libano, in un incontro ecumenico e interreligioso il 1° dicembre 2025. All'estrema sinistra, lo sceicco Ali Al-Khatib, vicepresidente del consiglio musulmano sciita del Paese, e all'estrema destra, il patriarca greco-ortodosso Giovanni X di Antiochia. (Foto CNS/Lola Gomez).

Costruttori di pace

Il popolo libanese è sparso per il mondo, ma unito dalla forza imperitura e dall'eredità eterna della sua patria, ha ricordato Leone XIV. 

«La vostra presenza, qui e in tutto il mondo, arricchisce la terra con la vostra eredità millenaria, ma rappresenta anche una vocazione. In un mondo globale, sempre più interconnesso, siete chiamati ad essere costruttori di pace: a combattere l'intolleranza, a superare la violenza e a sradicare l'esclusione; illuminando la via verso la giustizia e l'armonia per tutti, attraverso la testimonianza della vostra fede”, ha affermato.

All'inizio, il Papa ha ammesso di essere “profondamente commosso e immensamente grato di essere oggi tra voi, in questa terra benedetta, una terra esaltata dai profeti dell'Antico Testamento”.

Vocazione universale della Chiesa: il dialogo con le altre religioni

Poi, il Santo Padre ha citato nel suo discorso a Papa Benedetto XVI, che nella sua Esortazione apostolica post-sinodale ‘Ecclesia in Medio Oriente’, firmata a Beirut nel 2012, ha sottolineato che “la natura e la vocazione universale della Chiesa esigono che essa sia in dialogo con i membri delle altre religioni”. 

“Questo dialogo in Medio Oriente si basa sui legami spirituali e storici che uniscono i cristiani agli ebrei e ai musulmani. Questo dialogo, che non è dettato principalmente da considerazioni pragmatiche di natura politica o sociale, si fonda soprattutto su basi teologiche che interpellano la fede» (n. 19).

Minareti accanto ai campanili delle chiese

Allora Papa Leone disse ai leader che «la vostra presenza oggi qui, in questo luogo straordinario dove minareti e campanili si ergono uno accanto all'altro, entrambi protesi verso il cielo, testimonia la fede incrollabile di questa terra e la ferma dedizione del suo popolo all'unico Dio”. 

«In questa terra amata, che ogni campana e ogni adhān suonino insieme; che ogni invito alla preghiera si fonda in un unico inno, elevato non solo per glorificare il misericordioso Creatore del cielo e della terra, ma anche per implorare con tutto il cuore il dono divino della pace”. 

Come superare l'inquietudine nei confronti del Medio Oriente

Per molti anni, e specialmente negli ultimi tempi, “il mondo ha rivolto lo sguardo al Medio Oriente, culla delle religioni abramitiche, osservando il difficile cammino e l'instancabile ricerca del prezioso dono della pace”, aveva affermato all'inizio Leone XIV.

“L'umanità a volte guarda al Medio Oriente con timore e scoraggiamento, di fronte a conflitti così complessi e prolungati. Tuttavia, in mezzo a queste lotte, possiamo trovare speranza e incoraggiamento concentrandoci su ciò che ci unisce: la nostra comune umanità e la nostra fede in un Dio di amore e misericordia”.

In un'epoca in cui la convivenza può sembrare un sogno lontano, “il popolo libanese, pur professando religioni diverse, è un esempio lampante: la paura, la sfiducia e i pregiudizi non hanno l'ultima parola, mentre l'unità, la riconciliazione e la pace sono sempre possibili”. 

Vergine Maria, Madre di Gesù e Regina della Pace

Il Papa ha concluso ricordando “il 25 marzo di ogni anno, festa nazionale nel vostro Paese”, in cui “vi riunite per onorare Maria, Nostra Signora del Libano, venerata nel suo Santuario di Harissa, adornato da un'imponente statua della Vergine con le braccia aperte, che abbraccia tutto il popolo libanese”. 

“Che questo abbraccio amorevole e materno della Vergine Maria, Madre di Gesù e Regina della Pace”, ha chiesto Papa Leone XIV, “guidi ciascuno di voi, affinché nella vostra patria, in tutto il Medio Oriente e in tutto il mondo, il dono della riconciliazione e della convivenza pacifica scorra «come fiumi che sgorgano dal Libano», (cfr. Ct 4,15), portando speranza e unità a tutti».

L'autoreFrancisco Otamendi

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Mondo

Il Papa dice alla Chiesa in Libano: amate senza paura

A un santuario coronato da una statua di Nostra Signora del Libano alta 28 piedi, Papa Leone XIV ha ascoltato storie di fede incrollabile in mezzo alla guerra, all'ingiustizia e alla sofferenza. Inoltre, ha invitato ad “amare senza paura” e ha paragonato “il profumo di Cristo” a quello dei tavoli libanesi.  

CNS / Omnes-1 dicembre 2025-Tempo di lettura: 5 minuti

– Cindy Wooden, Harissa, Libano (CNS) 

Dopo aver pregato davanti alla tomba del venerato San Charbel, in un santuario coronato da una statua della Madonna del Libano, Papa Leone XIV ha ascoltato storie di fede incrollabile in mezzo alla guerra, all'ingiustizia e alla sofferenza.

Il Papa ha iniziato il 1° dicembre presso la tomba di San Charbel nel Monastero di Annaya, un luogo noto per la sua atmosfera di silenziosa preghiera, specialmente nei momenti difficili.

Nonostante la pioggia intermittente, migliaia di persone si sono radunate lungo la strada che conduce al monastero, lanciando petali di rosa o riso in segno di benvenuto.

Nel santuario di Nostra Signora a Harissa

Dopo aver affidato i cattolici del Libano e di tutto il Paese alle cure di San Charbel, Papa Leone si recò al Santuario di Nostra Signora del Libano a Harissa. E ascoltò, come era solito fare San Charbel, le grida dei cuori della gente.

Padre Youhanna-Fouad Fahed, sacerdote cattolico maronita sposato e parroco di una parrocchia vicino al confine con la Siria, è stato il primo a parlare. Il suo villaggio ha accolto i rifugiati siriani dalla guerra iniziata nel 2011 ed è stato ripetutamente attaccato dai bombardamenti provenienti dal lato siriano del confine. Nel dicembre 2024, quando la guerra civile siriana è ufficialmente terminata, sono arrivati altri rifugiati.

“Il sacchetto delle offerte raccolte durante la messa domenicale mi ha rivelato un primo grido silenzioso: ho visto delle monete siriane al suo interno: era un'offerta mista a dolore”, ha detto padre Fahed al Papa.

Accoglienza dei rifugiati siriani

“Da solo, sentendo la sofferenza del mio popolo soffocato dalla paura, la miseria nascosta dalla vergogna di chiedere aiuto, sono andato a cercarli”, ha detto il sacerdote. Alcuni gli hanno raccontato di essere fuggiti per proteggere le loro figlie dal matrimonio forzato, e molti sono arrivati in Libano con la speranza di emigrare in Europa, anche se questo significava “affidare i propri sogni a trafficanti di migranti che hanno rubato i loro risparmi”.

L'unica cosa che padre Fahed ha chiesto a Papa Leone è stata una parola di conforto affinché la gente non si sentisse dimenticata e sola.

Papa Leone XIV offre una riflessione durante una visita alla Basilica di Nostra Signora del Libano a Harissa, in Libano, in un incontro con vescovi, sacerdoti, religiosi e operatori laici, il 1° dicembre 2025 (Foto CNS/Lola Gomez).

Sorella Dima Chebib: hanno deciso di restare

Suor Dima Chebib è membro delle Suore dei Sacri Cuori di Gesù e Maria e direttrice di una scuola a Baalbeck, luogo considerato da molti una roccaforte della milizia Hezbollah e ripetutamente colpito dai bombardamenti israeliani nel corso dell'ultimo anno.

Mentre molte persone fuggivano dal villaggio, ha detto, i sacerdoti e i religiosi della diocesi cattolica melchita “hanno deciso di rimanere e di accogliere le famiglie di rifugiati – cristiani e musulmani – che sono arrivate in cerca di sicurezza e pace. Abbiamo condiviso il pane, la paura e la speranza. Abbiamo vissuto insieme, pregato insieme e ci siamo sostenuti a vicenda in fraternità e fiducia”.

“Nel mezzo della guerra”, disse al Papa, “ho scoperto la pace di Cristo. E ringrazio Dio per questa grazia di poter rimanere, amare e servire fino alla fine”.

Persone distrutte

Loren Capobres, arrivata in Libano dalle Filippine come collaboratrice domestica e ora impegnata con il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, ha descritto le persone che assiste come “individui che hanno lasciato tutto alle spalle, distrutti non solo dalla guerra, ma anche dal tradimento e dall'abbandono”.

Padre San Vincenzo Charbel Fayad, cappellano della prigione, ha raccontato al Papa del pentimento e della conversione dei detenuti, che sono stupiti dal fatto che qualcuno si preoccupi abbastanza da prendersi cura di loro.

“Anche nell'oscurità delle celle, la luce di Cristo non si spegne mai”, ha affermato padre Fayad.

Risposta del Papa: con Maria ai piedi della Croce

Papa Leone ha risposto alle testimonianze dicendo che, come per San Charbel nel XIX secolo, oggi “è stando con Maria ai piedi della croce di Gesù che la nostra preghiera – quel ponte invisibile che unisce i cuori – ci dà la forza di continuare ad aspettare e a lavorare. Anche quando siamo circondati dal rumore delle armi e quando le stesse necessità della vita quotidiana diventano una sfida”.

Padre Toni Elias, pastore maronita di Rmaych, vicino al confine israeliano, non ha parlato con il Papa, ma ha detto ai giornalisti: “In sostanza abbiamo vissuto in guerra negli ultimi due, due anni e mezzo, ma mai senza speranza”.

La visita del Papa, ha affermato, è una conferma per i credenti che “ciò che abbiamo vissuto” – paura e speranza insieme – “non è stato vano”.

Papa Leone XIV, durante lo stesso incontro con vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici del Libano, il 1° dicembre 2025. A sinistra, il Patriarca maronita libanese, cardinale Bechara Boutros Rai (Foto CNS/Lola Gomez).

Pace e armonia tra tutti: “Questo è il Libano”

Il discorso di Papa Leone XIII ai leader governativi e civili il 30 novembre si è concentrato sul popolo libanese e non ha fatto alcun riferimento a Israele. Ma padre Elías ha detto che era “bellissimo” perché la pace e l'armonia tra musulmani, cristiani e drusi “sono le nostre radici, la nostra cultura. Questo è il Libano”.

Quando ci si incontra Ai vescovi, sacerdoti, religiosi e operatori pastorali del Paese - una folla di circa 2.000 persone - Papa Leone disse: “Se vogliamo costruire la pace, dobbiamo ancorarci al cielo e orientarci con fermezza in quella direzione”.

“Da queste radici cresce l'amore”

“Amiamo senza paura di perdere ciò che accade e doniamo senza misura”, ha detto il Papa . “Da queste radici, forti e profonde come quelle dei cedri, cresce l'amore e, con l'aiuto di Dio, si concretizzano opere di solidarietà concrete e durature”.

Consegna della Rosa d'Oro: essere profumo di Cristo 

Tra poco compiremo il gesto simbolico di consegnare la Rosa d'Oro a questo Santuario, ha sottolineato il Papa. “È un gesto antico che, tra gli altri significati, ha quello di esortarci ad essere profumo di Cristo con la nostra vita (cfr. 2 Cor 2,14)”.

“Di fronte a questa immagine, mi viene in mente il profumo che emana dalle tavole libanesi, tipiche per la varietà di cibi che offrono e per la forte dimensione comunitaria della condivisione. È un profumo composto da migliaia di aromi, che sorprendono per la loro diversità e, a volte, per il loro insieme. Così è il profumo di Cristo”, ha detto.

Papa Leone aveva in programma di concludere la mattinata con un incontro privato con i patriarchi cattolici di tutto il Medio Oriente.

L'autoreCNS / Omnes

Mondo

I libanesi acclamano il Papa durante la sua visita alla tomba di San Charbel

Nel secondo giorno della sua visita in Libano, Papa Leone XIV ha iniziato la giornata con una visita di preghiera alla grotta di San Charbel Maklouf nel monastero di San Maroun ad Annaya. Il popolo libanese è sceso in strada per salutare il Santo Padre.

Francisco Otamendi-1 dicembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Papa Leone XIV ha iniziato il secondo giorno della sua visita nel Paese dei cedri recandosi in pellegrinaggio alla tomba di San Charbel Maklūf nel monastero di Annaya, santo molto venerato in Libano e in Medio Oriente. “I miei predecessori, in particolare San Paolo VI, che lo ha beatificato e canonizzato, lo avrebbero desiderato molto”, ha affermato. Migliaia di libanesi lo hanno salutato lungo le strade.

Il Papa ha pregato per alcuni minuti davanti alla tomba del santo e si è subito chiesto: cosa ci insegna oggi San Charbel? “Qual è l'eredità di quest'uomo che non ha scritto nulla, che ha vissuto nascosto e in silenzio, ma la cui fama si è diffusa in tutto il mondo?”.”

Vorrei riassumerlo così, disse. “Lo Spirito Santo lo ha plasmato affinché insegnasse la preghiera a chi vive senza Dio, il silenzio a chi vive nel trambusto, la modestia a chi vive per apparire e la povertà a chi cerca le ricchezze. Sono tutti comportamenti controcorrente, ma proprio per questo ci attraggono, come l'acqua fresca e pura attira chi cammina nel deserto”.

Un messaggio per tutti: la vostra coerenza

E in particolare per i vescovi e i ministri ordinati, “san Charbel ci ricorda le esigenze evangeliche della nostra vocazione. Tuttavia, la sua coerenza, tanto radicale quanto umile, è un messaggio per tutti i cristiani”.”

Migliaia di pellegrini ricorrono alla sua intercessione

Poi c'è un altro aspetto “che è decisivo: non ha mai smesso di intercedere per noi presso il Padre celeste, fonte di ogni bene e di ogni grazia”.

Già durante la sua vita terrena, molti si rivolgevano a lui per ricevere dal Signore conforto, perdono e consiglio. “Dopo la sua morte, tutto questo si è moltiplicato ed è diventato un fiume di misericordia. Anche per questo, ogni 22 del mese, migliaia di pellegrini giungono qui da diversi paesi per trascorrere una giornata di preghiera e di riposo dell'anima e del corpo”, ha aggiunto il Papa.

Richieste del Papa: comunione, unità

Oggi vogliamo affidarci all'intercessione di San Charbel le esigenze della Chiesa, del Libano e del mondo, ha affermato il Santo Padre.

“Per la Chiesa chiediamo comunione, unità; a partire dalle famiglie, piccole chiese domestiche, e poi nelle comunità parrocchiali e diocesane; e anche per la Chiesa universale. Comunione, unità”.

Pace per il Libano e per il Medio Oriente

E per il mondo chiediamo la pace. “La imploriamo in modo particolare per il Libano e per tutto il Medio Oriente. Ma sappiamo bene – e i santi ce lo ricordano – che non c'è pace senza conversione dei cuori. Per questo, che san Charbel ci aiuti a orientarci verso Dio e a chiedere il dono della conversione per tutti noi”.

Il Papa ha rivelato di aver portato in dono una lampada, “come simbolo della luce che Dio ha acceso qui attraverso san Charbel”.

Nel donarla, “affido alla protezione di San Charbel il Libano e il suo popolo, affinché possano sempre camminare nella luce di Cristo. Ringrazio Dio per il dono di San Charbel. Grazie a voi che ne conservate la memoria. Camminate nella luce del Signore!”.

Ha poi salutato la comunità dell'Ordine maronita libanese e la folla che si era radunata nei pressi del monastero e nei dintorni. 

L'autoreFrancisco Otamendi

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Zoom

Papa Leone XIV vola dalla Turchia al Libano

Matteo Bruni, direttore dell'ufficio stampa del Vaticano, parla prima che Papa Leone XIV risponda alle domande durante una conferenza stampa a bordo del volo dalla Turchia al Libano il 30 novembre 2025.

Redazione Omnes-1 dicembre 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto
Cultura

La storia del dogma dell'Immacolata Concezione

Nel dicembre 2004, la rivista Palabra (n. 679) pubblicava i precedenti e la storia del dogma dell'Immacolata Concezione in occasione dei 150 anni dalla dichiarazione dogmatica. Riportiamo questo articolo in occasione del 60° anniversario di Omnes.

Redazione Omnes-1 dicembre 2025-Tempo di lettura: 40 minuti

- Primitivo Tineo (Professore della Facoltà di Teologia dell'Università di Navarra)

L'8 dicembre di quest'anno 2004 ricorrerà il 150° anniversario di quel solenne atto pontificio con cui Papa Pio IX dichiarò dogma di fede l'immacolata concezione della Vergine Maria. 

Lo fece con queste parole: «Con l'autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei beati apostoli Pietro e Paolo e con la nostra, dichiariamo, proclamiamo e definiamo che la dottrina secondo cui la beata Vergine Maria è stata preservata immune da ogni macchia di peccato originale nel primo istante del suo concepimento, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in considerazione dei meriti di Cristo Gesù, Salvatore del genere umano, è stata rivelata da Dio e deve quindi essere creduta fermamente e costantemente da tutti i fedeli». 

Proprio in occasione di questa ricorrenza mariana, i vescovi spagnoli hanno indetto un Anno speciale dedicato all'Immacolata, che si protrarrà fino all'8 dicembre 2005. 

Papa Pio IX voleva sottolineare l'approvazione della Chiesa universale e per questo desiderava che la proclamazione del dogma avvenisse con grande solennità, alla presenza del maggior numero possibile di vescovi. 

L'8 dicembre 1854, 53 cardinali, 43 arcivescovi e 99 vescovi parteciparono alla solenne cerimonia di proclamazione. Dopo il Concilio di Trento, era la prima volta che così tanti vescovi provenienti dai diversi continenti si riunivano attorno al Papa. Negli anni successivi Pio IX favorirà questi incontri per intensificare l'unione dell'episcopato con il Romano Pontefice, riaffermando così l'unità della Chiesa. 

La proclamazione del dogma è avvenuta durante la celebrazione di una Messa solenne nella basilica di San Pietro alla presenza di numerosi fedeli. Dopo la lettura del Vangelo, è stato intonato il Veni Creator per invocare l'assistenza dello Spirito Santo. 

Quindi, con una certa emozione, il Papa ha letto il decreto di definizione: «... per l'autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo, e per la nostra, dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina secondo la quale la beata Vergine Maria è stata preservata immune da ogni macchia di peccato originale nel primo istante del suo concepimento per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in considerazione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata rivelata da Dio e, di conseguenza, deve essere creduta fermamente e costantemente da tutti i fedeli». 

«Pertanto, se alcuni, Dio non voglia, avessero la presunzione di pensare in modo diverso da quanto abbiamo definito, sappiano e comprendano che, condannati dal proprio giudizio, sono naufragati fuori dalla fede abbandonando l'unità della Chiesa; e inoltre che, se per iscritto o in qualsiasi altro modo esterno, osassero esprimere tali sentimenti dei loro cuori, incorrerebbero ipso facto nelle pene stabilite dal diritto». 

I presenti notarono che Pio IX era commosso mentre leggeva questo decreto. 

Tre anni dopo, lo stesso Pio IX, parlando di quel momento, disse: «Quando cominciai a leggere il decreto dogmatico, sentii che la mia voce era incapace di farsi sentire dall'immensa folla che riempiva la basilica vaticana; ma quando giunsi alla formula della definizione, Dio diede alla voce del suo Vicario una tale forza e un tale vigore soprannaturale che risuonò in tutta la basilica. E rimasi così impressionato da quell'aiuto divino, che fui costretto a interrompermi un attimo per dare libero sfogo alle mie lacrime. Inoltre, mentre Dio proclamava il dogma per bocca del suo Vicario, Dio stesso dava alla mia anima una conoscenza così chiara e così ampia dell'incomparabile purezza della Santissima Vergine Maria... che nessun linguaggio può descrivere. La mia anima fu inondata da delizie ineffabili che non sono terrene, che si possono trovare solo in cielo...». 

Dopo la lettura del decreto dogmatico, Pio IX autorizzò la pubblicazione della bolla Ineffabilis Deus —come era già stata redatta—, che ripeteva la definizione dogmatica e presentava un'argomentazione teologica molto sviluppata. 

La notte di quel giorno memorabile Roma si illuminò come nei giorni di festa per celebrare l'evento: «La città era letteralmente una città di fuoco», racconterà un testimone; «non c'era balcone, finestra o lucernario che non avesse le sue lampade. Le grandi arterie della città, il Corso, la Via Papale, Ripetta, sono fiumi di luce; le piazze pubbliche, i monumenti e le chiese sembrano in fiamme. Il Campidoglio scintillava e le orchestre all'aperto salutavano, a nome del popolo romano, il trionfo della Regina dei cieli che è anche Regina della Chiesa e di Roma. Ovunque c'erano trasparenze, immagini della Vergine Maria, iscrizioni in suo onore; ovunque il motto, Maria senza macchia originariamente concepita. Una folla immensa attraversa la città; tutta la popolazione è nelle strade, nelle piazze, soprattutto a San Pietro, la cui cupola eleva nell'aria una corona scintillante. 

Presto nella piazza di Spagna sarebbe stata eretta una colonna per commemorare quella proclamazione dogmatica. È adornata da quattro sculture di Mosè, Davide, Ezechiele e Isaia che circondano il piedistallo; il piedistallo è decorato con due bassorilievi: uno raffigura San Giuseppe avvertito del miracolo dell'Incarnazione da un angelo durante il sonno; l'altro raffigura Pio IX che proclama il dogma dell'Immacolata Concezione. 

Inoltre, altri monumenti saranno eretti in tutto il mondo in onore dell'evento: chiese dedicate all'Immacolata, statue, targhe commemorative, ecc. 

Lourdes

Quattro anni dopo, la proclamazione dogmatica di Pio IX ricevette una conferma celeste in seguito all'apparizione della Vergine Maria a Lourdes. Nel corso del 1858, la Vergine Maria apparve diciotto volte a Bernadette Soubirous. Nella quattordicesima apparizione, il 25 marzo, la Vergine rivelò la sua identità e lo fece nel dialetto di Lourdes: «Sono l'Immacolata Concezione». 

L'8 dicembre rimarrà impresso nella memoria del pontificato di Pio IX, in cui si verificarono tre eventi fondamentali. Insieme al dogma dell'Immacolata Concezione, il Concilio Vaticano I e la pubblicazione del Syllabus costituiscono le pietre miliari del suo pontificato. Lo stesso Pio IX sottolineò la continuità dei tre eventi: il dogma fu proclamato l'8 dicembre 1854, il Papa datò simbolicamente il Syllabus l'8 dicembre 1864 e ordinò l'inaugurazione del Concilio Vaticano I l'8 dicembre 1869. 

Nell'omelia pronunciata durante la messa di beatificazione di Pio IX, Giovanni Paolo II, oltre a sottolineare la grande devozione di Giovanni XXIII per Pio IX, sottolineò che il nuovo beato, «nel mezzo dei turbolenti avvenimenti del suo tempo, fu esempio di adesione incondizionata al deposito immutabile delle verità rivelate. Fedele agli impegni del suo ministero in ogni circostanza, seppe sempre attribuire il primato assoluto a Dio e ai valori spirituali». 

«Il suo lunghissimo pontificato non fu facile, e dovette soffrire molto per compiere la sua missione al servizio del Vangelo. Fu molto amato, ma anche odiato e calunniato. Tuttavia, proprio in mezzo a questi contrasti risplendeva con maggiore intensità la luce delle sue virtù: le lunghe tribolazioni temperarono la sua fiducia nella Divina Provvidenza, del cui dominio sovrano sugli eventi umani non dubitò mai. Da essa nasceva la profonda serenità di Pio IX, anche in mezzo alle incomprensioni e agli attacchi di molte persone ostili. A coloro che lo circondavano, era solito dire: ‘Nelle cose umane è necessario accontentarsi di agire nel miglior modo possibile; in tutto il resto bisogna abbandonarsi alla Provvidenza, che supplirà ai difetti e alle insufficienze dell'uomo». 

«Sostenuto da questa convinzione interiore, convocò il Concilio Ecumenico Vaticano I, che chiarì con autorevolezza magistrale alcune questioni allora dibattute, confermando l'armonia tra fede e ragione. Nei momenti di prova, Pio IX trovò sostegno in Maria, alla quale era molto devoto. Nel proclamare il dogma dell'Immacolata Concezione, ricordò a tutti che, nelle tempeste dell'esistenza umana, nella Vergine risplende la luce di Cristo, più forte del peccato e della morte». 

L'Immacolata Concezione nella Scrittura

È opportuno chiarire che il concetto dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio è stato definito non come una verità o una conclusione teologica certa, ma come una verità rivelata da Dio e sostenuta dalla tradizione della Chiesa. 

Non è possibile trarre prove dirette e rigorose dalla Scrittura. Tuttavia, esistono due gruppi di testi che meritano una considerazione diversa: il primo gruppo comprende i testi che sono stati invocati dai difensori dell'Immacolata Concezione e che possiamo definire come testi principali. Un secondo gruppo è costituito dai passaggi secondari, che non costituiscono una prova diretta, come i testi dei libri sapienziali, quelli che fanno riferimento alla figura della Vergine nell'Antico Testamento, i testi di San Giovanni relativi alla donna vestita di sole, ecc. 

I testi principali sono contenuti nel libro della Genesi (3,15) e nel Vangelo di Luca (1,28). Il primo passo scritturale che contiene la promessa della redenzione menziona anche la Madre del Redentore: «Metterò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: egli ti schiaccerà il capo mentre tu gli insidierai il calcagno». La sentenza dopo il primo peccato fu accompagnata dal primo Vangelo, che pone inimicizia tra il serpente e la donna. 

Il seme della donna che schiaccerà la testa del serpente è Cristo; la donna è Maria. Dio ha posto inimicizia tra lei e Satana, così come c'è inimicizia tra Cristo e il seme del serpente. Solo la continua unione di Maria con la grazia santificante spiega sufficientemente l'inimicizia tra lei e Satana. Il Protoevangelo contiene direttamente una promessa del Redentore. E in unione con la manifestazione del capolavoro della Sua Redenzione, la perfetta preservazione di Sua Madre dal peccato originale. 

Un altro passaggio importante è costituito dal saluto dell'angelo e da quello di Santa Elisabetta (Lc 1,28; 1,42). Sono pronunciati da due personaggi diversi, che parlano in circostanze diverse, ma entrambi lo fanno in nome di Dio o sotto l'azione dello Spirito Santo: «Ti saluto, piena di grazia, il Signore è con te», le dice l'angelo nell'annunciazione; «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo». 

Questa pienezza di grazia e questa singolare benedizione della Madre di Dio si riferiscono al privilegio di un'immacolata concezione? I membri della Consulta teologica, istituita da Pio IX nel 1848, adottarono lo stesso atteggiamento che avevano assunto nei confronti del Protoevangelo. 

La maggior parte lo propose come argomento valido, e coloro che non avevano ammesso la forza probatoria del testo della Genesi non avrebbero ammesso nemmeno nelle parole del saluto angelico una prova diretta e specifica. Ma la Commissione speciale ragiona sugli argomenti per ammetterlo con consenso unanime, con questa precisazione: le parole dell'angelo non sarebbero sufficienti, prese materialmente, per provare il privilegio dell'Immacolata Concezione; lo provano, se si tiene conto della tradizione esegetica dei Santi Padri. 

Lo stesso vale per il passaggio della bolla che fa riferimento al saluto angelico. Pertanto, la prova che se ne deduce è indissolubilmente legata all'insegnamento dei Padri e degli scrittori ecclesiastici. L'immacolata concezione di Maria è lì contenuta in modo implicito, come elemento o parte integrante di quella pienezza di grazia, di quella speciale unione con Dio, di quella singolare benedizione attribuita alla Vergine per un duplice titolo: perché madre del Verbo incarnato e perché nuova Eva. 

Ci sono altri testi secondari, come quelli che si riferiscono alla sposa senza macchia, alla città santa o alla saggezza divina. Troviamo molti passaggi dell'Antico Testamento, come il Cantico dei Cantici, i Libri sapienziali e i Salmi. Questi passaggi, applicati alla Madre di Dio, possono essere compresi da coloro che conoscono il privilegio di Maria, ma non servono a provare dogmaticamente la dottrina e, pertanto, sono omessi dalla Costituzione Ineffabilis Deus e dalla Commissione speciale. Questi testi proclamano direttamente gli attributi della divinità; riferiti alla Vergine possono essere utili per la pietà e l'amore, ma presuppongono già una conoscenza preliminare del privilegio. 

Nel capitolo 12 del libro dell'Apocalisse è narrato un passo che a prima vista sembra riferirsi al glorioso privilegio di Maria: San Giovanni racconta una delle sue misteriose visioni avute sull'isola di Patmos: «Un grande segno apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle».  Gli artisti cristiani si sono ispirati a questo versetto per realizzare le migliori rappresentazioni della Vergine immacolata. San Pio X lo utilizzò nell'enciclica Ad diem illum, del 2 febbraio 1904, in occasione del cinquantesimo anniversario della definizione. Sebbene queste applicazioni non costituiscano un'interpretazione autentica, una semplice accomodazione è sufficiente per giustificarle. Perché si manifesta più direttamente, non tanto l'Immacolata Concezione, quanto la glorificazione e la maternità spirituale della nuova Eva, che hanno una stretta relazione con l'Immacolata Concezione. 

Coloro che hanno negato o negano l'immacolata concezione della Vergine — protestanti, greci scismatici, vetero-cattolici — si sono anche basati sulla Sacra Scrittura per fondare le loro opinioni. I testi che citano si riferiscono a quattro punti generali: l'universalità del peccato nei discendenti di Adamo; l'universalità della redenzione operata da Gesù Cristo; l'universalità della morte, considerata come effetto o pena del peccato; e la condizione del genere umano nell'ordine attuale. 

È vero che la Scrittura afferma l'universalità del peccato, della redenzione e della morte, e che i discendenti di Adamo sono soggetti a essi, a meno che Dio, con un atto della sua libera volontà, non faccia un'eccezione. Perché, in quanto Signore supremo, Egli ha il potere e il diritto di non applicare la legge in un caso concreto, senza compromettere per questo l'esistenza della legge stessa. Questa eccezione deve essere provata, non semplicemente supposta. Ma una volta provata, l'Immacolata Concezione della Vergine Maria non è incompatibile con l'universalità delle altre leggi. 

Possiamo quindi concludere che nella Sacra Scrittura, prescindendo dai testi secondari, il Protoevangelo e il saluto angelico, contemplati nella tradizione della Chiesa, contengono l'Immacolata Concezione di Maria. La contengono compresa nell'inimicizia con il serpente, nella pienezza di grazia, nell'unione con Dio, nella benedizione data a Maria, madre di Gesù, strettamente unita al Figlio, non solo come madre, ma anche come nuova Eva. 

Nella tradizione

Negli studi e nelle ricerche che hanno preceduto la dichiarazione del dogma dell'Immacolata Concezione, la dottrina dei Padri e degli scrittori ha meritato un'attenzione particolare, data l'importanza che riveste la fede professata nella Chiesa. Le epoche sono molto diverse tra loro e non ci è possibile soffermarci su ciascuna di esse, ma solo fare alcune considerazioni generali. 

Nel periodo compreso tra il Concilio di Nicea e il Concilio di Efeso (325-431 d.C.) altri temi occupano il centro della letteratura e delle controversie. È l'epoca dei grandi dottori e vi è un'abbondante letteratura mariana negli scritti di Sant'Atanasio, Basilio, Gregorio, Cirillo, Crisostomo. A prescindere dagli apocrifi, essa si manifesta nelle omelie sull'Annunciazione e la Natività della Vergine e nei panegirici o sermoni in suo onore. 

I Padri concentrano i loro sforzi nelle controversie contro gli eretici sui misteri della Trinità e dell'Incarnazione, perché sono quelli più attaccati. Per questo si pronunciano sulla Vergine in discorsi sulle diverse circostanze della sua vita. Nella Chiesa latina spiccano Sant'Ambrogio e Sant'Agostino. Sia in Oriente che in Occidente troviamo alcune verità continuamente riaffermate, tra cui l'esperienza implicita dell'Immacolata Concezione. Una di queste è la santità della Santissima Vergine: saremmo costretti a trascrivere una moltitudine di passaggi. 

Ma ci sono due punti che spiccano nella testimonianza dei Padri: l'assoluta purezza di Maria e la sua posizione di seconda Eva. 

Sia negli scritti orientali che in quelli occidentali troviamo l'antitesi di Eva in diverse forme. San Girolamo la enuncia in modo breve e familiare: «La morte per Eva, la vita per Maria». Sant'Ambrogio sottolinea più volte il ruolo di Eva e di Maria e il carattere verginale di quest'ultima, che è poi passato alla letteratura. 

La dottrina delle due Eve è molto presente nei Padri, anche se la maggior parte di essi si limita a enunciare l'antitesi tradizionalmente ripetuta: da Eva, la morte e l'espulsione; da Maria, la vita e la salvezza. Certamente Maria è sempre considerata in relazione al Verbo, dalla cui relazione traggono meravigliose conseguenze. Persino Nestorio, acerrimo nemico della maternità divina di Maria, esclude Maria dal peccato originale. Egli afferma che da lei è venuta la benedizione e la giustificazione al genere umano, così come da Eva era venuta la maledizione. Questa opposizione tra Eva e Maria, la nascita di Cristo da una carne senza peccato, merita a sua volta un'attenzione particolare. 

Nestorio continua il parallelo tra le due madri dell'umanità. La prima partorisce nel dolore, dolore che è proprio di tutte quelle che partoriscono, figlie di Eva, pena del peccato originale. Alla seconda, Maria, Dio ha preparato un parto senza dolore. Maria è la nuova madre, ma una madre vergine, che Dio ha dato alla natura umana. La condanna pronunciata contro Eva è stata distrutta dal saluto dell'angelo a Maria. A Eva, i dolori e i gemiti, frutti del peccato; a Maria, la gioia, frutto della grazia di cui è piena. 

Abbondano gli scritti patristici sull'assoluta purezza di Maria, espressi con termini molto eloquenti. Didimo di Alessandria afferma la sua assoluta verginità con queste parole espressive, che sono come una definizione: «Vergine immacolata sempre e in tutto». Quando parlano di verginità perfetta non si riferiscono solo all'integrità fisica, ma comprendono anche l'integrità dello spirito e dell'anima: Maria sempre vergine sarebbe anche Maria sempre santa. 

In un antico scritto, risalente secondo alcuni al IV secolo, secondo altri al V secolo, sono contenute alcune espressioni che sono state molto utilizzate e sfruttate dai difensori dell'Immacolata Concezione. Esso contiene il seguente ragionamento: il primo uomo era stato creato e formato dalla terra immacolata, era necessario che l'uomo perfetto nascesse dalla vergine immacolata. 

Non è possibile citare tutti gli autori e le opere in cui i Padri esprimono il loro pensiero. Bastano alcune espressioni che dimostrano la loro convinzione. I Padri chiamano Maria il tabernacolo esente da profanazione e corruzione. Origene la definisce degna di Dio, immacolata dall'immacolato, la più completa santità, perfetta giustizia, né ingannata dalla persuasione del serpente, né infettata dal suo alito velenoso. 

Sant'Ambrogio afferma che ella è incorrotta, una vergine immune per grazia da ogni macchia di peccato. Confutando Pelagio, Sant'Agostino dichiara che tutti i giusti hanno veramente conosciuto il peccato «eccetto la Santa Vergine Maria, della quale, per l'onore del Signore, non metterei in discussione nulla per quanto riguarda il peccato». 

I Padri siriani non si stancavano mai di lodare l'impeccabilità di Maria. Sant'Efrene non riteneva eccessivi alcuni termini di elogio per descrivere l'eccellenza della grazia e della santità di Maria: «La Santissima Signora, Madre di Dio, l'unica pura nell'anima e nel corpo, l'unica che supera ogni perfezione di purezza, unica dimora di tutte le grazie dello Spirito Santissimo, e, quindi, superando ogni paragone anche con le virtù angeliche in purezza e santità dell'anima e del corpo... mia Signora santissima, purissima, senza corruzione, inviolata, pegno immacolato di Colui che si è rivestito di luce e pegno... fiore immortale, porpora tessuta da Dio, l'unica immacolata». Per Sant'Efrone era innocente come Eva prima della caduta, una vergine lontana da ogni macchia di peccato, più santa dei serafini, sigillo dello Spirito Santo, seme puro di Dio, per sempre intatta e senza macchia nel corpo e nello spirito. 

Si potrebbero citare molte altre testimonianze. In tutte esse appare chiaramente che la credenza nell'immunità di Maria dal peccato nel suo concepimento prevaleva tra i Padri, specialmente quelli della Chiesa greca. Ma il carattere retorico di questi e altri passaggi simili ci mette in guardia da tendenze troppo forzate e da interpretazioni in senso strettamente letterale. I Padri greci non hanno mai discusso formalmente o esplicitamente la questione dell'Immacolata Concezione. 

Consiglio di Efeso

È indiscutibile che il concilio di Efeso abbia avuto un'influenza considerevole sul culto e sulla teologia mariana. Proclamando solennemente che la Vergine Maria era veramente madre di Dio, ha attirato l'attenzione dei dottori sulla sublime dignità espressa da questo titolo. Per questo motivo, nella predicazione e negli scritti proliferano magnifici elogi, graziosi paragoni, interminabili litanie di epiteti laudativi. 

Allo stesso tempo, il culto mariano progredisce rapidamente: le feste in onore della Vergine si diffondono in tutto il mondo orientale. La festa che sembra aver inaugurato il ciclo, la festa dell'Annunciazione, è celebrata dal V secolo a Gerusalemme, Costantinopoli e in altre città, anche se è solo a metà del VI secolo che viene fissata la data del 25 marzo per la sua celebrazione. 

Dalla lunga serie di testi di questi secoli e dei secoli successivi si può concludere che, a partire dal Concilio di Efeso, non solo è stato formulato in modo implicito il dogma cattolico dell'Immacolata Concezione, ma è stata anche manifestata esplicitamente la fede in esso con espressioni sufficientemente chiare. Lo hanno espresso con formule positive, piuttosto che negative. Invece di dire «Maria è stata preservata dal peccato originale», dicono: «Maria è piena di grazia, pienamente santificata fin dal suo apparire nel grembo materno. È una creatura nuova, creata a immagine dell'Adamo innocente». 

Il periodo che va dal Concilio di Efeso alla separazione definitiva della Chiesa orientale (1054 d.C.) presenta come tratti comuni la tendenza a concepire e insistere sulla maternità divina, la santità e la pienezza di grazia proprie della Vergine. Le condizioni sono diverse tra Oriente e Occidente: la dottrina è rapida e vigorosa in Oriente, mentre è lenta e indecisa in Occidente. Ciò si spiega per due ragioni principali: gli squilibri e l'instabilità causati dalle invasioni nei paesi latini e la reazione della teologia nella sua lotta contro il pelagianesimo. 

Tuttavia, esistono testimonianze che consentono di intravedere una fede esplicita nell'immacolata concezione. Lo sviluppo dottrinale coincide con lo sviluppo culturale che si manifesta soprattutto nell'introduzione di feste in onore della Vergine. La festa dell'Immacolata Concezione non è tra le prime, poiché fa la sua comparsa alla fine di questo periodo, ma è notevole di per sé e soprattutto per l'influenza che avrebbe esercitato nell'affermazione e nella diffusione di questa credenza pia. 

Padri postefesini

Tra le testimonianze dei Padri latini post-fesini, ve ne sono alcune positive e altre negative riguardo alla credenza nell'immacolata concezione. Quelle negative si trovano soprattutto in Sant'Agostino e tra i suoi discepoli, poiché si ispirano esclusivamente, o quasi esclusivamente, agli scritti antipelagiani del Santo; come è comprensibile, in questi scritti Sant'Agostino rifiuta e confuta le dottrine pelagiane e deve riaffermare l'universalità del peccato originale e il legame che esiste tra la generazione umana e il concepimento nel peccato. 

Ci sono altre testimonianze positive a favore della credenza nell'Immacolata Concezione, sia perché preparano il terreno per una nozione trascendente e devota della madre di Dio, sia perché contengono già in modo equivalente la credenza nell'immacolata concezione. Maria è per loro la nuova Eva, strumento della nostra salvezza e madre dei viventi nell'ordine della grazia. A poco a poco l'idea di santità o di innocenza perfetta e perpetua appare intimamente legata a quella di Maria, madre di Dio. 

Nella seconda metà dell'XI secolo e all'inizio del XII si prepara la grande controversia sull'Immacolata Concezione che si svilupperà nei due secoli successivi. Provocata dallo sviluppo che sta assumendo la festa della Concezione, la discussione si concentra soprattutto sull'oggetto della festa stessa e sulle credenze che essa implica. Il problema viene affrontato con chiarezza e profondità, con obiezioni poste al centro della questione. Per questo motivo il trionfo della pia credenza si impone e diventa poco a poco completo e definitivo. 

Alcuni scrittori e santi sostenevano che a tutti, eccetto al Salvatore, dovessero essere applicate le parole della Scrittura: «Sono stato formato nella malvagità e mia madre mi ha concepito nel peccato». Opponevano la carne di Cristo Salvatore a quella di Maria, essendo state entrambe concepite, una senza peccato e l'altra nel peccato. 

Ma ecco che compare il grande iniziatore e dottore, Sant'Anselmo, arcivescovo di Canterbury, che risponde a tale obiezione. Poiché Cristo è Dio e riconcilia i peccatori con la propria virtù, deve essere immune da ogni peccato, il che significa affermare che proviene da una massa peccatrice, ma liberata dal peccato. Pur riconoscendo il mistero, di fronte alle insistenze dei suoi avversari, Sant'Anselmo propone una spiegazione che passerà alla dottrina successiva. 

I frutti della redenzione non riguardano solo coloro che sono vissuti dopo il Salvatore, ma anche coloro che sono vissuti prima di lui devono beneficiare, grazie alla fede nel futuro redentore, della purificazione dai propri peccati. Grazie a questo atto di fede, la Vergine è stata purificata da un'applicazione anticipata dei meriti di suo Figlio, ed è dalla Vergine purificata che Cristo è stato concepito. La purificazione particolare e privilegiata della Vergine Maria è un'applicazione anticipata dei meriti di suo Figlio, unico e universale redentore. 

La controversia nasce, tenendo conto delle dottrine precedenti, quando in Inghilterra si ricomincia a celebrare la festa dell'Immacolata Concezione. Essa era già celebrata prima della conquista normanna, ma era caduta in disuso fino a scomparire. Tuttavia, quando Anselmo il Giovane, nipote di Sant'Anselmo, e altri vollero ripristinarla, sorsero opposizioni alla festa e alla dottrina, che provocarono vive recriminazioni: gli avversari della festa dichiararono che essa non aveva ragione di esistere. Il risultato della controversia fu importante per la festa, ma anche per la fede nel privilegio di Maria. Per rispondere alle obiezioni di coloro che contestavano la legittimità di questo culto, i difensori si sforzarono di promuovere e spiegare perché e in base a quale concetto ritenevano degna di venerazione la madre di Dio. In questo modo affermarono la purezza e la santità originaria della beata Vergine Maria. 

La controversia in Occidente è come una continuazione della precedente, provocata dalla stessa causa, ma che ha un'eco più grande a causa della qualità e della fama dei personaggi coinvolti. Tra le affermazioni degli inglesi si diceva, fornendo molte testimonianze, che la festa veniva celebrata nel continente come in Inghilterra. 

Il movimento di espansione raggiunse Lione e i canonici della sede primaziale adottarono la festa, provocando l'intervento di San Bernardo. Per qualche tempo rimase in silenzio con una certa impazienza, in considerazione della pietà di coloro che la veneravano nella semplicità del loro cuore e per amore della Vergine. Ma pensò che il momento fosse giunto e verso il 1138 scrisse la famosa Lettera ai canonici di Lione. 

Dopo l'esordio di elogi alla sua sede primaziale, prepara il suo attacco. Protesta contro quella che considera una cattiva innovazione e una riprovevole accettazione di una solennità estranea alla Chiesa, priva di fondamento razionale, non sostenuta dall'antica tradizione. Sostiene che Maria fu santificata nel grembo di sua madre prima di nascere, perché anche lei era santa. Ma Maria non può essere santa prima di esistere e non esiste prima di essere concepita. 

Pertanto, se la Vergine non ha potuto essere santificata prima del suo concepimento, perché non esisteva ancora al momento del suo concepimento, poiché era affetta dal peccato, non ci resta che ammettere che Ella ha ricevuto il dono della santità dopo il suo concepimento, quando già esisteva nel grembo materno. La sua nascita è santa, ma non il suo concepimento. Di conseguenza, se la santità manca nel concepimento di Maria, essa non può essere oggetto di culto. 

L'intervento di un personaggio così importante come l'abate di Claraval non poteva passare inosservato e provocò una lunga controversia, che ci è stata tramandata in numerosi scritti, a difesa della festa dell'Immacolata Concezione. L'affermazione del glorioso privilegio sta guadagnando terreno e aumenta il numero dei suoi sostenitori, che difendono la festa dell'Immacolata Concezione in senso immacolatista. Si può affermare che nel XII secolo la concezione di Nostra Signora è stata celebrata in molte parti. 

Nel XIII secolo

Arriviamo al punto critico della controversia nel XIII secolo. I teologi di questo secolo trattano ordinariamente il problema in relazione alla santificazione di Maria, e anche in relazione alla festa dell'Immacolata Concezione: quando ha luogo la prima santificazione della madre di Dio, prima o dopo l'animazione mediante l'infusione dell'anima in un corpo capace. Questi due momenti, prima dell'animazione e dopo l'animazione, si suddividono in molti altri punti e questioni. Tutti concordano nell'ammettere la santificazione dopo l'animazione, poiché Dio non poteva negare a sua madre il privilegio che aveva concesso a Geremia e a San Giovanni Battista. 

I teologi francescani hanno in Alessandro di Hales e in San Bonaventura i loro principali maestri. Alessandro di Hales (m. 1245) riassume la sua dottrina in quattro punti, che a loro volta si scompongono e comprendono molte altre questioni: La beata Vergine non è stata santificata prima del suo concepimento; la beata Vergine non è stata santificata nell'atto stesso del concepimento; la beata Vergine non ha potuto essere santificata dopo il suo concepimento e prima dell'infusione dell'anima; non resta quindi che ammettere che la beata Vergine è stata santificata dopo l'unione del corpo e dell'anima, ma prima della sua nascita. 

San Bonaventura (m. 1274), professore a Parigi dal 1248 al 1255, insegna sostanzialmente la stessa dottrina del suo maestro, ma tratta separatamente la santificazione della carne e dell'anima e riduce le questioni. L'anima di Maria sarebbe stata santificata nell'istante stesso della sua creazione e quindi non avrebbe contratto il peccato originale. È stata liberata da Gesù Cristo, ma non come gli altri, perché mentre tutti gli altri sono stati tirati fuori dal precipizio in cui erano caduti, la madre di Dio è stata sostenuta proprio sul bordo del precipizio affinché non cadesse. Maria deve la sua esenzione dal peccato originale alla grazia che dipende e viene dal Salvatore. Ma, nonostante le affermazioni precedenti, quando si riferisce al corpo e alla persona nella sua interezza, afferma che la Vergine non è stata santificata se non dopo aver contratto il peccato originale. 

Alejandro de Hales, alla fine della sua vita, avrebbe ammesso il glorioso privilegio e avrebbe composto uno scritto a suo favore. San Buonaventura, eletto ministro generale dei frati minori, ha fatto lo stesso, istituendo per il suo Ordine la festa dell'Immacolata Concezione nel capitolo di Pisa, nell'anno 1263. I teologi e i discepoli francescani, che insegnavano a Parigi nel XIII secolo, hanno ripetuto la dottrina di questi due maestri e non se ne trova nessuno che abbia accettato e difeso la dottrina dell'Immacolata Concezione. 

Tra i teologi domenicani spicca Sant'Alberto Magno (m. 1280), professore a Parigi dal 1245 al 1248. Egli tratta questa questione in due articoli: La beata Vergine Maria fu santificata prima o dopo il suo concepimento? La risposta non lascia dubbi: Maria non poté essere santificata prima del suo concepimento. La Vergine fu concepita come gli altri mortali; la grazia della santificazione non può venire dalla carne, ma la carne partecipa alla santificazione attraverso l'anima, distinta dalla carne. 

E la questione si ripropone: la carne della Vergine è stata santificata prima o dopo l'animazione? Sant'Alberto respinge l'ipotesi di una santificazione precedente all'animazione, già condannata da San Bernardo nella sua lettera ai canonici di Lione e dai teologi di Parigi. La carne in sé non ha la capacità di ricevere la grazia santificante; non può esserci santificazione prima dell'animazione. 

Il dibattito continuò durante il XIII e il XIV secolo, e nomi illustri si schierarono da una parte o dall'altra. San Pietro Damiani, Pietro Lombardo, Alessandro di Hales, San Buonaventura e Alberto Magno sono citati in opposizione. 

San Tommaso si pronunciò inizialmente a favore della dottrina nel suo trattato sulle Sentenze (in 1 Sent. c. 44, q. 1 ad 3); tuttavia, nella sua Summa Theologica giunse alla conclusione opposta. Sono sorte molte discussioni a favore o contro San Tommaso, negando che la Santissima Vergine fosse immacolata dal momento della sua animazione, e sono stati scritti libri per negare che egli fosse giunto a tale conclusione. Tuttavia, è difficile affermare che San Tommaso non abbia considerato almeno per un istante la successiva animazione di Maria e la sua precedente santificazione. Questa grande difficoltà nasce dal dubbio su come avrebbe potuto essere redenta se non avesse peccato. Tale difficoltà è manifesta in almeno dieci passaggi dei suoi scritti. Ma, anche se San Tommaso riteneva questo punto essenziale per la sua dottrina, egli stesso fornì i principi che, dopo essere stati considerati nel loro insieme e in relazione a questi lavori, suscitarono altri pensieri che contribuirono alla soluzione di questa difficoltà partendo dalle sue stesse premesse. 

Nel XIII secolo l'opposizione era in gran parte dovuta al desiderio di chiarire l'oggetto della controversia. Il termine «concezione» era usato in diversi significati, che non erano stati separati dalla definizione. Se San Tommaso, San Bonaventura e altri teologi avessero conosciuto il significato della definizione del 1854, l'avrebbero difesa con fermezza dai loro oppositori. Possiamo formulare la questione da loro discussa in due proposizioni, entrambe contrarie al significato del dogma del 1854: la santificazione di Maria avvenne prima dell'infusione dell'anima nella carne, in modo che l'immunità dell'anima fosse conseguenza della santificazione della carne e non vi fosse alcun rischio da parte dell'anima di contrarre il peccato originale. La santificazione avvenne dopo l'infusione dell'anima per la redenzione dalla schiavitù del peccato, che l'anima trascinò dalla sua unione con la carne non santificata. Questa formulazione della tesi esclude una concezione immacolata. 

I teologi dimenticarono che tra la santificazione prima dell'infusione e la santificazione dopo l'infusione esisteva una via di mezzo: la santificazione dell'anima al momento dell'infusione. Sembravano estranei all'idea secondo cui ciò che era successivo nell'ordine della natura potesse essere simultaneo in un punto nel tempo. Considerata speculativamente, l'anima sarebbe stata creata prima di poter essere infusa e santificata, ma in realtà l'anima è creata e santificata nello stesso momento dell'infusione nel corpo. La loro principale difficoltà era l'affermazione di San Paolo secondo cui tutti gli uomini hanno peccato in Adamo. La proposta di questa affermazione paolina, tuttavia, insiste sulla necessità che tutti gli uomini hanno della redenzione di Cristo. Nostra Signora non faceva eccezione a questa regola. 

Una seconda difficoltà era rappresentata dal silenzio dei primi Padri. Ma i teologi di quel tempo non si distinguevano tanto per la loro conoscenza dei Padri o della storia, quanto per il loro esercizio del potere del ragionamento. Leggevano più i Padri occidentali che quelli della Chiesa orientale, i quali esponevano in modo più ampio la tradizione dell'Immacolata Concezione. E alcuni lavori dei Padri che erano stati dimenticati, tornarono di attualità in quel momento. 

Dottor Subtilis 

Il famoso Duns Scoto, il Doctor subtilis, difensore dell'Immacolata, nacque in Scozia nel 1265 o 1266. Entrò nell'Ordine Francescano e ebbe come maestro nei suoi studi teologici Guglielmo Ware, uno dei più appassionati difensori dell'Immacolata Concezione. Scoto succedette al suo maestro alla cattedra di Oxford e qui iniziò a difendere la sentenza immacolista. Da Oxford passò a Parigi e ottenne il dottorato e il magistero alla Sorbona. Anche il suo maestro, Ware, aveva insegnato a Parigi, ma non sembra che abbia avuto occasione di difendere pubblicamente il privilegio di Maria. Colui che attirò maggiormente l'attenzione generale sull'Immacolata Concezione e si impose fu Scoto. Questo avvenne all'inizio del 1300. Alcuni anni dopo, un deciso avversario del privilegio della Vergine, il domenicano Gerardo Renier, definì Scoto «il primo seminatore di questo errore» (riferendosi all'opinione che difendeva il privilegio della Vergine Maria). Questo avvenne nel 1350. 

A proposito dell'influenza che Scoto ebbe sul trionfo della dottrina dell'Immacolata Concezione, in seguito divenne popolare il racconto di una meravigliosa disputa tenutasi a Parigi per ordine della Santa Sede e alla presenza dei suoi delegati. Il suo scopo era quello di dissipare le ombre che si stavano accumulando nelle scuole teologiche contro il privilegio insigne della Madre di Dio. 

Bernardino de Bustis, nell'ufficio liturgico che compose in onore di Maria Immacolata, approvato da Sisto IV nel 1480, si esprime così: «Ci fu un tempo in cui alcuni religiosi si infiammarono con tale furore contro l'Immacolata Concezione, che chiamavano eretici i francescani, perché nella loro predicazione difendevano che la Vergine era stata concepita senza peccato. Per ordine della Santa Sede si tenne una disputa pubblica alla Sorbona. Gli accusatori intervennero nella discussione con un gran numero di dottori. Ma il Signore, per proteggere la dignità della sua amata Madre, inviò improvvisamente a questo appuntamento Scoto, eminente dottore dell'Ordine dei Francescani. Egli confutò tutti i fondamenti e gli argomenti dell'avversario con una argomentazione inconfutabile. In questo modo fece risplendere con tanta luce la santità del concepimento della Vergine, che tutti quei frati, pieni di ammirazione per la sua sottigliezza, si chiusero nel silenzio e cessarono la discussione. Di conseguenza, l'opinione dei francescani fu approvata dalla Sorbona e Scoto fu chiamato il dottore sottile». 

Questa discussione ebbe luogo alla fine del 1307 o all'inizio del 1308. Scoto sarebbe venuto appositamente a Parigi da Oxford. Quando arrivò il giorno dell'atto sorbonico, come veniva chiamata quella discussione, mentre Scoto si recava sul luogo della discussione, si inginocchiò davanti a un'immagine della Vergine che si trovava sul suo cammino e le rivolse questa preghiera: «Concedimi di lodarti, Vergine sacra: dammi la forza contro i tuoi nemici». La Vergine, come per ringraziarlo di questo gesto, chinò il capo: posizione che ha conservato in seguito. 

Una volta iniziata la discussione, gli oppositori svilupparono contro Scoto una cascata di argomenti; si dice che fossero più di duecento. Scoto li ascoltò tutti con attenzione, ma con la tranquillità riflessa sul volto. Quando gli avversari tacquero, iniziò a confutare le loro argomentazioni: ribatté uno per uno i loro argomenti nello stesso ordine in cui gli erano stati proposti. Conseguenza di quella discussione fu non solo l'approvazione da parte della Sorbona dell'opinione immacolatista, ma anche l'adozione da parte di quell'università della corrispondente festa e il rifiuto di conferire titoli accademici a coloro che osavano manifestare un sentimento contrario. 

Francisco Mayroni, discepolo di Escoto, riassumeva così l'argomentazione del suo maestro: «Dio ha potuto preservare Maria dal peccato: era opportuno che lo facesse: quindi lo ha fatto». 

Scoto pose le basi della vera dottrina in modo così solido e dissipò i dubbi in modo così soddisfacente che da allora in poi la dottrina prevalse. Egli dimostrò che la santificazione dopo l'animazione doveva avvenire nell'ordine della natura, non del tempo; risolse la grande difficoltà di San Tommaso dimostrando che, lungi dall'essere esclusa dalla redenzione, la Santissima Vergine ottenne dal suo Divin Figlio la più grande delle redenzioni attraverso il mistero della sua preservazione da ogni peccato. Introdusse anche, per via dell'illustrazione, il pericoloso e dubbio argomento di Eadmer: «decuit, potuit, ergo fecit». 

La controversia 

A partire dall'epoca di Scoto, la dottrina non solo divenne opinione comune nelle università, ma la festa si diffuse anche in quei paesi dove non era stata precedentemente adottata. Ad eccezione dei domenicani, tutti o quasi tutti gli ordini religiosi la fecero propria: i francescani, nel Capitolo Generale di Pisa del 1263, adottarono la festa dell'Immacolata Concezione in tutto l'Ordine; ciò, tuttavia, non significa che a quel tempo professassero la dottrina dell'Immacolata Concezione. Seguendo le orme di Duns Scoto, i suoi discepoli Pietro Aureolo e Francesco da Mayrone furono i più ferventi difensori della dottrina, anche se i loro antichi maestri (incluso San Bonaventura) si erano opposti ad essa. 

La controversia continuò, ma i sostenitori dell'opinione opposta erano per lo più membri dell'Ordine Domenicano. Nel 1439 la disputa fu portata davanti al Concilio di Basilea, dove l'Università di Parigi, precedentemente contraria alla dottrina, dimostrandosi sua ardente sostenitrice, chiese una definizione dogmatica. I due relatori al concilio furono Juan de Segovia e Juan Torquemada. Dopo essere stata discussa per due anni prima dell'assemblea, i vescovi dichiararono l'Immacolata Concezione una dottrina pia, conforme al culto cattolico, alla fede cattolica, al diritto razionale e alla Sacra Scrittura; d'ora in poi, dissero, non era permesso predicare o dichiarare qualcosa in contrario. I Padri del concilio affermavano che la Chiesa di Roma stava celebrando la festa. Questo è vero solo in un certo senso. Era celebrata in alcune chiese di Roma, specialmente in quelle degli ordini religiosi, ma non era stata adottata nel calendario ufficiale. Poiché il concilio a quel tempo non era ecumenico, non poteva pronunciarsi con autorità. Il memorandum del domenicano Torquemada servì da armatura per ogni attacco alla dottrina sferrato da Sant'Antonio da Firenze e dai domenicani Bandelli e Spina. 

Con un decreto del 28 febbraio 1476, Sisto IV adottò finalmente la festa per tutta la Chiesa latina e concesse un'indulgenza a tutti coloro che avessero partecipato alle funzioni divine della solennità. L'ufficio adottato da Sisto IV fu composto da Bernardo di Nogarolis, mentre i francescani utilizzarono dal 1480 un bellissimo Ufficio uscito dalla penna di Bernardino da Busti, che fu concesso anche ad altri (ad esempio in Spagna, 1761), e fu cantato dai francescani fino alla seconda metà del XIX secolo. Poiché il riconoscimento pubblico della festa da parte di Sisto IV non placò sufficientemente il conflitto, nel 1483 egli pubblicò una costituzione in cui puniva con la scomunica chiunque fosse accusato di eresia. Nel 1546 il Concilio di Trento, quando la questione fu affrontata, dichiarò che «non era intenzione di questo Santo Sinodo includere in un decreto ciò che riguarda il peccato originale della Santissima e Immacolata Vergine Maria Madre di Dio». Poiché questo decreto non definiva la dottrina, i teologi contrari al mistero, sebbene in numero ridotto, non si arresero. San Pio V non solo condannò la proposizione 73 di Bayo, secondo la quale «nessun altro che Cristo era senza peccato originale e che, inoltre, la Santissima Vergine morì a causa del peccato contratto in Adamo e soffrì afflizioni in questa vita, come il resto dei giusti, come punizione per il peccato attuale e originale», ma pubblicò anche una costituzione in cui proibiva ogni discussione pubblica. Infine inserì un nuovo e semplificato Ufficio dell'Immacolata Concezione nei libri liturgici. 

Durante queste dispute, le grandi università e la maggior parte dei grandi ordini religiosi divennero baluardi della difesa del dogma. Nel 1497 l'Università di Parigi decretò che d'ora in poi non sarebbe stato ammesso come membro dell'università chi non avesse giurato di fare tutto il possibile per difendere e mantenere l'Immacolata Concezione di Maria. Tolosa seguì l'esempio; in Italia, Bologna e Napoli; nell'Impero tedesco, Colonia, Magonza e Vienna; in Belgio, Lovanio; in Inghilterra, prima della Riforma, Oxford e Cambridge; in Spagna, Salamanca, Toledo, Siviglia e Valencia; in Portogallo, Coimbra ed Evora; in America, Messico e Lima. 

I Frati Minori confermarono nel 1621 la scelta della Madre Immacolata come patrona dell'Ordine e si impegnarono con giuramento a insegnare il mistero in pubblico e in privato. I domenicani, tuttavia, si trovarono nell'obbligo speciale di seguire le dottrine di San Tommaso; e le conclusioni comuni di San Tommaso erano contrarie all'Immacolata Concezione. I domenicani, quindi, affermarono che la dottrina era un errore contro la fede. Sebbene adottassero la festa, parlavano insistentemente di «Santificazione della Vergine Maria», non di «Concezione», fino a quando nel 1622 Gregorio V abolì il termine «santificazione». Pablo V (nel 1617) decretò che non si doveva insegnare pubblicamente che Maria fosse stata concepita nel peccato originale, e Gregorio V (nel 1622) impose il silenzio assoluto, sia negli scritti che nei sermoni, anche se privati, sugli avversari della dottrina, fino a quando la Santa Sede non avesse definito la questione. Per porre fine a ogni ulteriore cavillosa discussione, Alessandro VI promulgò l'8 dicembre 1661 la famosa costituzione Sollicitudo omnium Ecclesiarum, difendendo il vero significato della parola concezione e proibendo ogni ulteriore discussione contro il comune e pio sentimento della Chiesa. Dichiarò che l'immunità di Maria dal peccato originale nel primo momento della creazione della sua anima e la sua infusione nel corpo erano oggetto di fede. 

Verso la definizione

Arriviamo all'ultimo periodo, caratterizzato dal trionfo definitivo dell'Immacolata Concezione durante il pontificato di Pio IX. Ma prima, nella prima metà del XIX secolo, soprattutto a partire dal 1830, si susseguono una serie di eventi particolari. Dal 1800 al 1830, durante i pontificati di Pio VII e Leone XII, sono rare le azioni a favore del privilegio mariano, anche se vi sono alcuni dettagli specifici. 

Il cardinale Mauro Capellari, religioso camaldolese, fu eletto papa il 2 febbraio 1831 e assunse il nome di Gregorio XVI (1831-1846). Fin dall'inizio si mostrò favorevole al privilegio della Vergine. Nel primo anno del suo pontificato concesse indulgenze, su richiesta dei francescani di Santa Fe de Bogotá, ai fedeli che avessero assistito alla messa dell'Immacolata Concezione nella chiesa di questi religiosi, onorando la Madre di Dio «concepita senza peccato», e nel 1834 confermò la fondazione della Società della Misericordia nell'espressione di Maria «immacolata nel suo concepimento». 

I sostenitori della definizione si sentirono incoraggiati a insistere nelle loro richieste. Era accaduto un evento meraviglioso che li spingeva a riprendere quel cammino e illuminava con una luce soprannaturale quella convinzione. 

Richieste dei vescovi

Le prime richieste presentate non avevano come oggetto la definizione del privilegio, bensì l'autorizzazione a dire nella prefazione della festa: Et te in conceptione immaculata. Alla richiesta del cardinale di Siviglia erano seguite non meno di 211 suppliche, in cui venivano addotte le stesse ragioni esposte dal cardinale nella sua lettera a Mons. Quélen: «Considerando che le concessioni pontificie accordate finora si riferiscono al culto tributato a Maria nell'ufficio corale e ad altri omaggi che sono ordinari e che i fedeli non possono partecipare per onorare la Santissima Vergine e l'utilità del popolo cristiano reclama, con giustizia, che siano offerti ai semplici fedeli i mezzi per poter esercitare questo culto così pio; vedo che un mezzo che può servire a questo scopo è aggiungere alla litania della Madonna questa lode e questa invocazione: Regina sine labe concepta, ora pro nobis». Questo movimento si diffonde e lo stesso favore viene richiesto da molti vescovi, superiori di ordini religiosi, rettori di chiese particolari, ecc., anche per inserirlo nella prefazione della Messa. Le due richieste vengono accolte e concesse contemporaneamente a diversi vescovi tra l'aprile 1844 e il maggio 1847. Nel 1843 il cardinale Lambruschini, Segretario di Stato di Gregorio XVI, fa pubblicare una controversa dissertazione sull'Immacolata Concezione. L'autore riassumeva le prove del privilegio: convenienza, Sacra Scrittura, atti pontifici, testimonianze dei Padri e dottrina dei teologi, soprattutto il consenso comune dei fedeli, presentato come garanzia di certezza e come preparazione alla definizione formale, che dichiara possibile, utile e conveniente. Egli adduce anche la meravigliosa diffusione della medaglia miracolosa e delle conversioni che ne sono seguite. Questa dissertazione fu tradotta nelle principali lingue e ebbe grande risonanza negli ambienti cattolici. 

Gregorio XVI si mostrò favorevole a una solenne proclamazione, ma si attenne alle circostanze. In una lettera indirizzata al vescovo di La Rochelle gli diceva che «nulla gli sarebbe stato più gradito che proclamare con un giudizio solenne l'Immacolata Concezione della santa Madre di Dio», ma che non lo aveva fatto per ragioni di estrema prudenza dettate dalle circostanze. 

I timori e la paura di possibili reclami, nel caso di una sanzione solenne del privilegio, non erano infondati, in particolare da parte della Germania. In Francia esisteva una silenziosa opposizione nei circoli giansenisti o giansenizzanti e tra un certo numero di gallicani, anche se tale opposizione si manifestò più tardi durante il pontificato di Pio IX. 

Pio IX 

Giovanni Maria Mastai Ferretti fu eletto Papa il 16 giugno 1846 e prese il nome di Pio IX, in memoria e in riconoscimento di Pio VII, al quale era succeduto come vescovo di Imola e al quale doveva la sua ordinazione sacerdotale. Personalmente faceva parte di coloro che difendevano il privilegio della Vergine. Per lui fu un grande onore ratificare un segno significativo di devozione verso la Vergine Immacolata che i vescovi del Nord America, riuniti a Baltimora in concilio provinciale, avevano deciso con entusiasmo e all'unanimità di acclamare la Beata Vergine Maria concepita senza peccato come patrona degli Stati Uniti d'America. Altri atti pontifici rafforzano le buone intenzioni del Pontefice. 

Tra il luglio 1846 e il maggio 1847 i vescovi continuano a chiedere il doppio favore: inserire nel prefazio della Messa l'epiteto Immacolata e nelle litanie l'invocazione Regina concepita senza peccato. Allo stesso tempo, numerose sono le richieste di una definizione negli anni dal 1846 al 1848, che si aggiungono a quelle già avanzate durante il pontificato di Gregorio XVI. Per il nuovo Papa fu una grande gioia ricevere un centinaio di suppliche da vescovi di varie parti, vicari apostolici, superiori di ordini religiosi e altre dal re delle Due Sicilie, con una richiesta personale di Ferdinando II, re di Napoli. 

Prima che queste richieste giungessero a Roma, Pio IX aveva già manifestato il proprio pensiero: un decreto della Sacra Congregazione dei Riti, firmato da lui stesso il 30 settembre 1847, autorizzava un Ufficio interamente dedicato all'Immacolata Concezione di Maria, con Messa per il giorno della festa e durante l'ottava. 

Nello stesso anno, il 1847, padre Juan Perrone, prefetto degli studi al Collegio Romano, pubblica un scritto intitolato Disquisizione teologica, in cui esamina «se l'Immacolata Concezione della beata Vergine Maria potesse essere oggetto di una definizione dogmatica». Dopo una prima parte storico-critica, in cui riassume la storia della controversia e le sue molteplici fasi, espone e discute il valore reale degli argomenti contrari e favorevoli al privilegio. Giunge alla seguente conclusione: non si trova nulla di realmente contrario nella Sacra Scrittura, né nei Santi Padri, né negli scrittori ecclesiastici antichi, né nei documenti liturgici, né negli atti dei concili o dei pontefici romani, né nelle ragioni teologiche; le testimonianze chiaramente contrarie appartengono al periodo della controversia. Al contrario, sia la Sacra Scrittura che la tradizione fin dai primi secoli attestano con testimonianze positive l'esistenza di questa credenza. 

Nella seconda parte, teologico-critica, dopo aver esaminato le condizioni richieste affinché una dottrina possa essere oggetto di una definizione dogmatica e come esse fossero soddisfatte in questo caso, indaga nella rivelazione scritta o trasmessa e trova ragioni sufficienti per emanare un decreto pontificio sull'Immacolata Concezione come dogma di fede. 

Pio IX intraprende il percorso che porterà alla proclamazione dogmatica dell'8 dicembre 1854. Il 1° giugno 1848 costituisce una commissione di teologi incaricata di esaminare la questione. Essa è composta da 20 membri: prelati appartenenti alle Congregazioni romane, generali di vari ordini religiosi e rinomati maestri. 

Durante il suo soggiorno a Gaeta, il 6 dicembre 1848, aveva nominato una commissione di otto cardinali e cinque consultori, che si sarebbero riuniti a Napoli sotto la presidenza del cardinale Lambruschini per costituire una congregazione preparatoria. La riunione si tenne il 22 dicembre. Le deliberazioni vertevano su due questioni: la prima riguardava se, di fronte alle richieste dei vescovi del mondo cattolico e di Ferdinando II, fosse opportuno che il Santo Padre dichiarasse che la Beata Vergine Maria aveva goduto del privilegio particolare di essere stata concepita senza peccato originale. La seconda riguardava se, nelle circostanze attuali, fosse opportuno che Sua Santità procedesse a tale dichiarazione. 

Discussa la questione, tutti i membri presenti hanno risposto affermativamente alla prima domanda, mentre non c'è stata unanimità sulla seconda e la discussione si è protratta a lungo, consigliando a Sua Santità di indirizzare un'enciclica ai vescovi di tutto il mondo per chiedere preghiere in vista della definizione e anche per invitarli a dare la loro opinione sull'opportunità. I consultati dovevano rispondere ai seguenti cinque punti: se constatavano che la Chiesa dei nostri giorni richiedeva una definizione dogmatica dell'Immacolata Concezione di Maria; se la Chiesa, diffusa in tutto il mondo, fin dai tempi apostolici aveva ammesso il privilegio escludendo ogni ombra di peccato originale, seguendo la dottrina esplicitamente sostenuta dai primi apologeti che avevano trattato ex professo questo argomento; cosa offre l'Antico Testamento a favore o contro l'Immacolata Concezione, se dice qualcosa; cosa dice anche il Nuovo Testamento; se i dati che si possono ricavare dall'esame dei testi greco-orientali e latini del III secolo e immediatamente successivi, e di altri fino ai giorni nostri, consentono di affermare la pia credenza della Chiesa nell'Immacolata Concezione della Vergine Maria. 

Le risposte alle prime due domande e all'ultima erano affermative. Quelle relative alla Sacra Scrittura necessitavano di un ulteriore approfondimento. Un consultore fu incaricato di studiare la modalità di definizione, scegliendo una definizione in forma positiva e con anatema, in una bolla dogmatica con le consuete formalità, che sarebbe stata pubblicata al momento e nel luogo opportuni. 

L'enciclica «Ubi Primum» 

Pio IX appoggia le misure suggerite dai membri della congregazione preparatoria. Da Gaeta, dove si trovava, fece emanare l'enciclica Ubi primum, il 2 febbraio 1949. Comunicò ai vescovi la sua decisione di sottoporre a un esame definitivo l'Immacolata Concezione. A tal fine aveva nominato una commissione di teologi e istituito una congregazione cardinalizia, dalla quale si aspettava che gli trasmettesse i risultati dell'indagine. Con lo stesso scopo chiedeva a tutti i vescovi di pregare nelle loro diocesi per implorare l'illuminazione di Dio, al fine di prendere la decisione giusta e portare a termine con successo questa questione. «Desideriamo vivamente», diceva loro, «che ci facciate sapere il più presto possibile quali sono nella vostra diocesi i sentimenti del clero e del popolo riguardo alla concezione dell'Immacolata Vergine e in che misura pensate che la questione debba essere risolta dalla Sede Apostolica; desideriamo soprattutto sapere cosa, secondo la vostra saggezza, pensate che si debba fare a questo proposito». Seguiva un'autorizzazione generale, se lo riteneva opportuno, affinché i suoi sacerdoti potessero recitare l'Ufficio Divino proprio dell'Immacolata, come egli aveva già concesso ai sacerdoti della diocesi di Roma. 

Qual è stato il risultato di questo «concilio scritto»? Le risposte ricevute sono state raccolte in dieci volumi con il seguente risultato: dei 603 vescovi, 593 hanno risposto per iscritto al Papa, di cui solo otto hanno affermato che tale credenza non poteva essere definita teologicamente, mentre due non ne erano molto sicuri. Più numerosi furono quelli che, dichiarando la loro fede in tale credenza, giudicavano inopportuna la definizione dogmatica (erano 35, tra cui il cardinale Pecci, arcivescovo di Perugia, futuro Leone XIII) o si mostravano dubbiosi (48 vescovi). Come si vede, la stragrande maggioranza dei vescovi era favorevole alla proclamazione del dogma. Il gruppo più numeroso di vescovi aveva accettato pura e semplicemente la definizione proposta, testimoniando anche che consideravano il privilegio più o meno implicitamente contenuto nel deposito della Rivelazione. Alcuni si erano dilungati su questo punto, sia nelle loro lettere al Papa, sia in questa occasione in lezioni o discorsi sull'Immacolata Concezione. La maggioranza difendeva l'opportunità di una definizione, e poi esponeva la convenienza, i vantaggi e la stessa necessità morale. 

Le risposte dei vescovi, insieme ai lavori dei teologi della commissione e della congregazione preparatoria, costituivano un ampio dossier che doveva essere utilizzato dai responsabili della redazione della bolla di definizione. 

Congregazione speciale per redigere la bolla di definizione (tra il 10 maggio 1852 e il 2 agosto 1853).

La risposta quasi unanime dei vescovi di tutto il mondo confermò l'intenzione di Pio IX di definire, finalmente, quella credenza così universalmente diffusa. Non si può nemmeno dire che abbia agito con precipitazione. Tra la creazione della prima commissione teologica consultiva sull'argomento e la promulgazione della bolla di definizione dogmatica erano trascorsi sei anni e sei mesi. Ben quattro commissioni diverse, cardinalizie e teologiche, avevano esaminato la questione da un triplice punto di vista: la definizione della credenza, l'opportunità della sua definizione e la redazione dogmatica. 

D'accordo con coloro che ritenevano opportuno allegare alla definizione dogmatica un'esposizione dei fondamenti e dell'evoluzione della credenza nella Chiesa, nel marzo 1851 si dedicò alla preparazione di una bolla pontificia. Su richiesta del Papa, il gesuita Giovanni Perrone aveva redatto nel 1850 un primo progetto di definizione. Questo testo fu sottoposto all'esame di sedici teologi consultori, seguiti da altre sette redazioni. Pio IX era convinto del carattere rivelato della dottrina dell'Immacolata Concezione, poiché da diversi secoli era oggetto di fede nella Chiesa universale. Ma desiderava anche che la definizione rispondesse alle obiezioni teologiche degli avversari della dottrina.

Segue un altro schema, probabilmente opera di Passaglia, che presentava come novità il fatto che la definizione era accompagnata da una condanna esplicita degli errori moderni. Questo secondo schema, come il primo, non fu mai utilizzato. Pio IX, deciso ad ampliare la discussione, istituì il 10 maggio 1852 una congregazione speciale di venti teologi sotto la presidenza del cardinale Fornari. Essa iniziò i propri lavori partendo dalle basi, proponendo le questioni più fondamentali: quali caratteristiche o indizi doveva avere una proposizione per essere considerata degna di ricevere un giudizio solenne dal magistero cattolico, quale doveva essere la sua redazione sotto l'aspetto positivo e negativo, quali erano le testimonianze implicite ed esplicite della Sacra Scrittura e della Tradizione, il collegamento con altri dogmi, l'insegnamento dell'episcopato, la pietà dei fedeli, ecc. Le considerazioni sull'opportunità e la convenienza furono aggiunte come conclusione. 

A seguito di questi lavori, si decise di utilizzare nella bolla, come prove, la convenienza, la Sacra Scrittura, la tradizione patristica, la festa dell'Immacolata Concezione e il sentimento della Chiesa universale. A ciò si aggiungevano alcune note esplicative, con l'intento di chiarire gli argomenti proposti e risolvere le obiezioni dal punto di vista scritturale e patristico. 

Discussione sul testo della bolla (dal 22 marzo al 4 dicembre 1854) 

Il nuovo schema, il terzo, contiene ciò che sostanzialmente è rimasto nella redazione definitiva, ma con una forma e un ordine che hanno dato luogo a numerose modifiche: il testo è stato ritoccato e perfezionato sei volte. I revisori sono stati molti: teologi consultori, cardinali costituiti il 22 marzo 1854 in congregazione consultiva, arcivescovi o vescovi presenti o mandati a Roma a formare una commissione dal 20 al 24 novembre sotto la presidenza dei cardinali Brunelli, Caterini e Santucci. Alcune di queste modifiche meritano di essere sottolineate, perché gettano luce sulla redazione della bolla Ineffabilis, e in particolare sul significato e sul contesto della definizione dogmatica dell'8 dicembre. 

Nei primi tre schemi le testimonianze dei Padri e degli scrittori ecclesiastici erano riportate e citate in modo esplicito ed esauriente; nel quarto schema furono soppresse, ma compaiono nei successivi in note a piè di pagina insieme ai loro scritti citati. A seguito dell'osservazione fatta da un cardinale, secondo cui redigendo e citando in questo modo la bolla sembrava più una dissertazione polemica o scolastica, i riferimenti furono soppressi. Sono stati utilizzati termini più generici, che richiedevano molta ricerca, raggruppati in ordine logico e sistematico, per concludere che constantem fuisse et esse catholicae Ecclesiae doctrinam. Tutto ciò è stato riportato nell'ottavo schema e nella redazione definitiva. 

Dom Guéranger partecipò attivamente a tutto questo lavoro preparatorio. Pio IX nutriva sincera stima per il riformatore di Solesmes, perché aveva cooperato efficacemente al ritorno delle diocesi francesi alla liturgia romana. Il Papa gli chiese di studiare il tema della definizione. Nell'aprile del 1850, dom Guéranger aveva terminato un'importante Memoria sull'Immacolata Concezione, che fu molto apprezzata da Pio IX, e alla fine del 1851 il Papa lo fece venire a Roma e rimanere lì per qualche tempo. Aveva deciso di nominarlo consultore della Congregazione dei Riti e dell'Indice, perché apprezzava la sua capacità intellettuale e la fermezza della sua dottrina. 

Durante il suo soggiorno romano, dom Guéranger incontrò e fu ricevuto in diverse occasioni da Pio IX, che gli affidò anche diversi lavori dottrinali. Gli fu chiesto di rivedere la sua Memoria e nel gennaio 1852 gli fu affidata la redazione della bolla della definizione dogmatica. Come abbiamo visto, c'erano già stati altri progetti, come quelli di padre Perrone e padre Pasaglia, che erano stati giudicati insoddisfacenti. A quei progetti dei padri gesuiti si aggiungeva ora quello di un benedettino. 

Dom Guéranger lavorò con grande impegno e il 30 gennaio presentò al Papa un nuovo progetto di bolla, che in linea di principio soddisfaceva Pio IX, ma nel quale il Papa introdusse numerose precisazioni. Successivamente, il 27 febbraio, chiese una revisione completa del progetto, perché desiderava che la bolla di definizione dogmatica condannasse solennemente anche i grandi errori filosofici e teologici contemporanei. Era appena apparso un articolo sulla Civiltà Cattolica, che il Papa aveva preparato con i gesuiti, in cui si suggeriva di unire la proclamazione del dogma alla condanna degli errori. 

Il 29 Pio IX ricevette dom Guéranger. Questi manifestò apertamente e con forza al Papa la sua opposizione al progetto di includere la condanna degli errori nella bolla e suggerì di redigere due testi indipendenti, diversi e separati. Ma Pio IX spiegò all'abate di Solesmes che era molto interessato a unire la proclamazione del privilegio dell'Immacolata Concezione all'altra proclamazione, respingendo gli errori che considerava contrari alla fede. Ripeté anche che da anni avvertiva una sorta di movimento interiore che lo spingeva a unire entrambe le proclamazioni. Dom Guéranger obbedì umilmente. 

Dopo che l'abate di Solesmes lasciò Roma, Pio IX adottò la sua idea di separare le due proclamazioni, e per farlo sarebbero state redatte due costituzioni distinte e separate. Rimandò a più tardi la condanna solenne degli errori – che avrebbe poi realizzato nel Syllabus, pubblicato esattamente dieci anni dopo – e commissionò un nuovo progetto di definizione dogmatica. Il testo definitivo fu completato quattro giorni prima della definizione solenne, dopo che il Papa intervenne personalmente per correggere alcune espressioni.

I lavori preparatori erano stati conclusi il 1° dicembre. Pio IX celebrò un concistoro segreto, nel quale, dopo un breve discorso rivolto ai cardinali, chiese loro se fossero d'accordo nel procedere alla definizione dogmatica. I cardinali risposero affermativamente, con cui si conclusero i dibattiti e il Papa designò l'8 dicembre, giorno della festa, per promulgare il solenne decreto del dogma. 

Dopo la proclamazione 

Una volta proclamato il dogma, con gli eventi narrati all'inizio dell'articolo, il popolo fedele e una larghissima maggioranza della Chiesa cattolica accolsero con gioia ed entusiasmo la definizione ufficiale del privilegio. Fu motivo di gioia e letizia paragonabile a quanto era accaduto in seguito al concilio di Efeso, quando fu definita la maternità divina della Vergine contro Nestorio. Abbiamo già accennato alle celebrazioni a Roma e in altre città per festeggiare l'evento. In occasione della proclamazione, i vescovi pubblicano lettere pastorali, scritti, ecc. 

Ma gli avversari e i contrari al dogma continuarono ad attaccarlo anche dopo la proclamazione. Ciò era prevedibile soprattutto da parte delle altre confessioni separate dalla Chiesa cattolica, che non riconoscevano né l'autorità magisteriale del Papa né i principi dogmatici contenuti nella dichiarazione dell'8 dicembre 1854. 

Ci si poteva aspettare che tutti i cattolici fossero obbedienti alla parola del Papa, ma purtroppo non fu così, anche se è vero che, esaminando l'elenco degli scritti pubblicati contro la definizione pontificia, non si trovano personalità autenticamente cattoliche, bensì con tendenze gianseniste o gallicane. 

Tra gli oppositori al dogma dell'Immacolata Concezione spicca il caso di Döllinger alla fine della sua vita: è noto che nel 1854 non era favorevole alla definizione. Personalmente considerava la concezione senza peccato come una questione sulla quale nulla era stato rivelato né trasmesso alla Chiesa. Ma sia prima che immediatamente dopo l«8 dicembre, mantenne pubblicamente il silenzio. Inoltre, nel 1863, in una conferenza a Monaco, presenta l'immacolata concezione come una conseguenza del dogma dell'Incarnazione. L'opposizione più frontale venne dopo la sua defezione provocata dalla definizione dell'infallibilità del Romano Pontefice nel 1870. Döllinger cambia completamente atteggiamento e linguaggio, molto più duro di quello usato dai non cattolici. Al congresso per l'unione delle chiese, tenutosi a Bonn nel settembre 1874, da lui presieduto, firma una dichiarazione molto dura: »Rifiutiamo la nuova dottrina romana dell'immacolata concezione della Vergine Maria, in quanto contraria alla tradizione dei primi tredici secoli, secondo la quale solo Cristo è stato concepito senza peccato». 

Ma la vera causa di tutto è spiegata dallo stesso Döllinger: «Noi teologi tedeschi abbiamo un doppio motivo per pronunciarci apertamente contro la nuova dottrina. Il primo è che la storia ci mostra che la sua introduzione nella Chiesa è dovuta a una serie di intrighi e falsificazioni. Il secondo è che la definizione dogmatica di questa dottrina da parte del Papa ha lo scopo di preparare la definizione dell'infallibilità pontificia». Questa era la vera causa della sua opposizione così frontale: rifiutare l'infallibilità pontificia. Questi principi lo portarono ad essere non solo un avversario della definizione, ma della stessa credenza. 

Le diverse comunità cristiane rimasero indifferenti di fronte a quell'atto pontificio, oppure si opposero perché lo consideravano uno scandalo.

Ma l'opposizione e la controversia portarono anche dei benefici: fornirono ai cattolici l'occasione di spiegare la dottrina dell'Immacolata Concezione, la visione cattolica della Vergine e del dogma in particolare. Da lì nacquero libri, scritti e anche rituali e preghiere che difendevano il privilegio. 

Dopo l'8 dicembre 1854, si registra un doppio progresso in relazione alla Vergine, e più precisamente all'Immacolata: un progresso cultuale e un progresso dottrinale. Per quanto riguarda il primo, Pio IX fece pubblicare il 25 settembre 1863 un nuovo ufficio e una nuova messa in sostituzione di quelli precedenti; i testi della preghiera nascono dagli stessi studi e discussioni per la definizione, dalla bolla e dagli studi precedenti. Il tutto fu completato da Leone XIII che, il 30 novembre 1879, elevò la festa dell'Immacolata a festa di prima classe. 

Il progresso dottrinale, oltre alle spiegazioni dottrinali, agli scritti, ecc., è presente anche su scala generale. La definizione era un atto definitivo e irrevocabile del magistero. Ciò non impedisce tuttavia ai vescovi cattolici, riuniti per il Vaticano I, di voler unire le loro voci a quelle del Pastore supremo, come atto di adesione collettiva e solenne all'atto pontificio. La questione è stata sollevata nello schema sulla dottrina cattolica quando si è trattato del peccato originale. 

Allo stesso tempo, il magistero non solo doveva proclamare il dogma, ma in epoca successiva dovette anche chiarire e respingere false interpretazioni. Gli stessi teologi non hanno potuto disinteressarsi del dogma dell'Immacolata. Avevano qui un duplice compito: difendere la dottrina e spiegarla nel miglior modo possibile. Basta considerare le opere scritte e pubblicate in questi anni in tutte le nazioni, le monografie, ecc., per rendersi conto del posto che occupava nella teologia. La pubblicazione in diversi paesi di grandi dizionari ed enciclopedie cattoliche è stata utile ai difensori della fede romana e ha fornito al grande pubblico elementi di giudizio per valutare gli avversari di questa fede, come razionalisti, protestanti, giansenisti o veterocattolici. 

Grazie anche al numero considerevole e all'importanza dei nuovi documenti che sono stati scoperti e pubblicati, la storia del culto dell'Immacolata e la fede in questa verità hanno contribuito a far conoscere meglio la fede sia della Chiesa bizantina che della Chiesa latina dal XI al XIII secolo. La ricerca condotta ci permette di affermare che il privilegio della Vergine non è stato ignorato né sconosciuto nei primi tredici secoli. 

Inoltre, la teologia ha avuto cura di considerare l'Immacolata Concezione di Maria come una verità isolata dal resto delle verità di fede. Al contrario, è stata studiata e considerata come parte integrante dell'intero ruolo della Vergine, soprattutto della sua maternità divina. In particolare, è stata studiata in armoniosa relazione con il dogma dell'incarnazione e della redenzione. Si è insistito sul ruolo della Vergine - nuova Eva - che suo Figlio - nuovo Adamo - le ha assegnato: associarla come strumento subordinato alla sua opera redentrice. 

Famiglia

5 idee regalo per aiutare gli altri a Natale

Fare regali a Natale può diventare un'occasione per essere generosi e ricevere regali può significare anche aiutare gli altri.

Redazione Omnes-1 dicembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Il Natale è un momento per celebrare la nascita di Cristo e vivere la generosità verso gli altri. In un Natale spesso consumistico, i regali solidali e di ispirazione cristiana diventano più che semplici oggetti: sono gesti d'amore, fede e solidarietà che trasformano la vita.

Fare regali con uno scopo preciso ci permette di insegnare dei valori ai più piccoli. Ogni regalo diventa un'opportunità educativa: un regalo non solo viene ricevuto, ma può anche aiutare gli altri e contribuire a buone cause. Dire a tuo figlio che il regalo che ha tra le mani è servito a sostenere progetti sociali, comunità religiose o persone in situazioni di vulnerabilità è educativo.

Fare regali in questo modo non solo rafforza la fede e i valori cristiani all'interno della famiglia, ma insegna anche a vivere il Natale all'insegna della generosità e della solidarietà, ricordando che dare può essere importante quanto ricevere. In questo articolo vi presentiamo cinque idee regalo di questo tipo per Natale:

1. Decrux: candele personalizzabili

Decrux offre candele di preghiera la cui missione è evangelizzare nelle case e nelle famiglie attraverso la bellezza. Ogni candela può essere personalizzata con la propria richiesta, sia in formato digitale che scrivendola a mano. Inoltre, sono solidali, poiché sono realizzate da giovani con disabilità intellettiva e i proventi delle vendite sono destinati a progetti sociali. Tutte le candele sono benedette simbolicamente e gratuitamente dalle entità religiose che collaborano con l'Associazione Decrux.

2. Contemplare: aiuta la vita contemplativa

Fondazione Contemplare nasce dal desiderio di un gruppo di laici di mostrare e sostenere la ricchezza della vita contemplativa in Spagna. Il suo obiettivo è quello di aiutare gli oltre 700 monasteri di vita contemplativa che sopravvivono nel Paese, offrendo una vetrina attuale, online e universale per i prodotti realizzati da monache e monaci: dalle marmellate, ai dolci natalizi, ai presepi, alle icone e alle figure religiose, fino ai liquori, ai formaggi, all'abbigliamento per neonati e alla biancheria da tavola artigianale.

Ogni acquisto effettuato presso Contemplare non solo copre le esigenze economiche dei monasteri (bollette, manutenzione o previdenza sociale), ma onora anche la vita di preghiera e di lavoro dei suoi abitanti. La fondazione funge da ponte tra i monasteri e la società, consentendo a persone e aziende di includere prodotti monastici nei cesti natalizi o nei regali aziendali, promuovendo la qualità, l'arte e la spiritualità di questi oggetti.

Con Contemplare, ogni regalo ha un duplice scopo: aiutare un monastero e consentire a chi lo riceve di conoscere e avvicinarsi al mondo contemplativo, comprendendo il valore della preghiera, del lavoro e dell'austerità che sostengono queste comunità. Come essi stessi riassumono, “con questo prodotto aiuti un monastero”, trasformando un regalo in un atto di fede e solidarietà.

3. Have a God Time: prodotti cristiani che trasformano la vita

Un tempo di Dio è un progetto creato nel 2015 da Adriana e Miguel, una coppia di pubblicitari, con l'obiettivo di aiutare a vivere la vita cristiana nella quotidianità. Attraverso il loro negozio online e i social network, offrono ogni tipo di prodotto per la casa, abbigliamento, medaglie, statuine artigianali, prodotti per bambini e persino libri. Tutti i loro profitti vengono reinvestiti in progetti solidali «per alleviare la povertà materiale e spirituale».

La loro proposta non si limita alla vendita di prodotti: ogni articolo è uno strumento di evangelizzazione e riflessione, pensato affinché chi lo riceve possa avvicinarsi al mistero della fede e recuperare il vero significato delle celebrazioni cristiane, dal Natale ai battesimi, alle prime comunioni o ai matrimoni.

Inoltre, Have a God Time collabora con monasteri di clausura, offrendo prodotti realizzati dalle suore, come croci di stoffa o statuine del Bambino Gesù, in modo che ogni regalo contribuisca anche a sostenere queste comunità che vivono in preghiera per il mondo.

4. DeClausura: arte e solidarietà

La missione della Fondazione DeClausura è quello di far conoscere il senso, la bellezza e l'importanza della vita contemplativa, oltre che di contribuire al sostentamento dei monasteri e dei conventi. Nel loro negozio online vendono quindi prodotti artigianali «realizzati in silenzio e preghiera».

DeClausura vende articoli da regalo realizzati in monasteri e conventi, come statue religiose, icone, rosari e prodotti artigianali. L'acquisto sostiene direttamente la vita contemplativa e i progetti solidali di queste comunità, combinando tradizione, spiritualità e azione sociale in un unico regalo.

5. Un libro su Troia: cultura e fede

I libri di Troa sono la scelta perfetta per chi ama la lettura spirituale ed educativa. Dalle storie dei santi alle riflessioni sulla fede, Troa offre libri che stimolano la riflessione e la crescita personale. Inoltre, molte edizioni sostengono progetti culturali e sociali legati alla Chiesa, rendendo il tuo regalo un dono che va oltre le pagine.

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Risorse

Perché la lealtà è fondamentale per la mia felicità?

La lealtà è una virtù fondamentale: metterla in pratica in modo coerente con i nostri valori e impegni rafforza le nostre relazioni e, in definitiva, ci rende più felici.

Alejandro Vázquez-Dodero-1 dicembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

La lealtà si riferisce all'atteggiamento di chi non inganna, non tradisce né abbandona i propri amici o le persone con cui ha un rapporto speciale, allineandosi agli ideali o alle convinzioni che li uniscono.

Troviamo molto interessante l'elenco di sinonimi che il dizionario della lingua spagnola riporta in riferimento alla lealtà: fedeltà, nobiltà, franchezza, amicizia, onestà, devozione, adesione, rispetto e osservanza.

Vorremmo soffermarci in particolare sul rapporto tra lealtà e fedeltà, poiché, sebbene siano considerate sinonimi, non sono esattamente la stessa cosa.

“Il termine ”lealtà“ deriva dal latino ”legalitas" e definisce il carattere di una persona. Chi è leale si attiene a un codice di norme, esplicite o implicite, che si impegna a rispettare in ogni momento. Si tratta di un impegno basato sulla fiducia e sui valori condivisi con l'altro.

Quando parliamo di lealtà ci riferiamo alla coerenza tra il comportamento di una persona e i suoi ideali: una persona leale sceglierà di obbedire a quei valori anche nelle situazioni difficili, mantenendo così i propri impegni prestabiliti.

Da parte sua, la parola “fedeltà”, che deriva dal latino “fidelitas”, potremmo dire che va oltre e si riferisce a un impegno morale in cui entra in gioco la coerenza a quel livello, morale, di una persona. È un comportamento attraverso il quale è possibile misurare la moralità di un atto, ovvero preservare l'impegno assunto. Si è fedeli a impegni di carattere più elevato, come la vocazione, il matrimonio o qualsiasi altro ordine, ma in quel grado supremo di legame con il prossimo.

Modi concreti per dimostrare lealtà

Come per ogni virtù, sono le azioni a dimostrare l'acquisizione e lo sviluppo della lealtà. 

A tal fine, abbiamo voluto riflettere una serie di situazioni in cui la lealtà appare in tutto il suo splendore. Si tratta in definitiva di modi per mantenere promesse o impegni, agendo con determinazione.

Ecco alcuni esempi di come essere leali e rafforzare la lealtà:

  • Con gli amici: Sostenersi a vicenda in ogni momento, non parlare male di loro alle loro spalle, essere fedeli all'impegno condiviso. Ad esempio, mantenere i segreti o essere disponibili per qualsiasi necessità che l'amicizia possa presentare.
  • Con il partner: dare priorità al benessere dell'altro e rispettare gli accordi stabiliti. Ad esempio, sostenersi a vicenda in caso di difficoltà emotive, lavorative o di salute.
  • Con la famiglia: sostenere e prendersi cura dei membri della famiglia, mantenendo e rafforzando i legami familiari. Ad esempio, il figlio che si prende cura dei genitori malati o anziani.
  • Con la patria: partecipare ai doveri civici dei cittadini. Ad esempio, rispettare le leggi del Paese in cui si è nati o si risiede, come segno di gratitudine e persino di orgoglio di appartenenza.
  • Con gli affari: creare fedeltà tra i dipendenti e i clienti di un'azienda, facendo sì che la sentano come propria e quindi si sentano a proprio agio nel suo ambiente. Ad esempio, curando l'ambiente di lavoro o fornendo un servizio eccellente ai clienti.
  • Con Dio: impegno nei confronti dei principi guida o della dottrina della religione professata, che in definitiva proviene da Dio stesso. Ad esempio, osservare la legge morale o, nel caso del cattolicesimo, rispettare i comandamenti stabiliti.
  • Con cause o ideologie: mantenere l'impegno nei confronti di ideali, cause sociali o partiti politici. Ad esempio, quando si va a votare e si esprime effettivamente il voto precedentemente deliberato.
  • Con se stessi: Essere fedeli a se stessi, coerenti con gli impegni presi e le decisioni prese a livello personale, al di sopra dei sentimenti e delle circostanze o della situazione del momento. Ad esempio, essere autentici senza che le mode influenzino le decisioni prese sul modo di vivere.

Alla luce di quanto sopra, possiamo naturalmente concludere che chi concepisce la propria vita in termini di lealtà sarà ricompensato con abbondante felicità. Tale persona non dipenderà né dai propri gusti, né dal giudizio altrui, né da alcuna circostanza, interna o esterna, che possa minare la sua autenticità, il che le consentirà di essere se stessa e, di conseguenza, di rendere felici coloro che la circondano in ogni momento della sua vita.

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Gli insegnamenti del Papa

L'istruzione: la via delle stelle

Nella sua Lettera apostolica e negli incontri del Giubileo dell'educazione, Leone XIV propone un'educazione  che superi il riduzionismo funzionalista e formi “costellazioni educative”, in grado di illuminare un mondo segnato dall'incertezza.

Ramiro Pellitero-1 dicembre 2025-Tempo di lettura: 7 minuti

Sappiamo tutti che l'educazione è un tema importante e difficile. Quali sarebbero gli accenti e le priorità in un'educazione di ispirazione cristiana? Come la vede Papa Leone XIV?

Il passaggio dal mese di ottobre a quello di novembre ha avuto, per quanto riguarda gli insegnamenti del Papa, un carattere marcatamente educativo. In primo luogo, la pubblicazione della Lettera apostolica sull'educazione Progettare nuove mappe di speranza, in occasione del 60° anniversario della dichiarazione conciliare Gravissimum educationis. Alcuni giorni dopo si è celebrato il giubileo del mondo dell'istruzione.

“Disegnare nuove mappe della speranza” 

In occasione del sessantesimo anniversario della Dichiarazione conciliare Gravissimum educationis, il Papa ha pubblicato la lettera apostolica Progettare nuove mappe di speranza (27-X-2025).

In esso spiega che l'istruzione è il “tessuto stesso” dell'evangelizzazione (cfr. 1, 1). È una “opera corale” dell'intera comunità educativa. “L'educazione cristiana è un lavoro corale: nessuno educa da solo. La comunità educativa è un ‘noi’ in cui l'insegnante, lo studente, la famiglia, il personale amministrativo e di servizio, i pastori e la società civile convergono per generare vita”.”. E osserva Leone XIV: “Questo ‘noi’ impedisce all’acqua di ristagnare nella palude del ‘si è sempre fatto così’ e la costringe a scorrere, a nutrire, a irrigare”.” (3. 1).

Nel nostro mondo complesso, l'educazione di ispirazione cristiana, con la sua identità, è tanto o più necessaria che ai tempi del Concilio Vaticano II. È come una bussola (nel solco aperto dalla dichiarazione Gravissimum educationis) per navigare nella nuova urgenza educativa (causata da guerre, migrazioni, disuguaglianze e diverse forme di povertà). Allo stesso tempo, è una delle espressioni più elevate della carità cristiana (cfr. 1. 3).

L'istruzione, e in particolare quella di ispirazione cristiana, è una compito d'amore (3. 2). E ha la responsabilità di ricostruire la fiducia (4. 3). 

Una visione antropologica integrale

La tradizione educativa dei cristiani ha una storia lunga, dinamica e viva (cfr. 1. 2, 1. 3). Anche oggi deve rinnovarsi sul centro di una visione integrale della persona., e con il presupposto del rapporto tra fede e ragione, senza dimenticare gli aspetti affettivi e sociali, poiché la verità si cerca nella comunità. È fondamentale ascoltare le domande e dialogare. E non c'è spazio per riduzionismi funzionali.

“Non bisogna separare il desiderio e il cuore dalla conoscenza: significherebbe spezzare la persona” (3. 1); “Una persona non è un ‘profilo di competenze’, non si riduce a un algoritmo prevedibile, ma è un volto, una storia, una vocazione”.” (4. 1).

La pedagogia cattolica presuppone una visione antropologica integrale con visione cristiana (antropologia cristiana: un umanesimo integrale che include la responsabilità sociale, la contemplazione spirituale e anche della bellezza creata, promuovendo stili di vita sostenibili).

La formazione cristiana supera quindi le visioni funzionaliste e utilitaristiche, eccessivamente dipendenti dal mercato del lavoro e dalla finanza; richiede il discernimento delle situazioni delle persone e delle loro circostanze e promuove la fraternità tra i popoli (cfr. 4. 2.).

È necessario educare al rapporto tra fede, cultura e vita, in collaborazione con le famiglie (i genitori sono i primi educatori e lo Stato deve rispettare il principio di sussidiarietà). Altrettanto necessaria è la testimonianza cristiana degli insegnanti, così come la loro formazione permanente nei diversi aspetti scientifici, pedagogici, culturali e spirituali (cfr. 5. 2, 5. 3).

Dal punto di vista delle istituzioni educative (oggi è richiesta una maggiore generosità e lungimiranza, al servizio della società e della missione cristiana), si chiede di crescere nella collaborazione tra i diversi carismi educativi, con creatività e spirito di servizio, includendo il discernimento della tecnologia e dando la priorità alla maturazione della persona (cfr. 8. 1 e 8. 3).

“Questa costellazione richiede qualità e coraggio: qualità nella pianificazione pedagogica, nella formazione degli insegnanti, nella governance; coraggio per garantire l'accesso ai più poveri, per sostenere le famiglie fragili, per promuovere borse di studio e politiche inclusive”.” (10. 4).

Propone di riprendere (e ampliare) le priorità del Patto educativo globale lanciata da Papa Francesco, ampliando i suoi 7 obiettivi (attenzione speciale alla persona, ai bambini e ai giovani, alle donne, alla famiglia, all'accoglienza e all'inclusione, al rinnovamento dell'economia e della politica al servizio dell'essere umano e alla cura della casa comune) con altri tre, relativi alla vita interiore o interiorità, alla digitalità umana e all'educazione alla pace (cfr. 10. 1 e 10. 3).

Formare “costellazioni educative”

Durante questo Giubileo della speranza, Leone XIV ha tenuto due discorsi agli studenti e agli educatori, ha avuto un altro incontro con i membri delle università cattoliche e ha celebrato la Messa in cui ha proclamato San John Henry Newman dottore della Chiesa e copatrono, insieme a San Tommaso d'Aquino, degli educatori cattolici. 

Nell'incontro con gli studenti (30-X-2025), con le parole di Pier Giorgio Frassati, li ha incoraggiati a una vita piena: “Vivere senza fede non è vivere, ma solo tirare avanti”. Bisogna anche vivere “Verso l'alto”

Sullo sfondo della figura di Newman, li invitò a modellare la loro vita sull'analogia delle stelle: “La vera pace nasce quando molte vite, come stelle, si uniscono e formano un disegno. Insieme possiamo formare costellazioni educative che guidino il cammino futuro”.”

E ha aggiunto: “Da sempre, i viaggiatori hanno trovato la loro rotta nelle stelle”.Anche gli studenti hanno stelle o bussole che li guidano (genitori, insegnanti, sacerdoti, buoni amici, ecc.). Allo stesso tempo, sono chiamati, formando costellazioni di significato con altri, a diventare “testimoni luminosi per coloro che li circondano”

Galileo scoprì molte cose guardando in alto. L'istruzione, dice Leone XIV, è come “un telescopio che permette loro (agli studenti) di guardare oltre, di scoprire ciò che da soli non vedrebbero. Non fermatevi, quindi, a guardare il telefono e i suoi rapidi frammenti di immagini: guardate il cielo, guardate in alto”.”.

Il Papa si è soffermato sui tre nuovi obiettivi che ha aggiunto per il Patto educativo globale, in parte su richiesta degli stessi giovani: la vita interiore, l'educazione digitale e l'educazione alla pace. Vita interiore: “Non basta avere una grande conoscenza scientifica, se poi non sappiamo chi siamo e qual è il senso della vita. Senza silenzio, senza ascolto, senza preghiera, anche le stelle si spengono. Possiamo sapere molto del mondo e ignorare il nostro cuore”.”. Come insegna sant'Agostino, educare alla vita interiore significa “ascoltare la nostra inquietudine, non fuggirla né riempirla con ciò che non la sazia”. “Il nostro desiderio di infinito è la bussola che ci dice: ‘Non accontentarti, sei fatto per qualcosa di più grande’, ‘non accontentarti di tirare avanti, vivi!’”.

Per quanto riguarda il tecnologia, li ha esortati a saperla usare con saggezza senza lasciarsi usare da essa; a coltivare l'intelligenza emotiva, spirituale, sociale ed ecologica; e a costruire spazi di fraternità e creatività. E la educazione alla pace si ottiene rifiutando la violenza e la volgarità e promuovendo la dignità di tutti.

Interiorità, unità, amore e gioia 

Il giorno seguente (31-X-2025), il Papa ha incontrato gli educatori provenienti da tutto il mondo. “Grazie alla luminosa costellazione di carismi, metodologie, pedagogie ed esperienze che rappresentate, e grazie al vostro impegno “polifonico” nella Chiesa, nelle diocesi, nelle congregazioni, negli istituti religiosi, nelle associazioni e nei movimenti, garantite a milioni di giovani una formazione adeguata, mantenendo sempre al centro, nella trasmissione del sapere umanistico e scientifico, il bene della persona”.”

Riferendosi a Sant'Agostino, ha indicato agli educatori quattro aspetti fondamentali per l'educazione cristiana: la interioritàil unitàil amore e il gioia, come “punti cardinali” del suo compito.

Interiorità: “La verità non circola attraverso suoni, muri e corridoi, ma nell'incontro profondo tra le persone, senza il quale qualsiasi proposta educativa è destinata al fallimento”.”, e questo è importante sia per i maestri che per i discepoli. Unità in Cristo e nei centri educativi, dove condividere la conoscenza è un grande atto d'amore. Ha messo in guardia dal rischio che l'intelligenza artificiale contribuisca all'isolamento degli studenti in se stessi. E soprattutto ha incoraggiato un amore concreto: “Nel campo della formazione, quindi, ciascuno potrebbe chiedersi qual è il proprio impegno nel cogliere i bisogni più urgenti, quale sforzo compie per costruire ponti di dialogo e di pace, anche all'interno delle comunità docente; qual è la propria capacità di superare pregiudizi o visioni limitate; qual è la propria apertura nei processi di coapprendimento; e quale impegno mette nel rispondere ai bisogni dei più fragili, poveri ed emarginati. Gioia: perché “la gioia stessa del processo educativo è pienamente umana”.”.

Lo stesso giorno, il 31 ottobre, il Papa ha incontrato i membri delle università cattoliche dell'America Latina e dei Caraibi. Ha chiesto loro di creare spazi di incontro tra fede e cultura: “L'obiettivo dell'istruzione superiore cattolica non è altro che quello di perseguire lo sviluppo integrale della persona umana, formando menti dotate di senso critico, cuori credenti e cittadini impegnati per il bene comune. E tutto questo con eccellenza, competenza e professionalità”.”.

Come “fasci di luce nel mondo”

Infine, il 1° novembre il Papa ha celebrato la Messa nella solennità di Ognissanti, chiudendo il giubileo del mondo dell'educazione e proclamando san John Henry Newman Dottore della Chiesa. Questo santo sarà fonte di ispirazione per molte generazioni. “con un cuore assetato di infinito, disposte a compiere, attraverso la ricerca e la conoscenza, quel viaggio che, come dicevano gli antichi, ci fa passare ‘per aspera ad astra’, ovvero attraverso le difficoltà (fino alle stelle)”.

In questa solenne occasione, il successore di Pietro ha espresso il desiderio di ribadire agli educatori e alle istituzioni educative: “Brillen oggi come raggi di luce nel mondo (Filippesi 2, 15), grazie all'autenticità del suo impegno nella ricerca corale della verità, alla sua condivisione coerente e generosa, attraverso il servizio ai giovani, in particolare ai poveri, e nell'esperienza quotidiana che ‘l'amore cristiano è profetico, fa miracoli’”.” (Dilexi te, 120).

Nella sua omelia, Leone XIV ha presentato la via delle Beatitudini e ha proposto di lavorare insieme, "per -nelle parole di Papa Francesco- liberare l'essere umano dall'ombra del nichilismo, che è forse la piaga più pericolosa della cultura attuale, perché è quella che cerca di cancellare la speranza”.” (Discorso 21-XI-2024).

Evocando la preghiera “Luce gentile” di Newman, Papa Prevost propose: “Contempliamo e indichiamo quelle costellazioni (le grandi ragioni della speranza) che trasmettono luce e orientamento nel nostro presente oscurato da tante ingiustizie e incertezze”.”.

Sempre seguendo Newman, presentò l'educazione come il compito di aiutare ogni persona a scoprire la propria vocazione e missione: “Siamo chiamati a formare persone, affinché possano brillare come stelle nella loro piena dignità”. In altre parole, aiutare tutti a diventare santi.. “E la santità è proposta a tutti, senza eccezioni, come un cammino personale e comunitario tracciato dalle Beatitudini”. Questo è – disse – ciò per cui prega il Papa: “che l'educazione cattolica aiuti ciascuno a scoprire la propria vocazione alla santità”.

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Mondo

León XIV elogia la resilienza del Libano e li esorta a non rinunciare alla pace

Proveniente da Istanbul, Leone XIV è arrivato a Beirut, capitale del Libano, alle 15:34 ora locale. Dopo aver fatto visita al presidente della Repubblica, il Pontefice ha lodato la resilienza dei libanesi come costruttori di pace: un popolo che non si arrende, che si riconcilia e le cui persone hanno il coraggio di rimanere nel Paese.

CNS / Omnes-30 novembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

– Cindy Wooden, Beirut (Libano), CNS

Riconoscendo l'esistenza di “circostanze altamente complesse, conflittuali e incerte”, Papa Leone XIV giunse in Libano predicando la pace e lodando la resilienza della sua gente.

Appena una settimana prima dell'arrivo del Papa – oggi è il 30 novembre – Israele aveva compiuto il suo ultimo attacco contro il Libano, uccidendo un comandante di Hezbollah e quattro militanti in un sobborgo di Beirut.

All'arrivo da Istanbul, dopo un volo di due ore, Papa Leone è stato accolto all'aeroporto di Beirut dal presidente libanese Joseph Aoun, dal primo ministro Nawaf Salam e dal cardinale Bechara Rai, patriarca della Chiesa cattolica maronita, la più grande delle chiese cattoliche del Libano.

Dopo una salva di 21 colpi di cannone e l'esecuzione degli inni libanese e vaticano, si sono recati al palazzo presidenziale a Beirut.

Caloroso benvenuto, nonostante la pioggia

Centinaia di persone si sono radunate nelle strade vicino al palazzo presidenziale per vedere il Papa, e molte sono rimaste anche quando ha iniziato a piovere forte. La pioggia non ha impedito a un gruppo di ballerini, fuori dal palazzo, di eseguire una tradizionale dabke con ritmici battiti di piedi, che ha suscitato grande entusiasmo.

Elogio ai libanesi 

Dopo gli incontri privati, il presidente e il Papa si sono rivolti a circa 400 funzionari governativi, nonché a leader religiosi, imprenditoriali, culturali e civili.

Senza menzionare Israele per nome, Papa Leone lodò nel suo discorso ai libanesi come “un popolo che non si arrende, ma che di fronte alle prove sa sempre rialzarsi con coraggio”.

Resilienti costruttori di pace

“La vostra resilienza è una caratteristica essenziale dei veri costruttori di pace, poiché la lavoro di pace È senza dubbio un continuo ricominciare”, ha affermato il Papa . “Inoltre, l'impegno e l'amore per la pace non conoscono la paura di fronte all'apparente sconfitta, non si lasciano scoraggiare dalla delusione, ma guardano avanti, accogliendo e abbracciando tutte le situazioni con speranza”.

“Ci vuole tenacia per costruire la pace”, ha affermato Papa Leone. “Ci vuole perseveranza per proteggere e nutrire la vita”.

Dopo due anni di tensioni politiche, a gennaio il parlamento libanese ha finalmente eletto il presidente. Il Paese ha inoltre attraversato una lunga crisi economica.

Ricominciare da capo

“Avete sofferto molto le conseguenze di un'economia che uccide”, ha detto il Papa, usando una frase che Papa Francesco usava spesso, così come «la radicalizzazione delle identità e dei conflitti».

«Ma voi avete sempre voluto e saputo ricominciare», ha detto Papa Leone ai leader. Questo sforzo, ha affermato, richiede una riconciliazione che può nascere solo da un dialogo onesto.

“La verità e la riconciliazione crescono solo insieme, sia all'interno di una famiglia, tra comunità diverse e tra i vari abitanti di un paese, sia tra nazioni”, ha affermato.

Il coraggio di restare

Per molti libanesi, “ci sono momenti in cui è più facile fuggire, o semplicemente più conveniente trasferirsi altrove”, ha affermato. “Ci vuole vero coraggio e lungimiranza per rimanere o tornare nel proprio Paese e considerare anche le situazioni più difficili degne di amore e dedizione”.

Il Libano, che accoglie più rifugiati pro capite di qualsiasi altro paese, sta vivendo “un esodo di giovani e famiglie”, ha sottolineato il Papa .

La Chiesa, ha affermato, “non vuole che nessuno sia costretto ad abbandonare il proprio Paese. Anzi, desidera che coloro che desiderano tornare a casa possano farlo in sicurezza”.”

Leader: come incoraggiarli a restare e lavorare per la pace

I leader del Libano e degli altri paesi della regione devono chiedersi cosa possono fare per incoraggiare i giovani a rimanere e lavorare per la pace nei loro paesi d'origine invece di cercarla altrove, ha affermato il Papa. .

“In questo senso”, ha affermato, “i cristiani e i musulmani insieme, e tutte le componenti religiose e civili della società libanese, sono chiamati a svolgere il proprio ruolo e ad impegnarsi per sensibilizzare la comunità internazionale su questa questione”.

Cristiani, un terzo della popolazione

Sebbene la maggior parte dei libanesi sia musulmana, i cristiani rappresentano almeno il 33% della popolazione del Paese. Il Vaticano stima che i cattolici siano oltre 2 milioni; oltre ai maroniti, la comunità cattolica comprende anche cattolici melchiti, armeni, siriaci, caldei e di rito latino.

Equilibrio tra comunità cristiana e musulmana

Aoun, nel suo discorso durante l'incontro, ha affermato che “se i cristiani in Libano scomparissero, il delicato equilibrio” tra le forti comunità cristiane e musulmane che vivono insieme “crollerebbe e con esso la giustizia”.

“Allo stesso modo, qualsiasi danno alla comunità musulmana in Libano destabilizzerebbe la situazione e minerebbe la giustizia”, ha dichiarato il presidente. “La caduta del Libano, accelerata dalla perdita di una qualsiasi delle sue componenti, favorirebbe l'ascesa dell'estremismo, della violenza e dello spargimento di sangue sia nella nostra regione che nel mondo”.

Il motto del viaggio: “Beati coloro che operano per la pace”.

Con questo motto, il Papa ha pregato affinché “il desiderio di pace, che viene da Dio, cresca tra tutti i libanesi perché, anche oggi, la pace può trasformare il modo in cui guardiamo gli altri e il modo in cui viviamo insieme su questa terra, una terra che Dio ama profondamente e continua a benedire”.

Programma di lunedì 

Domani mattina il Papa visiterà e pregherà sulla tomba di San Charbel Makluf, nel monastero di San Maroun ad Annaya. Successivamente, il Santo Padre incontrerà i vertici della Chiesa, i sacerdoti e i religiosi nel Santuario di Nostra Signora del Libano a Harissa. Nel primo pomeriggio ci sarà l'incontro ecumenico e interreligioso, seguito da quello con i giovani, intorno alle cinque del pomeriggio.

L'autoreCNS / Omnes

Mondo

Il Papa rafforza il suo impegno per l'unità cristiana lasciando la Turchia

Papa Leone XIV ha sottolineato nella sua ultima mattinata in Turchia l'impegno della Chiesa cattolica, e del suo ministero petrino, nella ricerca dell'unità cristiana. Al punto da affermare che la ricerca della piena comunione tra i cristiani “è una delle priorità della Chiesa cattolica".

CNS / Omnes-30 novembre 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

– Cindy Wooden, Istanbul (Turchia), CNS

Come aveva fatto durante tutta la sua visita, Papa Leone XIV trascorse la sua ultima mattinata nel Paese ribadendo l'impegno della Chiesa cattolica nella ricerca dell'unità cristiana. Questa ricerca dell' piena comunione tra i cristiani, ha affermato poco prima di lasciare la Turchia, “è una delle priorità della Chiesa cattolica» e «del mio ministero come vescovo di Roma».

Il simbolo chiave di ciò è stata la presenza del Papa alla Divina Liturgia celebrata dal Patriarca Ecumenico Ortodosso Bartolomeo di Costantinopoli il 30 novembre, festa di Sant'Andrea, patrono del patriarcato.

Per decenni, papi e patriarchi hanno inviato delegazioni alle celebrazioni delle feste patronali di ciascuno. La celebrazione della festa di San Pietro e San Paolo da parte del Vaticano il 29 giugno e la celebrazione della festa di Sant'Andrea da parte del patriarcato il 30 novembre.

San Pietro e San Andrea erano fratelli e furono i primi dei 12 apostoli ad essere chiamati da Gesù.

Papa Leone XIV e il Patriarca ecumenico ortodosso Bartolomeo di Costantinopoli salutano i fedeli da un balcone dopo la Divina Liturgia celebrata nella Cattedrale patriarcale di San Giorgio a Istanbul il 30 novembre 2025. (Foto CNS/Lola Gomez).

Benedizione e saluto con il Patriarca Bartolomeo I

Dopo la liturgia, il Papa e il Patriarca si sono recati su un balcone della Cattedrale Patriarcale di San Giorgio, dove hanno benedetto insieme il popolo lì riunito.

Il Patriarca Bartolomeo era stato presente alla maggior parte degli eventi dell'itinerario di Papa Leone in Turchia. Compreso l'incontro ad Ankara il 27 novembre con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e funzionari governativi e civili. Il Patriarca ha presieduto la commemorazione del 1700° anniversario del Concilio di Nicea il 28 novembre e ha partecipato alla messa celebrata da Papa Leone per le comunità cattoliche del Paese il 29 novembre.

Durante la liturgia celebrata il 30 novembre nella Cattedrale Patriarcale di San Giorgio, Papa Leone ha parlato di come, nel corso di 60 anni, cattolici e ortodossi abbiano intrapreso “un cammino di riconciliazione, pace e crescente comunione”.

Papa Leone XIV viene accolto nella cattedrale della Chiesa apostolica armena a Istanbul da alcuni giovani che gli offrono il tradizionale dono di pane e sale, alla presenza dell'arcivescovo Sahak II Mashalian, patriarca apostolico armeno di Costantinopoli, il 30 novembre 2025. (Foto CNS/Vatican Media).

Impegnati a ripristinare la piena comunione

Le relazioni, sempre più cordiali, sono state “promosse attraverso contatti frequenti, incontri fraterni e un dialogo teologico promettente”, ha affermato. “E oggi siamo chiamati ancora di più a impegnarci per il ripristino della piena comunione”.

Un lavoro particolarmente importante è stato svolto dalla Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, ha affermato il Papa. Tuttavia, ha sottolineato che le tensioni tra le Chiese ortodosse hanno portato alcune di esse a sospendere la propria partecipazione.

L'ultima sessione plenaria della commissione si è tenuta in Egitto nel 2023. L'assenza più significativa è stata quella della Chiesa ortodossa russa, che ha interrotto le relazioni con il Patriarcato ecumenico nel 2018 quando il patriarca ha riconosciuto l'autonomia della Chiesa ortodossa ucraina.

Papa Leone XIV e il Patriarca ecumenico ortodosso Bartolomeo di Costantinopoli hanno firmato una storica dichiarazione congiunta il 29 novembre 2025 e hanno impartito insieme la benedizione dal balcone della cattedrale patriarcale di San Giorgio, a Istanbul. (Foto CNS/Lola Gomez)

Una delle priorità della Chiesa e del suo ministero

Papa Leone XIV approfittò della sua saluto nella Divina Liturgia per confermare che, «in continuità con l'insegnamento del Concilio Vaticano II e dei miei predecessori”, la ricerca della piena comunione tra i cristiani “è una delle priorità della Chiesa cattolica. In particolare, è una delle priorità del mio ministero di Vescovo di Roma, il cui ruolo specifico nella Chiesa universale è quello di essere al servizio di tutti, costruendo e salvaguardando la comunione e l'unità”.

Nella sua omelia durante la liturgia, il Patriarca Bartolomeo ha ribadito l'impegno ortodosso per l'unità e ha chiesto uno sforzo comune dei cristiani per proteggere l'ambiente e porre fine alle guerre.

“Non possiamo essere complici dello spargimento di sangue che sta avvenendo in Ucraina e in altre parti del mondo e rimanere in silenzio di fronte all'esodo dei cristiani dalla culla del cristianesimo» in Terra Santa, ha affermato il patriarca.

La giornata di Papa Leone iniziò con una visita all'arcivescovo Sahak II Mashalian, patriarca apostolico armeno di Costantinopoli, nella sua cattedrale di Istanbul.

L'ecumenismo non è assorbimento né dominazione, ma condivisione di doni

Le celebrazioni per il 1700° anniversario del Concilio di Nicea e della sua dichiarazione di fede, che costituì la base del Credo niceno, sono un'affermazione. «Dobbiamo approfittare di questa fede apostolica condivisa per recuperare l'unità che esisteva nei primi secoli tra la Chiesa di Roma e le antiche Chiese orientali”, ha affermato il Papa. .

“Dobbiamo anche ispirarci all'esperienza della Chiesa primitiva per ripristinare la piena comunione”, ha affermato. L'obiettivo è “una comunione che non implichi assorbimento o dominio, ma piuttosto uno scambio dei doni che le nostre Chiese ricevono dallo Spirito Santo per la gloria di Dio Padre e l'edificazione del corpo di Cristo”.

Testimonianza cristiana del popolo armeno

Sebbene Papa Leone XIII abbia reso omaggio alla “coraggiosa testimonianza cristiana del popolo armeno nel corso della storia, spesso in circostanze tragiche”. Non è stato più esplicito sulla questione politicamente delicata di quello che molti chiamano il ‘genocidio armeno’. Ciò avvenne quando circa 1,5 milioni di armeni furono uccisi dai turchi ottomani tra il 1915 e il 1918.

Mardik Evadian, un imprenditore locale presente durante la visita del Papa, ha dichiarato ai giornalisti che per gli armeni in Turchia “non è importante” che il Papa usi la parola “genocidio”.

Gli armeni sanno cosa è successo e ricordano i loro cari che sono stati uccisi, ha detto, “ma viviamo in questo Paese; forse in passato ci sono stati pogrom (massacri), ma ora sono tempi di pace”.

L'autoreCNS / Omnes

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Evangelizzazione

L'Avvento, tempo di umiltà

L'umiltà è una condizione essenziale affinché l'essere umano possa accogliere il dono della salvezza di Dio, manifestato pienamente nel mistero dell'Incarnazione che celebriamo a Natale.

Reynaldo Jesús-30 novembre 2025-Tempo di lettura: 6 minuti

«Il piccolo, per la sua condizione, accoglie l'eterno nel suo cuore». 

La spiritualità cristiana ha riconosciuto l'importanza della piccolezza —concetto che integra umiltà, povertà di spirito e coscienza del peccato—, come condizione essenziale per accogliere la azione redentrice di Dio. Questa esperienza costituisce una disposizione ontologica (riguardo all'essere) e teologica (riguardo a Dio); e solo quando l'essere umano entra nella verità del suo essere creatura e della sua miseria morale, può aprirsi al dono divino che irrompe nel mistero dell'Incarnazione. 

In questo senso, l'affermazione spirituale “sentire la piccolezza di essere peccatore per avere il bisogno che il Bambino Gesù nasca nel mio cuore” esprime in modo sintetico una profonda logica teologica: l'essere umano può accogliere il mistero del Verbo incarnato solo quando riconosce la sua radicale incapacità di salvarsi da solo. L'Incarnazione —e la sua manifestazione nel mistero del Natale— non si comprende pienamente se non alla luce della limitazione dell'uomo e dell'abbassamento di Dio. 

L'esperienza biblica della piccolezza: fondamento antropologico e teologico

La Scrittura inizia la rivelazione mostrando l'essere umano come qualcuno dipendente. La sentenza “polvere sei e polvere tornerai” (Gn 3, 19) non è una condanna, ma una dichiarazione ontologica che fonda l'esistenza umana sulla dipendenza radicale da Dio. Il salmista coglie questa sproporzione quando si chiede: “Che cos'è l'uomo perché ti ricordi di lui?” (Sal 8, 5). La piccolezza Nella Bibbia non è concepita come una debolezza spregevole, ma come il luogo in cui Dio dispiega la sua grazia. Il riconoscimento della propria finitezza è quindi la porta verso la rivelazione e la salvezza. 

Nel corso della storia della salvezza, Dio sceglie coloro che non possiedono attributi di grandezza secondo i criteri umani. Questa scelta non è solo pedagogia, ma teologia: la salvezza è veramente un'iniziativa divina, e la sua trasparenza si manifesta nella piccolezza dello strumento umano. Così, Abramo è chiamato nella sua vecchiaia (cfr. Gn 12, 4); Mosè è scelto nonostante la sua balbuzie (cfr. Es 4, 10); Davide è unto, anche se è il più piccolo (cfr. 1Sam 17, 14). La teologia paolina lo sintetizza: “Dio ha scelto i deboli del mondo per svergognare i forti” (1 Cor 1, 27). Hans Urs von Balthasar osserva che questo modello rivela l“”estetica” di Dio: una bellezza che nasce dall'umiltà e dal sacrificio (Gloria. Un'estetica di Dio, 1989, p. 20-23). La piccolezza umana non è un ostacolo, ma una condizione affinché la gloria divina si manifesti.

Ora, nel Nuovo Testamento, la piccolezza acquista un valore esplicitamente soteriologico (cioè legato alla salvezza). Gesù dichiara che il Regno appartiene ai “poveri di spirito” (Mt 5, 3) e che la rivelazione è concessa “ai piccoli” (Mt 11, 25). La parabola del fariseo e del pubblicano (cfr. Lc 18, 9-14) mostra che la giustificazione non dipende dal merito, ma dal riconoscimento della propria miseria. 

Infatti, con fermezza e senza esitazione si può affermare con radicalità che l'umiltà è la verità dell'uomo davanti a Dio, senza la quale la grazia non trova dove posarsi; e solo così la piccolezza diventa allora una struttura spirituale di accoglienza

La piccolezza divina che risponde alla piccolezza umana 

L'inno ai Filippesi (2, 6-11) costituisce la chiave cristologica: il Verbo “si spogliò di sé stesso” (ekenōsen). L'Incarnazione è il abbassamento volontario del Figlio, che assume la condizione di servo. Sant'Atanasio di Alessandria (De Incarnatione Verbi Dei), insegna che il Verbo “non ha esitato a rendersi piccolo per elevarci dalla nostra piccolezza”. Questo abbassarsi non è umiliazione, ma manifestazione dell'essenza dell' amore divino: Dio è colui che si dona fino all'ultimo. 

La nascita a Betlemme rivela anche una logica divina che contrasta con ogni potere umano: la mangiatoia è segno di povertà, vulnerabilità e fragilità. Tutto nella scena indica che Dio ha scelto la piccolezza come linguaggio rivelatore. Papa San Leone Magno afferma che la maestà del Figlio di Dio assume la nostra piccolezza senza diminuire la sua grandezza (Sermone 6). La mangiatoia è quindi un'icona teologica: L'uomo non può accogliere Dio se non con umiltà, perché Dio stesso si presenta con umiltà.

L'Incarnazione avviene perché Maria riconosce la sua piccolezza: “ha guardato l'umiltà della sua schiava” (Lc 1,48). Su fiat è espressione di una disponibilità assoluta, il cui fondamento non è il merito ma la povertà di spirito. Santa Teresa di Lisieux, nella sua opera Storia di un'anima interpreterà questo atteggiamento come l'essenza del suo “caminito”; per lei, non si tratta tanto di elevarsi a Dio con opere straordinarie, quanto di lasciarsi prendere da Lui dalla sua piccolezza. 

La consapevolezza del peccato come apertura alla grazia 

Teologicamente, il peccato non è solo un semplice errore morale, ma è concepito come una rottura del rapporto filiale con Dio. San Paolo afferma che “tutti hanno peccato” (Rm 3, 23) e quindi la consapevolezza del peccato non è pessimismo, ma realismo teologico. La tradizione spirituale insegna che il vero pentimento è allo stesso tempo dolore per il male commesso e speranza nella misericordia. Il Salmo 51 esprime questa tensione: “Tu non disprezzi un cuore affranto e umiliato”. Il riconoscimento del peccato apre lo spazio interiore alla redenzione. 

Nelle parabole della misericordia (cfr. Lc 15) il ritorno del peccatore è descritto come una rinascita: il figlio “Era morto ed è tornato in vita”, poiché la misericordia è capace di restituire l'identità perduta, soprattutto quando la consapevolezza del peccato è in verità il primo passo verso una risposta del cuore alla misericordia di un Dio che continua ad andare incontro all'uomo, ma solo chi si riconosce ferito può lasciarsi guarire. 

Nelle realtà ecclesiali è opportuno parlare del “nascita di Cristo nell'anima”; il cristiano deve diventare un “Betlemme spirituale”, un luogo dove il Verbo possa nascere di nuovo. La piccolezza —come riconoscimento del peccato e del limite— costituisce la “mangiatoia interiore” di ogni credente. 

Magistero e tradizione: l'umiltà come condizione per l'incontro con Cristo

Ma cosa rende possibile questo incontro? Che, inoltre, sembra un incontro tra due mondi: il divino e l'umano; il Creatore e la creatura; il Signore e il servitore. In primo luogo, è fondamentale riconoscere la base di tutto l'edificio, e questa base è l“ umiltà, l'edificio è la preghiera (cfr. CIC 2559), senza l'umiltà nei momenti di dialogo con il Signore, è impossibile che la grazia agisca e, quindi, sarà impossibile riconoscerla come necessaria per la propria vita, per combattere e vincere il peccato, continueremmo a pensare di essere dei ”superuomini" in grado di vincere il Maligno con le proprie forze, cosa che evidentemente non accadrebbe (cfr. CIC 397-400). 

In secondo luogo, nella piccolezza che mi caratterizza e che dovrebbe caratterizzare tutti noi in relazione al Creatore, al Padre e al Figlio e allo Spirito Divino che procede da loro, si deve cercare di crescere nella disposizione necessaria ad accogliere il mistero dell'Incarnazione come il modo grazie al quale la salvezza è portata in pienezza da Dio a nostro favore e, per sua pura iniziativa, costituisce l'uomo come qualcuno di privilegiato, rendendolo partecipe in modo misterioso della vita divina (cfr. CIC 457-460). 

Una partecipazione che, sebbene grande nel significato, non smette di stupire, soprattutto quando scopriamo che Cristo è l'unico in grado di illuminare la realtà umana, indipendentemente da ciò che essa contiene, è lui, che è la luce, che rivela all'uomo la sua grandezza in quanto soggetto santificato e adottato come figlio di Dio, ma anche la sua miseria, in quanto il peccato continua a voler distruggere il rapporto della creatura con il Creatore. Infatti, Benedetto XVI afferma e sostiene che la fede nasce quando l'uomo riconosce il suo bisogno radicale di Dio (Udienza generale, 24 ottobre 2012). 

Disposizioni spirituali concrete 

Per quanto sopra, il cammino verso la piccolezza interiore è trasversale a tutta la realtà umana, è una realtà antropologica fondamentale che, una volta scoperta, nutre, matura, si consolida e dà frutti a partire da Cristo e non dall'uomo come essere autonomo. Non è possibile percorrere questa strada se non con l'aiuto della Grazia di Dio, della sua opera nella vita, della piena disponibilità del credente verso un Dio che, in un determinato momento della storia , si rivela e fa sua l'umanità e tutto il creato per rendere tutto nuovo, per ristabilire un'opera di salvezza che, sebbene limitata nel tempo, il suo fine è risplendere con tinte di eternità per sempre. 

La piccolezza spirituale – umiltà, povertà di spirito, consapevolezza del peccato – costituisce una chiave ermeneutica per comprendere l'Incarnazione e la vita cristiana. Dio si fa piccolo per raggiungere l'essere umano nella sua miseria; e l'essere umano, riconoscendosi piccolo, può accogliere il dono divino. Così, il presepe diventa un paradigma antropologico e teologico, perché solo nell'umiltà Dio può nascere. 

A tal fine, affinché “Il Bambino Gesù nasca nel cuore”, è necessario seminare, curare, raccogliere e coltivare: a) Preghiera umile e continua; b) Apertura al sacramento della Riconciliazione e Confessione sincera dei peccati; c) Atteggiamenti di assoluta fiducia in Dio; y d) Lectio divina che rivela la verità interiore

Il credente è chiamato ad essere Presepe da interno: un luogo dove Cristo possa incarnarsi continuamente attraverso la grazia. La piccolezza è uno spazio teologico dove il terreno fertile (la grazia) germoglia, dove la misericordia trasforma e dove il Verbo fatto Bambino rinnova la vita umana. 

L'autoreReynaldo Jesús

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Che bello è vivere... se hai un posto dove stare

L'aumento dei prezzi delle abitazioni impedisce alle famiglie di condurre una vita dignitosa. C'è bisogno di persone intraprendenti, con la capacità di commuoversi per il dolore altrui, con conoscenza della materia.

30 novembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Questa vigilia di Natale ricorre l'ottantesimo anniversario dell'ambientazione del film «La vita è meravigliosa» di Frank Capra. Ottant'anni dopo, il signor Potter continua ad arricchirsi grazie al bisogno di alloggi delle famiglie. Riuscirà oggi un angelo a illuminare un nuovo George Bailey?

Per ogni evenienza, cercherò di guadagnarmi un paio di ali smuovendo le coscienze con il mio articolo di oggi, perché non riesco a togliermi dalla testa i dati dell'ultimo rapporto FOESSA, secondo cui l'aumento dei prezzi delle abitazioni in Spagna impedisce a una famiglia su quattro di condurre una vita dignitosa. E non stiamo parlando solo dell'impossibilità di acquistare una casa, ma anche del fatto che il 45% della popolazione che vive in affitto è a rischio di povertà ed esclusione sociale, la percentuale più alta dell'UE. «L'affitto è diventato una trappola di povertà», affermano dalla Fondazione promossa da Cáritas Española. Ma di tutto ciò che riporta il comunicato stampa, mi rimane impressa una frase di Raúl Flores, coordinatore del rapporto, che non è altro che la morale del film interpretato da James Stewart: «Non sono le persone a fallire, è il sistema a fallire». 

Perché va benissimo mettere sotto pressione i politici, esigere azioni concrete volte a evitare che i beni di prima necessità diventino articoli di lusso; ma il sistema è dominato dai grandi fondi di investimento, come quello rappresentato dall'avaro Potter, che capiscono solo di redditività. Alla fine saranno le famiglie, la società civile, le istituzioni a doversi unire per portare avanti iniziative che contrastino gli speculatori. Ma la società è spesso addormentata e ha bisogno di eroi, come il protagonista del classico natalizio in bianco e nero, che la risveglino, che le facciano capire che le persone comuni, se si uniscono, possono fare grandi cose senza aspettare che lo Stato-papà le tiri fuori dai guai perché potrebbero bruciarsi.

Le persone di cui abbiamo bisogno

Ho avuto la fortuna di conoscere e intervistare poco prima della sua morte (è stato benedetto da una lunga vita di oltre 100 anni) un George Bailey in carne e ossa, che era il mio parroco, il sacerdote D. Francisco Acevedo Ponce de León. Inviato negli anni «50 nell'oggi prospero (allora poverissimo) quartiere di Huelin, a Malaga, si trovò di fronte al grave problema delle giovani famiglie che vivevano in baracche perché i salari degli operai non erano sufficienti per accedere a un alloggio dignitoso. Un giorno portò a vedere le condizioni di vita di quelle coppie con figli piccoli un suo parrocchiano, Claudio Gallardo, un amministratore di profonda fede religiosa, che rimase impressionato da quella visita e sentenziò: »Bisogna porre fine a questo fiume di tristezza». Mettendosi al lavoro, questa coppia fu responsabile della costruzione di ben 6.000 alloggi in regime di cooperativa tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70. Alloggi che, naturalmente, furono occupati in primo luogo dalle famiglie delle baraccopoli, che furono demolite poco dopo, ma ai quali si aggiunsero molte altre famiglie che non avrebbero potuto accedere a una proprietà sul mercato immobiliare. Quel fiume di tristezza fu assorbito da un oceano di solidarietà ingegnosa.  

Quanti Acevedo-Gallardos ci saranno tra noi che non hanno ancora osato mettere in pratica il proprio talento? Persone intraprendenti, capaci di commuoversi per il dolore altrui, disposte a subire gli attacchi di chi rifiuterà l'idea, con conoscenze in materia, economisti, costruttori, architetti...

E le congregazioni religiose? Quanto potrebbero contribuire in questo campo? Sicuramente ci sono alcune che possiedono patrimoni immobiliari oggi inutilizzati che potrebbero essere il germe di una nuova missione al servizio delle famiglie più bisognose. Quando si parla di crisi vocazionale nella vita consacrata, ricordo sempre che i suoi periodi di splendore sono intimamente legati alla capacità che ebbero i suoi fondatori di individuare le ferite più sanguinanti dell'umanità. Era quello spirito di uscire per curare quelle ferite che spingeva i giovani, intrepidi per natura, a unirsi a loro, perché è proprio loro seguire le cause nobili, come abbiamo visto a Valencia con la DANA, o come ha fatto George Bailey rinunciando ad andare all'università o a godersi il suo viaggio di nozze per non abbandonare tante famiglie che dipendevano dalla sua compagnia di prestiti. Un tempo, i religiosi offrivano l'istruzione o l'assistenza sanitaria che lo Stato non forniva. Oggi, queste esigenze, pur rimanendo molto importanti, non sono forse così urgenti perché lo Stato le copre ampiamente. Dio ci sta forse parlando in qualche modo?

Non datemi retta. Sicuramente quello che ho appena detto è una sciocchezza, sicuramente non ho idea di economia, imprenditoria o vita religiosa; ma lasciatemi sognare, come nella favola di Capra. Lasciatemi sognare un mondo migliore come quello che un giorno hanno sognato il mio parroco e il suo buon amico Gallardo e che sono riusciti a realizzare. Lasciatemi sognare un mondo in cui uomini e donne coraggiosi promuovono reti di solidarietà affinché molte famiglie possano dire: «Che bello è vivere!» e trovare dove farlo. Perché non sono le persone a fallire, è il sistema a fallire. Avete sentito un campanellino?

L'autoreAntonio Moreno

Giornalista. Laurea in Scienze della Comunicazione e laurea in Scienze Religiose. Lavora nella Delegazione diocesana dei media di Malaga. I suoi numerosi "thread" su Twitter sulla fede e sulla vita quotidiana sono molto popolari.

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Evangelizzazione

San Andrés apostolo, patrono del Patriarcato Ecumenico

Fratello di Simon Pietro, l'apostolo Sant'Andrea si distingue tra i santi per essere stato il primo a ricevere la chiamata del Signore e per essere stato martirizzato su una croce a forma di X. Sant'Andrea, che la Chiesa celebra il 30 novembre, è patrono della Chiesa ortodossa di Costantinopoli, nome storico di Istanbul.  

Francisco Otamendi-30 novembre 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

“Abbiamo trovato il Messia, che significa Cristo. E lo portò da Gesù...”. Sono le parole di Andrea nel Vangelo di Giovanni (Gv 1, 35 e ss.), quando corre incontro a suo fratello Simone, che sarebbe diventato il primo Papa, per dirgli che hanno visto il Salvatore. Un frammento del Vangelo che nel Nuovo Testamento viene solitamente intitolato ‘vocazione dei primi discepoli’.

Poco prima, l'apostolo San Giovanni racconta la prima conversazione di Andrea e di un altro discepolo con Gesù, che chiede loro: “Che cercate?”. E loro rispondono: «Maestro, dove vivi?». Egli rispose loro: «Venite e vedrete».

Pescatore di Betsaida di Galilea, discepolo di Giovanni Battista, il racconto dell'evangelista registra il momento dell'incontro di sant'Andrea, il primo ad aver ricevuto la chiamata, con Gesù. Un incontro che segnò per sempre la sua esistenza. “Allora andarono, videro dove abitava e rimasero con lui quel giorno; era circa l'ora decima”.

Patrono in Romania, Ucraina e Russia

Gli scrittori cristiani dei primi secoli riferiscono che l'apostolo avrebbe evangelizzato l'Asia Minore e le regioni che attraversano il Mar Nero, arrivando fino al Volga. Oggi è venerato come patrono in Romania, Ucraina e Russia, riporta il giorni dei santi Vaticano.

La predicazione del Vangelo continua ad Acacia e, intorno all'anno 60, a Patrasso. San Andrés affronta il martirio appeso a una croce che egli stesso ha voluto a forma di X, evocando l'iniziale greca del nome di Cristo.

Il Papa si congratula con il Patriarcato ecumenico

Ieri, nella cattedrale di San Giorgio, insieme al Patriarca ortodosso Bartolomeo I, Papa Leone ha ricordato in Turchia che il giorno precedente avevano vissuto momenti straordinari di grazia, commemorando il 1700° anniversario del primo Concilio ecumenico di Nicea. 

Spinti da questo desiderio di unità, ha affermato, “ci prepariamo anche a celebrare la memoria dell'apostolo Andrea, patrono del Patriarcato Ecumenico. (...) Ancora una volta, ringrazio per la fraterna accoglienza e desidero porgere a Sua Santità e a tutti i presenti i miei più fervidi auguri per la festa del vostro santo patrono”.

L'autoreFrancisco Otamendi

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Mondo

Leone XIV ai cattolici della Turchia: ‘buoni propositi’ per l'Avvento per costruire ponti

Alla Volkswagen Arena di Istanbul, Papa Leone XIV ha offerto nell'omelia della Santa Messa una proposta di “risoluzioni” su cui lavorare durante l'Avvento: costruire ponti con altri cattolici, altri cristiani e altri credenti in Dio.  

CNS / Omnes-29 novembre 2025-Tempo di lettura: 6 minuti

– Cindy Wooden, Istanbul, CNS

Questo pomeriggio Papa Leone ha dato ai cattolici della Turchia alcuni suggerimenti in linea ecumenica e interreligiosa per questo Avvento che sta per iniziare: costruire ponti con altri cattolici, altri cristiani e altri credenti in Dio.

Con i loro diversi riti, culture, lingue e razze, i cattolici trovano un'unità attorno all'altare che “è un dono di Dio. Come tale, è forte e invincibile, perché è opera della sua grazia”, ha affermato Papa Leone XIV.

Papa Leone era accompagnato alla Volkswagen Arena da laici, sacerdoti e vescovi delle chiese cattoliche latina, caldea, armena e siriaca .

Le letture e le preghiere della Messa sono state recitate in latino, turco, inglese, armeno, arabo e italiano.

Papa Leone XIV saluta i fedeli dopo aver presieduto la Santa Messa alla Volkswagen Arena, durante il suo primo viaggio apostolico, a Istanbul, in Turchia, il 29 novembre 2025. (OSV News/Umit Bektas, Reuters).

Compiti per questo Avvento

Erano presenti anche il Patriarca ecumenico ortodosso Bartolomeo di Costantinopoli e rappresentanti di altre comunità cristiane.

Durante la Messa della vigilia della prima domenica di Avvento, Papa Leone ha dato ai cattolici quelli che ha definito dei “buoni propositi” su cui lavorare durante questo Avvento: costruire ponti con altri cattolici, altri cristiani e altri credenti in Dio.

L'unità nella diversità che si manifesta nell'arena, come i tre ponti di Istanbul sullo stretto del Bosforo che uniscono l'Europa e l'Asia, necessita di una manutenzione costante per rimanere forte, ha affermato Papa Leone.

Rafforzare i legami 

Rivolgendosi alle diverse comunità cattoliche, il Papa le ha esortate a compiere ogni sforzo possibile “per promuovere e rafforzare i legami che ci uniscono, affinché possiamo arricchirci reciprocamente ed essere un segno credibile davanti al mondo dell'amore universale e infinito del Signore”.

Il secondo legame che i cattolici devono coltivare, ha affermato, è quello che li unisce agli altri cristiani, perché “la stessa fede in Gesù nostro Salvatore unisce non solo noi che facciamo parte della Chiesa cattolica, ma anche tutti i nostri fratelli e sorelle che appartengono ad altre chiese cristiane”.

In un paese musulmano al 99%, dialogo e tolleranza

E, in una nazione in cui circa il 99% della popolazione è musulmana, ha affermato Papa Leone, i cattolici devono praticare il dialogo e la tolleranza, promuovendo il rispetto e la pace in «un mondo in cui la religione viene troppo spesso utilizzata per giustificare guerre e atrocità».

“Vogliamo camminare insieme valorizzando ciò che ci unisce, abbattendo i muri dei pregiudizi e della sfiducia, promuovendo la conoscenza e la stima reciproca per dare a tutti un forte messaggio di speranza e un invito a diventare costruttori di pace”, ha affermato.

Saluto di Papa Leone XIV alla Volkswagen Arena di Istanbul, il 29 novembre 2025. (OSV News/Umit Bektas, Reuters).

Centinaia di persone non hanno potuto accedere

Padre Ryan C. Boyle, tenente colonnello e cappellano della base aerea di Incirlik, era uno dei concelebranti della messa, ma purtroppo il personale militare statunitense che aveva viaggiato con lui fino a Istanbul era rimasto fuori dallo stadio insieme a centinaia di altre persone, che non erano riuscite ad ottenere uno dei 4.000 biglietti gratuiti per la messa.

La metafora della costruzione di ponti era appropriata, ha dichiarato padre Boyle al Catholic News Service. “Pontifex Maximus’, uno dei titoli del Papa, significa ’grande costruttore di ponti».

“E poi, come cappellano militare, lavoro in un ambiente pluralistico con cappellani protestanti, cappellani ebrei e cappellani musulmani”, ha detto, “e anche se abbiamo origini e tradizioni religiose molto diverse, spesso riusciamo a trovare punti in comune e a lavorare insieme”.

In cielo non ci saranno cartelli: ‘Cattolici da questa parte’, ‘Ortodossi da quella parte’.’

Riguardo alle diverse tradizioni cristiane, il Pontefice ha affermato: “Siamo tutti uniti nel nostro amore per Gesù Cristo. Tutti desideriamo essere in cielo con gli angeli e i santi nei secoli dei secoli. E, naturalmente, in cielo non ci saranno cartelli con scritto: “Cattolici da questa parte” e “Ortodossi da quella parte”.

Papa Leone XIV prega insieme ai leader ortodossi, ortodossi orientali e protestanti all'inizio di un incontro nella Chiesa ortodossa siriana di Mor Ephrem a Istanbul, in Turchia, il 29 novembre 2025. (Foto CNS/Lola Gomez).

Per un Giubileo congiunto a Gerusalemme nel 2033

Prima della messa alla Volkswagen Arena, Papa Leone XIV ha dichiarato questa mattina, durante un incontro con i leader cristiani, che spera di potersi riunire a Gerusalemme nel 2033 per celebrare insieme il 2000° anniversario della morte e resurrezione di Gesù.

Successivamente, in una dichiarazione congiunta con il Patriarca ecumenico ortodosso Bartolomeo di Costantinopoli, ha esortato i cristiani d'Oriente e d'Occidente a concordare finalmente una data comune per la Pasqua. Il papa e il patriarca hanno anche lanciato un appello per la fine della guerra.

Incontro con i leader ortodossi

Entrambi si sono riuniti domenica a Istanbul con i leader ortodossi, ortodossi orientali e protestanti che si erano uniti a loro il giorno precedente a Iznik, sito dell'antica città di Nicea. L'obiettivo era commemorare il 1700° anniversario del Concilio di Nicea e i principi del Credo niceno, condivisi da tutti i cristiani tradizionali.

L'incontro con i leader si è tenuto nella Chiesa ortodossa siriana di Mor Ephrem, inaugurata nel 2023, la prima e unica chiesa cristiana costruita in Turchia dalla fondazione della Repubblica di Turchia come nazione costituzionalmente laica nel 1923.

Secondo l'ufficio stampa del Vaticano, Papa Leone XIII ha discusso con i leader la possibilità di celebrare insieme il Giubileo del 2033 a Gerusalemme.

Leone XIV: celebrare nel Cenacolo

Al calar della sera, Papa Leone ha incontrato nuovamente il Patriarca Bartolomeo nella Cattedrale Patriarcale di San Giorgio per una funzione di preghiera doxologica in lode a Dio.

“Ieri, e anche questa mattina, abbiamo vissuto momenti straordinari di grazia commemorando, insieme ai nostri fratelli e sorelle nella fede, il 1700° anniversario del Primo Concilio Ecumenico di Nicea”, ha affermato Papa Leone durante la cerimonia.

Papa Leone XIV e il Patriarca ecumenico ortodosso Bartolomeo di Costantinopoli impartiscono insieme la benedizione finale al termine di una funzione religiosa il 29 novembre 2025 nella Cattedrale patriarcale di San Giorgio a Istanbul. (Foto CNS/Vatican Media).

Ricerca del ripristino della piena comunione

“Ricordando quell’evento così significativo e ispirati dalla preghiera di Gesù affinché tutti i suoi discepoli siano uno”, ha detto il Papa, “ci sentiamo incoraggiati nel nostro impegno a cercare il ripristino della piena comunione tra tutti i cristiani, un compito che intraprendiamo con l’aiuto di Dio”.

Durante la dossologia, ha detto, “il diacono ha rivolto a Dio la richiesta ‘per la stabilità delle Sante Chiese e per l’unità di tutti’. La stessa richiesta sarà ripetuta anche nella Divina Liturgia di domani. Che Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, abbia misericordia di noi ed esaudisca questa preghiera”.

Il calendario e le date

Il Concilio di Nicea stabilì anche una data comune per la celebrazione della Pasqua da parte di tutti i cristiani: la prima domenica dopo il plenilunio successivo all'equinozio di primavera. Tuttavia, il calendario giuliano, utilizzato dai cristiani nel IV secolo, era sempre più sfasato rispetto all'anno solare, cosicché il 21 marzo, generalmente considerato la data dell'equinozio di primavera nell'emisfero settentrionale, si allontanò gradualmente dall'equinozio reale.

Nel 1582, papa Gregorio XIII riformò il calendario, eliminando dieci giorni e facendo ricadere l'equinozio nuovamente il 21 marzo. Tuttavia, la maggior parte dei cristiani orientali non adottò il nuovo calendario, il che portò a volte a celebrare la Pasqua nello stesso giorno, ma la celebrazione dei cristiani orientali poteva avvenire fino a quattro settimane dopo.

San Paolo VI e tutti i papi che gli sono succeduti, compreso Papa Leone, hanno affermato che la Chiesa cattolica è disposta ad accettare una proposta ortodossa per una data comune per la Pasqua.

Storica dichiarazione congiunta del Papa e del Patriarca 

Nella loro dichiarazione congiunta, che potete consultare integralmente qui, il Papa e il Patriarca hanno affermato che l'anniversario di Nicea dovrebbe ispirare «nuovi e coraggiosi passi avanti sulla via dell'unità», compresa la ricerca di quella data comune.

“Ringraziamo la divina provvidenza che quest'anno tutto il mondo cristiano abbia celebrato la Pasqua nello stesso giorno”, hanno affermato. “È nostro desiderio comune continuare a cercare una possibile soluzione per celebrare insieme la Festa delle Feste ogni anno. Speriamo e preghiamo affinché tutti i cristiani, con saggezza e comprensione spirituale, si impegnino a raggiungere una celebrazione comune della gloriosa resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo”.

Invitiamo il dono divino della pace

Parte dell'obiettivo del cristianesimo, hanno anche affermato, è contribuire alla pace tra tutti gli uomini.

“Insieme alziamo con fervore le nostre voci per invocare il dono divino della pace per il nostro mondo”, hanno affermato. “Purtroppo, in molte regioni del mondo, i conflitti e la violenza continuano a distruggere la vita di tante persone. Facciamo appello a coloro che hanno responsabilità civili e politiche affinché facciano tutto il possibile per garantire che la tragedia della guerra cessi immediatamente, e chiediamo a tutte le persone di buona volontà di sostenere la nostra supplica”.

L'autoreCNS / Omnes

Mondo

Il Papa visita la Moschea Blu di Istanbul, ma non si ferma a pregare

Nel suo terzo giorno in Turchia, Papa Leone XIV, come i suoi due immediati predecessori, ha visitato la cosiddetta Moschea Blu a Istanbul. Ha trascorso circa 20 minuti all'interno, ma non sembra essersi fermato a pregare come hanno fatto Papa Benedetto XVI e Papa Francesco.

CNS / Omnes-29 novembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

– Cindy Wooden, Istanbul, CNS

Il primo atto della terza giornata del viaggio apostolico in Turchia e Libano di Papa Leone XIV è stata la visita alla Moschea del Sultano Ahmed. Non è il primo Papa ad aver pregato in una moschea. Lo fece San Giovanni Paolo II nel 2001 a Damasco, e proprio nella stessa Moschea Blu di Istanbul lo fecero Benedetto XVI nel 2006 e Francesco nel 2014.

Al suo arrivo, Papa Leone XIV è stato accolto e accompagnato alla moschea dal capo della Diyanet, il presidente degli affari religiosi della Turchia.

Spiegazioni del muezzin

Durante la visita, il Pontefice della Chiesa cattolica ha ascoltato Askin Musa Tunca, il muezzin della moschea, che chiama la gente alla preghiera cinque volte al giorno, spiegando l'edificio, la sua costruzione e come pregano i musulmani. E il Papa ha fatto delle domande.

Tunca ha poi dichiarato ai giornalisti che la moschea è “la casa di Allah; non è casa mia né casa tua”, e per questo ha detto a Papa Leone che poteva pregare se voleva. “Va bene”, ha detto, “volevo vedere la moschea”.

I giornalisti hanno insistito con Tunca, chiedendogli nuovamente se il Papa pregasse. “Forse per sé stesso, non lo so”, ha risposto.

Papa Leone XIV visita la Moschea di Sultanahmet, nota come Moschea Blu, durante il suo primo viaggio apostolico a Istanbul, in Turchia, il 29 novembre 2025. (OSV News/Kemal Aslan, Reuters)

Papa Leone: ascolto e rispetto

L'ufficio stampa del Vaticano ha poi riferito che Papa Leone ha visitato la moschea «con spirito di riflessione e di attento ascolto, con profondo rispetto per il luogo e per la fede di coloro che vi si riuniscono in preghiera».

Come da tradizione, Papa Leone si è tolto le scarpe nel cortile prima di entrare nella moschea con calzini bianchi.

21.000 piastrelle blu

Formalmente chiamata Moschea del Sultano Ahmed, questa casa di preghiera musulmana fu completata nel 1617 ed è conosciuta come la Moschea Blu per le oltre 21.000 piastrelle blu che decorano le sue pareti, gli archi e le cupole. Le piastrelle provengono da Iznik, sede dell'antica Nicea, che Papa Leone aveva visitato il giorno prima.

All'uscita dalla moschea, Papa Leone indicò a Tunca che stavano passando davanti a un cartello con la scritta: “Divieto di uscita”. Il muezzin rispose che il cartello era destinato ai turisti, ma che, se il Papa preferiva, “non dovevano uscire. Potevano restare lì”.

Papa Benedetto XVI ha visitato la Moschea Blu nel 2006 e Papa Francesco l'ha visitata nel 2015. Entrambi hanno osservato un momento di silenzio davanti al mihrab, che indica la direzione della città santa islamica della Mecca. San Giovanni Paolo II è stato il primo pontefice a visitare una moschea quando si è recato alla moschea omayyade di Damasco, in Siria, nel 2001.

Stima per i fratelli e le sorelle musulmani

Alla fine di ottobre, Papa Leone ha presieduto le celebrazioni in Vaticano per il 60° anniversario della ‘Nostra Aetate’, il documento del Concilio Vaticano II sulle relazioni con le altre religioni del mondo. 

I vescovi presenti al Concilio Vaticano II affermarono che i cattolici nutrono stima per i loro fratelli e sorelle musulmani, i quali “adorano l'unico Dio, vivente e sussistente in se stesso, misericordioso e onnipotente, Creatore del cielo e della terra” e «si sforzano di sottomettersi con tutto il cuore anche ai suoi decreti imperscrutabili”.

L'autoreCNS / Omnes

Il sospetto miraggio del cattolicesimo

L'apparente rinascita del cattolicesimo in Spagna si manifesta tra moda culturale e riconoscimento delle sue radici universali che invitano al dialogo sull'etica e alla trasformazione sociale.

29 novembre 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Il cattolicesimo è di moda in Spagna, a quanto pare. Sono già molti i bagliori che formano un raggio di luce che illumina la società in modo diverso, ovvero sembra essere qualcosa di più di una visione “cristiana vintage”. Diego Garrocho lo ha raccontato in modo brillante in “El giro católico” (La svolta cattolica). Ma i due esempi più commentati sono l'estetica e la spiritualità del nuovo album di Rosalía e il film molto chiacchierato “Los Domingos” di Alauda Ruiz de Azúa, che mettono in scena questo cambiamento. La musica religiosa di Hakuna è un'altra chiara espressione di questo movimento, perché è un prodotto culturale e spirituale, consumato come qualsiasi altro prodotto culturale standard sul mercato. 

Di fronte a questo fenomeno, alcuni si chiedono: stiamo parlando di una patina che conferisce un'immagine “retrò” a questo movimento, o si tratta di un cambiamento profondo? È un'estetica che fa bene a rinnovare il panorama culturale, ma che in fondo non apporta nulla di nuovo? È l'uso di una reminiscenza per catturare l'interesse generale o è un cambiamento radicale? È un miraggio momentaneo per mantenere tranquilli e silenziosi i cattolici o questo implica un ritorno alle nostre radici?

Questo apparente risveglio sconnesso, che ha come risultato un apparente rinnovamento globale, è una chiara dimostrazione di come la nostra società, che ci piaccia o no, sia permeata dalla cultura cattolica. In fondo ci ricorda chi siamo e che questo movimento è qualcosa di più di una moda, poiché trascende il momento culturale. Perché, come è noto, cattolico significa “universale”, e se questo “cambiamento” è reale, supera il temporale.

Ma soprattutto significa che si collega all'idea, oggi così necessaria, del dialogo, che ci allontana dalla polarizzazione presente nella nostra società. Cioè, se questo movimento spontaneo permette di dimostrare che si può avere un'opinione diversa da quella dominante senza pregiudizi, ben venga questo ritorno al cattolicesimo, perché è la prova che si tratta di un cambiamento reale. Avere polarità significa avere opinioni, idee, un proprio senso della vita, qualcosa di molto diverso da ciò che cerca la polarizzazione, che è frammentare, dividere e disunire.

Ciò significa che dobbiamo difendere i nostri principi, propri dell'Occidente primitivo (Roma, Gerusalemme, Atene), ma sotto l'egida del bene comune e del dialogo, qualcosa che è anche proprio della Dottrina Sociale della Chiesa. In altre parole, non dobbiamo essere vittime del sistema gregario, dobbiamo esporre e vivere ciò che pensiamo, senza cercare il conflitto (ricercato da altri), ma sapendo che questo è costato il martirio ai cristiani e che in questi tempi può spesso costare un martirio culturale, in Europa, imposto dal wokismo decantato. E, in diversi paesi dell'Africa e dell'Asia, sta comportando un vero e proprio martirio, come i genocidi in Nigeria, Sudan, Siria, Pakistan, Iran e India. 

D'altra parte, è più di un invito a tornare alle radici cattoliche, è la rinascita di qualcosa che non è morto, perché è nel substrato della nostra cultura. I valori universali dell'umanità hanno radici cristiane, lontane o recenti, come i diritti umani: la vita, una vita dignitosa, la famiglia, l'alloggio... Finora lo sguardo sul cristianesimo era offensivo, perché veniva attaccato, le sue affermazioni venivano travisate e alcuni aspetti della sua dottrina venivano utilizzati in chiave politica. Se ora guardiamo davvero al cattolicesimo con occhi diversi, dobbiamo riconoscere i grandi progressi che il cristianesimo ha portato, a prescindere dagli errori commessi da persone concrete, perché il risultato è più positivo di quanto non fosse prima.

Tutto ciò non impedisce, anzi interpella, i cattolici e i cristiani in generale ad aiutare a continuare a cambiare la società, per renderla più cattolica (nel senso di universale, non riduttiva, non politicizzata) e smantellare l'immoralità della corruzione economica, sociale e istituzionale. Attraverso la ricerca di una maggiore formazione e competenza di ciascuno di noi, cittadini. Promuovendo la presenza di leader civici che perseguano il bene comune e non il proprio vantaggio o quello dei “miei”. Cercando un dialogo in cui vi sia un consenso reale, non minimo. In cui i più bisognosi ricevano aiuto per essere più formati e preparati. E in cui la società sia un'estensione della famiglia.

L'autoreÁlvaro Gil Ruiz

Professore e collaboratore regolare di Vozpópuli.

Mondo

Aiuto alla Chiesa che Soffre ha un nuovo presidente: il cardinale Kurt Koch

Koch succede a Mons. Mauro Piacenza, che è stato alla guida di Aiuto alla Chiesa che Soffre negli ultimi 14 anni.

Maria José Atienza-29 novembre 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto

Mons. Kurt Koch è il nuovo presidente della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN). Koch succede al cardinale Mauro Piacenza, che ha guidato questa organizzazione internazionale negli ultimi 14 anni.

Koch assume questo incarico dal Papa con una lunga esperienza alle spalle nel campo delle relazioni interreligiose ed ecumeniche, un lavoro su cui la fondazione pontificia basa gran parte del suo carisma. Non a caso, fin da giovane Koch si è interessato all'ecumenismo. Ha studiato teologia a Monaco (Germania) e a Lucerna ed è stato ordinato sacerdote all'età di 32 anni.

Nel 1995 è stato nominato vescovo di Basilea da papa Giovanni Paolo II e nel 2010 è stato creato cardinale da papa Benedetto XVI, che lo ha anche nominato presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, poi trasformato in Dicastero in virtù della riforma introdotta dalla costituzione apostolica Praedicate evangelium.

La stessa fondazione pontificia, nel ringraziare il Papa per questa nomina, ha sottolineato il rapporto che il cardinale Koch ha mantenuto con ACN nel corso degli anni, in particolare con gli uffici svizzero e tedesco, partecipando a conferenze e pellegrinaggi, tra gli altri eventi.