Vaticano

Papa Leone XIV: Bartimeo ci aiuta a non perdere mai la speranza 

All'udienza generale di questo mercoledì, Papa Leone XIV ha riflettuto sul passo evangelico del cieco Bartimeo. Ha detto che l'atteggiamento di Bartimeo davanti a Gesù ci aiuta a non perdere mai la speranza, anche quando ci sentiamo soli e caduti, perché Dio ascolta sempre le nostre malattie, sia quelle del corpo che quelle dell'anima.

Francisco Otamendi-11 giugno 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Questa mattina, il Papa è tornato alla Pubblico generale il ciclo di catechesi per l'Anno Giubilare, "Gesù Cristo nostra speranza", e si è focalizzato su meditazione sul cieco Bartimeo. Coraggio! Alzati, ti chiama" (Mc 10, 49-52). Nel suo discorso, Leone XIV ci incoraggiò a portare a Gesù "le nostre infermità, sia del corpo che dell'anima, con la stessa fiducia che ispirò la preghiera di Bartimeo".

Nella catechesi di oggi riflettiamo sul brano evangelico del cieco Bartimeo, che ci mette di fronte a un aspetto essenziale della vita di Gesù, diceva Papa Leone XIV. "La sua capacità di guarire. Bartimeo, solo e sdraiato sul ciglio della strada, quando sente passare Gesù, grida, sa chiedere, abbandona il mantello, corre dal Signore e riceve ciò che desiderava, riacquistare la vista".

"Dio ascolta sempre".

"L'atteggiamento di Bartimeo davanti a Gesù ci aiuta a non perdere mai la speranza, anche quando ci sentiamo soli e caduti, perché Dio ci ascolta sempre. Come lui, tutti noi abbiamo bisogno di Gesù che ci guarisca, ci sollevi e ci aiuti a rimetterci in cammino", ha incoraggiato il Pontefice.

Per essere guariti dal Signore. "Mettiamo anche noi davanti allo sguardo di Cristo, con fede e sincerità, tutte le nostre vulnerabilità, sofferenze e debolezze", ha aggiunto il Santo Padre. "Non aggrappiamoci alla nostra apparente sicurezza, che spesso ci impedisce di camminare, e abbiamo il coraggio di alzare la testa per recuperare la nostra dignità".

"Continuate a gridare!"

"Cosa possiamo fare quando ci troviamo in una situazione apparentemente senza speranza? Bartimeo ci insegna a fare appello alle risorse che portiamo dentro di noi e che fanno parte di noi. È un mendicante, sa chiedere, anzi, sa gridare", ha proseguito il Papa.

"Se vuoi davvero qualcosa, fai di tutto per ottenerla, anche quando gli altri ti rimproverano, ti umiliano e ti dicono di smettere. Se lo vuoi davvero, continua a gridare!

Il grido di Bartimeo nel Vangelo di Marco - "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me" (v. 47) - è diventato una preghiera ben nota nella tradizione orientale, che anche noi possiamo utilizzare: "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore".

"Bartimeo è cieco, ma paradossalmente vede meglio degli altri e riconosce chi è Gesù! Al suo grido, Gesù si ferma e lo chiama (cfr. v. 49), perché non c'è grido che Dio non ascolti, anche quando non sappiamo di rivolgerci a lui (cfr. Es 2,23)", ha meditato il Papa.

Domenica della Santissima Trinità

Nei suoi brevi discorsi ai pellegrini di diverse lingue, il Papa li ha incoraggiati a portare a Gesù le nostre malattie (lingua tedesca). "Le nostre prove, i nostri limiti e le nostre debolezze, così come quelle dei nostri cari. Portiamo anche la sofferenza di coloro che si sentono smarriti e non riescono a trovare una via d'uscita" (francese). 

"Mentre ci prepariamo a celebrare la solennità della Santissima Trinità domenica prossima, vi invito a fare dei vostri cuori una dimora accogliente per il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo". "Durante questo Giubileo della speranza, possiamo anche noi ricevere la grazia di vedere tutte le cose di nuovo alla luce della fede, e di seguire il Signore in libertà e novità di vita". (Lingua inglese). 

Cuore di Gesù

"Vi auguro di sperimentare nella vostra vita l'opera dello Spirito Santo, di irradiare la gioia della fede" (lingua cinese). "Saluto cordialmente tutti i polacchi. Nel mese di giugno essi celebrano la pia devozione alla Sacro Cuore di Gesù. Vi incoraggio a coltivare questa tradizione, affidando le vostre preoccupazioni e le vostre speranze al Cuore di Cristo, fonte di vita e di santità (polacco). "Chiediamo con fede al Signore di guarirci dalle nostre malattie" (portoghese).

Nei suoi saluti in spagnolo si è rivolto in particolare "ai gruppi di Spagna, Ecuador, Venezuela e Messico". Una banda messicana ha fatto da cornice al giro di Leone XIV in papamobile davanti al pubblico, durante il quale ha salutato ancora una volta numerosi neonati e bambini piccoli portati in braccio da genitori e parenti.

In spagnolo, il Papa ci ha invitato "a portare con fiducia a Gesù le nostre malattie e quelle dei nostri cari; a non essere indifferenti al dolore dei nostri fratelli e sorelle che si sentono smarriti e senza via d'uscita, ma a dar loro voce, certi che il Signore ci ascolterà e agirà. Chiediamo a Dio, per intercessione di Maria Santissima, di concederci la grazia di seguire Colui che è la Via, Gesù Cristo nostro Signore".

Preghiera per le vittime di Graz (Austria)

In italiano, prima di recitare il Padre Nostro e dare la Benedizione, ha pregato per le vittime del massacro in una scuola di Graz (Austria) e per le loro famiglie. Diverse centinaia di persone hanno partecipato alla Messa per le vittime.

Il Papa ha concluso l'udienza ricordando la Solennità della Santissima Trinità. "Auspico che la contemplazione del mistero trinitario vi conduca sempre più profondamente nell'Amore divino, per compiere in ogni circostanza la volontà del Signore".

L'autoreFrancisco Otamendi

Libri

San Josemaría e la liturgia

Il libro "San Josemaría e la liturgia", pubblicato da Juan José Silvestre, professore di Liturgia all'Università di Navarra, offre chiavi di lettura per comprendere la visione del santo sulla Santa Messa.

Juan José Silvestre-11 giugno 2025-Tempo di lettura: 9 minuti

L'opera inizia con alcune parole del santo di Barbastro che costituiscono l'incipit dell'opera. motivo leit dell'intero libro: "Non dimenticate che la vita liturgica è una vita d'amore; amore di Dio Padre, attraverso Gesù Cristo nello Spirito Santo, con tutta la Chiesa, di cui fate parte". Parole che il vescovo Mariano Fazio commenta nel prologo, dicendo: "Questa affermazione del santo percorre tutto il libro e, leggendolo, ho potuto constatare che l'autore ha individuato nell'amore un aspetto chiave della comprensione della liturgia da parte di San Josemaría".

Infatti, attraverso le pagine ho cercato di mostrare, con la vita e gli insegnamenti di san Josemaría, spesso legati a dettagli biografici, che le parole con cui inizia il libro sono una realtà. L'amore è un punto chiave.

San Josemaría e la liturgia

Il fascino per la liturgia si manifestò in lui fin dalla più tenera età, come ho cercato di mostrare nel primo capitolo. Essa segnò la sua vita spirituale ed egli vi rimase fedele per tutto il suo ministero sacerdotale. Ritrovando il 2 ottobre 1928, data in cui "vide" la Opus DeiAnche questa fu una tappa importante nella sua vita e nei suoi insegnamenti liturgici.

Come si evince dai tre capitoli, si può dire che in una logica liturgica presento il suo pensiero come portatore di una particolare ricchezza derivante sia dal carisma fondazionale ricevuto e dalla sua vita contemplativa, sia dalle vicende del suo ministero sacerdotale.

Credo si possa dire, senza timore di sbagliarsi, che San Josemaría era innamorato della liturgia. Questo amore, questo entrare nella corrente trinitaria di amore per l'uomo che è l'Eucaristia, lo ha portato per tutta la vita a cercare sempre il modo migliore di vivere, nella Chiesa, quell'incontro personale e amoroso che è la Santa Messa. Per questo motivo la sua predicazione sarà impregnata di fonti liturgiche. La sua vita e i suoi insegnamenti cercheranno di incarnare al meglio la natura stessa della liturgia. 

Vetus ordo

È stato l'amore per la liturgia che lo ha portato a "relazionarsi" con molte delle intuizioni del movimento liturgico degli anni Trenta. Questo stesso amore per la liturgia, come realtà ecclesiale, è quello che lo ha portato a promuovere un'ordinata e progressiva introduzione della riforma liturgica nelle celebrazioni dei centri dell'Opus Dei, come richiesto dalla Santa Sede. Ed è la sua vita liturgica, intesa come incontro d'amore con Dio, che spiega perché, dopo aver cercato per 45 anni di fare proprie le parole e i gesti del Messale tridentino, abbia trovato molta difficoltà a passare al Messale del 1970 e abbia finito per beneficiare, senza averlo chiesto, dell'indulto che gli ha permesso di continuare a celebrare negli ultimi tre anni della sua vita con il rito precedente alla riforma conciliare.

Sia nei suoi scritti pubblicati e inediti, sia nella sua predicazione orale, si può notare che l'amore è il centro, il cuore dei suoi insegnamenti liturgici. 

Amore divino

L'amore divino si riversa sui fedeli attraverso quel flusso d'amore trinitario che è la Santa Messa e che attende la risposta, anch'essa d'amore, di ogni cristiano. Una risposta che, uniti a Cristo nella sua Chiesa, offrono al Padre.

Amore divino che attende la corrispondenza di ciascuno attraverso questa partecipazione amorosa ai gesti e alle preghiere della celebrazione eucaristica, mostrando così l'importanza della partecipazione esteriore e interiore ad essa, come San Josemaría ha incarnato nei suoi insegnamenti mistagogici e nella sua vita di amore liturgico. 

Amore che caratterizza la risposta personale e va oltre la celebrazione rituale, coinvolge la vita, come insegna il Santo. Nella sua predicazione mostra chiaramente che tutti noi, in quanto "sacerdoti della nostra esistenza" attraverso il Battesimo, manifestiamo il nostro amore al Padre restituendogli il mondo trasformato da Cristo nello Spirito Santo, attraverso quella "Messa" che ognuno di noi celebra sull'altare del proprio lavoro, della propria vita quotidiana. Una "Messa" che dura ventiquattro ore e che ha al centro e alla radice la celebrazione sacramentale.

Movimento liturgico spagnolo

Se diamo uno sguardo alla struttura del libro, vediamo come esso sia proiettato in tre cerchi concentrici che convergono nell'amore: note biografiche, teologico-liturgiche e mistagogiche. Nelle pagine del primo capitolo, di carattere biografico, si evince dagli scritti editi e inediti del Santo e dalle testimonianze di coloro che hanno vissuto con lui, come San Josemaría negli anni Trenta fosse un vero e proprio pioniere, un sacerdote in anticipo sui tempi anche in campo liturgico. In molte delle sue decisioni ed esperienze liturgiche appare legato all'incipiente movimento liturgico spagnolo di cui conosce alcuni dei più importanti promotori e forze trainanti, che sono suoi amici personali. 

Aspetti fondamentali, come la liturgia vissuta come fonte di vita spirituale e il concetto di partecipazione attiva, saranno tradotti in manifestazioni e decisioni concrete che il santo prese e con cui, in quegli anni da giovane sacerdote, cercò di diffondere la vita liturgica: Le Messe in dialogo nelle residenze universitarie da lui promosse, la comunione frequente all'interno della Messa e con le ostie consacrate nella celebrazione stessa come qualcosa di abituale nella sua Messa e per tutte le persone che vi partecipavano, l'uso di ampi paramenti, così come le indicazioni per la costruzione di futuri oratori, sono manifestazioni concrete e pratiche di questo desiderio, così come del suo rapporto con le idee del movimento liturgico.

Liturgia e santità personale

Nelle pagine del secondo capitolo, di carattere più teologico, ho cercato di mostrare come il messaggio che San Josemaría Escrivá ricevette il 2 ottobre 1928, la chiamata universale alla santità, si colleghi alle idee di fondo degli insegnamenti conciliari sulla liturgia. 

Come non vedere al numero 14 della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium In quel famoso numero si legge: "La Santa Madre Chiesa desidera ardentemente che tutti i fedeli siano condotti a quella partecipazione piena, consapevole e attiva alle celebrazioni liturgiche che la natura stessa della Liturgia esige e alla quale il popolo cristiano, "stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo peculiare" (1 Pt 2,9; cfr. 2,4-5), ha il diritto e l'obbligo in virtù del battesimo" (1 Pt 2,9).

La riscoperta del battesimo e della conseguente filiazione divina, come fondamento della chiamata universale alla santità, sono direttamente collegate a questo diritto e dovere di partecipare alla liturgia. Insegnamenti conciliari che San Josemaría aveva già anticipato nei suoi scritti mistagogici, come si può vedere nel terzo capitolo del libro, o nella sua stessa vita liturgica e in quella dei membri dell'istituzione che Dio gli ha fatto vedere, come si può vedere nel primo capitolo, incoraggiando, ad esempio, la partecipazione attiva nelle residenze che egli promuoveva vivendo le cosiddette Messe in dialogo.

La Messa, un'azione trinitaria

Allo stesso tempo, i numeri da 5 a 7 della stessa costituzione conciliare sono sviluppati anche negli insegnamenti di San Josemaría. Così la presentazione della Messa come estensione della corrente trinitaria dell'amore di Dio per noi, formulata dal santo, si collega all'idea della storia della salvezza riscoperta da san Josemaría. Concilio Vaticano IIViene sottolineata la componente fondamentale dell'amore.

Il carattere divino e trinitario della celebrazione della Santa Messa, insieme al suo carattere cristologico ed ecclesiale, sottolineato dal Santo, lo portano a definire la celebrazione eucaristica come centro e radice della vita cristiana. Questa espressione non è originale solo per la forma o i termini utilizzati, anche se la ritroviamo in modo simile nel magistero di Pio XII, nel Concilio Vaticano II e più in generale nella dottrina cattolica in generale, ma in San Josemaría trova un contesto più ampio e inedito.

La massa, il centro e la radice 

Infatti, la Santa Messa, presentata come centro e radice della vita cristiana, si collega con la vita ordinaria, quotidiana, la vita del lavoro, che è il luogo dell'incontro con Dio, come San Josemaría aveva instancabilmente predicato fin dal 1928. Questa vita secolare, questa vita nel mondo, realtà santificabile e santificata, trova il suo centro e la sua radice nella celebrazione dell'Eucaristia. Pertanto, ogni fedele, in virtù del suo battesimo, come dirà il Concilio Vaticano II, ha il diritto e l'obbligo di partecipare alle celebrazioni liturgiche, e il Santo lo proclamerà in modo più forte ed enfatico: ogni fedele è sacerdote della propria esistenza. Perciò il rapporto tra la vita ordinaria e lavorativa e la Messa è intimo, intenso, connaturato a entrambe le realtà. E per questo è chiamato a prolungarsi in una Messa che dura ventiquattro ore.

Se nel primo capitolo ho cercato di mostrare il rapporto di San Josemaría con il movimento liturgico e, quindi, di anticipare e preparare le idee che il Concilio Vaticano II avrebbe ripreso, nel secondo capitolo ho cercato di mostrare come gli insegnamenti del santo offrano al magistero liturgico del Concilio un contesto, una cornice in cui viverli. Infatti, nella sua predicazione orale e scritta egli avrebbe instancabilmente proclamato che ogni cristiano, chiamato ad essere sacerdote della propria esistenza dal battesimo, celebra la sua Messa delle ventiquattro ore sull'altare del suo posto di lavoro e della sua vita quotidiana, purché la celebrazione dell'Eucaristia ne sia per lui il centro e la radice.

La liturgia è performativa

Infine, nel terzo capitolo mi sono proposto di mettere in luce l'acuta consapevolezza di San Josemaría del potere trasformante della liturgia della Santa Messa per i fedeli comuni. I suoi insegnamenti su questo tema sono molti e compaiono frequentemente nei suoi scritti. Come ripeteva il santo: "Vi ho sempre insegnato a trovare la fonte della vostra pietà nella Sacra Scrittura e nella preghiera ufficiale della Chiesa, nella Sacra Liturgia.

In questo terzo capitolo ho scelto di concentrare la mia attenzione soprattutto su due testi: in primo luogo, l'omelia "L'Eucaristia, mistero di fede e di amore", in cui, seguendo le diverse parti della celebrazione eucaristica, san Josemaría propone delle conseguenze per la vita spirituale dei cristiani. In secondo luogo, mi sono avvalso di alcuni commenti alla celebrazione eucaristica che il nostro autore stava preparando nel 1938 e che intendeva pubblicare in un libro intitolato Devozioni liturgiche. Nel secondo capitolo del nostro libro abbiamo fatto uno studio del progetto e dei fogli che San Josemaría aveva scritto durante quell'anno. Nell'utilizzarli nel nostro lavoro li abbiamo riprodotti alla lettera, cioè con le abbreviazioni, i piccoli errori di ortografia, ecc. che contengono.

Testi inediti

Questi scritti, risalenti alla fine degli anni Trenta, mi sembrano costituire un testo di particolare interesse. Non solo perché sono inediti, ma anche perché mostrano, a mio avviso, come il Santo leggesse e conoscesse gli autori che presentavano commenti alla Messa dal marcato aspetto mistagogico. Allo stesso tempo, mostrano come egli condividesse con loro un modo di intendere la liturgia assolutamente all'avanguardia per il suo tempo, come si evince, in parte, dal primo capitolo in cui ho cercato di mostrare la particolare relazione di san Josemaría con il movimento liturgico. 

I commenti sono un perfetto mix di storia liturgica, ars celebrandiLe più caratteristiche del santo sono le considerazioni piene d'amore, che si esprimono in brevi frasi, a volte solo parole - eiaculatori, dardi - che cercano di condensare, in parole, l'amore per la Messa che traboccava dal suo cuore. 

Allo stesso tempo, l'accostamento di testi scritti in due periodi diversi della vita del santo, la fine degli anni '30 e gli anni '60, con in mezzo un concilio ecumenico e una riforma liturgica, mostrerà la continuità e l'armonia tra i due, frutto, credo, dell'amore del nostro autore per la liturgia.

La Messa spiegata da San Josemaría

Il commento alla liturgia della Santa Messa di San Josemaría, che occupa il terzo capitolo, mi sembra ci aiuti a capire perché il santo diceva: "Partecipando alla Santa Messa, imparerete come trattare ciascuna delle Persone divine. Nella celebrazione, i fedeli possono rivolgersi al Padre in Cristo attraverso l'azione dello Spirito Santo: entrando in dialogo con le Persone divine, la loro vita cristiana cresce. È un dialogo a cui li invita ogni gesto e parola del rito, che assume così un significato speciale. 

In breve, nell'ultimo capitolo ho cercato di mostrare che San Josemaría si prepara a "parlare" ai fedeli della Messa non in modo discorsivo, ma in modo "mistagogico", cioè a partire dai riti. È logico che sia così, poiché l'ampia e profonda realtà degli effetti spirituali della Santa Messa non dovrebbe funzionare in modo autonomo e indipendente dai testi e dai riti che ne scandiscono la celebrazione.

Vorrei concludere con alcune parole del santo che mi sembra riflettano molto bene tutto ciò che ho cercato di mostrare nel libro. È un testo scritto nel 1931, che mostra molto bene la sua formazione e la sua vita per la liturgia e dalla liturgia, l'amore, la filiazione divina, le parole e i gesti della stessa celebrazione liturgica spiegano tutto:

Questa mattina ho chiesto a Gesù - non ho chiesto a Lui, intendo dire male - ho detto a Gesù del mio desiderio di prepararmi molto bene, durante l'Avvento, per quando arriverà il Bambino. Gli ho detto molte cose, tra cui che mi avrebbe insegnato a vivere la sacra Liturgia. Ho pensato che la mia anima è una terra assetata e mi sono emozionata nel leggere nel comunione della Santa Messa: Dominus dabit benignitatem, et terra nostra dabit fructum suum. Signore, Gesù: fa' che la povera terra desolata della mia anima, riempita della tua grazia, porti frutto per la vita eterna. Ed ero confuso, pieno di gratitudine, quando ho recitato il salmo con le mie prime parole Confitemini Domino (Sal. 117)..., un'espressione fedele di ciò che potrebbe cantare ciascuno di coloro che avete scelto finora per la vostra Opera.

San Josemaría e la liturgia

AutoreJuan José Silvestre
Editoriale: Rialp
Anno: 2025
Numero di pagine: 303
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Evangelizzazione

San Barnaba, cipriota e apostolo insieme a San Paolo 

L'11 giugno la Chiesa celebra San Barnaba, o Giuseppe, che fu tra coloro che si riunirono intorno agli Apostoli dopo la morte di Gesù a Gerusalemme. Fu un discepolo riconosciuto tra i primi cristiani e poi apostolo con San Paolo.  

Francisco Otamendi-11 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

La liturgia dedica l'11 giugno a San Barnaba, uno dei discepoli più noti della prima comunità cristiana. Pur non facendo parte dei Dodici, fu inviato ugualmente come apostolo. Grazie a lui, San Paolo, appena convertito sulla via di Damasco, fu accolto a Gerusalemme dagli apostoli e dalla comunità.

Il giorni dei santi vaticani Il fatto che molti fossero sospettosi nei confronti di Saulo, che aveva perseguitato i cristiani (cfr. Atti 9, 27), ma Barnaba lo accolse e lo fece entrare nella comunità. 

Lo fece nel modo seguente: "Arrivato a Gerusalemme, Saulo cercò di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui (...). Allora Barnaba lo prese e lo condusse dagli apostoli, ed egli raccontò loro come aveva visto il Signore lungo la strada e cosa gli aveva detto, e come a Damasco aveva agito con coraggio nel nome di Gesù".

Barnaba, tra i primi inviati da Gesù

Giuseppe, chiamato dagli apostoli Barnaba - che significa "figlio della consolazione" - era un levita nato a Cipro che possedeva un campo, lo vendette e mise il denaro a disposizione degli apostoli, secondo gli Atti. Inoltre, l'agenzia vaticana sottolinea che "un'altra tradizione - riportata da Eusebio di Cesarea, che si ispira a Clemente Alessandrino - include Barnaba tra i 72 discepoli inviati da Gesù in missione per annunciare il Regno di Dio".

Considerato "uomo virtuoso", riempiti di Spirito Santo e di fede"Barnaba fu inviato ad Antiochia di Siria, da dove erano giunte notizie di numerose conversioni. Barnaba esortò tutti a "perseverare con cuore fermo nel Signore" e poi chiese aiuto a Paolo, spingendolo verso la sua missione di apostolo delle genti. Ad Antiochia i discepoli iniziarono a si definiscono cristiani (Atti, 11, 26).

Con San Paolo, "discordia tra i santi".

Dopo la predicazione ad Antiochia, Barnaba e Paolo partono per una nuova missione a Cipro. Con loro c'è anche Giovanni, detto Marco (l'evangelista), che nel calendario dei santi ricorre il 25 aprile. La tappa successiva è la Panfilia, ma Giovanni decide di tornare a Gerusalemme. Barnaba e Paolo proseguono e infine ritornano. Poco dopo, i due si preparano per una nuova missione. Barnaba vuole viaggiare con Giovanni, mentre Paolo è contrario. Barnaba si imbarca per Cipro con Marco, mentre Paolo sceglie Sila (cfr. At 15,36-40).

Commentando questo passo, Benedetto XVI ha detto in una conferenza PubblicoAnche tra i santi ci sono contrasti, disaccordi, controversie. Lo trovo molto consolante, perché vediamo che i santi "non sono caduti dal cielo". E ha aggiunto: "Sono uomini come noi, anche con problemi complicati. La santità non è non sbagliare mai o non peccare mai. La santità cresce con la capacità di conversione, il pentimento, la disponibilità a ricominciare, e soprattutto con la capacità di riconciliazione e di perdono". Il resto -San Paolo chiama San Marco suo "collaboratore" - lo hanno nel testo di Benedetto XVI.

L'autoreFrancisco Otamendi

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Libri

Il pazzo di Dio alla fine del mondo

"El loco de Dios en el fin del mundo" è un'opera di Javier Cercas, in cui accompagna Papa Francesco in un viaggio in Mongolia per cercare risposte per la madre credente. Pubblicato all'inizio del 2025, è stato descritto come un "thriller esistenziale" che mescola riflessione spirituale, diario di viaggio e ritratto approfondito del Pontefice.

Andrés Cárdenas Matute-11 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Al di là della fortuna della tempistica del libro, che ha coinciso con la morte di Francesco, gran parte del successo de "Il pazzo di Dio alla fine del mondo" ha a che fare con la sua prospettiva: uno scrittore che si definisce ateo e anticlericale viene invitato ad accompagnare il Papa nella sua visita a una delle più piccole comunità cattoliche, quella della Mongolia. Questo, a quanto pare, dovrebbe conferire all'opera un'imparzialità che la preservi da qualsiasi intento ideologico - almeno, da un intento ideologico da parte del cattolicesimo. E in gran parte questo è vero.

Cercas, senza nascondere le sue opinioni, si avvicina alla Chiesa, a Francesco, a coloro che hanno lavorato con lui e a un manipolo di cristiani, con la curiosità di chi vuole sentire che valore hanno queste esperienze. Si abbandona alla figura di Francesco, ma questo non gli impedisce di tracciarne un profilo non idealizzato: un profilo compatibile con le testimonianze negative della sua giovinezza, con le uscite di tono durante il suo pontificato, o con gli errori manifesti.

Il libro è anche un gesto d'amore di un figlio verso sua madre. La madre di Cercas, affetta da Alzheimer, è cattolica e vive nella certezza che quando morirà sarà di nuovo con suo marito. Lo scrittore vuole trasmettere questo messaggio a Francisco e, se possibile, riprendere alcune parole. "In tutta certezza". Ma al di là della centralità di questo tema - quello della vita eterna - la grande scoperta di Cercas è che se tutti i cristiani fossero come i missionari che ha incontrato in Mongolia, la Chiesa si rinnoverebbe automaticamente.

Almeno rinnoverebbe la Chiesa che lo spagnolo ha in mente, una Chiesa che - come direbbe Armando Matteo - soffre anche dell'inverno demografico, che non fa nascere molte vite. È interessante che molti cattolici, venendo a conoscenza dell'impostazione del libro, la prima cosa che chiedono è: si è convertito? Come se tutti gli sforzi andassero lì, come se la fede non fosse un granello di senape, quel chicco di grano che Dio fa crescere in silenzio durante la notte, ma solo un'altra maglietta nel carnevale della danza identitaria.

Cercare non è già una conversione? Cosa ne penseranno i missionari in Mongolia?

Il pazzo di Dio alla fine del mondo

AutoreJavier Cercas
Editoriale: Penguin Random Hause
Anno: 2025
Numero di pagine: 488
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Libri

Parole di odio e odio di parole

Anna Pintore analizza come la censura nelle democrazie liberali sia mutata da coercitiva a strutturale, promossa in nome del bene comune, ma con il rischio di minare la libertà di espressione. L'unica censura legittima sarebbe l'autocensura etica, basata sulla dignità umana e sul rispetto della verità.

José Carlos Martín de la Hoz-11 giugno 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Attualmente c'è un forte movimento di repulsione e indignazione contro la ferrea censura stabilita dai governi della comunità europea, come risultato dell'intensità della lotta della nostra civiltà occidentale contro il "discorso d'odio" nella stampa e nei media in generale, che è addirittura già criminalizzato nel diritto dell'UE, insieme agli intensi strumenti di regolamentazione e condanna che sono stati stabiliti (p. 12).

La professoressa Anna Pintiore, docente di filosofia del diritto all'Università di Cagliari, ha scritto un intenso lavoro sulla censura nella società liberale, sui suoi limiti e sulla sua metodologia, per fermare la nascita nei Paesi europei di un nuovo tribunale inquisitorio che torni a giudicare intenzioni, credenze e opinioni (p. 15). 

Vale la pena ricordare il principio giuridico derivato dal diritto romano: "De internis neque Praetor iducat", che sarebbe passato, come è successo, nel diritto canonico: "De internis neque Ecclesia iudicat". Questo principio di non giudicare le intenzioni e i pensieri è stato spesso invocato per ottenere l'abolizione del diritto inquisitorio.

Inquisizione

Infatti, l'obiettivo del tribunale moderno approvato da Sisto IV nel 1478 di porre fine all'eresia giudaizzante in Spagna, che si era diffusa in Castiglia e Aragona, sembrava loro rendere "necessaria" l'attuazione di un metodo efficace per raggiungere l'auspicata unità della fede.

Senza dubbio 75% dei processi si svolsero tra il 1478 e il 1511. Pertanto, il tribunale avrebbe dovuto essere abolito e la difesa della fede lasciata agli ordinari diocesani, come fu deciso dopo una violenta discussione alle Cortes di Cadice nel 1812.

Il Inquisizione Avrebbe potuto essere abolito, ma il clima di intensa mancanza di istruzione del popolo e del clero e la perfetta sovrastruttura che era stata creata permisero di mantenere questo tribunale indegno, perché nessuno deve essere giudicato interiormente se non da Dio, perché "dai loro frutti li riconoscerete".

Questo è il grande male del tribunale dell'Inquisizione, aver ceduto alla mentalità inquisitoria che consisteva, allora come oggi, nel giudicare le idee e le intenzioni altrui, senza alcun dato contrastante e causando diffidenza e distruzione dell'onore e della fama delle persone per diverse generazioni. Infatti, la Catechismo della Chiesa CattolicaIl Catechismo di Trento arrivava ad affermare che l'onore e la fama erano importanti quanto la vita stessa.

Diritto di difesa

Allo stesso tempo, la professoressa Anna Pintore sottolinea che lo Stato liberale ha il diritto di difendersi dalle falsità scritte da un autore in un libro, in un articolo di stampa o nei media, in quanto possono minare le fondamenta sociali o morali su cui sono costruiti lo Stato e la convivenza civile (p. 21). In altre parole, sarebbe opportuno "ridefinire la censura in termini di convenienza" (p. 23 e 32).

Non c'è dubbio che Michel Foucault si sia rivelato il nemico giurato di Hobbes quando quest'ultimo, nel Leviatano, ha chiesto la rinuncia alla libertà dei cittadini affinché lo Stato assolutista potesse costruire una pace duratura e stabile. Logicamente, una pace senza libertà è impossibile da mantenere in una cultura che ha sperimentato la libertà (p. 33).

È divertente vedere come la nostra autrice si impelaghi in un "volgare gioco di parole" quando pretende di opporre una censura "esterna, coercitiva e repressiva" a una "censura moderna" che sarebbe "produttiva, strutturale e necessaria" (p. 34). 

Infatti, in tutte le pagine di questo libro, emergerà la convinzione che l'unica censura possibile è l'"autocensura", derivante dal buon senso, dalla prudenza, dalle profonde convinzioni, dall'amore per la propria e l'altrui libertà, dal rispetto per le opinioni altrui e dal profondo desiderio di contribuire con la nostra critica al bene comune e alla dignità della persona umana e di salvaguardare il principio della presunzione di innocenza e la buona fede degli individui (p. 38).

Censure concordate

È interessante vedere come ci siano campi di "censura concordata" che sono marcatamente ideologizzati, anche nei nostri tempi democratici, come i seguenti, delineati dal nostro autore: "la regolamentazione istituzionale della libera espressione, la censura di mercato, i tagli ai finanziamenti governativi per l'arte controversa, i boicottaggi, i procedimenti giudiziari e l'emarginazione e l'esclusione degli artisti sulla base del loro genere o della loro razza, fino alla 'correttezza politica' nel mondo accademico e nei media, tanto che il termine è sopraffatto, persino banalizzato" (p. 41-42).

Indubbiamente, la nostra autrice esprime la sua perplessità di fronte all'abbondanza di letteratura e opinioni che vogliono limitare ulteriormente la libertà di espressione, soprattutto dopo l'invasione abusiva di Internet, che ha riempito la rete di opinioni della più varia origine e forza. Vengono invocati due principi apparentemente contrastanti: la libertà di espressione e l'uguaglianza (p. 51).

È molto importante il modo in cui giunge a questa importante conclusione: "i discorsi d'odio (e la pornografia) dovrebbero essere vietati non nella misura in cui escludono la voce delle loro vittime dall'arena pubblica, ma perché sono moralmente riprovevoli, cioè perché sono inaccettabili alla luce dell'etica dei diritti umani che si è affermata nel mondo occidentale (e noi aggiungiamo la dignità della persona umana)" (p. 67).

Infine, l'autrice conclude con le ultime parole del suo libro: "La metamorfosi della censura avvenuta negli ultimi decenni non è certo l'unico fattore che ha determinato questa situazione, ma ha certamente creato un ambiente intellettuale estremamente accogliente per essa. Visto il successo di cui godono oggi le idee che sono state qui criticate, non si può essere molto ottimisti sul futuro della libertà di espressione" (p. 85).

Tra parole di odio e odio di parole

AutoreAnna Pintore
Editoriale: Trotta
Anno: 2025
Numero di pagine: 95
Spagna

La Spagna è ancora una volta il paese che invia il maggior numero di missionari

Secondo il rapporto 2024 delle Pontificie Opere Missionarie, la Spagna è il Paese che invia il maggior numero di missionari in tutto il mondo ed è anche il secondo territorio che contribuisce economicamente di più alle missioni.

Redazione Omnes-10 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Pontificie Opere Missionarie La Spagna ha presentato il 10 giugno il rapporto di attività. L'aspetto più rilevante dei dati è che la Spagna è ancora una volta il Paese del mondo che invia il maggior numero di missionari, arrivando a quasi 10.000. Di questi, circa 5.000 sono attivi, più della metà sono donne e la maggior parte si trova in America.

Preghiera e contributo finanziario

Oltre a questa buona notizia, José María CalderónIl responsabile dell'istituzione pontificia ha spiegato che i fondi messi a disposizione di Roma nel corso del 2024 sono stati superiori a quelli del 2023. Ciò è dovuto in parte all'aumento della raccolta fondi, ma anche alla riduzione dei costi di gestione e amministrazione. Il risultato è stato l'erogazione di quasi 15 milioni di euro, distribuiti tra 1.131 territori di missione. Questo fa della Spagna il secondo Paese che ha dato più soldi alle OMP.

Ma come ha sottolineato Heliodoro Picazo, un missionario che ha condiviso la sua testimonianza durante la conferenza stampa, il denaro non è l'unica o la più importante parte del contributo alle Pontificie Opere Missionarie. La preghiera è essenziale per sostenere le migliaia di uomini e donne che lasciano tutto e vanno ad evangelizzare, molti dei quali in luoghi remoti dove la loro vita è in pericolo.

Grazie al sacrificio dei missionari, un battesimo su tre nel mondo avviene nei territori di missione. Allo stesso modo, aumentano le vocazioni native, si aprono scuole cattoliche e centri medici e la fede si diffonde in tutto il mondo.

Mancanza di vocazioni missionarie

Nonostante le buone notizie, sia José María Calderón che Heliodoro Picazo hanno espresso preoccupazione per l'età avanzata della maggior parte dei missionari. L'età avanza, ma non ci sono abbastanza vocazioni per un ricambio generazionale che garantisca la continuità delle missioni in tutti i territori.

In questo senso, i due relatori hanno sottolineato l'importanza della preghiera e della formazione dei giovani alla fede cristiana, affinché coloro che si sentono chiamati da Dio a essere missionari rispondano generosamente all'invito.

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Evangelizzazione

Numerose benedizioni dopo la Pentecoste

Il 10 giugno, due giorni dopo la Pentecoste, la liturgia celebra numerosi Beati provenienti da diversi luoghi. Tra questi, il domenicano italiano Giovanni Dominici, arcivescovo di Croazia e cardinale legato di due Papi. Il tedesco Eustace Kugler, vittima durante il periodo nazista. Edward Poppe, apostolo belga della devozione alla Vergine e all'Eucaristia. E i monaci inglesi Thomas Green e Gualterius Pierson.  

Francisco Otamendi-10 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Due giorni dopo la solennità di Pentecoste, in cui lo Spirito Santo è stato versato in abbondanza sul popolo di Dio, il Santo Padre ha detto ieri: "Lo Spirito Santo è stato versato in abbondanza sul popolo di Dio". Papa Leone XIVLa liturgia celebra numerosi beati e santi, provenienti da luoghi diversi. 

Juan BianchiniDomínici, soprannominato Domínici forse dal nome del padre, nacque a Firenze intorno al 1355. Fu membro dell'Ordine dei Predicatori, diplomatico e scrittore. Fu il primo frate a introdurre in Italia l'osservanza regolare, promossa fin dal 1348 dall'Ordine dei Predicatori. Beato Raimondo di CapuaNel 1393 fu nominato vicario generale dei conventi riformati. Fu anche promosso arcivescovo di Ragusa (Dubrovnik, Croazia) e nominato cardinale legato dei papi Gregorio XII e Martino V. Morì a Budapest. 

Apostoli, assistenti dei malati

Oltre a San Landerico di Parigi, la Chiesa celebra la Beata Diana di Andalusia. Nata a Bologna (Italia) intorno al 1200, aiutò i primi domenicani a stabilirsi nella città. E anche la Beata belga Eduardo PoppeIn seminario assimilò la dottrina mariana di San Luis M. Griñón de Monfort e iniziò ad essere apostolo e catechista della devozione alla Vergine e all'Eucaristia. 

Nel calendario dei santi del giorno è incluso anche Eustachio Kugler, Beato di Baviera, che entrò nell'Ordine Ospedaliero di Baviera all'età di 26 anni. San Juan de Dios. Per la maggior parte della sua vita religiosa fu priore di comunità e della sua provincia religiosa. Passava le notti nei corridoi dell'ospedale per occuparsi dei bisogni dei malati. Soffrì molto sotto i nazisti, che disprezzavano i malati. Morì a Ratisbona e fu beatificato nel 2009.

Altri martiri inglesi

Il beato Thomas Green e il beato Gualterius Pierson sono due dei monaci della Certosa di Londra che si rifiutarono di sottoscrivere il giuramento di supremazia religiosa del re Enrico VIII. Thomas era un sacerdote e Gualterius un fratello convertito. Entrambi furono imprigionati in una Carcere di Londrae morì (1537). Possiamo anche citare il beato vincenziano italiano Marcos Antonio Durando o il beato spagnolo José Manuel Claramonte, operatore diocesano.

L'autoreFrancisco Otamendi

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Ecologia integrale

Intelligenza artificiale: tra tecnologia e spirito

L'Intelligenza Artificiale è passata da essere uno strumento tecnico a diventare un "compagno emotivo", il che pone profonde sfide etiche e spirituali. Il testo invita a non perdere di vista la dimensione umana, relazionale e trascendente che l'IA non può sostituire.

Juan Carlos Vasconez-10 giugno 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

L'intelligenza artificiale (AI) sta diventando una realtà che permea sempre più aspetti della nostra vita. Dalla mia esperienza di cappellano scolastico ho avuto modo di riflettere su questo affascinante incrocio tra tecnologia e moralità. Quando le ragazze sono venute per la prima volta nel mio confessionale pentendosi di aver "copiato" il lavoro sull'IA, ho pensato che fosse giunto il momento di capirlo meglio.

Il documento vaticano può fare luce, Antiqua era Novapubblicato a gennaio da due dicasteri che lavorano insieme: il Dicastero per la Dottrina della Fede e il Dicastero per la Cultura e l'Educazione.

Quando l'intelligenza artificiale entra nell'intimità

Finora abbiamo associato l'IA all'efficienza, all'automazione dei compiti e all'elaborazione di grandi dati. In effetti, l'IA rimane uno strumento prezioso per la produttività personale e professionale, che ci aiuta a organizzare la nostra vita, a gestire gli orari o persino a generare codice. Tuttavia, gli studi più recenti rivelano un sorprendente spostamento verso usi dell'IA molto più emotivi e personali.

Oggi, uno dei principali utilizzi dell'IA non è più solo per scopi tecnici o di produttività, ma si è esteso a sfere come la terapia e la compagnia. Le persone si rivolgono all'IA per cercare un sostegno emotivo, per avere un "orecchio che ascolta" o persino per conversare con simulazioni di persone care decedute. Un altro uso importante è la ricerca di uno scopo e l'autosviluppo: le persone consultano l'IA per avere una guida sui valori, la definizione di obiettivi o la riflessione filosofica, persino impegnandosi in "dialoghi socratici" con questi strumenti.

Compagno digitale

Questo fenomeno ci interpella profondamente. L'intelligenza artificiale è diventata una sorta di "compagno digitale" o "partner di pensiero", capace di personalizzare le risposte e di adattarsi ai nostri stati emotivi. Gli utenti non sono più solo consumatori passivi, ma "co-creatori" che affinano le loro interazioni per ottenere risposte più sfumate.

È qui che, come ci avverte Antiqua era NovaDobbiamo essere particolarmente attenti a non perdere di vista la nostra stessa umanità. Il fatto che l'IA possa simulare risposte empatiche, offrire compagnia o persino "assistere" nella ricerca di uno scopo non significa che possieda una vera empatia o che possa dare un senso alla vita.

L'intelligenza artificiale, per quanto avanzata, non è in grado di raggiungere l'intelligenza umana, che è anche plasmata da esperienze corporee, stimoli sensoriali, risposte emotive e interazioni sociali autentiche. L'intelligenza artificiale opera sulla logica computazionale e sui dati quantitativi; non sente, non ama, non soffre, non ha coscienza né libero arbitrio. Pertanto, non può replicare il discernimento morale o la capacità di stabilire relazioni autentiche.

Perché è fondamentale capirlo?

L'empatia è intrinsecamente umana: la vera empatia nasce dalla capacità di condividere i sentimenti di un altro, di comprendere il suo dolore o la sua gioia a partire dalla nostra esperienza incarnata. L'intelligenza artificiale è in grado di elaborare una grande quantità di dati sulle emozioni umane e di generare risposte che sembrare empatico, ma non sensazioni né sperimenta quelle emozioni. È una simulazione, non una realtà. Affidarsi all'IA per l'empatia è come aspettarsi che una mappa ci dia l'esperienza di percorrere un sentiero.

Il senso della vita nasce dalla relazione e dalla trascendenza: la ricerca del significato, dello scopo della vita, della realizzazione, non si trovano in un algoritmo o in una risposta generata dalla macchina. Nascono dalle nostre relazioni autentiche con Dio e con gli altri, dalla nostra capacità di amare ed essere amati, dal nostro sacrificio, dall'esperienza del dolore e della gioia condivisi, dalla nostra dedizione a un ideale che ci trascende. Come sacerdote, vedo ogni giorno come la vera realizzazione si trovi nella resa e nell'incontro con l'altro, qualcosa che l'AI, per definizione, non può offrire. È nella relazione interpersonale, spesso imperfetta e impegnativa, che ci forgiamo e troviamo un significato profondo.

Rischi di dipendenza emotiva e spirituale: se iniziamo a delegare ad AI il nostro bisogno di compagnia, di sostegno emotivo o anche la nostra ricerca di significato, corriamo il rischio di sviluppare una dipendenza che ci allontana dalle vere fonti di realizzazione. Potremmo accontentarci di una "pseudo-compagnia" che non ci sfiderà mai a crescere nella virtù, a perdonare, ad amare incondizionatamente o a trascendere i nostri limiti.

I rischi dell'antropomorfizzazione e la ricchezza delle relazioni umane

La tendenza ad antropomorfizzare l'IA sfuma il confine tra umano e artificiale. L'uso di chatbotper esempio, può plasmare le relazioni umane in modo utilitaristico. 

I rischi sono evidenti:

  • Disumanizzazione delle relazioni: Se ci aspettiamo dalle persone la stessa perfezione ed efficienza di un chatbot, possiamo impoverire la pazienza, l'ascolto e la vulnerabilità che definiscono le relazioni autentiche.
  • Riduzione dell'umano: vedere l'IA come "quasi umana" può portarci a vedere gli esseri umani come semplici algoritmi, ignorando la nostra libertà, la nostra anima e la nostra capacità di amare.
  • Impoverimento del ruolo dell'insegnante: la missione dell'insegnante è molto più che impartire dati; è formare criteri, ispirare e accompagnare la crescita personale e morale.
  • Delega del discernimento morale: potremmo essere tentati di cedere all'IA decisioni etiche che sono solo nostre.

Come affrontarli?

  • Consapevolezza critica: educare su cosa è e cosa non è l'IA, demistificando le sue capacità.
  • Rivalutare l'umano: promuovere spazi di interazione autentica, in cui si possa apprezzare la ricchezza dell'imperfezione e della complessità delle relazioni umane.
  • Dignificare gli educatori: sottolineare il loro ruolo insostituibile di formatori di persone.
  • Educare alla libertà e alla responsabilità: insistere sul fatto che il processo decisionale morale è una nostra prerogativa. L'IA è uno strumento; la scelta etica spetta a noi.

Un dialogo continuo: dove lasciamo l'anima?

L'irruzione dell'intelligenza artificiale ci invita a un dialogo esistenziale ineludibile, al di là del fascino tecnologico o della semplice efficienza. Se può simulare un "abbraccio" digitale o una "guida" filosofica, dov'è allora l'insostituibile profondità della relazione umana, dell'empatia che nasce dalla carne e dallo spirito, della trascendenza che solo l'anima umana può desiderare e raggiungere? 

La vera sfida non è meramente tecnica, ma antropologica e spirituale: discernere con radicale onestà se stiamo inconsapevolmente delegando a un algoritmo ciò che solo l'incontro con l'altro e con Dio può compiere, rischiando di impoverire la nostra stessa umanità nella ricerca di una comodità digitale che non potrà mai riempire il vuoto del cuore.

Evangelizzazione

Esperienze didattiche positive in materia di religione

In "Educare alla vita. Esperienze nell'insegnamento della religione", pubblicato dall'EUNSA e presto disponibile in inglese e portoghese, 18 insegnanti di religione di 15 scuole diverse presentano le loro migliori pratiche educative.

Ronald Bown S.-10 giugno 2025-Tempo di lettura: 6 minuti

"Educare alla vitaIl libro "La religione in classe" affronta una moltitudine di questioni legate all'insegnamento della religione: dall'approccio alle Sacre Scritture, alle sfide delle classi della scuola pre-base, elementare e media, a una moltitudine di risorse pedagogiche, oltre a offrire una proposta per gli studenti con bisogni educativi speciali.

Nell'introduzione dico che mi piace usare gli ultimi minuti delle mie lezioni per un'attività che chiamo "Domande in uscita" o, più recentemente, "Domande ad alto impatto". È un'attività molto semplice, ma che piace molto agli studenti: a ogni studente viene chiesto di consegnare una domanda sulla classe, scritta su un foglio di carta. Può trattarsi di qualcosa che non hanno capito bene, di un'idea che vorrebbero approfondire, di un concetto che li incuriosisce particolarmente, ecc. Queste domande mi permettono di vedere che cosa hanno realmente imparato, quali sono gli argomenti a cui sono particolarmente interessati e sono un input molto prezioso per la lezione successiva.

Ogni giorno, mentre esamino queste domande, mi sorprendo per diversi motivi: la loro ansia di conoscere la nostra fede, la profondità delle loro domande, la loro arguzia e curiosità culturale. Condivido con voi alcune delle domande che mi sono state poste nel corso degli anni: come faccio a sapere cosa vuole Dio da me? Le persone di altre religioni possono andare in Paradiso? Cosa c'era prima di Dio? Come fa il peccato originale a essere cattivo se Dio crea tutte le cose? Perché scegliere il male non è vera libertà? Cosa posso dire a un ateo per convertirsi?

Sulla base di queste domande e dell'esperienza in classe, oserei dire che i giovani amano imparare, sono interessati a conoscere meglio la nostra fede, vogliono comprendere più a fondo gli insegnamenti della Chiesa, sono desiderosi di dare un senso alla loro vita e sono vivamente interessati ad avere un incontro personale con Cristo.

Attività in classe

L'insegnante Ángeles Cabido esplora la diversità delle attività per la classe della scuola secondaria: analizzare le citazioni bibliche, consultare ciò che il Catechismo o YouCat dice su ciò che è stato studiato;

Santiago Baraona, nel capitolo sulla partecipazione degli studenti, ricorda che "quando insegno il corso di Teologia fondamentale a studenti di 17 anni, nella prima lezione chiedo a ciascuno di loro, su una piattaforma di partecipazione interattiva (Socrative o Mentimeter, per esempio), di rispondere alla seguente domanda: se avessi l'opportunità di fare una domanda a qualcuno che potrebbe rispondere a tutte, quale domanda gli faresti? Gli studenti hanno qualche minuto per pensare e rispondere. Se lo desiderano, possono farlo in forma anonima, con l'obiettivo che si tratti effettivamente di una riflessione su una domanda che li interessa davvero. Successivamente analizziamo le risposte di tutti e le discutiamo. 

Problemi perenni

Quasi tutte le domande che sono state fatte nel corso degli anni - si pensi a un totale di circa 1.200 studenti - sono variazioni più o meno elaborate di queste:

  • Qual è il motivo per cui Dio ci ha creato e ci ha creato nel modo in cui lo ha fatto (come esseri intelligenti a sua immagine e somiglianza)?
  • Perché esiste la sofferenza?
  • Cosa devo fare nella mia vita?
  • Dio esiste?
  • Cosa mi succede dopo la morte? Cosa mi succede quando muoio?
  • Come è iniziato tutto?
  • Che aspetto ha l'uomo perfetto e come posso avvicinarmi a lui?

Ciò che sorprende è la coincidenza e la convergenza di queste domande. La verità è che non dovrebbe sorprendere: l'uomo ha sempre cercato una risposta a queste domande spinose. Affinché la lezione di religione sia significativa per lo studente adolescente, mi sembra che debba partire da una sua preoccupazione. Non possiamo dare risposte se prima non ci sono domande".

Cristo al centro

María José Urenda scrive un capitolo sulla centralità di Cristo, approfondendo il vero fulcro e centro delle classi. Propone una riflessione sul significato dell'insegnamento della religione cattolica, ponendo al centro la Persona di Cristo come fondamento, contenuto e obiettivo da raggiungere. Si sottolinea che l'insegnamento della religione cattolica non deve limitarsi a trasmettere nozioni o a preparare esami, ma deve guidare e accompagnare gli studenti a conoscere, amare e seguire Cristo, cosa possibile solo se l'insegnante ha fatto di Lui il centro della propria vita. 

La vocazione dell'insegnante di religione, e la sua pratica pedagogica, è intimamente legata alla sua personale testimonianza di fede, poiché "Nessuno dà ciò che non ha".. Questo capitolo sottolinea che Cristo non è solo una figura storica, ma Dio stesso fatto Uomo, la cui vita e i cui insegnamenti segnano un prima e un dopo nella storia dell'umanità. Per questo motivo, insiste sul fatto che il fine ultimo della classe di religione è quello di realizzare un incontro personale con Cristo, in modo che Egli trasformi la vita di ciascuno dei suoi alunni".

Religione in età pre-6 anni

Francisca Ruiz e Bernardita Domínguez hanno scritto insieme il capitolo dedicato alle sfide delle lezioni di religione in Pre Basic. Si tratta di un capitolo con numerose attività spiegate e accompagnate da link QR per osservare i risultati dell'attività. Ad esempio, per spiegare la Tempesta Calmata, si realizza una barca di circa 70 cm in EVA o cartone e alcune bambole di stoffa che rappresentano Gesù e gli apostoli danno vita alla storia.

Ogni bambino tiene in mano un fazzoletto blu per partecipare alla storia a seconda che il mare sia calmo o con grandi onde. Quando la tempesta colpisce la barca, i bambini sventolano vigorosamente i fazzoletti. Quando Gesù alza le braccia e dice: "Calma il mare, calma il vento", smettiamo di muovere la barca e i bambini smettono di sventolare i fazzoletti. "E chiudiamo dicendo quanto è potente Gesù che persino il mare e il vento gli obbediscono.

Altre attività che possono essere evidenziate da questo capitolo: 

Tesoro: mettiamo uno specchio all'interno di una bella scatola rivestita di carta lucida. Diciamo a bassa voce: "Dentro questa scatola c'è ciò che Dio ama di più di tutta la creazione. L'ha reso molto speciale e unico. Mi avvicinerò a ciascuno di voi per vederlo. E, cosa molto importante, non ditelo al vostro compagno, in modo che anche lui o lei possa scoprirlo". Uno alla volta, ogni bambino viene invitato a vedere cosa c'è dentro la scatola. Quando la apre e vede il proprio riflesso, il bambino si emoziona e sorride. È un momento molto speciale e importante nella consapevolezza dell'amore di Dio per ciascuno.

Scrigno del tesoro: la prima classe dell'anno entriamo nella stanza con uno scrigno (una scatola rivestita d'oro): "Qui dentro porto il tesoro più grande che possiamo avere, Qualcuno che ci ama molto". Chi sarà? La scatola viene aperta e appare il nostro tenero Gesù. Durante l'anno, rafforziamo l'idea che Gesù è il nostro tesoro e che dobbiamo prenderci cura di lui. 

La moltiplicazione dei pani: nel racconto di questo miracolo si evidenzia la presenza di un bambino che ha voluto condividere tutto ciò che aveva. Utilizziamo un piatto di cartone con i pani e i pesci piegato a ventaglio, in modo che a prima vista si vedano solo 5 pani e 2 pesci, ma quando viene allungato se ne vedono molti di più, mostrando la moltiplicazione dei pani. Si può anche realizzare la rappresentazione utilizzando un piccolo cesto con i sette elementi e cambiarlo al momento del miracolo con un grande cesto con pani e pesci da dividere tra tutti i bambini (si consiglia di utilizzare caramelle o biscotti a forma di pesci e pani).

Pedagogia efficace per l'istruzione primaria e secondaria

È chiaro quindi che ogni capitolo cerca di essere il più pratico possibile. Un paio di esempi finali: Carolina Martínez spiega come avvicinarsi alla Sacra Scrittura. Leggere la Bibbia, il nostro punto di partenza, dà consigli concreti su come avvicinarsi alla Sacra Scrittura, sia per l'Antico che per il Nuovo Testamento. Catalina Tapia e Verónica García offrono risorse pedagogiche che mettono in pratica diverse routine di pensiero che possiamo utilizzare nelle nostre classi: 

I. Routine di pensiero visibili da presentare ed esplorare:

Vedere - Pensare - Domandare:

-Osservare: guardare da vicino un'immagine sacra (dipinto, fotografia, grafica) che presenta elementi importanti che offrono diversi livelli di spiegazione. È importante che sia descritta senza interpretazioni. 

-Pensare: riflettere su ciò che l'immagine ci fa pensare, dare un'interpretazione, quindi argomentare con prove la mia riflessione.

-Domande: porre domande più ampie, che vadano oltre l'interpretazione, che sfidino la curiosità.

Il passo successivo è la condivisione con un partner.

Focus

Lo scopo di questa routine è quello di avere una porzione accecata di un'immagine sacra, che richiede l'interpretazione dell'intero quadro, invita a guardare da vicino e a fare delle interpretazioni, quindi presenta una nuova interpretazione visiva e chiede di guardare da vicino e rivalutare l'interpretazione iniziale. Questo processo rende dinamicamente più flessibile il pensiero, mostrando che una visione parziale può sempre portare a un'interpretazione distorta del soggetto. 

II. Routine di pensiero visibile per pensare-interrogare-esplorare:

1. CSI: Colore, simbolo, immagine: catturare l'essenza attraverso le metafore. Usare un colore, un simbolo e un'immagine per rappresentare le idee che hanno identificato.

2. Frase-Parola: una routine che lavora con un testo sacro, per riassumere ed estrarre le idee principali, i contesti e le intuizioni. Cerca di rivelare ciò che il lettore ha trovato importante. 

- Preghiera: cattura l'idea centrale del testo sacro.

- Frase: che è riuscita a catturare la loro attenzione suscitando un'emozione.

- Parola: scegliete la parola che più si avvicina all'idea centrale ed evoca una riflessione.

In conclusione, la lettura di "Educare alla vita. Esperienze di insegnamento della religione" è di reale aiuto per gli insegnanti di religione, i docenti di religione e gli insegnanti di religione. soggetto più importante di tutti.

Educare alla vita: esperienze di insegnamento della religione

AutoreRonald Bown S
Editoriale: EUNSA
Anno: 2024
Numero di pagine: 276
L'autoreRonald Bown S.

Insegnante di religione, Scuola Tabancura.

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Zoom

Papa Leone XIV saluta un bambino dalla papamobile

È stato prima della veglia di preghiera di Pentecoste con i partecipanti al Giubileo dei Movimenti, delle Associazioni e delle Nuove Comunità Ecclesiali.

Redazione Omnes-9 giugno 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto
Vaticano

Leone XIV ha incontrato la Fondazione nazionale italo-americana

Rapporti di Roma-9 giugno 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto
rapporti di roma88

Papa Leone XIV ha incontrato il 4 giugno la Fondazione Nazionale Italo-Americana, che ha benedetto per il suo lavoro di conservazione dell'eredità culturale e spirituale dei suoi antenati.

Prima dell'udienza generale in Piazza San Pietro, il Pontefice ha ricevuto i membri del consiglio di amministrazione di questa straordinaria fondazione, ringraziandoli per le loro iniziative in Italia e negli Stati Uniti. "Il vostro lavoro educativo con i giovani, la promozione della conoscenza della storia e della cultura italiana, insieme alle borse di studio e agli aiuti caritatevoli, rafforzano un rapporto concreto e arricchente tra i due Paesi", ha detto.


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America Latina

Aborto ed eutanasia in primo piano nella politica cilena

Il governo cileno ha presentato proposte di legge per legalizzare l'aborto libero fino a 14 settimane e per riattivare il dibattito sull'eutanasia, suscitando il forte rifiuto dell'opposizione politica e dei leader religiosi. Entrambe le iniziative fanno parte del programma presidenziale di Gabriel Boric per le elezioni del 2025.

Redazione Omnes-9 giugno 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto

Nella prima settimana di giugno, il governo del presidente Gabriel Boric ha inviato al Congresso cileno una proposta di legge per l'aborto libero - senza motivazioni - fino alla 14ª settimana di gravidanza. gravidanza. I presidenti della Camera dei Deputati e del Senato - entrambi dell'opposizione - hanno dichiarato che non è loro intenzione inserirli nell'agenda politica.

Inoltre, 20 senatori dell'opposizione hanno firmato una lettera di rifiuto della legge e altri parlamentari della coalizione di governo hanno espresso la loro opposizione.

La Conferenza episcopale del Cile ha rilasciato una dichiarazione di rifiuto di questo progetto. "Deploriamo profondamente queste iniziative, che attaccano il valore sacro e inviolabile della vita umana. Insistiamo sul fatto che la vita umana, dal concepimento alla morte naturale, possiede una dignità che deve essere sempre protetta e promossa". Lo stesso hanno fatto le comunità evangeliche e anglicane.

Inoltre, il governo ha dato immediata urgenza a un disegno di legge sull'eutanasia che è rimasto dormiente al Congresso dal 2011 ed è stato riformulato più volte.

Il disegno di legge crea fondamentalmente il diritto di optare volontariamente per l'assistenza medica per accelerare la morte in caso di malattia terminale e incurabile, nei casi in cui il paziente ha una malattia, un'infermità o una diminuzione avanzata e irreversibile delle sue capacità che causa sofferenze fisiche persistenti e intollerabili e che non possono essere alleviate in condizioni che egli ritiene accettabili.

Entrambi i temi erano presenti nel programma di governo di Gabriel BoricL'UE vuole ottenere risultati per i suoi elettori prima delle prossime elezioni presidenziali del novembre 2025.

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Autori invitatiJarosław Tomaszewski

Riscoprire Dio in tempi di distrazione

La perdita della sensibilità spirituale non è una mancanza di fede, ma il frutto del caos interiore e della cultura della distrazione che domina il mondo moderno. Recuperare il silenzio, l'ordine e la devozione al Sacro Cuore è la chiave per riattivare i sensi dell'anima e tornare a Dio.

9 giugno 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Alla luce dello stato interiore dei loro contemporanei, molti declinano la conclusione che sia possibile produrre un essere umano che cessi di essere intrinsecamente aperto a Dio e, al contrario, perda completamente il bisogno di un contatto con il Creatore. Le persone della cosiddetta new age sono atee fredde? Non lo sono affatto. La realtà deve essere discernuta in modo proporzionale, non superficiale. L'ateismo non era, non è e non sarà mai lo stato naturale dell'anima umana. È un serbatoio artificiale di ingegneria morale nella cui spessa sospensione si cerca di annegare le generazioni successive. Solo lo stato di fede - la certezza primordiale dello spirito umano sulla vicinanza di Dio e sulla sua esistenza - è naturale per gli esseri umani. Perché, allora, oggi sembra prevalere il dubbio?

Anche in questo caso, bisogna distinguere con attenzione tra ottusità del cuore e perdita della fede. Non molto tempo fa, più di cinquant'anni fa, alle soglie della post-modernità, ogni persona nella cultura occidentale è nata in una civiltà piena di segni del Creatore. Le campane delle chiese suonavano ovunque, le suore e il clero camminavano per le strade, le processioni si vedevano di tanto in tanto, i confessionali facevano la fila, e persino un bambino sapeva fin da piccolo che l'Avvento o la Quaresima erano iniziati nella Chiesa. La cultura stessa, piena di segni spirituali, metteva naturalmente i sensi interiori delle persone alla presenza di Dio. Qualcuno può essere ancora all'inizio della sua formazione cristiana, ma attraverso la civiltà era già in comunione con il Creatore. Nel frattempo, nel laboratorio della modernità era possibile cambiare senza pietà. Non dobbiamo farci illusioni: dopo tutto, molti esperimenti sociali, psicologici o etici sono direttamente interessati a cancellare efficacemente le tracce di Dio. Di conseguenza, l'uomo di oggi non ha perso tanto la fede - è proprio a questa virtù che rinuncerà come virtù ultima, perché è l'unica cosa che sostiene in lui il senso dell'esistenza - quanto la capacità soprannaturale di avere un contatto con Dio. L'uomo, vivendo in una cultura della distrazione, si libera molto rapidamente della capacità di pregare. Lo spazio spirituale - liturgia, adorazione o raccoglimento - non è mai noioso, ma un'anima privata dell'acutezza dei sensi interiori porta in sé una sterile sterilità. 

Il grande Giovanni della Croce non era solo un mistico, ma anche un buon antropologo, formatosi nella nobile scuola di Salamanca. Conosceva, quindi, la costruzione umana e su di essa basava tutto il cammino dell'anima verso l'unione con Cristo. Dio ha creato saggiamente l'essere umano e ha voluto che l'uomo comunicasse ragionevolmente con la realtà. Per questo lo ha dotato di sensi, come se fosse un lettore che raccoglie informazioni sul mondo. L'uomo esplora così la realtà attraverso la vista, l'udito, l'immaginazione o il tatto. Ma la realtà materiale, insinua Giovanni della Croce, non è l'unico mondo realmente esistente. Dio è Spirito e, per entrare in comunicazione con il suo ambiente, ogni persona umana è dotata di sensi spirituali. Come possiede l'udito fisico o la vista e il tatto con cui ammira la musica o contempla le montagne o il mare, così possiede l'udito o la vista spirituale con cui sale alla vetta della vita di Dio.

E qui sta il nocciolo del problema. Finché la civiltà ha rispettato i segni dell'esistenza del Creatore, i sensi spirituali delle persone si sono affinati e hanno funzionato. Quando intere culture sono rimaste intrappolate nei miraggi dell'ateismo, i sensi spirituali di molti si sono spenti. L'uomo ha ancora fede in Dio e pretende di rinunciarvi come ultima cosa nella vita. Solo che gli è difficile orientarsi verso Dio, comunicare con Lui, incontrarlo, parlargli. Si può fare qualcosa? I sensi spirituali si trovano nel cuore dell'uomo. Sì, il cuore in senso biblico non è un espediente della predicazione sentimentale. Non è un oggetto di descrizione psicologica, ma il centro della personalità. Il cuore è quindi il saggio amministratore dei sensi spirituali. Se è in grado di formarsi, ordinarsi e concentrarsi, i sensi spirituali si riprenderanno e si rafforzeranno rapidamente: percepiranno la presenza di Dio, ascolteranno il suo insegnamento e sentiranno il suo tocco amorevole. Ma può accadere anche il contrario. Un cuore in preda al caos - ed è quello che sta accadendo oggi in tutta la civiltà occidentale - ottunde i sensi e li separa da una distanza inusitata nel cammino verso Dio. Da questo punto di vista, la devozione al Sacro Cuore di Gesù sarà di aiuto. Il cuore umano deve essere plasmato nella forma del Cuore di Cristo - in modo armonioso, concentrato, ordinato, il più possibile lontano dal caos, dalla confusione, da troppi stimoli. Quando questo non è più garantito dallo stato di civiltà, deve essere scelto consapevolmente dall'autonomia interiore. 

L'igiene del cuore umano - la sede dei sensi interiori - dovrebbe quindi tornare ad essere una priorità nell'agenda pastorale. Negli ultimi tempi nella Chiesa si è spesso cercato di abbagliare le persone con un'attrazione eccessiva per impulsi, movimenti, luci e suoni, trasferiti direttamente dal mondo all'altare. La pastorale doveva essere multicolore come uno spettacolo, danzante, rumoroso, umanamente attraente. Così, la formazione spirituale spesso perdeva il suo mistero e - per usare il linguaggio di Papa Leone XIV - finiva per diventare uno spettacolo. In questo modo, il caos dei sensi interiori delle persone diventa ancora più disordinato e la cura pastorale perde la sua efficacia. Le persone ricevono ogni giorno troppi stimoli aggressivi in mezzo al mondo, così che nel contatto con il Signore - nel tempio - hanno bisogno di più estetica, ordine, armonia o silenzio. Il culto del Sacro Cuore di Gesù li aiuterà a vivere e poi a pregare in concentrazione, cioè a riunire i sensi interiori nel cuore umano.

L'autoreJarosław Tomaszewski

Sacerdote polacco, missionario in Uruguay, professore alla Facoltà teologica di Montevideo e segretario nazionale delle Pontificie Opere Missionarie della Polonia.

Evangelizzazione

Santa Maria, Madre della Chiesa

Il lunedì di Pentecoste è la memoria della Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa. La festa ricorda che la divina maternità di Maria (Madre di Dio, Madre di Cristo) si estende, per volontà di Gesù, a tutti gli uomini e anche alla Chiesa, il Popolo di Dio.

Francisco Otamendi-9 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

La Beata Vergine Maria, come Catechismo della Chiesa Cattolica nei punti 963, 964 e 965, è Madre di Cristo e Madre della Chiesa. Papa Francesco, nel 2018, ha fissato questo memoriale della Vergine Maria nel lunedì successivo alla solennità di Pentecoste. 

Questo titolo non è nuovo, sottolinea Notizie dal Vaticano. "Già nel 1980, San Giovanni Paolo II ci invitava a venerare Maria come Madre della Chiesa. E ancora prima, San Paolo VI, il 21 novembre 1964, a conclusione della Terza Sessione del Concilio Vaticano II, dichiarò solennemente" quanto segue.

"Così, a gloria della Vergine e a nostra consolazione, proclamiamo Maria Santissima Madre della Chiesa. Cioè Madre di tutto il popolo di Dio, sia dei fedeli che dei pastori che la chiamano Madre amorosa. E desideriamo che d'ora in poi sia onorata e invocata da tutto il popolo cristiano con questo graditissimo titolo".

"Madre di tutto il popolo di Dio".

Il Catechismo della Chiesa Cattolica contiene un paragrafo di questo tipo Discorso di San Paolo VI. In essa si afferma che la Vergine Maria "è riconosciuta e venerata come la vera Madre di Dio e del Redentore [...]. Inoltre, "è veramente la Madre delle membra (di Cristo) perché ha contribuito con il suo amore a far nascere nella Chiesa i credenti, membra di quel Capo"" (LG53; cfr. Sant'Agostino, De sancta virginitate 6, 6)"".

Accanto a queste date recenti, prosegue l'agenzia, "non possiamo dimenticare quanto il titolo di Maria, Madre della Chiesa sia presente nella sensibilità di Sant'Agostino e di San Leone Magno; di Benedetto XV e di Leone XIII. Come abbiamo detto, Papa Francesco, l'11 febbraio 2018, nel 160° anniversario della prima apparizione della Madonna a Lourdes, ha deciso di rendere obbligatoria questa Memoria". 

Mosaico di Maria, Mater Ecclesiae 

D'altra parte, uno degli elementi architettonici più recenti di Piazza San Pietro è il mosaico dedicato a Maria Mater Ecclesiae, con il testo Totus Tuus. È un segno dell'affetto di San Giovanni Paolo II per la Madonna. In un articolo pubblicato su "L'Osservatore Romano", l'architetto Javier Cotelo ha raccontato la storia di questo mosaico della Vergine, che si può leggere qui.

Il mosaico, ispirato all'opera '.Madonna della colonnache proveniva dalla basilica costantiniana, vi fu collocato il 7 dicembre 1981 e il giorno successivo, dopo la preghiera dell'Angelus, San Giovanni Paolo II lo ha benedetto.

L'autoreFrancisco Otamendi

Ecologia integrale

Essere "caritatevoli" nella vita pratica

La carità nella vita pratica si traduce in azioni concrete di amore, compassione e servizio agli altri. È una virtù che ci spinge a cercare il bene degli altri e a lavorare per una società più giusta e attenta.

Alejandro Vázquez-Dodero-9 giugno 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Secondo il Catechismo nel numero 1822, "La carità è la virtù teologale con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa per amore suo e il prossimo come noi stessi per amore di Dio".

In altre parole, carità e amore sono intrecciati, l'uno mi porta all'altro e viceversa; e in modo radicale, perché non ci sono mezze misure: o sono caritatevole o non lo sono, o amo o non amo.

La frase "ama e fai ciò che vuoi", attribuita a Sant'Agostinoimplica che, se si agisce per amore - il vero amore, ovviamente - qualsiasi azione si compia sarà giusta e buona. Viene interpretata come una sintesi della dottrina cristiana, dove l'amore per Dio e per il prossimo è il fondamento di ogni atto morale. Per questo possiamo dire che la carità è la "regina" delle virtù. E, come continua a sottolineare Sant'Agostino, il culmine di tutte le nostre opere è l'amore.

Essendo una virtù teologica - riferita a Dio e proveniente da Dio - è qualcosa di proprio dei cristiani, il che naturalmente non significa che chi non appartiene a questo credo non possa amare.

L'unica cosa che accade è che la grazia divina coinvolta nella manifestazione dell'amore agisce da sola nell'anima del cristiano e, per così dire, lo avvicina a quel Dio attraverso il quale e per il quale ama gli altri: lo rende santo.

L'amore manifestato dal cristiano è la carità, nel senso che l'atto umano di amare è elevato al regno soprannaturale e lo apre all'azione della grazia divina nella sua anima.

Manifestazioni pratiche di carità

Sarà il detto "le opere sono amori e non buone ragioni" a far sì che la carità, intesa come amore per Dio e per il prossimo, si manifesti nella vita pratica attraverso azioni concrete che cercano il bene degli altri.

Che cosa includerebbe? Tra le tante possibilità, ci riferiamo all'aiuto ai bisognosi, al dialogo rispettoso, alla tutela della verità e alla ricerca della giustizia.

  • Aiutare i bisognosi: si tratta di solidarietà empatica con le sofferenze altrui, che può assumere la forma di elemosina, donazione di cibo o vestiti, sostegno ai senzatetto o volontariato per enti di beneficenza.
  • Dialogo rispettoso: comunicazione costruttiva, evitando abusi, critiche distruttive e ricerca del conflitto. Solo attraverso un dialogo sincero possiamo comprendere le prospettive dell'altro e cercare soluzioni comuni.
  • Custodia della verità: la carità consiste nel custodire la verità ad ogni costo, anche quando è difficile o scomodo farlo. Questo può manifestarsi nella difesa dei diritti umani o nella denuncia della corruzione in tanti settori.
  • Perseguimento della giustizia: la carità non si limita all'aiuto individuale, ma implica anche il lavoro per la giustizia sociale e le pari opportunità per tutti. Ciò può comportare il sostegno a politiche che garantiscano i diritti degli oppressi e favoriscano i più vulnerabili.
  • Riconciliazione: la carità consiste nel perdonare le offese ricevute e nel cercare la riconciliazione con gli altri. Il perdono non è solo un atto di misericordia, ma anche un atto d'amore che libera le persone dall'amarezza e dal risentimento.
  • Mettere a disposizione i doni o i talenti ricevuti: la carità incoraggia ogni persona a usare i propri talenti e doni per servire gli altri e contribuire al bene comune. Questo può manifestarsi, ad esempio, nell'insegnamento, nell'assistenza ai malati e nella ricerca di soluzioni ai problemi degli altri.

I frutti della carità

Dopo quanto detto, potremmo sottolineare che la carità nella vita pratica si traduce in azioni concrete di amore, compassione e servizio agli altri. È una virtù che ci spinge a cercare il bene degli altri e a lavorare per una società più giusta e attenta.

Ma una cosa che va sottolineata è il beneficio che si ottiene con la carità. Dio non si lascia superare in generosità. E, secondo il punto 1829 del Catechismo, "I frutti della carità sono la gioia, la pace e la misericordia (...); è benevolenza; è reciprocità; è sempre disinteressata e generosa; è amicizia e comunione" (...). Questo, naturalmente, è un premio per chi si dona per il bene degli altri, in accordo con la nostra natura, che è progettata per essere auto-donatrice, auto-donante.

Vangelo

Rispettare il Nome di Dio. Gesù Cristo sommo sacerdote (C)

Joseph Evans commenta le letture di Gesù Cristo Sommo Sacerdote (C) del 12 giugno 2025.

Giuseppe Evans-9 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Nella preghiera sacerdotale che la Chiesa ci consegna oggi nella festa di Gesù Cristo Sommo Sacerdote, Nostro Signore prega facendo conoscere il nome di suo Padre: "Ho fatto conoscere loro e farò conoscere loro il tuo nome".. Questo è molto sacerdotale. Sappiamo che il nome di Dio e il nome di Gesù non sono nomi qualsiasi. Infatti, c'è un intero comandamento dedicato al rispetto del nome di Dio: "Non pronunciare il nome del Signore tuo Dio falsamente". (Es 20, 7). I comandamenti ci danno le istruzioni morali essenziali per la realizzazione della vita personale e sociale. Solo rispettando il nome di Dio troveremo la felicità personale e la nostra società funzionerà bene. Quando non rispettiamo Dio, finiamo per non rispettare noi stessi e gli altri.

Quando Dio istituì il sacerdozio dell'Antica Alleanza, disse: "Devono essere santi al loro Dio e non profanare il nome del loro Dio, perché sono loro che offrono il cibo da bruciare per il Signore, il cibo del loro Dio. Devono essere santi. (Lev 21,6). In altre parole, poiché hanno il sacro compito di offrire sacrifici a Dio, devono avere un rispetto speciale per il nome di Dio. In effetti, il rispetto del nome di Dio è parte integrante della sua santità. Come si è detto, onorare il nome di Dio è molto sacerdotale e i laici, nell'esercizio del loro sacerdozio comune, dovrebbero condividere questa preoccupazione. Pronunciare semplicemente il nome di Dio o di Gesù, con pietà e fede, può essere una bella forma di culto. E poi potremmo considerare se mai usiamo il nome di Dio o di Gesù Cristo come una blanda imprecazione. Senza dubbio lo faremmo senza cattiveria, ma di per sé, come atto, è una forma di blasfemia. Allo stesso modo, fa parte della nostra anima sacerdotale insistere, con educazione ma con fermezza, sul rispetto del nome di Dio nella società e richiamare l'attenzione quando non viene rispettato. Nessuno oserebbe mancare di rispetto a Maometto (e non dovrebbe farlo: non dovremmo mancare di rispetto a nessun venerato leader religioso). Ancor più dovrebbero rispettare il nome di Dio o del Dio fatto uomo (Gesù).

Quest'ultimo è tanto più vero perché il nome di Gesù, e solo questo nome, porta la salvezza. Come gli apostoli affermarono con coraggio davanti alle autorità ebraiche "Non c'è salvezza in nessun altro, perché sotto il cielo non è stato dato agli uomini altro nome per il quale dobbiamo essere salvati". (Atti 4, 12). (Si vedano anche Atti 2, 21 e, in generale, i numerosi usi di "nome" negli Atti). San Josemaría ha scritto del "La potenza del tuo nome, Signore!".. (Camino 312). È un potere che tutti noi faremmo bene a scoprire.

Vaticano

Il Papa implora lo Spirito Santo per la pace, "soprattutto nei cuori".

Nella Santa Messa di Pentecoste, a conclusione del Giubileo dei Movimenti e delle Associazioni, e al Regina Caeli, Papa Leone XIV ha implorato oggi lo Spirito Santo per "il dono della pace. Soprattutto la pace nei cuori". E ai partecipanti al Giubileo ha chiesto di "andare a portare a tutti la speranza del Signore Gesù".  

Francisco Otamendi-8 giugno 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Papa Leone XIV, che oggi celebra un mese dalla sua elezione, ha pregato nel Solennità di PentecosteI pellegrini presenti in piazza San Pietro, molti dei quali provenienti da Movimenti ecclesialiche chiediamo allo Spirito Santo la pace. Che possiamo "invocare lo Spirito di amore e di pace, affinché possiamo frontiere aperteIl Padre Nostro abbatte i muri, dissolve l'odio e ci aiuta a vivere come figli dell'unico Padre dei cieli". 

Pochi minuti dopo, nella Regina caeliHa pregato affinché "per intercessione della Vergine Maria, possiamo implorare lo Spirito Santo per il dono della pace". "Soprattutto la pace nei cuori", disse Leone XIV. 

Pace, gesti di distensione e dialogo

"Solo un cuore pacifico può diffondere la pace nella famiglia, nella società, nelle relazioni internazionali. Lo Spirito di Cristo risorto apra vie di riconciliazione ovunque ci sia guerra; illumini i potenti e dia loro il coraggio di compiere gesti di distensione e di dialogo".

Come si ricorderà, un gesto di pace in questo senso è quello che il Papa ha chiesto al presidente russo Vladimir Putin qualche giorno fa in un incontro con il presidente russo, Vladimir Putin. conversazione telefonica in cui hanno discusso, tra le altre cose, della guerra in Ucraina.

"A Pentecoste, la Chiesa e il mondo si rinnovano!

Nell'omelia della Messa del giorno della festa, in cui la Chiesa ricorda la venuta dello Spirito Santo Il Papa ha sottolineato con forza che "attraverso la Pentecoste, la Chiesa e il mondo si rinnovano".

"Che il vento potente dello Spirito venga su di noi e dentro di noi, apra le frontiere del cuore, ci dia la grazia di incontrare Dio, allarghi gli orizzonti dell'amore e sostenga i nostri sforzi per costruire un mondo dove regni la pace".

Maria Santissima, Donna della Pentecoste, Vergine visitata dallo Spirito, Madre piena di grazia, ci accompagni e interceda per noi", ha detto.

Gli apostoli, rinchiusi, "ricevono un nuovo sguardo".

In precedenza, il Santo Padre ha meditato sulla festa di Pentecoste. "Gesù Cristo, il Signore, dopo essere risorto e glorificato con la sua ascensione, inviò lo Spirito Santo" (Sant'Agostino, Sermo 271, 1). Anche oggi si riaccende ciò che è accaduto nel Cenacolo; il dono dello Spirito Santo scende su di noi come un vento possente che scuote, come un boato che risveglia, come un fuoco che illumina (cfr. Atti 2,1-11)".

Come abbiamo ascoltato nella prima lettura, ha proseguito il Papa, "lo Spirito fa nascere qualcosa di straordinario nella vita degli Apostoli. Dopo la morte di Gesù, essi si erano chiusi nella paura e nella tristezza, ma ora ricevono finalmente uno sguardo nuovo e un'intelligenza del cuore che li aiuta a interpretare gli eventi accaduti e a fare un'esperienza intima della presenza del Risorto".

"Lo Spirito Santo vince la sua paura e apre le frontiere".

"Lo Spirito Santo vince la loro paura, spezza le loro catene interiori, lenisce le loro ferite, li unge di forza e dà loro il coraggio di andare incontro a tutti per annunciare le opere di Dio", ha sottolineato Leone XIV, che ha riflettuto sulle parole di Benedetto XVI.

Come afferma Benedetto XVI: "Lo Spirito Santo fa il dono della comprensione. Egli supera la rottura iniziata a Babele - la confusione dei cuori, che ci mette gli uni contro gli altri - e apre le frontiere. [...] La Chiesa deve diventare sempre di nuovo ciò che è già: deve aprire le frontiere tra i popoli e abbattere le barriere tra le classi e le razze. Nella Chiesa non ci possono essere né i dimenticati né i disprezzati. Nella Chiesa ci sono solo liberi fratelli e sorelle di Gesù Cristo (Omelia di Pentecoste, 15 maggio 2005)". 

Uscire da noi stessi

"Lo Spirito apre le frontiere, prima di tutto, dentro di noi. È il dono che apre la nostra vita all'amore. E questa presenza del Signore dissolve le nostre durezze, la nostra chiusura mentale, il nostro egoismo, le paure che ci paralizzano, il narcisismo che ci fa ruotare solo intorno a noi stessi", ha aggiunto il Pontefice.

"È triste osservare come in un mondo in cui le occasioni di socializzazione si moltiplicano, corriamo il rischio di essere paradossalmente più soli, sempre connessi eppure incapaci di "stabilire legami", sempre immersi nella folla, ma sottratti a viaggiatori disorientati e solitari".

Trasformare ciò che inquina le nostre relazioni

Il Papa ha poi approfondito l'argomento. Lo Spirito Santo "apre le frontiere dentro di noi, affinché la nostra vita diventi uno spazio ospitale". "E lo Spirito apre le frontiere anche nelle nostre relazioni (...). Quando l'amore di Dio abita in noi, siamo capaci di aprirci ai nostri fratelli, di superare le nostre rigidità, di vincere la paura del diverso, di educare le passioni che nascono in noi". 

"Lo Spirito trasforma anche quei pericoli più nascosti che contaminano le nostre relazioni, come le incomprensioni, i pregiudizi e le strumentalizzazioni", ha detto, riferendosi anche a casi di quello che ha definito "femminismo".

Relazioni intossicate dalla violenza: il "femminicidio".

"Penso anche - con grande dolore - ai casi in cui una relazione è intossicata dal desiderio di dominare l'altro, atteggiamento che spesso sfocia nella violenza, come dimostrano purtroppo i numerosi casi recenti di femminicidio", ha sottolineato il Papa.

Lo Spirito Santo, invece, "fa maturare in noi i frutti che ci aiutano a vivere relazioni autentiche e sane: "amore, gioia e pace, benevolenza, generosità, mitezza, bontà e fiducia" (Gal 5,22). In questo modo, lo Spirito allarga le frontiere delle nostre relazioni con gli altri e ci apre alla gioia della fraternità".

Chiesa di Cristo Risorto: accogliente e ospitale

E ha concluso: "E questo è anche un criterio decisivo per la Chiesa; siamo veramente la Chiesa del Risorto e i discepoli della Pentecoste solo se tra di noi non ci sono né frontiere né divisioni ((ha citato qui Papa Francesco)), se nella Chiesa sappiamo dialogare e accoglierci a vicenda, integrando le nostre differenze, se come Chiesa diventiamo uno spazio accogliente e ospitale per tutti".

Il comandamento dell'amore

Nella sua omelia, il Papa ha anche sottolineato che lo Spirito Santo, la prima cosa che insegna, ricorda e imprime nei nostri cuori è il comandamento dell'amore, che il Signore ha posto al centro e al vertice di tutto". 

"E dove c'è amore, non c'è spazio per i pregiudizi, per le distanze di sicurezza che ci allontanano dai nostri vicini, per la logica dell'esclusione che purtroppo vediamo emergere anche nel nazionalismo politico.

L'autoreFrancisco Otamendi

Cosa c'è di così importante?

Le domande più inaspettate possono farci uscire dalla routine e aiutarci ad apprezzare ciò che abbiamo intorno ogni giorno.

8 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

-Mi ha battezzato, mi ha insegnato a fare il chierichetto e poi mi ha introdotto in seminario. Una volta ordinato, ho avuto la fortuna di tornare a lavorare con lui come curato nella sua parrocchia: nei suoi ultimi anni. Una volta ordinato, ho avuto la fortuna di lavorare di nuovo con lui come vicario nella sua parrocchia: proprio nei suoi ultimi anni... Che conversazione abbiamo avuto! Una sera, mentre cenavamo con uno stufato di fagioli neri, mi venne in mente di chiedergli come celebrava la festa della Madonna. Massa con tanta devozione. Poi il vecchio parroco mi guardò con la testa inclinata da un lato e sospirò: "Non è sempre stato così". 

Il mio amico si prese un attimo per deglutire. Poi adottò una cadenza più lenta e un tono più profondo per emulare meglio le parole del mentore: "All'inizio celebravo la Messa con entusiasmo. A poco a poco, però, e senza rendermene conto, sono caduto in movimenti meccanici, nella lettura senza approfondire il significato delle parole. La mia pietà giovanile si stava raffreddando".

-A tutti può capitare una cosa del genere, credo", dissi.

-Ma ascoltate come prosegue la storia: "Le cose andavano così. Finché un giorno tutto cambiò. Stavo celebrando la Messa con una comunità rurale molto povera in una casa affollata. Dopo la consacrazione, un ragazzino con Sindrome di Down Uscì dalla folla e saltò verso l'altare improvvisato. Rimase immobile accanto a me e per qualche secondo fissò l'ostia consacrata sulla patena. Mi sentivo un po' a disagio. All'improvviso, senza distogliere lo sguardo dal pane, il ragazzo chiese: "Padre, cosa c'è di così importante qui? Ops. Mi è venuto in mente. Allora ho risposto, come se fosse qualcun altro a parlare al mio posto: "Ecco Dio, che è disceso dal cielo". Il bambino ha alzato lo sguardo per incontrare il mio, ha fatto un grande sorriso ed è tornato al suo posto per inginocchiarsi a terra accanto ai suoi genitori". 

-Wow. 

-Sono rimasto scioccato come voi quando l'ho sentito". Poi spiegò: "Pietro, questo evento ha avuto per me il valore di un miracolo eucaristico. Quel giorno ho deciso di rinnovare il mio stupore prima di ogni Messa. E da allora guardo sempre il crocifisso in sacrestia per almeno un minuto e mi ricordo che Dio verrà sull'altare, scenderà dal cielo per amore degli uomini.

-Bella storia", dissi. Mi sarà utile per le mie lezioni.

-Forse era il suo modo di lasciarmi un'eredità; con tanta franchezza, intendo. E devo ancora aggiungere un finale. Quando ho celebrato il funerale del mio parroco, non ho potuto fare a meno di pensare che quel giorno è stato lui a salire dall'altare per incontrare il suo Dio. 

L'autoreJuan Ignacio Izquierdo Hübner

Avvocato presso la Pontificia Università Cattolica del Cile, Licenza in Teologia presso la Pontificia Università della Santa Croce (Roma) e Dottorato in Teologia presso l'Università di Navarra (Spagna).

Vaticano

Il Papa invita i movimenti a collaborare con lui nell'unità e nella missione

In un incontro con 250 leader di 115 associazioni internazionali di fedeli, movimenti ecclesiali e nuove comunità che partecipano al Giubileo alla vigilia di Pentecoste, il Papa li ha invitati a collaborare "fedelmente e generosamente" con lui, soprattutto nell'unità e nella missione.

CNS / Omnes-8 giugno 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

- Cindy Wooden, Città del Vaticano, CNS

"L'unità e la missione sono due aspetti essenziali della vita della Chiesa e due priorità del ministero petrino", ha affermato Papa Leone XIV nella pubblico. "Per questo motivo, chiedo a tutte le associazioni e i movimenti ecclesiali di collaborare fedelmente e generosamente con il Papa, soprattutto in questi due ambiti".

"Con le loro specifiche forme di preghiera, evangelizzazione o enfasi, sia i gruppi di laici cattolici di lunga data che i gruppi di movimenti e le comunità più recenti, sono chiamate a contribuire all'unità e alla missione della Chiesa, ha sottolineato Papa Leone XIV.

Un obiettivo comune

Ad incontrare il Papa sono stati circa 250 leader di 115 associazioni internazionali di fedeli, movimenti ecclesiali e nuove comunità. Sono stati riconosciuti e sostenuti dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, il cui prefetto è il cardinale Kevin Farrell. Tra i gruppi c'erano, per esempio, la Legione di Maria, la Cammino Neocatecumenaleil cui team internazionale, guidato da Kiko Argüelloè stato ricevuto dal Papa il giorno prima, Comunione e liberazioneIl progetto è portato avanti da alcune comunità carismatiche e da diversi gruppi scout cattolici.

"Alcune sono state fondate per portare avanti un progetto apostolico, caritativo o liturgico comune, o per sostenere la testimonianza cristiana in specifici contesti sociali", ha osservato Papa Leone. "Altre, invece, sono nate da un'ispirazione carismatica, da un carisma iniziale che ha dato origine a un movimento, a una nuova forma di spiritualità e di evangelizzazione".

Tuttavia, tutti i gruppi mirano ad aiutare i loro membri a vivere più profondamente la vita cristiana al servizio di Dio, della Chiesa e dei loro fratelli e sorelle.

"La vita cristiana non si vive in modo isolato".

"Il desiderio di lavorare insieme per un obiettivo comune riflette una realtà essenziale: nessuno è cristiano da solo", ha detto il Papa ai leader. "Siamo parte di un popolo, di un corpo stabilito dal Signore.

"La vita cristiana non è vissuta in modo isolato, come una sorta di esperienza intellettuale o sentimentale, confinata alla mente e al cuore", ha aggiunto. È vissuta con gli altri, in gruppo e in comunità, perché Cristo risorto è presente ovunque i discepoli si riuniscano nel suo nome".

Ma anche all'interno della Chiesa, ha detto il Papa, tali gruppi non possono vivere in isolamento.

"Cercate di diffondere ovunque questa unità che voi stessi sperimentate nei vostri gruppi e comunità, sempre in comunione con i pastori della Chiesa e in solidarietà con le altre realtà ecclesiali", ha detto Papa Leone.

"I vostri carismi, lievito di unità e comunione".

"Avvicinatevi a tutti coloro che incontrate, affinché i vostri carismi siano sempre al servizio dell'unità della Chiesa e siano lievito di unità, comunione e fraternità in un mondo così lacerato dalla discordia e dalla violenza", ha detto, citando la sua omelia del 18 maggio alla Messa di inaugurazione del suo pontificato.

Anche l'attenzione verso l'esterno dei gruppi è essenziale, ha detto, poiché la Chiesa è chiamata a essere missionaria, condividendo l'amore di Dio con il mondo.

"La missione della Chiesa è stata una parte importante della mia esperienza pastorale e ha plasmato la mia vita spirituale", ha detto il Papa, che ha trascorso decenni come sacerdote missionario e vescovo in Perù.

Al servizio della missione della Chiesa

"Anche voi avete vissuto questo cammino spirituale", ha sottolineato. "Il vostro incontro con il Signore e la vita nuova che ha riempito i vostri cuori hanno fatto nascere in voi il desiderio di farlo conoscere agli altri".

"Mantenete sempre vivo tra voi questo impulso missionario: i movimenti anche oggi hanno un ruolo fondamentale nell'evangelizzazione", ha incoraggiato il Papa.

"Mettete i vostri talenti al servizio della missione della Chiesa, sia nei luoghi di prima evangelizzazione che nelle vostre parrocchie e comunità ecclesiali locali, per raggiungere coloro che, anche se lontani, spesso aspettano, senza esserne consapevoli, di ascoltare la parola di vita di Dio", ha detto Papa Leone ai gruppi.

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Questo articolo è la traduzione di un articolo pubblicato per la prima volta su OSV News. Potete trovare l'articolo originale qui qui.

L'autoreCNS / Omnes

Libri

Gli anni selvaggi della filosofia

La recente ripubblicazione di "Schopenhauer e gli anni selvaggi della filosofia" di Rüdiger Safranski offre un'occasione impareggiabile per riscoprire l'emozionante incrocio tra vita e pensiero di uno dei filosofi più singolari del XIX secolo.

José Carlos Martín de la Hoz-8 giugno 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Vale la pena di rileggere "Schopenhauer e gli anni selvaggi della filosofia", la magnifica opera di Rüdiger Safranski (Rottweil, 1945), sulla filosofia di Arthur Schopenhauer (1788-1860), recentemente ripubblicato, poiché gli studi biografici dei grandi pensatori tedeschi di quel periodo spesso gettano molta luce sulle loro principali tesi filosofiche.

Particolarmente importanti sono gli approfondimenti biografici nel caso degli studi storici di Rüdiger Safranski. Egli è particolarmente apprezzato in questo senso per la sua profonda conoscenza della storia delle idee e soprattutto del periodo che egli chiama "gli anni selvaggi della filosofia" (387-404).

Schopenhauer, filosofo autodidatta che ha contribuito con idee importanti alla storia del pensiero, ha indubbiamente ragione quando dice: "Chi può ascendere e poi tacere" (76). È interessante notare che da giovane aveva scritto: "Se togliamo dalla vita i brevi momenti della religione, dell'arte e dell'amore puro, cosa rimane se non una successione di pensieri banali" (90).

Come è noto, i pensatori tendono a innamorarsi delle loro idee, come quando Kant inventò un Dio extraterrestre che poteva essere adottato come tale da agnostici e deisti diffidenti nei confronti della Chiesa e di Dio stesso, che finirono per privare l'illuminismo tedesco della fiducia in Dio (91).

La vita di Schopenhauer

L'evoluzione della biografia di Schopenhauer e di altri autori dell'epoca, come ad esempio KantHegel e Hölderlin. Inoltre, lo studio della Rivoluzione francese e della sua ricezione in Germania, fino a quando non furono invase dalle truppe napoleoniche, le loro città saccheggiate e trasformate in una scia di sangue, violenza e desolazione che trasformò le idee idilliache della rivoluzione in delusione e odio verso i francesi che è perdurato fino ad oggi in alcuni strati della società tedesca (122).

Di grande interesse sono le pagine dedicate all'educazione e all'istruzione del giovane Arthur Schopenhauer e di sua sorella Adele, che rimase fragile per tutta la vita, da parte della madre ricca e vedova. Infine, Safranski commenta: "È chiaro che la libertà concessa dalla madre era troppo grande per Arthur. Ma il suo orgoglio gli impediva di confessarlo a se stesso" (133).

Qui vale la pena di notare che nella casa di Johana, la madre di Schopenhauer, c'era un salone dove le signore dell'alta società venivano a parlare e ad ascoltare gli uomini di spicco della città, soprattutto Goethe, che frequentava la casa ed era al centro dell'attenzione di tutti, in particolare di Arthur (135), con il quale finirà per litigare (251).

Quando Schopenhauer divenne maggiorenne e sua madre morì, diventò un rentier che viveva della sua eredità e la gestiva abilmente in modo da poter vivere sobriamente ma senza dipendere da nessuno o da una posizione ufficiale in cui poter insegnare e guadagnare denaro.

D'altra parte, dopo alcuni momenti iniziali di flirt e riavvicinamento con alcune donne del suo tempo, finì per ritirarsi nella sua creazione filosofica e non solo non formò una famiglia, ma ebbe anche pochi contatti con altri autori del suo tempo.

L'impatto di Schopenhauer sulla filosofia

Per quanto riguarda il suo contributo alla filosofia del suo tempo e alla storia della filosofia stessa, l'estraneità agli ambienti accademici e la scarsità delle sue opere nel corso della sua vita, hanno fatto sì che la sua fama e l'interesse suscitato dalle sue idee richiedessero tempo per consolidarsi e che fosse quasi necessario attendere la sua morte perché si parlasse di lui.

Innanzitutto, Safranski caratterizzerà l'incontro sconvolgente con Kant, che aveva distrutto la metafisica tradizionale attraverso un sistema per cui "i trascendenti metafisici non si riferiscono al trascendente: sono solo trascendentali" (...) Essi sono interessanti solo per l'epistemologia: "l'analisi trascendentale consiste proprio nel mostrare che non possiamo e perché non possiamo avere conoscenza del trascendente" (150). Aggiunge poi che Kant intraprenderà un'impresa volta a trattare il modo in cui gli oggetti sono conosciuti, senza essere interessato all'oggetto (151).

Schopenhauer, entusiasta di Platone, scrisse di Kant: "il modo migliore per designare ciò che manca a Kant è forse dire che non ha conosciuto la contemplazione" (156). Indubbiamente, chiuso nel soggettivismo, non ha mai visto oltre la costruzione intellettuale del proprio io (156). Infine, finirà per conoscere "il Kant teorico della libertà umana" (157).

Nel 1813, Arthur Schopenhauer si recò a Rudolstadt, passando per Weimar, per scrivere la tesi di dottorato "Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente", che lo avrebbe consacrato come filosofo.

Il testamento

Anni dopo, scriverà la sua opera più famosa, debitrice della sua tesi di dottorato sulla "coscienza migliore", con il celebre titolo "Il mondo come volontà e rappresentazione". In essa, egli "rimarrà kantiano a modo suo per rimanere anche platonico a modo suo" (206).

È molto interessante come Safranski prepari il lettore a scoprire la chiave della nuova filosofia di Schopenhauer del "segreto della volontà", cioè una volontà nel proprio corpo, vissuta dall'interno, come una freccia, come il ferro attratto dalla forza di una calamita: "con la scoperta della metafisica della volontà, Schopenhauer trova un linguaggio per esprimere questa visione; questo linguaggio gli darà l'orgogliosa sicurezza che gli permette di separarsi radicalmente da tutta la tradizione filosofica e dai suoi contemporanei" (217). 

Una scoperta, piena di straordinaria radicalità, scrive: "Il mondo come cosa in sé è una grande volontà che non sa cosa vuole; non sa, ma solo vuole, proprio perché è volontà e nient'altro" (266).

Educazione

Dialogo filosofico" e UPSA per studiare gli aneliti e le sfide dell'uomo

La rivista "Diálogo filosófico", che celebra il suo 40° anniversario, in collaborazione con la Pontificia Università di Salamanca (UPSA), ha organizzato il suo XII Congresso dal titolo "Orizzonti dell'umano: crisi e speranza". Dal 19 al 21 giugno, filosofi e accademici provenienti dall'America Latina e dalla Spagna si confronteranno sugli aneliti e le incertezze dell'essere umano.

Francisco Otamendi-7 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

In occasione del 40° anniversario diDialogo filosoficorivista diretta dal professor Antonio Sánchez Orantos, CMF, un nutrito gruppo di relatori studierà importanti sfide per l'essere umano presso la Pontificia Università di Salamanca (UPSA). I filosofi e gli accademici provengono da università dell'America Latina e della Spagna dal 19 al 21 giugno.

Secondo le parole del Prof. Sánchez Orantos, direttore della conferenza, il congresso cercherà di rispondere a "tre forti interessi culturali ed ecclesiali". Si tratta della "speranza e del senso della vita umana nel contesto di questo anno giubilare". In secondo luogo, "la sfida dell'intelligenza artificiale (IA), tenendo conto della rivoluzione sociale che rappresenta e che deve essere affrontata sotto la guida di Papa Leone XIV".

Infine, "l'urgenza della pace e della riconciliazione nel contesto della polarizzazione politica e della tensione del dialogo sociale".

Relatori principali

Questo XII Congresso sarà inaugurato da Mons. Luis Argüelloil presidente della Conferenza Episcopale Spagnola, il Il cardinale clarettiano Aquilino Bocos Merino (CMF), il vescovo di Salamanca e Gran Cancelliere dell'UPSA, José Luis Retana, e il rettore dell'Università Pontificia, Santiago García-Jalón. 

A nome di "Diálogo filosófico", Ildefonso Murillo, CMF, fondatore della rivista, e lo stesso direttore, Antonio Sánchez Orantos, parteciperanno alla cerimonia di apertura. Seguirà la prima conferenza del programma, che potete consultare qui. quiLuis Argüello.

Tra i relatori della conferenza, organizzata anche dalla Facoltà di Scienze Umane e Sociali dell'UPSA, ci saranno Josep María Esquirol, Mariano Asla, Alicia Villar, Adela Cortina, Héctor Velázquez Fernández, Pilar Domínguez Lozano e Mario Torres, tra gli altri.

I dialoghi saranno presieduti da Camino Cañón Loyes (Università Pontificia Comillas), Agustín Domingo Moratalla (Università di Valencia), Félix González Romero (IES Nicolás Copérnico Madrid) e Carlos Blanco Pérez (Università Pontificia Comillas). Inoltre, Juan Antonio Nicolás Marín (Università di Granada) e Juan Jesús Gutierro (Università Pontificia di Comillas).

Tempi di crisi e spera

"Viviamo in un tempo di crisi e, quindi, in un tempo di nuove possibilità, di nuove speranze se, dalla luce che il dialogo interdisciplinare genera, si rendono possibili nuovi percorsi di eccellenza umana", sottolineano gli organizzatori.

Aggiungono inoltre che "al centro di questa crisi culturale, l'emergere dirompente dell'IA ci costringe a (ri)pensare diverse cose. Il rapporto uomo-macchina, l'algoritmo e la libertà, la privacy e la comunicazione sociale e l'emergere di nuove forme di organizzazione politica ed economica. 

Inoltre, un terzo blocco tematico tratterà della "conversazione pubblica come possibilità per la vita umana". 

Modalità on-site e online

Per maggiori informazioni e per iscriversi, gli organizzatori offrono la possibilità di registrarsi sia in loco che online. Potete cliccare su quie vedi sotto, oppure scrivere direttamente a questo indirizzo e-mail: [email protected] 

Il XII Congresso è rivolto agli insegnanti di filosofia, scienze naturali e umane, scienze umane, religione, teologia, diritto, educazione. Si rivolge anche a studenti universitari, post-universitari e di dottorato, e a chiunque sia interessato a riflettere e discutere sul tema proposto.

Comunicazioni

Gli iscritti al XII Congresso che desiderano presentare una relazione devono inviare, prima della scadenza, una copia del modulo di iscrizione. 10 giugno 2025, un abstract della lunghezza massima di 300 parole. Il testo completo, con un massimo di 3.000 parole, dovrà essere inviato in formato Word, entro il 31 luglio 2025, per l'eventuale pubblicazione, all'indirizzo e-mail del congresso: [email protected].

Le relazioni saranno in lingua spagnola e potranno essere presentate di persona o online. L'abstract deve essere allegato al momento dell'iscrizione attraverso il seguente link: https://forms.office.com/e/Et5F1sKiFMDi seguito è riportato un elenco degli eventi a cui è possibile iscriversi.

L'autoreFrancisco Otamendi

Padre Bob

Robert Prevost, agostiniano americano, scelse la vita missionaria in Perù piuttosto che quella accademica a Roma, donandosi con amore e servizio alla Chiesa peruviana per quasi 20 anni. Era così amato e vicino alla gente da essere considerato un peruviano qualsiasi, anche da Roma.

7 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Era molto attratto dagli studi ed era tentato di rimanere a Roma per condurre una vita accademica, ma lo spirito missionario che lo avrebbe attirato in Perù lo conquistò. Dopo l'ordinazione fu assegnato alla missione di Chulucanas e prestò servizio nelle città di Piura, Trujillo e Chiclayo dal 1985 al 1986 e dal 1988 al 1998, come vicario parrocchiale, funzionario diocesano, professore di seminario e amministratore parrocchiale. Successivamente è stato eletto priore generale degli Agostiniani, carica che ha ricoperto dal 2001 al 2013.

Papa Francesco lo ha nominato amministratore apostolico di Chiclayo nel 2014; nel 2015 ha acquisito la cittadinanza di quel Paese ed è stato nominato vescovo residenziale di Chiclayo. Ha servito come vescovo dal 2015 al 2023.

Ha chiesto di rimanere in Perù quando Papa Francesco voleva portarlo a Roma. Pensava che non fosse il momento giusto per andarsene, si sentiva impegnato con il Perù, ma Dio aveva altri piani... Robert Prevost è stato nominato prefetto del Dicastero per i Vescovi e anche presidente della Pontificia Commissione per l'America Latina, in carica fino all'aprile 2025.

Non è facile abituarsi a un paese quando si viene da un altro. Amare il luogo in cui si vive, lottare per amarlo. Non fare paragoni. Cercate ciò che è buono ed evitate il più possibile ciò che non vi sembra buono... Tutti i peruviani che lo hanno conosciuto hanno visto in lui un agostiniano che cercava l'Amore di Dio e del prossimo attraverso la carità fraterna. Viveva molto bene il "Diventare tutti per guadagnare tutti".

Era americano, ma non si sentiva mai uno straniero. Era un agostiniano, ma non portava con sé nessun agostiniano. Era un uomo ricettivo che trasmetteva tranquillità e fiducia. Ha conquistato l'affetto di tutti. Era molto amato, si potrebbe dire che è diventato peruviano.

È sempre stato un peruviano come tanti. Non parlava mai degli Stati Uniti. Si era adattato molto bene alla terra, nella cultura, nel cibo e voleva persino imparare le espressioni e il modo di parlare di Chiclayo, perché era andato lì per servire. C'era solo un giorno in cui si ricordava della sua patria: il giorno del Ringraziamento, quando intagliava il tacchino come faceva suo padre.

Leone XIV nella sua prima udienza si rivolse in castigliano alla sua antica diocesi di ChiclayoHa mostrato la sua vicinanza alla comunità latinoamericana. Ha portato nel cuore il Perù, dove ha vissuto per quasi vent'anni ed è stata riconosciuta la sua vicinanza al popolo: "Mia cara diocesi di Chiclayo, in Perù, dove un popolo fedele ha accompagnato il suo vescovo, ha condiviso la sua fede e ha dato tanto tanto tanto...". 

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Mondo

Yal Le Kochbar: "Le mie canzoni portano ferite e speranza".

Yal Le Kochbar è un rapper della Repubblica Democratica del Congo che vuole portare speranza ai giovani del suo Paese attraverso la musica.

Gabriel González-Andrío-7 giugno 2025-Tempo di lettura: 7 minuti

Povertà, guerre, mancanza di opportunità e un tasso di disoccupazione giovanile di circa il 53 % hanno spinto decine di giovani ad abbandonare il paese. Repubblica Democratica del Congo (RDC) di guadagnarsi da vivere intraprendendo la propria avventura professionale. La musica è diventata uno degli sbocchi più ambiti in un Paese di 102 milioni di persone, dove il 59 % della popolazione ha meno di 24 anni. Yal Le Kochbar - riflessivo ed elegante - è il nome d'arte di Bekeyambor Utempiooh Aliou, ma per molto tempo si è fatto chiamare anche "Aliou Yal". È uno dei tanti giovani congolesi che oggi cercano di sfondare come artisti emergenti in un panorama desolante. "Qui non c'è industria, quindi la politica, lo spettacolo e l'intrattenimento sono diventati le industrie di oggi".dice.

È nato a Goma, nella parte orientale della RDC, il 10 giugno 1997, quando la Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione del Congo (AFDL) è entrata nel Paese nel bel mezzo della guerra. L'AFDL era una coalizione di dissidenti congolesi e di varie organizzazioni etniche che si opponeva alla dittatura di Mobutu Sese Seko e che era alla base del suo rovesciamento.

"Ho vissuto la guerra con mia madre e i miei fratelli. Alla fine siamo tornati a Kinshasa nel 1999".ricorda. Dal 1996, le guerre in Congo hanno lasciato una scia di sei milioni di morti.

Yal è il capo di una famiglia di sei fratelli: due maschi e tre femmine. "La storia della mia famiglia è segnata dal trauma della guerra, le cui ferite invisibili si fanno sentire ancora oggi. La guerra è una cosa terribile, distrugge non solo le vite ma anche l'innocenza, e quello che hanno passato mia madre, i miei fratelli e le mie sorelle mi ha segnato per sempre".dice.

Anni fa ha deciso di dare una svolta professionale per entrare nel mondo della musica e iniziare a comporre e cantare canzoni. Abbiamo iniziato la conversazione parlando di questo hobby...

Da dove nasce il tuo amore per la musica, perché il rap?

-Il mio amore per la musica è iniziato quando avevo 14 anni, per il bisogno di sfogare il mio dolore. All'inizio scrivevo testi senza pretese per lenire un cuore pesante. All'inizio non sapevo né cantare né fare rap. La musica era la mia fuga da un mondo duro, ingiusto e spesso incomprensibile.

Quando ero bambina spesso mi mancava il necessario in casa, pur avendo un padre che interveniva, soprattutto per i bisogni primari (scuola, salute, cibo...), ma senza un vero amore o una presenza affettuosa. Nostra madre, una semplice casalinga, lottava da sola per assicurarsi che avessimo tutto il necessario.

Ascoltavo molta musica rap, soprattutto i testi che denunciavano la miseria sociale e familiare. Mi è rimasta impressa. A 17 anni ho scritto la mia prima canzone. A 19 anni ho pubblicato una canzone che è stata un successo nel mio quartiere, anche se, in fondo, non mi piaceva la popolarità; volevo solo dire la verità, far uscire quello che avevo dentro.

Cosa volete trasmettere attraverso i testi delle vostre canzoni?

Attraverso la mia musica voglio trasmettere luce, consapevolezza di sé, la verità sulla vita, il bisogno di unità e di amore universale.

Il mio messaggio è semplice: tutto è uno. Siamo tutti collegati alla stessa fonte divina ed è fondamentale agire con amore, rispetto e verità.

Le mie canzoni portano con sé sia le ferite del mio passato sia la speranza di un mondo in cui ognuno possa trovare il proprio posto in armonia.

Avete qualche riferimento musicale congolese di successo?

-Ce ne sono molti, ma in cima alla lista e come ispirazione per altri musicisti c'è Fally Ipupa.

Mi ha detto che ora è cattolico, cosa l'ha spinta a fare questo passo?

-La mia conversione al cattolicesimo è recente. È il frutto di una lunga ricerca spirituale. Dopo aver sofferto di una grave malattia (calcoli renali) nel 2022, ho chiesto a Dio, e a Gesù in particolare, di manifestarsi se esisteva davvero.

Mi ha risposto. È stato l'inizio di una nuova relazione per me: non più basata sulla richiesta di miracoli, ma su un rapporto autentico di amore, servizio e unità.

Il mio percorso di riflessione mi ha portato a capire che la Chiesa cattolica incarna queste grandi verità: l'unità (la Chiesa è una), l'universalità (la Chiesa è cattolica) e la missione di servire gli altri (la Chiesa è apostolica).

Oggi sono orgoglioso di aver ritrovato in me fede, opere e amore riconciliati.

In che modo la vostra vita cristiana influenza il vostro lavoro quotidiano?

-La mia vita cristiana è diventata la mia spinta interiore. Mi spinge a servire con amore, a lavorare sodo, perché so che la pigrizia è un peccato e che siamo chiamati a essere la luce del mondo.

Nel mio lavoro quotidiano, cerco sempre di rispettare la dignità umana, di portare luce ovunque vada, di seminare speranza attraverso le mie opere, grandi o piccole che siano.

Vuoi diventare un musicista professionista o hai altre attività per mantenerti economicamente?

-La musica è una passione e una vocazione che prendo molto sul serio.

Ho frequentato un corso di canto di un anno all'Istituto Nazionale delle Arti (INA) per perfezionare il mio flow rap/cantato. Ma mi sono presto reso conto che per vivere d'arte occorre una solida base, quindi ho sempre seguito una formazione parallela.

Nel 2016 sono entrato all'Università Cattolica del Congo (UCC) in Comunicazione Sociale. La mia visione era chiara: acquisire una solida formazione per poter produrre la mia musica e non sprofondare negli antivalori per mancanza di mezzi.

Al termine del corso, ho svolto uno stage di un mese presso il Service National de Vulgarisation Agricole, nell'ambito del progetto "Développement des capacités du Centre National de Vulgarisation Agricole", in collaborazione con KOICA (un'agenzia governativa sudcoreana).

Ho seguito un corso di formazione per formatori (TOT), che prometteva prospettive di carriera entusiasmanti. Tuttavia, la pandemia di Covid-19 nel 2019 ha messo fine a tutto: il progetto è stato sospeso, l'amministrazione è stata paralizzata e così tutte le opportunità di carriera.

Peggio ancora, a causa della mancanza di risorse finanziarie, non sono riuscita a pagare in tempo le tasse per il mio ultimo anno di lavoro. Questo mi ha portato a interrompere gli studi senza conseguire il titolo universitario.

È stato un vero colpo e ancora una volta il mio cuore si è spezzato. Dopo questa prova, sono sprofondato nella depressione, vagando per le strade senza meta, finché un amico, che nel frattempo è diventato un fratello, Allegria Mpengani, mi ha raggiunto.

Mi invitò a partecipare al suo ambizioso progetto: la prima Fiera del Libro del Kongo-Centrale (Salik). Sono partito per Matadi nel 2020, trovando nell'organizzazione della Salik una rinascita interiore.

Ho prestato servizio per tre anni, dal 2020 al 2023, prima come responsabile della logistica e poi, per l'ultima edizione, come vicepresidente, gestendo tutta la programmazione in assenza di Allegria, che aveva altri impegni a Kinshasa.

A Matadi ho coordinato una grande squadra, chiudendo lo spettacolo con un concerto popolare che ha riunito molti artisti urbani. L'esperienza mi ha dato un nuovo impulso artistico.

Un anno dopo il mio ritorno a Kinshasa, ho pubblicato il mio primo singolo ufficiale intitolato "Les Achetés", disponibile su tutte le piattaforme.

Allo stesso tempo, fedele al mio principio di autosufficienza e di servizio, ho seguito una formazione professionale presso l'Institut Supérieur en Sciences Infirmières (ISSI) dell'Ospedale di Monkole per diventare assistente infermieristico, il cui costo è sovvenzionato dal Governo della Navarra (Spagna).

Oggi, nel 2025, sto costruendo la mia vita tra la musica della luce, che porta il messaggio "Uno" (unità, verità, amore divino), e il mio impegno al servizio degli esseri umani, nell'assistenza sanitaria e nel sostegno. In seguito, seguirò un corso di logistica per sostenere l'esperienza professionale che ho maturato a Salik negli ultimi 3 anni, e infine per concludere la mia laurea in Comunicazione Sociale.

Ha pensato di lasciare il Congo e di cercare opportunità all'estero?

-Sì, ci ho pensato. Non per fuggire, ma per svilupparmi pienamente e far brillare la luce che è in me. Sogno di continuare a formarmi, a creare e a migliorarmi in ambienti dove l'arte è sostenuta, dove i sogni non sono sistematicamente soffocati dalla povertà o dall'indifferenza.

Cosa pensa della fuga dei talenti congolesi verso altri Paesi?

-Capisco il dolore che spinge le persone di talento ad andarsene. Tutti sogniamo un Paese che creda nei suoi figli, che investa nel loro brillante futuro.

Purtroppo, finché prevarranno l'indifferenza, la corruzione e la mancanza di una visione collettiva, molti continueranno a cercare altrove ciò che non hanno qui.

C'è una soluzione alla guerra che imperversa nel Congo orientale? Sembra che un accordo di pace sia più vicino...

-La guerra è una tragedia. Distrugge più che vite umane; distrugge intere generazioni, l'anima di un popolo. Sono nato durante la guerra a Goma e ancora oggi sento le cicatrici invisibili nella mia famiglia.

Spero con tutto il cuore che la pace sia finalmente reale, non solo firmata, e che guarisca le ferite dell'Est e di tutto il Congo.

Chi sono le persone che hanno influenzato maggiormente la sua vita?

-Le mie influenze più importanti sono mia madre, una donna forte e amorevole che ha portato sulle sue spalle il peso della nostra sopravvivenza e della nostra dignità, mio fratello maggiore Stéphane e le mie sorelle. 

E, naturalmente, i miei amici, che sono diventati come fratelli per me portandomi a lavorare alla Fiera centrale del libro di Kongo. L'Allegria ha anche cambiato la mia vita; mi ha salvato da una spirale di depressione e mi ha riportato alla luce, come ho detto.

C'è anche Christian Lokwa, grazie al quale sono tornato alla Chiesa, sono stato confermato e ho ricevuto la prima Comunione nella Veglia Pasquale del 19 aprile 2025 nella cattedrale di Notre Dame du Congo.

Alliance Mawana, che vive in Georgia, è stato fondamentale per il suo sostegno morale e finanziario. È stato lui a formarmi nel mondo della musica, del rap, e ancora oggi è con me e crede in me, così come Diego Madilu, Jokshan Kanyindq e Jude David Mulumba.

Vorrei anche menzionare Joshua Margot, senza il quale la fede cristiana sarebbe un brutto ricordo e non avrei avuto alcun desiderio di cercare Dio. Lui è stato all'inizio della mia ricerca interiore.

E soprattutto a Dio, il cui amore incondizionato mi ha risollevato ogni volta che sono caduta.

Se lei fosse il Ministro della Cultura della Repubblica Democratica del Congo, incoraggerebbe un maggiore sostegno ai giovani talenti come lei?

-Certo che lo farei. Creerei centri di formazione accessibili, un vero sostegno alla produzione artistica e spazi dove i giovani possano creare, imparare e crescere senza dover chiedere l'elemosina o andare in esilio.

La cultura è un bene immenso per un Paese; deve essere sostenuta, promossa e protetta.

Ritiene che la corruzione sia endemica in Africa e nella Repubblica Democratica del Congo? È possibile cambiare le cose?

-Sì, la corruzione corrode le nostre società, ma io credo nel cambiamento. Inizia nel cuore degli individui. 

Finché non capiremo che siamo tutti uno, uniti dalla stessa luce divina, continueremo a tradire il nostro stesso popolo per guadagni effimeri.

Il cambiamento è possibile, ma richiede educazione, una leadership esemplare e un vero amore per il Paese.

Come si sta facendo un nome all'interno e all'esterno del D.R.C.?

-Mi sto facendo conoscere gradualmente grazie alla mia musica, che è disponibile su tutte le piattaforme.

Sto anche sviluppando la mia presenza sui social media e confido che il mio lavoro raggiunga i cuori, a prescindere dalla distanza.

Il mio progetto Musica di luce è concepito per superare i confini: si basa sull'universale.

Quale messaggio darebbe ai giovani connazionali che non vogliono più sognare un futuro migliore?

-Vorrei dire loro: non rinunciate mai alla luce che è in voi. Anche quando il mondo sembra crollare, anche quando la solitudine e l'ingiustizia vi colpiscono, ricordate che la vostra esistenza ha un significato profondo.

Siamo fatti per amare, costruire, unire. Dobbiamo combattere con fede, duro lavoro e perseveranza.

L'autoreGabriel González-Andrío

Kinshasa

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Evangelizzazione

San Marcellino Champagnat, fondatore dei Fratelli Maristi

Il 6 giugno la Chiesa celebra il sacerdote francese San Marcellino Champagnat, fondatore dei Fratelli Maristi e noto per il suo lavoro educativo con bambini e giovani in difficoltà. Il calendario dei santi celebra oggi anche l'arcivescovo tedesco San Norberto, e il messicano San Rafael Guízar Valencia, vescovo perseguitato di Veracruz.  

Francisco Otamendi-6 giugno 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto

San Marcellino Champagnat nacque nel 1789 a Rosey (Loira, Francia). Sentendo la vocazione sacerdotale, entrò nel seminario di Verriéres e poi di Lione. Fu sacerdote marista e fondatore dell'Istituto dei Fratelli Maristi. Innamorato di Dio, si è dedicato con entusiasmo ai bambini e ai giovani, soprattutto a quelli più bisognosi. 

Quando ho visto bambini e giovani non istruiti E così, senza catechismo, San Marcellino esclamò: "Abbiamo bisogno di Fratelli". E il 2 gennaio 1817, con due giovani, iniziò il progetto dell'Istituto dei Fratelli di Maria. Una comunità internazionale di fratelli Oggi continua il suo sogno.

Regione Asia, Capitolo generale nelle Filippine

Papa Giovanni Paolo II ha canonizzato Marcellino il 18 aprile 1999 in Piazza San Pietro in Vaticano e lo ha riconosciuto come santo della Chiesa universale. In questi mesi, i Maristi stanno vivendo la preparazione del XXIII Capitolo generaleche si terrà nelle Filippine a partire dall'8 settembre. La regione di Asia ha Paesi con una presenza marista di 50, 75, 100 o più anni, e altri con il progetto "Ad gentes".

San Norberto, tedesco, e San Rafael Guízar, messicano. 

Altro santos del giorno sono il germanico San Norberto, sacerdote fondatore dei Canonici Regolari. PremonstratensiFu predicatore in Francia e in Germania e arcivescovo di Magdeburgo. Anche il messicano San Rafael Guízar Valencia, anch'egli sacerdote, fu vittima della persecuzione contro la Chiesa, per la quale si rifugiò prima negli Stati Uniti e in Guatemala, poi a Cuba. È stato vescovo di Veracruz, per lo più in esilio o in fuga, ed è stato canonizzato da Papa Benedetto XVI nel 2006.

L'autoreFrancisco Otamendi

Libri

L'umanesimo cristiano di María Zambrano

Il pensiero di María Zambrano, radicato nella fede cristiana e nella ragione poetica, rappresenta un umanesimo spirituale profondamente legato alla filosofia, alla teologia e alla poesia.

José Carlos Martín de la Hoz-6 giugno 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Come è noto, l'umanesimo cristiano degli anni '70 e '80 ha dato vita a molte ideologie e partiti politici in Spagna all'inizio della democrazia, quando i vari attivisti della nuova politica affinavano le loro argomentazioni e desideravano attirare seguaci sulle loro posizioni filosofiche e culturali.

Senza dubbio, il libro di Juana Sánchez-Gey y Venegas, docente di filosofia presso l'Università Autonoma di Madrid, illustra una di queste sorgenti di pensiero che hanno riempito la corrente dell'umanesimo cristiano in Spagna, finora largamente sconosciuta. 

È un dato di fatto che Maria Zambrano (1904-1991), discepolo di Ortega, García Morente y Zubiri (21), è stata durante il suo lungo esilio dalla Spagna, dal 1939 al 1984, sia in America che in vari Paesi europei, una portabandiera del pensiero orteguano, ma con accenti molto personali. Tra gli altri, quello della sua fedeltà al cristianesimo e del suo costante approfondimento dei misteri della fede cattolica. Infatti, le sue convinzioni profonde le fecero perdere le opportunità accademiche in Messico e la costrinsero a lasciare Cuba.

Pensiero teologico

La professoressa Juana Sánchez-Gey ha avuto il buon senso di cercare in tutti gli scritti di María Zambrano, nei suoi rapporti epistolari e autobiografici, gli indizi per presentarci con sufficiente ordine e armonia il pensiero "teologico" di María Zambrano, generalmente sconosciuto al grande pubblico, più abituato a riconoscere sfaccettature della sua filosofia come la "ragione poetica" (p. 21) e altri contributi specifici della filosofa nata a Malaga alla cultura spagnola e occidentale.

Precisamente, la professoressa Juana Sánchez-Gey sottolineerà fin dall'inizio la naturalezza con cui María Zambrano manifestava abitualmente la sua fede cristiana, che era davvero la ragione della sua vita, anzi, un modo di vivere (p. 36). Inoltre, questa fede era strettamente legata alla poesia, poiché per lei la poesia era un modo di pregare, di accedere alla mistica e al pensiero filosofico: "la poesia è un dono, una grazia aperta alla trascendenza" (p. 34).

Poi, Juana Sánchez-Gey ci dice che Maria Zambrano difende un "umanesimo liberale ed etico" (p. 43). Inoltre, il suo modo di convergere con l'umanesimo cristiano sarà attraverso la filosofia e la poesia, nella "ragione poetica". Come affermerà, in filosofia: "se non si va oltre, non si va da nessuna parte" (p. 48).

Visione antropologica

La questione antropologica sarà la chiave, come in Ortega, sia per la filosofia che per la teologia: "Il principio cristiano del liberalismo, l'esaltazione della persona umana al più alto rango tra tutto ciò che vale nel mondo, era nascosto sotto il gonfiore, sotto l'orgoglio (...), ma pieno di fiducia nell'uomo" (p. 47). Tutto questo e altro ancora è chiamato "senso originario", perché svela la condizione umana come creatura di Dio: "l'uomo ha la vocazione della trasparenza, anche se non la realizza" (p. 50).

Poco dopo, Juana Sánchez-Gey riporterà alcuni testi molto belli: "La proposta di Zambrano punta verso una filosofia come mediazione, che accetta il significato di una religione il cui Dio è incarnato e misericordioso (...). Il suo ideale di una filosofia come salvezza lo porta a questo dialogo con la religione da Sant'Agostino a San Tommaso, che si sforzò di servire da mediazione tra l'infinità divina e l'uomo, una relazione costitutiva dell'essere umano, che conta sempre sulla libertà, attraverso la quale la persona è unita e realizzata in questa relazione o può, perché ne ha la capacità, rifiutarla" (p. 52).

Inoltre: "L'amore è la fonte della conoscenza perché solo esso può dirci chi è l'uomo e qual è la sua vocazione. Così accetta una filosofia che si presenta come sguardo creativo e unitivo, perché poesia e filosofia in unità rafforzano l'amore" (p. 61).

Senso dell'origine

Ricordiamo che "il sentimento originario è un tema fondamentale nella relazione di Zambrano. Così come è rilevante parlare di anima, di sofferenza, di vocazione, tutti temi che vengono recuperati dal 'sentimento originario', la filosofia o ragione poetica, allora diventa più umana e più divina. Ragione poetica che è, allo stesso tempo, metafisica e religiosa" (p. 64).

Nella seconda parte dell'opera che presentiamo, la professoressa Juana Sánchez-Gey analizza in modo più specifico la trattazione delle questioni teologiche in senso stretto da parte della filosofa María Zambrano, elencandone alcune: "le processioni divine, in particolare la missione dello Spirito Santo, l'incarnazione di Cristo, la Vergine, la liturgia e la ricezione del Concilio Vaticano II, oltre ad altre esperienze personali". La ricerca dello Spirito come fondamento della conoscenza viene scoperta in modo eccezionale, tanto che si potrebbe arrivare a dire che questa esperienza è all'origine del suo rifiuto del razionalismo in filosofia e del materialismo nella sua concezione della persona, che concepisce come un essere spirituale" (p. 75).

Corrispondenza

Gran parte dei temi riassunti in questa seconda parte provengono dalle Lettere della Pièce. Vale a dire, la corrispondenza con Agustín Andreu, allora giovane sacerdote e dottorando a Roma, con il quale instaura un dialogo fluido.

Innanzitutto, questa sintesi mette in evidenza lo stretto rapporto tra filosofia e teologia, soprattutto attraverso la scuola alessandrina in generale e, in particolare, Clemente di Alessandria (150-215), come risvegliatore: "l'essere che risveglia il pensiero" (p. 78).

Entrerà presto in contatto con Sant'Agostino, il Padre della Chiesa, con il quale sarà in dialogo permanente, e in particolare con due sue opere: "Le Confessioni" e "La Città di Dio", dove troverà "la Verità che abita nell'uomo" (p. 79).

Inoltre, in questo intenso dialogo con Agustín Andreu e con Ortega "si percepiscono le distanze tra i due pensieri. Sono separate dalla concezione dello spirito e anche da quell'anelito con radici etiche che è il perfezionamento personale e il desiderio di un mondo migliore: che il fare del bene non si perde nemmeno nei sogni" (p. 83).

Il pensiero teologico di María Zambrano

AutoreJuana Sánchez-Gey Venega
Editoriale: Sinferesi
Anno: 2025
Numero di pagine: 125
Vaticano

Leone XIV, un pastore sereno per un mondo in crisi

Com'è Robert Prevost e cosa possiamo aspettarci dal pontificato del primo Papa nordamericano? Monsignor Luis Marín de San Martín, anch'egli agostiniano, amico del nuovo pontefice, traccia per Omnes un profilo del nuovo Papa.

Luis Marín de San Martín-6 giugno 2025-Tempo di lettura: 10 minuti

Quando, nel pomeriggio dell'8 maggio, il fumo bianco Quando fu annunciata l'elezione del nuovo Papa, una folla festante si riversò in Via della Conciliazione e nelle altre strade vicine a San Pietro verso la Piazza. Ben presto si udì un grido, ripetuto a intervalli: "Viva il Papa! Senza conoscere ancora il nome del prescelto, molti già mostravano il loro sostegno al Papa. È stata una testimonianza davvero commovente. 

In realtà, nei giorni precedenti il conclave, si erano scatenate speculazioni e congetture, a seguito di notizie di stampa non sempre ben orientate. Quel che è certo è che si stava scegliendo il successore dell'apostolo Pietro, quel Simone figlio di Giona, la roccia su cui il Signore Gesù ha costruito la sua Chiesa e a cui ha dato le chiavi del Regno dei Cieli. La sera romana il Signore rinnova la promessa: il potere degli inferi non sconfiggerà la Chiesa (cfr. Mt 16,18-19). E ribadisce anche il suo invito a chi è stato scelto nell'amore: seguimi e pasci le mie pecore (cfr. Gv 21,15-19). Successore, dunque, dell'apostolo Pietro, della sua realtà e della sua missione.

Successore anche di Papa Francesco

Non siamo nel primo secolo, ma alla fine del primo quarto del XXI secolo. Il nuovo Papa è il 267° della serie di Pontefici romani che si sono succeduti nel corso della storia. C'è un legame tra tutti loro. Il nuovo Papa viene dopo Francesco, venuto dalla fine del mondo, che dal Vangelo si è impegnato a rinnovare la Chiesa. Il Papa della misericordia, del "tutti, tutti", dell'attenzione alle periferie e della preferenza per gli scartati; il Papa della sinodalità e dell'evangelizzazione, della "Chiesa in uscita"; il Papa della forte denuncia della guerra e dell'impegno per la pace; il Papa consumato in mezzo al popolo di Dio. Il suo successore dovrà tenere conto del contesto in cui il Vangelo si incarna e saper leggere i segni di questo tempo presente, con uno sguardo fiducioso verso il futuro.

Il conclave è un evento sia umano che spirituale. Il Papa non viene eletto dallo Spirito Santo, come talvolta si dice erroneamente, ma dai cardinali elettori che votano nella Cappella Sistina. Tuttavia, essi lo fanno avendo invocato lo Spirito Santo (questo è il significato del canto del Veni Creator). Gli elettori si assumono una responsabilità enorme: ascoltare lo Spirito, essere un canale per la sua azione e mai un muro, lasciare che faccia la sua opera attraverso di loro. Le parole che ogni cardinale deve pronunciare ad alta voce prima di esprimere il proprio voto sono impressionanti: "Rendo testimonianza a Cristo Signore, che deve giudicarmi, che ho scelto chi ritengo debba essere scelto da Dio".

Erano sufficienti quattro scrutini. Gli stessi necessari per l'elezione di Benedetto XVI e del Beato Giovanni Paolo I in tempi recenti. Degli ultimi Papi, solo Pio XII ha avuto bisogno di meno scrutini, tre. Poco più Francesco, cinque, e San Paolo VI, sei. A San Giovanni Paolo II ne sono servite otto e a San Giovanni XXIII undici. Il nuovo Papa è stato eletto in un conclave rapido, il che dimostra che era un candidato molto forte fin dall'inizio e che ha raggiunto molto rapidamente il consenso necessario per superare comodamente i due terzi richiesti, che erano esattamente ottantanove voti, su centotrentatré cardinali elettori di settanta Paesi. Mai prima d'ora il numero di elettori e il numero di nazioni rappresentate erano stati così alti.

Un agostiniano al servizio della Chiesa

Diversi agostiniani hanno atteso l'annuncio dalle finestre della Curia Generalizia agostiniana che si affacciano su Piazza San Pietro. Un luogo davvero privilegiato. 

È bastato che il cardinale protodiacono Mamberti pronunciasse il nome "...".Robertum Franciscum"Siamo scoppiati in grida di gioia, in mezzo a una grande emozione. Non poteva essere altri che il nostro fratello agostiniano, il cardinale Robert Francis Prevost, fino ad allora Prefetto del Dicastero per i Vescovi ed ex Priore Generale del nostro Ordine. In effetti, era il nuovo Papa. Aveva assunto il nome di Leone XIV.

Credo sia impossibile esprimere a parole la ricchezza di emozioni che possono riempire il cuore in una simile circostanza. Due sono quelle predominanti: la gioia e la gratitudine. 

Chi di noi lo conosce, sa delle molte virtù che adornano Robert Prevost (il nostro fratello Robert), della sua preparazione e della sua vasta esperienza. Credo sinceramente che sia la persona giusta per guidare la Chiesa in questo momento. A poco a poco lo conoscerete e sono sicuro che sarete d'accordo con me.

Il nuovo Papa è uscito sul balcone centrale, quello delle grandi occasioni. Indossava i paramenti prescritti dal rito. Il suo gesto era affabile e la sua emozione evidente. Salutò ripetutamente, agitando le mani. E iniziò a parlare, leggendo da un testo che aveva preparato quando vide che la sua elezione era imminente. Qui abbiamo già un tratto della sua personalità: prepara coscienziosamente ciò che vuole dire e come lo vuole dire. È riflessivo e preciso. Nelle sue parole, le chiavi di un intero programma. Il punto di partenza è il Cristo risorto, con le cui parole ha salutato i fedeli: "La pace sia con tutti voi".. E poi, i grandi assi: pace, amore, missione. Il toccante riferimento alle sue radici ("Sono un figlio di Sant'Agostino, un agostiniano".) e l'affettuoso saluto alla sua antica diocesi di Chiclayo (Perù). Infine, la manifestazione ecclesiologica, la Chiesa che desidera: sinodale, in cammino e in ricerca: pace, carità e vicinanza a chi soffre. Ha concluso con un bel riferimento mariano e pregando l'Ave Maria con tutti.

La vita di Robert F. Prevost

L'ampio profilo biografico di Papa Prevost è ben noto. È nato a Chicago (USA) il 14 settembre 1955, figlio minore di Louis Marius Prevost e Mildred Martinez. I suoi fratelli maggiori sono Louis Martin e John Joseph. 

Vale la pena ricordare l'ascendenza spagnola da parte materna: entrambi i bisnonni del Papa erano spagnoli emigrati negli Stati Uniti in cerca di una vita migliore. Sebbene l'origine sia stata attribuita a varie città della Spagna, non è nota con certezza. La memoria si è probabilmente persa dopo due o tre generazioni. Suo nonno Joseph nacque sulla nave, durante il viaggio, e fu registrato a Santo Domingo, il primo porto in cui la nave attraccò prima di proseguire il viaggio verso gli Stati Uniti. Da qui l'idea errata che il nonno sia nato nella Repubblica Dominicana. La famiglia del padre, anch'essa emigrata, proveniva dal sud della Francia e aveva radici italiane.

I Prevost erano molto integrati nella parrocchia di Santa Maria dell'AssunzioneErano attivamente coinvolti nella vita della comunità parrocchiale e diventavano un punto di riferimento per la comunità parrocchiale. La loro religiosità era lontana da un rigido "spiritualismo" ed era più orientata alla partecipazione e all'impegno. Inoltre, inculcarono ai loro figli la pratica della preghiera e un senso comunitario della fede cristiana. Il pio e disciplinato Robert ha studiato matematica alla Villanova University, laureandosi nel 1977. È entrato nell'Ordine di Sant'Agostino, emettendo i voti semplici nel 1978 e quelli solenni nel 1981. I suoi superiori lo hanno inviato a Roma dove, il 19 giugno 1982, è stato ordinato sacerdote presso il Collegio Internazionale di Santa Monica dall'arcivescovo Jean Jadot, pro-presidente del Segretariato per i non cristiani. Nel 1984 ha ottenuto la licenza in Diritto canonico ed è tornato negli Stati Uniti.

Governance, formazione e istruzione

Una delle grandi svolte della sua vita avviene nel 1985, quando viene inviato nella missione agostiniana di Chulucanas (Perù), dove approfondisce lo spirito missionario che lo ha sempre caratterizzato. Nel 1987 ha conseguito il dottorato in Diritto Canonico con una tesi su "Lo spirito missionario che lo ha sempre caratterizzato".Il ruolo del priore locale nell'Ordine di Sant'Agostino"È stato nominato direttore delle vocazioni e direttore delle missioni per la Provincia agostiniana di Chicago. Nel 1988 è tornato in Perù, dove è rimasto fino al 1999. Ha assunto diverse responsabilità nella diocesi di Trujillo, dove è stato vicario giudiziale e professore nel seminario; anche nel vicariato agostiniano ha ricoperto gli incarichi di priore, formatore e professore. Contemporaneamente ha sviluppato la sua attività pastorale nelle parrocchie di Santa Rita e Nuestra Señora de Montserrat. Già allora si delineavano i tre assi della sua attività: governo, formazione e insegnamento, sempre con un evidente spirito missionario.

Nel 1999 è stato eletto priore provinciale della Provincia agostiniana di Chicago e nel 2001, pochi giorni dopo l'attacco alle Torri Gemelle, priore generale dell'Ordine di Sant'Agostino, carica alla quale è stato rieletto nel 2007. Il suo governo è stato caratterizzato dalla vicinanza e dalla conoscenza "sul campo". Ha visitato tutte le comunità dell'Ordine nei cinque continenti per conoscere i religiosi e parlare con loro. Uomo di ascolto, non impositivo e tendente all'armonia e all'unità, si è dimostrato anche un eccellente manager e uomo di governo, che ha saputo prendere le decisioni necessarie.

Nel 2013, al termine del suo ultimo mandato come Priore Generale, è tornato a Chicago dove è stato nominato Vicario Provinciale e responsabile della formazione presso il Priorato di Sant'Agostino. È rimasto lì per un breve periodo. Papa Francesco e Robert Prevost si conoscono da quando Bergoglio era arcivescovo di Buenos Aires. Ha sempre mostrato grande fiducia nell'agostiniano. Il 3 novembre 2014 lo ha nominato amministratore apostolico di Chiclayo (Perù) e vescovo titolare di Sufar, ricevendo l'ordinazione episcopale il 12 dicembre dello stesso anno; il sacerdote ordinante principale era l'arcivescovo James Patrick Green, nunzio apostolico in Perù. Il 26 settembre 2015 è stato nominato vescovo di Chiclayo. Gli otto lunghi anni di episcopato di Mons. Prevost come vescovo residenziale sono stati caratterizzati dalla sua vicinanza alla gente, dal suo coinvolgimento sociale, dalla sua cura per la formazione e dal suo impegno per l'unità.

Quando, nel gennaio 2023, Papa Francesco lo ha nominato prefetto del Dicastero per i Vescovi e presidente della Pontificia Commissione per l'America Latina, ha celebrato un'Eucaristia di addio nella cattedrale di Chiclayo il 9 aprile. Rivolgendosi ai suoi diocesani, ha parlato loro con il cuore: "Come ho detto il primo giorno quando un giornalista mi ha chiamato per chiedermi come mi sentivo ad essere stato nominato dal Santo Padre a questa nuova missione, a questo nuovo incarico come prefetto del Dicastero per i Vescovi, quello che è nato spontaneamente nel mio cuore è stato proprio che sono un missionario; sono stato mandato, sono stato con voi e con grande gioia durante questi otto anni e cinque mesi. Ma, ora, lo Spirito Santo, attraverso il nostro Papa Francesco, mi dice una nuova missione. E anche se può essere difficile per molti, dobbiamo andare avanti, dobbiamo rispondere al Signore, dobbiamo dire sì Signore, se mi hai chiamato risponderò. Vi chiedo di pregare. Vi chiedo di andare avanti come Chiesa.. Infatti, se il Signore chiama, risponde. Senza esitazione. E lo ha dimostrato nel corso della sua vita.

È stato creato cardinale nel concistoro del 30 settembre 2023. Gli è stata assegnata la diaconia di Santa Monica, appena creata. Come primo cardinale di quel concistoro, ha rivolto un saluto al Santo Padre a nome di tutti, con un significativo riferimento sinodale: "Al di là della ricerca di nuovi programmi o modelli pastorali, che sono sempre necessari e importanti, credo che dobbiamo sempre più comprendere che la Chiesa è pienamente Chiesa solo quando ascolta veramente, quando cammina come nuovo popolo di Dio nella sua meravigliosa diversità, riscoprendo continuamente la propria chiamata battesimale a contribuire alla diffusione del Vangelo e del Regno di Dio".. La sua ragionevolezza, la sua capacità di ascolto e il suo coinvolgimento nel lavoro, così come la sua semplicità e cordialità, lo hanno reso molto stimato da tutti coloro che lo hanno conosciuto e anche nell'ambiente a volte complicato della Curia romana. Il 6 febbraio 2025, Papa Francesco gli ha dato un nuovo segno pubblico di apprezzamento nominandolo cardinale vescovo con il titolo della Chiesa suburbicaria di Albano. L'insediamento era previsto per lunedì 12 maggio. Ma non ha avuto luogo. Pochi giorni prima il Signore gli aveva chiesto di essere il successore di Pietro. Ed egli accettò senza esitare. Come scelta d'amore e con piena fiducia.

Come sarà il pontificato di Leone XIV?

Non possiamo prevedere il futuro. Ma Papa Prevost ha già tracciato alcune linee guida. La prima è la centralità di Cristo Risorto. Lo ha detto nell'omelia dell'Eucaristia all'inizio del suo ministero petrino, il 18 maggio: "Vogliamo dire al mondo, con umiltà e gioia: guardate a Cristo, avvicinatevi a lui, accogliete la sua Parola che illumina e consola! Ascoltate la sua proposta d'amore per formare la sua unica famiglia: nell'unico Cristo siamo una cosa sola". Questo lo porta a curare in modo particolare l'unità, anzi la comunione nella Chiesa, che è il suo primo grande desiderio: "una Chiesa unita, segno di unità e comunione, che diventa lievito per un mondo riconciliato".". Questo sarà possibile solo se assumeremo l'amore come asse della nostra vita. "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri". (Gv 13,35). Lo ha indicato anche nel primo saluto: "Dio ci ama, Dio ama tutti voi e il male non prevarrà. Siamo tutti nelle mani di Dio. [Cristo ci precede. Il mondo ha bisogno della sua luce. L'umanità ha bisogno di lui come ponte per essere raggiunta da Dio e dal suo amore". Da qui, di conseguenza, l'insistente richiesta di una "costruire ponti, con il dialogo, con l'incontro, unendoci tutti per essere un unico popolo sempre in pace".

Una seconda linea è lo sviluppo dell'ecclesiologia del Concilio Vaticano II, in particolare quella espressa nelle costituzioni Lumen gentium e Gaudium et spes. Lo ha sottolineato nel suo discorso ai cardinali del 10 maggio quando, riferendosi all'Esortazione Apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco, ne ha evidenziato alcune note fondamentali: il ritorno al primato di Cristo nell'annuncio (cfr. n. 11); la conversione missionaria dell'intera comunità cristiana (cfr. n. 9); la crescita della collegialità e della sinodalità (cfr. n. 33); l'attenzione alla sensus fidei (cfr. nn. 119-120), soprattutto nelle sue forme più proprie e inclusive, come la pietà popolare (cfr. n. 123); la cura amorevole per i deboli e gli scartati (cfr. n. 53); il dialogo coraggioso e fiducioso con il mondo contemporaneo nelle sue diverse componenti e realtà (cfr. n. 84).

Nel primo saluto avevo già detto: "Vogliamo essere una Chiesa sinodale, una Chiesa che cammina, una Chiesa che cerca sempre la pace, che cerca sempre la carità, che cerca sempre di essere vicina, soprattutto a chi soffre.

La terza linea è l'impegno sociale e missionario. Nasce dal Vangelo che entra nella storia. Da qui la necessità di considerare i contesti geografici e culturali e l'urgenza di saper leggere i segni del nostro tempo. Il nome scelto come pontefice è già tutto un programma. Lo ha detto nel già citato discorso ai cardinali: "Ho pensato di prendere il nome di Leone XIV. Ci sono diverse ragioni, ma la principale è che Papa Leone XIII, con la storica Enciclica Rerum novarum ha affrontato la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale e oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un'altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell'intelligenza artificiale, che portano nuove sfide nella difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro".. Questo include anche l'impegno per la pace, che è stato una costante nei testi del Papa, come l'impegnativo e chiaro discorso del 16 maggio al corpo diplomatico, che vi invito a leggere integralmente. Il Papa ha anche fatto riferimento in diverse occasioni a un altro aspetto essenziale del compito di evangelizzazione. Vorrei citare, a titolo di esempio, il discorso del 22 maggio alle Pontificie Opere Missionarie. In esso ha fatto preciso riferimento al fatto che "La consapevolezza della nostra comunione come membri del Corpo di Cristo ci apre naturalmente alla dimensione universale della missione evangelizzatrice della Chiesa e ci ispira ad andare oltre i confini delle nostre parrocchie, diocesi e nazioni, per condividere con ogni nazione e popolo la sovrabbondante ricchezza della conoscenza di Gesù Cristo" (1). (cfr. Fil 3,8).

Inizia un pontificato che segnerà un'epoca. Conoscendo da molti anni Robert Prevost, con il quale condivido la vocazione e il carisma agostiniano, sono sicuro che Leone XIV sarà un grande Papa, che guiderà la Chiesa con mano ferma e amorevole; una guida sicura per il mondo in questi tempi difficili; un compagno di strada, un pastore sereno, un uomo di Dio. È con grande gioia che noto quanto sia ben accettato e l'entusiasmo che suscita. Dobbiamo tutti assicurargli il sostegno delle nostre preghiere e la vicinanza del nostro affetto.

L'autoreLuis Marín de San Martín

Sottosegretario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi.

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Educazione

Master UFV e San Dámaso in Fondamenti di Cristianesimo

L'Università Francisco de Vitoria (UFV) e l'Università Ecclesiastica San Dámaso (UESD) hanno lanciato un master in Fondamenti del cristianesimo, che inizierà a ottobre di quest'anno. Il programma è destinato a persone (laureate) con preoccupazioni intellettuali e spirituali che desiderano studiare la fede.  

Francisco Otamendi-5 giugno 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto

Questo master in Fondamenti del cristianesimo è stato creato nell'ambito dello sviluppo della Cattedra San Dámaso, frutto di un accordo tra l'UFV e San Dámaso (UESD), e diretto dal teologo Javier Prades, membro della giuria per il concorso di laurea. Premi Open Reason dell'Università Francisco de Vitoria. Javier Prades è uno specialista del dialogo tra teologia, filosofia e scienza.

Secondo gli organizzatori, l'obiettivo principale della cattedra è quello di articolare spazi di formazione, ricerca e divulgazione che integrino le diverse aree del sapere attorno a una visione unitaria della conoscenza. 

Cristianesimo: dialogo tra fede e ragione

In vista delle grandi sfide culturali ed etiche del nostro tempo, ci troviamo in un momento storico di frammentazione del sapere e di crescente scollamento tra i saperi. È quindi fondamentale recuperare spazi di dialogo tra fede e ragione.

Il programma Il master in Fondamenti del cristianesimo è destinato ai laureati. La sua struttura accademica combina rigore universitario e accessibilità pedagogica. È quindi ideale per operatori pastorali, laici impegnati, insegnanti e professionisti in vari settori.

Sarà disponibile 100 % online o in modalità ibrida, e sono previste azioni di formazione per i docenti coinvolti nel progetto Open Reason, con l'obiettivo di promuovere il dialogo tra le diverse scienze e la teologia.

L'autoreFrancisco Otamendi

Ecologia integrale

Lima ospita la III Conferenza di Casablanca contro la maternità surrogata

La 3a Conferenza di Casablanca per l'abolizione universale della maternità surrogata si svolge ieri e oggi a Lima (Perù). Si tratta di un incontro che riunisce avvocati, accademici, politici e comunicatori di vari Paesi che lavorano per l'abolizione della pena di morte nel mondo.

Francisco Otamendi-5 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Questa III Conferenza per l'abolizione della maternità surrogata è stata organizzata dalla Dichiarazione di Casablanca insieme ad altre organizzazioni. L'Istituto dei Diritti Umani della Facoltà di Giurisprudenza e l'Istituto di Scienze Familiari dell'Università di Piura (Perù).

Il mercato globale della maternità surrogata muove ogni anno grandi quantità di denaro e si prevede che raggiungerà i 129 miliardi di dollari entro il 2032. La regione latinoamericana è uno dei punti nevralgici di questa pratica per diversi motivi. L'assenza di una legislazione e la presenza di un alto numero di donne vulnerabili e povere che sono potenziali madri surrogate.

Il programma della conferenza, che può essere consultato sul seguente sito web quiIl programma copre questioni legali, neurobiologia, etica riproduttiva, opinione pubblica e antropologia. All'evento partecipano professionisti di fama come Jorge Cardona Llorens, ex membro del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia. Luz Pacheco, attuale presidente della Corte costituzionale del Perù. E Olivia Maurel, portavoce della Dichiarazione di Casablanca. 

Storia di Olivia Maurel

Olivia Maurel  ha appena pubblicato un libro che racconta la sua storia di madre surrogata, che sarà presto tradotto in spagnolo dal Loyola Communications Group. Il direttore esecutivo della Dichiarazione di Casablanca è l'avvocato Bernard Garcia.

Documento con esperti di 75 nazionalità

Il gruppo del Dichiarazione di Casablanca è nato nel 2023 e si è riunito per la prima volta nella città nordafricana. Da questo incontro è scaturito un documento con più di 100 firme di esperti di 75 nazionalità. Hanno chiesto un trattato internazionale per l'abolizione di questa pratica riproduttiva.

Nel 2024 si sono incontrati di nuovo a Roma (Italia), dove sono stati sostenuti da importanti membri del governo e i loro promotori sono stati ricevuti da Papa Francesco.

L'autoreFrancisco Otamendi

Evangelizzazione

Santa Margherita Maria Alacoque e la devozione al Sacro Cuore di Gesù

Margherita Maria morì nel 1690 e fu canonizzata nel 1920. Alcuni sostengono che, come nel XVII secolo, anche oggi il nostro fervore per il Sacro Cuore stia scemando. Se ci rivolgiamo alle visioni e alle parole di Santa Margherita Maria, possiamo di nuovo unirci intorno a questo simbolo, a questa fonte inesauribile dell'amore di Cristo.

OSV / Omnes-5 giugno 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

di DD Emmons, Notizie OSV

Ogni anno liturgico, il terzo venerdì dopo la festa di Pentecoste, celebriamo la solennità del Sacro Cuore di Gesù. Tradizionalmente, il cuore simboleggia l'intero essere umano e il cuore di Gesù rappresenta il suo amore eterno per noi. Questa solennità offre l'opportunità di riconoscere questo amore e di mostrare pentimento per le volte in cui lo abbiamo ignorato. Gesù ha scelto Margarita María Alacoque, una giovane suora dell'Ordine della Visitazione a Paray-le-Monial, in Francia, come strumento per diffondere la devozione alla Vergine. Sacro Cuore di Gesù in tutta la Chiesa.

Questa antica devozione nacque quando un soldato romano conficcò la sua lancia nel costato del nostro Salvatore crocifisso e dal suo cuore sgorgarono sangue e acqua, segno della grazia divina. Nel corso dei secoli, santi, teologi, scrittori e fedeli hanno riconosciuto nel Sacro Cuore una fonte inesauribile di benedizione, misericordia e amore. Per molto tempo, tuttavia, questa devozione è stata coltivata su base personale.

Le visioni di Marguerite-Marie Alacoque

Nel XVII secolo il cattolicesimo fu attaccato dalla diffusione del protestantesimo e dalle credenze eretiche del giansenismo. Pur essendo cattolici, i giansenisti sostenevano che solo pochi eletti avrebbero raggiunto il paradiso e promuovevano la paura di Dio. Degradavano l'umanità di Gesù, compreso il suo Sacro Cuore, e promuovevano un ritorno alle rigorose penitenze del passato. Sia il protestantesimo che il giansenismo influenzarono il fervore con cui i fedeli vivevano molti degli insegnamenti della Chiesa.

È in questo contesto che, a partire dal 1673 e per più di 18 mesi, suor Margherita Maria affermò di aver ricevuto una serie di visioni in cui Gesù stesso le mostrava il suo Sacro Cuore come segno del suo amore per tutti gli uomini. In queste rivelazioni, Egli le confidò di essere stata scelta come strumento per far conoscere e propagare la devozione al suo Cuore divino in tutta la Chiesa.

In una delle visioni, Gesù gli apparve con il suo Cuore divino circondato da fiamme, coronato di spine, con la ferita ancora aperta e una croce più luminosa del sole che si ergeva sopra di lui, come descritto in "Le bellezze della Chiesa cattolica" di FJ Shadler.

Santa Margherita Maria raccontava che Gesù le disse che, pur avendo dato la vita per amore degli uomini, veniva trattato con irriverenza, freddezza e ingratitudine. Ella volle che il mondo riconoscesse l'amore che Egli costantemente effonde, rappresentato nel suo Sacro Cuore, e che venisse offerta una riparazione per tanta indifferenza.

Prima Comunione del venerdì

Gesù chiese a suor Margherita Maria di iniziare una devozione personale al suo Cuore divino, ricevendo la Santa Comunione ogni primo venerdì del mese e dedicando un'ora di preghiera la sera precedente, per chiedere perdono e riparare alla mancanza di amore per l'umanità.

In un'altra delle visioni, Gesù gli chiese di istituire un giorno di festa nella Chiesa per onorare il suo Sacro Cuore. In quel giorno, i fedeli dovevano andare a Messa, ricevere la Santa Comunione, professare il loro amore e offrire atti di riparazione per le offese causate dagli uomini. Le devozioni del Primo Venerdì e della Solennità del Sacro Cuore di Gesù che celebriamo oggi si basano su queste visioni. L'amore e la compassione del Cuore di Gesù dissipano le eresie del giansenismo.

Quando Santa Margherita Maria cercò per la prima volta di spiegare le sue visioni, molti intorno a lei dubitarono di lei. Fu san Claude de la Colombière, il suo direttore spirituale gesuita, a riconoscerne la santità, il fervore e la sincerità. Tuttavia, sebbene alcuni arrivassero a crederle, come monaca di clausura poteva fare ben poco per promuovere queste rivelazioni al di fuori della sua comunità. Furono quindi Santa Colombière e San Giovanni Eudes a continuare a diffondere tra i fedeli e la Santa Sede la richiesta di istituire una festa in onore del Sacro Cuore.

Approvazione pontificia

Il Vaticano diede la sua approvazione universale nell'agosto 1856, sotto il pontificato di Pio IX (1846-1878). Nel 1899, Papa Leone XIII (1878-1903), incoraggiato dai cattolici di tutto il mondo, consacrò l'umanità al Sacro Cuore.

Oggi questa devozione viene celebrata ogni primo venerdì del mese e la solennità fa parte del calendario liturgico della Chiesa. Questa devozione si esprime attraverso numerose preghiere ed è raffigurata in miglia di immagini, tra cui l'immagine di Nostro Signore con in mano il suo cuore ardente, compassionevole e misericordioso. Molte case sono consacrate al Sacro Cuore.

Durante l'adorazione eucaristica veneriamo il Sacro Cuore nelle nostre preghiere di benedizione: "Il cuore di Gesù, nel Santissimo Sacramento, sia lodato, adorato e amato in tutti i tempi e in tutti i tabernacoli del mondo, fino alla fine dei tempi".

L'autoreOSV / Omnes

La Chiesa martire in Africa

Non possiamo permettere che il silenzio sia il principale alleato di chi uccide impunemente i propri simili per motivi di fede religiosa nei Paesi africani.

5 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Merita di dare voce a una Chiesa martire come quella africana, soprattutto in Paesi come la Nigeria e il Mozambico. In quasi tutte le principali festività, in cui i cristiani si riuniscono per la celebrazione dei sacri misteri, si verificano orribili uccisioni. La situazione sta diventando così esasperante che alcuni sacerdoti stanno già avvertendo che molti cristiani non ne possono più e saranno costretti a difendersi con le armi se gli attacchi continueranno e le autorità non risponderanno prontamente e giustamente.

Uno degli ultimi massacri è avvenuto nel villaggio di Aondona, nella diocesi di Makurdi, nella Nigeria centrale. Il vicario generale per la pastorale e direttore della comunicazione della diocesi ha dichiarato che se il governo non agirà con urgenza, "arriverà il momento in cui i cristiani saranno costretti a prendere le armi".

Secondo un rapporto della ONG cattolica IntersocietàEntro il 2023, almeno 52.250 cristiani nigeriani saranno stati uccisi negli ultimi 14 anni. Già in un rapporto del 2021 della Commissione statunitense sulla libertà religiosa nel mondo, la Nigeria era considerata un tragico campo di sterminio.

Violenza in Africa

I cristiani sono in maggioranza nel sud del Paese. Nigeria e musulmani nel nord. È vero che nella storia recente del Paese la violenza non è stata unidirezionale. La Nigeria, uno dei Paesi più popolosi dell'Africa, ha subito un colpo di Stato dopo l'indipendenza e politici e militari musulmani sono stati assassinati.

Il giovane Paese ha anche assistito a lotte tribali, in cui musulmani e cristiani di una tribù si alleavano contro cristiani e musulmani di un'altra. Oggi, tuttavia, le violenze estreme e i massacri, secondo le notizie che giungono in Occidente, sono unidirezionali. 

Il Mozambico è un altro dei Paesi africani in cui l'aumento della violenza estrema contro i cattolici sta avendo un impatto devastante con l'uccisione di sacerdoti e fedeli e la distruzione di chiese.

C'è poco da fare, a parte pregare e sostenere economicamente queste chiese, ma è necessario, almeno, farlo sapere perché il silenzio non sia il principale alleato di chi uccide impunemente il prossimo per motivi di fede religiosa.

L'autoreCelso Morga

Arcivescovo emerito della diocesi di Mérida Badajoz

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Vangelo

Guidati dallo Spirito Santo. Pentecoste (C)

Joseph Evans commenta le letture per la Pentecoste (C) di domenica 8 giugno 2025.

Giuseppe Evans-5 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

In questa grande festa di Pentecoste, quando lo Spirito Santo è sceso con tanta forza sulla Chiesa per avviare la sua attività missionaria, faremmo bene a considerare come nulla - assolutamente nulla - di valore accadrebbe nella nostra anima, o nella Chiesa, senza l'azione dello Spirito. Come disse una volta un famoso predicatore, senza lo Spirito la Chiesa sarebbe come un treno con tutte le sue carrozze - magari tutte ben comunicate, ognuna delle quali magari ben decorata - ma senza la sua locomotiva. Senza locomotiva non c'è movimento. Senza lo Spirito non c'è vita nella Chiesa. Ecco perché San Paolo disse ai Corinzi: "Nessuno può dire "Gesù è il Signore" se non per mezzo dello Spirito Santo". (1 Cor 12,3). In altre parole, abbiamo bisogno di essere spinti dallo Spirito anche per l'atto di fede più elementare.

Nel Vangelo di oggi, Gesù parla dello Spirito "aiutarci". o essendo il nostro "avvocato". In greco si dice paracletoche significa consigliere, consolatore, colui che è chiamato a stare al nostro fianco, colui che si mette dalla nostra parte. In diversi punti della Scrittura, vediamo lo Spirito aiutare la Chiesa e le anime ad avvicinarsi a Dio e a seguire la sua chiamata. A volte questo aiuto consiste nello spingere la Chiesa e i suoi membri all'attività missionaria. A partire dalla Pentecoste, questo è ciò che vediamo in tutti gli Atti degli Apostoli (ad esempio, At 13,1-3) e, in effetti, in tutta la storia successiva della Chiesa. Mettere in moto qualcuno significa anche aiutarlo e aiutare le persone che raggiunge. Questo può anche comportare l'aiuto a superare i nostri pregiudizi per raggiungere persone che altrimenti respingeremmo (ad esempio, Atti 10:19-20).

Altrove vediamo come lo Spirito ci "aiuta" a pregare. Come scrive San Paolo ai Romani "Allo stesso modo, lo Spirito viene in aiuto nella nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come dovremmo, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti che non si possono pronunciare". (Rm 8,26). E, come insegna la seconda lettura di oggi, lo Spirito ci aiuta, ci "conduce", ad apprezzare sempre di più la nostra condizione di figli di Dio, fino a farci gridare a Dio "Abba! (Papà!) Padre!

Infine, come dice Gesù a conclusione del Vangelo di oggi, anche lo Spirito, come il migliore dei maestri, ci aiuta a "ricordare", a prendere a cuore, tutte le parole di nostro Signore. Guidati dallo Spirito, approfondiamo l'insegnamento di Cristo: lui entra in noi e noi entriamo sempre più nella sua vita.

Vaticano

Papa Leone XIV parla al telefono con Putin e lo incoraggia a fare un gesto di pace

Papa Leone XIV e il leader russo Vladimir Putin hanno avuto un primo colloquio telefonico nel pomeriggio del 4 giugno. In essa il leader della Chiesa cattolica ha incoraggiato Putin a fare un gesto di pace con l'Ucraina, ha riferito la sala stampa vaticana.

CNS / Omnes-4 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

- Cindy Wooden (Città del Vaticano, CNS). Papa Leone XIV e il Presidente russo Vladimir Putin hanno avuto la loro prima conversazione telefonica il 4 giugno. Nella telefonata, il Papa della Chiesa cattolica ha incoraggiato Putin a fare un gesto di pace con l'Ucraina, ha riferito la sala stampa vaticana.

"Confermo che questo pomeriggio c'è stata una conversazione telefonica tra i Papa Leone XIV e il Presidente Putin", ha dichiarato Matteo Bruni, direttore dell'Ufficio vaticano. 

Mentre hanno discusso varie "questioni di interesse reciproco", Bruni ha affermato che "è stata prestata particolare attenzione alla situazione in Ucraina e alla pace".

Un gesto di pace e la situazione umanitaria

"Il Papa ha invitato la Russia a fare un gesto per promuovere la pace e ha sottolineato l'importanza del dialogo per contatti positivi tra le parti e la ricerca di soluzioni al conflitto", ha detto Bruni.

Il Papa e il presidente russo hanno discusso anche della situazione umanitaria, della necessità di facilitare la consegna degli aiuti e dei negoziati in corso per lo scambio dei prigionieri di guerra. Un impegno che ha coinvolto il cardinale italiano Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, ha detto.

Bruni ha aggiunto che Papa Leone ha parlato del Patriarca ortodosso russo Kirill di Mosca, un alleato di Putin.

I valori cristiani comuni del Papa e del Patriarca Kirill

Il Papa ha ringraziato il patriarca per avergli inviato gli auguri all'inizio del suo pontificato, ha detto Bruni, e "ha sottolineato come i comuni valori cristiani possano essere una luce per aiutare a cercare la pace, difendere la vita e perseguire un'autentica libertà religiosa".

In un post su Telegram, l'agenzia di stampa russa Tass, citando il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, ha affermato che "Putin ha richiamato l'attenzione del Papa sull'escalation del conflitto ucraino da parte del regime di Kiev", riferendosi probabilmente agli attacchi dei droni ucraini agli aerei da guerra russi del 1° giugno.

La Tass ha anche riferito che "Putin ha espresso la speranza che la Santa Sede intensifichi i suoi sforzi per promuovere la libertà religiosa in Ucraina". Un riferimento alla decisione del Parlamento ucraino del 2024 di vietare la Chiesa ortodossa russa in Ucraina e i legami con le organizzazioni religiose con sede in Russia.

I ringraziamenti di Putin

Vladimir Putin "ha ringraziato il Papa per la sua disponibilità ad aiutare a risolvere il conflitto in Ucraina", ha riferito la Tass. Papa Leone aveva offerto il Vaticano come sede neutrale per i colloqui di pace, ma la Russia ha declinato l'invito.

"Il leader russo ha ribadito il suo interesse a raggiungere la pace in Ucraina con mezzi politici e diplomatici", ha dichiarato la Tass.

L'autoreCNS / Omnes

Vaticano

L'intenzione di preghiera del Papa per il mese di giugno: "Che il mondo cresca nella compassione".

L'intenzione di preghiera di Papa Leone XIV per giugno, mese dedicato al Sacro Cuore di Gesù, è "che il mondo cresca nella compassione". È il la prima volta che la voce di Leone XIV compare nella Il video del Papa per chiedere ai fedeli di pregare per le loro intenzioni.

CNS / Omnes-4 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

- Cindy Wooden (Città del Vaticano, CNS). È la prima volta che la voce del Papa appare accanto alle sue immagini in "The Pope Video".Il video del Papa), e il messaggio centrale, in 2' 17", è che il mondo può crescere nella compassione. 

"Preghiamo affinché ognuno di noi possa trovare conforto in un rapporto personale con Gesù e, dal suo cuore, imparare la compassione per il mondo", prega il Papa nel suo primo contributo a "The Pope video", una riflessione mensile pubblicata dalla Rete mondiale di preghiera del Papa.

Il video appena pubblicato include anche una frase originale che le persone possono recitare ogni giorno durante il mese, tradizionalmente dedicato al Sacro Cuore di Gesù. "Signore, oggi vengo al tuo tenero Cuore (...) ci hai mostrato l'amore del Padre amandoci oltre misura con il tuo cuore divino e umano", recita la preghiera.

"Una missione di compassione per il mondo".

"Concedi a tutti i tuoi figli la grazia di trovarti. Cambia, modella e trasforma i nostri progetti, affinché cerchiamo solo te in ogni circostanza: nella preghiera, nel lavoro, negli incontri e nella routine quotidiana", continua la preghiera. "Da questo incontro, mandaci in missione, una missione di compassione per il mondo in cui tu sei la fonte da cui sgorga ogni consolazione.

La Rete globale di preghiera del Papa, precedentemente nota come Apostolato della preghiera, è un movimento globale di persone che si impegnano ogni giorno a pregare per le intenzioni del Papa. Il gesuita padre Cristobal Fones, direttore della rete di preghiera, ha detto che l'intenzione di Papa Leone "si concentra sulla crescita della compassione per il mondo attraverso una relazione personale con Gesù".

L'amore incondizionato di Gesù per tutti

"Coltivando questo rapporto veramente stretto, i nostri cuori diventano più in sintonia con i loro. Cresciamo nell'amore e nella misericordia e impariamo meglio cosa sia la compassione", ha detto padre Fones. "Gesù ha mostrato un amore incondizionato per tutti, specialmente per i poveri, i malati e i sofferenti. Il Papa ci incoraggia a imitare questo amore compassionevole tendendo una mano a chi ha bisogno".

In una dichiarazione che accompagna il video, Padre Fones ha anche osservato che durante l'Anno Santo 2025, "Il video del Papa" assume una rilevanza speciale, perché attraverso di esso apprendiamo le intenzioni di preghiera che il Papa ha nel suo cuore. Per ricevere correttamente le grazie dell'indulgenza giubilare, è necessario pregare per le intenzioni del Papa".

Devozione al Cuore di Gesù

La rete di preghiera ha anche riportato come quattro Papi abbiano dedicato encicliche alla devozione dei cattolici al Sacro Cuore di Gesù.

"Papa Leone XIII, di cui l'attuale Papa ha preso il nome, scrisse 'Annum Sacrum' nel 1899, in cui consacrava tutta l'umanità al Cuore di Gesù. Nel 1928, Papa Pio XI, nella 'Miserentissimus Redentor', ci invitò a riparare con atti d'amore le ferite che i nostri peccati infliggono al Cuore di Cristo", ha detto la rete.

"Da parte sua, Papa Pio XII pubblicò 'Haurietis Aquas'. nel 1956, in cui esplora le basi teologiche della devozione al Sacro Cuore", ha aggiunto. E "infine, il Papa Francesco scritto Dilexit noi nel 2024, e ha proposto la devozione alla Cuore di Cristo come risposta alla cultura dell'usa e getta e alla cultura dell'indifferenza".

L'autoreCNS / Omnes

Vaticano

Il Papa chiede ai giovani di seguire il Signore senza paura in vista della Pentecoste

In un clima di preparazione all'imminente Solennità di Pentecoste, Papa Leone XIV ha incoraggiato l'Udienza di oggi, in modo particolare i giovani, a "rispondere con generosità ed entusiasmo alla sua chiamata a lavorare nella sua vigna". L'appello è stato rivolto ai fedeli e ai pellegrini in quasi tutte le lingue.  

Francisco Otamendi-4 giugno 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Papa Leone XIV ha incoraggiato i pellegrini e i romani in viaggio Pubblico generale Questo mercoledì mattina, quasi alla vigilia della Pentecoste, per rispondere senza paura al Signore quando ci invita a lavorare nella vigna. L'appello è stato rivolto in modo particolare ai giovani: "Non abbiate paura di lavorare nella vigna del Signore! Non rimandate l'incontro con Colui che solo può dare un senso alla nostra vita", ha detto.

Il Pontefice lo ha fatto in quasi tutte le lingue, ma in alcuni casi, come quello rivolto ai pellegrini di lingua portoghese provenienti da Rio de Janeiro e San Paolo, l'incoraggiamento è stato forse più marcato. "Saluto tutti i pellegrini di lingua portoghese, in particolare quelli provenienti da Rio de Janeiro e São Paulo. "Fratelli e sorelle, con cuore umile e pieno di amore per tutti, rispondiamo senza indugio all'invito di Cristo", ha esortato. "Lo dico soprattutto ai giovani: non abbiate paura di lavorare nella vigna del Signore", ha ribadito. 

Anche nei momenti bui della vita

Rivolgendosi agli ispanofoni, il Papa Leone XIV ha incluso anche le persone che stanno vivendo le maggiori difficoltà. Ha detto: "Saluto cordialmente i pellegrini di lingua spagnola, in particolare i gruppi provenienti da Spagna, Messico, Repubblica Dominicana, Guatemala, Perù e Colombia".

"Vi incoraggio tutti a pregare con insistenza perché il Signore vi venga incontro, soprattutto per i giovani e per coloro che si trovano in un momento buio della loro vita, scoraggiati e senza una chiara visione del futuro. Che il Padrone della vigna faccia sentire la sua voce e dia loro la forza di rispondergli con entusiasmo, posso dirvi per esperienza che Dio li sorprenderà". 

Perché tardate a seguire colui che vi chiama? (Sant'Agostino)

Nella sua catechesi, a cui hanno assistito più di 35.000 persone, secondo l'agenzia vaticana, Papa Leone XIV ha ripreso il tema dell'Anno giubilare, "Gesù Cristo, nostra speranza", e ha incentrato la sua meditazione su "Gli operai della vigna". "E disse loro: "Andate anche voi nella vigna" (Mt 20,1-7)".

"Dio vuole dare a tutti il suo Regno, cioè una vita piena, eterna e felice (...). Alla luce di questa parabola, il cristiano di oggi potrebbe essere tentato di pensare: "Perché iniziare a lavorare subito? Se la retribuzione è la stessa, perché lavorare di più? "A questi dubbi egli rispose Sant'Agostino che dice: "Perché tardate a seguire Colui che vi chiama, quando siete sicuri della ricompensa, ma incerti del giorno? Attenti a non privarvi, con la vostra procrastinazione, di ciò che Egli vi darà secondo la sua promessa".

"Rimboccarsi le maniche

In seguito, il Papa ha aggiunto: "Vorrei dire, soprattutto ai giovani, di non aspettare, ma di rispondere con entusiasmo al Signore che ci chiama a lavorare nella sua vigna". "Non rimandate, rimboccatevi le maniche, perché il Signore è generoso e non vi deluderà! Lavorando nella sua vigna, troverete una risposta a quella domanda profonda che avete dentro di voi: qual è il senso della mia vita?".

Cosa si aspetta la gente dalla Chiesa

"Non perdiamoci d'animo", ha concluso il Santo Padre. "Anche nei momenti bui della vita, quando il tempo passa senza darci le risposte che cerchiamo, chiediamo al Signore di uscire di nuovo e di raggiungerci dove lo stiamo aspettando. Lui è generoso e verrà presto!

Prima di impartire la Benedizione, già in italiano, con lo sguardo fisso su PentecosteCari fratelli e sorelle, non stancatevi di affidarvi a Cristo e di annunciarlo con la vostra vita in famiglia e in ogni ambiente. Questo è ciò che la gente si aspetta dalla Chiesa anche oggi.

L'autoreFrancisco Otamendi

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Mondo

Attacco sventato in Uganda durante uno dei più grandi pellegrinaggi del mondo

Mentre milioni di pellegrini affollavano il famoso santuario ugandese di Namugongo nei giorni che precedevano la commemorazione dei 45 martiri cristiani del Paese, le autorità hanno sventato l'attacco terroristico in quella che hanno dichiarato essere una rapida operazione dei servizi segreti, forse salvando centinaia di persone dalla morte imminente.

OSV / Omnes-4 giugno 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

Tonny Onyulo OSV / Redazione Omnes.

Alcune ore prima della messa principale del giorno di festa, le autorità ugandesi hanno sventato un tentativo di attacco terroristico nei pressi della Basilica di Munyonyo, a circa 29 chilometri da Namugongo. Le forze di sicurezza l'hanno descritta come un'operazione antiterrorismo rapida e precisa.

Il colonnello Chris Magezi, direttore ad interim delle informazioni pubbliche della Difesa, ha dichiarato che le unità dell'esercito hanno intercettato un attentatore suicida ed eliminato due sospetti armati che si pensava stessero pianificando un attentato suicida. Gli individui, che viaggiavano in moto e indossavano giubbotti esplosivi, hanno ingaggiato un breve scontro a fuoco che ha portato a un'esplosione, che li ha uccisi all'istante e ha danneggiato la loro moto.

Le autorità sospettano che gli aggressori possano avere legami con le Forze Democratiche Alleate (ADF), ribelli affiliati allo Stato Islamico e noti per il loro passato di violenza estremista nella regione. Non sono stati segnalati feriti tra i civili.

"Il loro obiettivo era quello di attaccare un grande raduno", ha dichiarato Magezi, secondo quanto riportato dal Daily Monitor. I terroristi sono stati fermati a soli 600 metri dal cancello della basilica, che era gremita di pellegrini. Fino a 7.000 agenti di sicurezza sono stati dispiegati per proteggere i luoghi di pellegrinaggio, sia cattolici che protestanti.

Martiri cristiani di Namugongo

Con rosari in mano, crocifissi di legno al collo e taniche gialle pronte a raccogliere l'acqua benedetta, decine di migliaia di pellegrini dell'Africa orientale, secondo le autorità, si sono inginocchiati per pregare il 3 giugno nel Santuario dei Martiri Cattolici di Namugongoin Uganda, alla periferia di Kampala. Hanno pregato i Martiri dell'Uganda di intercedere per loro, chiedendo sollievo da povertà, malattie, disoccupazione e instabilità.

"Sono venuta a chiedere ai martiri di intercedere presso Dio per i miei figli", ha detto all'OSV News Mary Nasubu, una vedova della diocesi di Lira, nel nord dell'Uganda, che ha percorso più di 400 chilometri con i suoi due figli in un viaggio di due settimane. "La vita è stata dura, ma credo che questo luogo santo abbia un potere. Attraverso i martiri, credo che Dio ascolterà le nostre preghiere".

Nasubu era tra le decine di migliaia di fedeli che si sono riuniti per la Giornata dei Martiri, una celebrazione cattolica annuale in onore dei 22 cattolici e dei 23 anglicani martirizzati quando, tra il 1885 e il 1887, rifiutarono di rinunciare alla loro fede e furono uccisi per ordine del Kabaka Mwanga II, allora re del Buganda. 

Il Santuario di Namugongo è il luogo dove San Carlos Lwangaun ugandese convertito alla Chiesa cattolica, e i suoi compagni furono bruciati vivi il 3 giugno 1886. Alcuni martiri furono trascinati dalle loro case a Namugongo e in altri luoghi, dove furono decapitati. Altri furono massacrati e smembrati per la loro fede. Papa Paolo VI li ha canonizzati nel 1964.

Una calamita spirituale per i pellegrini

Namugongo è diventata una calamita spirituale per i pellegrini di tutta la regione. Durante l'anno giubilare, i fedeli sono arrivati da Kenya, Tanzania, Ruanda, Sud Sudan, Congo e persino dalla Nigeria.

La commemorazione del 2025, il 3 giugno, ha segnato un ritorno ai numeri precedenti al COVID-19, con ondate di pellegrini che arrivavano da lontano. Alcuni hanno camminato per settimane, spesso a piedi nudi o con scarpe consumate, attraversando foreste, confini e dormendo nei cimiteri o lungo i bordi delle strade.

Il Presidente Yoweri Museveni, presente alla cerimonia, ha affermato che è sbagliato mescolare religione e politica, sottolineando che il martirio è una potente testimonianza della resilienza e della convinzione spirituale africana.

"È stato sbagliato da parte del Kabaka Mwanga voler eliminare questa nuova prospettiva sul regno soprannaturale", ha detto il presidente, aggiungendo: "È positivo che alcuni giovani siano stati disposti a dare la loro vita per la nuova prospettiva che la religione aveva portato.

L'autoreOSV / Omnes

Evangelizzazione

I santi Francesco Caracciolo, Pietro da Verona e altri polacchi martirizzati

Il 4 giugno la Chiesa celebra i santi Francesco Caracciolo e Pietro da Verona, domenicano. E anche i polacchi Antonio Zawistowski, sacerdote, e Stanislao Starowieyski, sposato con sei figli, martirizzati dai nazisti nel 1941 e 1942.  

Francisco Otamendi-4 giugno 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto

San Francesco Caracciolo nacque in Abruzzo (Italia) nel 1563. Studiò teologia a Napoli e fu ordinato sacerdote nel 1587. Si dedicò subito alla opere di misericordia. Aderì al progetto di fondazione di una nuova congregazione (Chierici Regolari Minori), di cui è considerato il fondatore. Su sua iniziativa, fu inserito un quarto voto, quello di non accettare dignità ecclesiastiche. Morì a Napoli con i nomi di Gesù e Maria sulle labbra. Fu chiamato il santo dell'Eucaristia. Papa Pio VII lo canonizzò nel 1807. 

San Pietro da Verona, Frate domenicano del XIII secolo, figlio di una famiglia catara, si adoperò per sradicare l'eresia. Venne martirizzato dai catari, che gli imposero un trappola. La tradizione dice che, quando morì, scrisse il Credo con il suo sangue, sintesi della sua vita di dedizione e fedeltà a Cristo Crocifisso che imitava e amava. È stato il primo martire dell'Ordine dei Predicatori, fondato da San Domenico di Guzman.

Hanno vissuto la fede a Dachau 

Il beato polacco Antonio Zawistowski, sacerdote, e il laico Stanislao Starowieyski furono martirizzati dai nazisti nel 1942 e nel 1941. Antony fu ordinato sacerdote nel 1906 e ricoprì vari incarichi nella sua diocesi. Fu arrestato nel novembre del 1939 e prestò servizio clandestino nel campo di concentramento di Dachau, in Germania.

Stanislao nacque in Polonia nel 1895, si sposò ed ebbe sei figli. Fu un promotore dell'apostolato dei laici nell'Azione Cattolica e meritò il riconoscimento pontificio. Sfuggì all'arresto da parte dei sovietici, ma nel giugno 1940 fu arrestato dai nazisti. Morì nel campo di Dachau. 

L'autoreFrancisco Otamendi

Ripensare l'istruzione

L'educazione attuale soffre di un profondo disorientamento, in quanto privilegia i mezzi tecnici rispetto ai valori essenziali, lasciando i giovani "diseredati" dal loro patrimonio culturale. Tuttavia, in diverse iniziative stanno emergendo dei fari di speranza.

4 giugno 2025-Tempo di lettura: 3 minuti

C'è un innegabile disorientamento nell'educazione. Non parlo solo del sistema educativo formale, ma anche dell'innegabile compito educativo che abbiamo tutti noi, soprattutto i genitori.

Siamo indubbiamente in un'epoca di grandi mezzi tecnici, con tecnologie all'avanguardia a nostra disposizione, con l'Intelligenza Artificiale che facilita il nostro lavoro, con studi sempre più approfonditi sul cervello umano stesso e sui suoi meccanismi interni... ma siamo più smarriti che mai. Perché, come dice l'adagio, nessun vento è buono se il marinaio non sa dove sta andando.

Non sappiamo dove stiamo andando perché, nel profondo, abbiamo messo in discussione la nostra stessa civiltà e abbiamo rinunciato a trasmettere il sistema di valori lasciatoci in eredità dai nostri anziani. Come ha denunciato François-Xavier Bellamy nella sua opera I diseredati la nostra generazione sente il rifiuto di trasmettere la propria tradizione culturale ai giovani. E così facendo abbiamo diseredato i nostri figli di quel patrimonio vitale così necessario per il loro percorso di vita. Li abbiamo lasciati diseredati e disorientati.

Nessuna direzione chiara

Quando non si sa dove andare, quando non si ha un perchéL'unica cosa che rimane è la come. Non sappiamo dove stiamo andando, ma continuiamo a camminare. Rimaniamo nei mezzi. È per questo che abbiamo un'istruzione senza anima, senza obiettivo, puramente di sussistenza. Piena, sì, di burocrazia, di quelle scartoffie che ci chiedono per dimostrare che il sistema funziona, ma che alla fine sono solo un pretesto da rispettare per non dirci che non abbiamo rispettato le regole. Come sempre, il rispetto delle regole. Mi adeguo e mento. 

Il resto dei mali del sistema educativo sono conseguenze inevitabili: insegnanti demotivati e bruciati, mancanza di autorità, alunni emotivamente fragili, fallimenti scolastici nascosti, demotivazione...

Ma sempre, quando c'è il buio, ci sono stelle che brillano all'orizzonte. Persone che, lungi dal lamentarsi di quanto le cose vadano male, usano le loro capacità per aprire orizzonti di speranza. Sentinelle nella notte che annunciano l'alba.

La proposta di Fabrice Hadjadj

Nei giorni scorsi abbiamo appreso dell'iniziativa che Fabrice Hadjadj sta lanciando in Spagna: Incarnato. Come lui stesso definisce nella sua presentazione "sta nascendo qualcosa di nuovo... Un fuoco discreto. Un seme che germoglia. Non è un corso, non è un campus, non è un prodotto. È un movimento. È una voce che ritorna dall'alto e dal profondo". 

In questa direzione si muove anche l'educatrice Catherine L'Ecuyer, che sta lanciando diverse iniziative volte a far riflettere e mobilitare tutti gli attori educativi sul tipo di educazione di cui hanno bisogno i nostri giovani. I suoi lavori Educare alla meraviglia, Educare alla realtà e Conversazioni con il mio insegnanteCi fanno riscoprire un modello classico di educazione che è allo stesso tempo tremendamente attuale e veramente rivoluzionario.

E un'altra stella è arrivata nelle mie mani in questi giorni, illuminando nella stessa direzione. È l'ultimo libro di Andrés Jiménez Abad, Ripensare l'educazione (Eunsa). Il sottotitolo è illuminante per il contenuto del libro e per la direzione in cui punta. Chiavi dell'educazione centrata sulla persona. Continuando la scuola di Abilio de Gregorio e Santiago Arellano, questo filosofo e pedagogo ci offre proposte concrete per educare tenendo conto della centralità della persona. Egli sostiene un'educazione personalizzante che porti a compimento il progetto di vita di ciascuno degli allievi. Un'intuizione che ha guidato Andrés Jiménez Abad nella realizzazione di diverse iniziative educative, tra le quali spiccano i seguenti incontri Foruniver e il forum pedagogico Agorà

Sì, credo che, come lei sottolinea Fabrice Hadjadj che qualcosa di nuovo sta nascendo. Siamo in un'epoca complessa, ma percepiamo anche un cambiamento di ciclo. E ci sono alcune stelle che ci indicano la strada nella notte.

Tendiamo le vele e cerchiamo il vento che ci porterà in un porto sicuro.

L'autoreJavier Segura

Delegato all'insegnamento nella diocesi di Getafe dall'anno accademico 2010-2011, ha precedentemente svolto questo servizio nell'arcivescovado di Pamplona e Tudela per sette anni (2003-2009). Attualmente combina questo lavoro con la sua dedizione alla pastorale giovanile, dirigendo l'Associazione Pubblica dei Fedeli "Milicia de Santa María" e l'associazione educativa "VEN Y VERÁS". EDUCACIÓN", di cui è presidente.

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Risorse

"In illo Uno, unum". Esegesi del Salmo 127 alla luce del motto papale di Leone XIV. 

Il motto papale "In illo Uno, unum" sintetizza l'esegesi agostiniana del Salmo 127, dove la benedizione della famiglia viene reinterpretata come simbolo della Chiesa: i molti credenti trovano la loro unità ontologica essendo integrati nel "Cristo intero" (Capo e Corpo).

Rafael Sanz Carrera-4 giugno 2025-Tempo di lettura: 5 minuti

Il motto papale "In illo Uno, unum ("In quell'Uno, uno solo".) scelta da Leone XIV rappresenta una delle intuizioni più profonde della tradizione cristiana: la misteriosa unità dei molti credenti nell'unico Cristo. Questa espressione, apparentemente semplice, contiene una straordinaria ricchezza teologica che trova le sue radici più profonde nelle Sacre Scritture e nell'interpretazione patristica, in particolare nell'esegesi agostiniana del Salmo 127(128). 

Dal canto familiare alla visione ecclesiale: la rilettura agostiniana

Il Salmo 127(128), tradizionalmente classificato tra i "Canti delle salite", presenta nel suo testo originale una bella descrizione della prosperità che accompagna l'uomo timorato di Dio: il suo lavoro è fruttuoso, la moglie feconda come una vite abbondante, i figli come tralci d'ulivo intorno alla tavola. Questa immagine idilliaca della benedizione familiare ha risuonato per secoli nella spiritualità ebraica e cristiana. 

Tuttavia, il genio teologico di Agostino trascende l'interpretazione letterale per scoprire in questo salmo una profonda prefigurazione cristologica ed ecclesiale. Nel suo Enarrationes in PsalmosIl vescovo di Ippona propone un'esegesi innovativa che trasforma questo cantico familiare in una visione profetica della Chiesa unita a Cristo. 

Agostino inizia riconoscendo la benedizione dell'uomo timoroso del Signore che "mangia il frutto del suo lavoro". e contempla la sua "donna come vite feconda e le loro "bambini intorno al tavolo. Tuttavia, la sua interpretazione subisce una svolta decisiva identificando questo "uomo" non come un credente isolato, ma come "il Cristo totale":

Testa e Corpo". Questa identificazione primordiale costituisce la chiave ermeneutica che permetterà di dispiegare tutta la ricchezza simbolica del salmo. 

Il paradosso dell'unità: molti e uno in Cristo 

Da questa identificazione cristologica, Agostino sviluppa una delle sue intuizioni più feconde: anche se "siamo molti uomini", in realtà "siamo un solo uomo" in Cristo. Questo paradosso della simultanea pluralità e unità - "molti cristiani e un solo Cristo" - trova il suo fondamento in un'esegesi grammaticale del salmo stesso, dove Dio usa il singolare ("mangerete i frutti") per sottolineare che, nonostante la pluralità dei fedeli, tutti riconoscono la loro radicale unità in un'unica realtà divina. 

Dimensioni concettuali dell'unità in Cristo 

La visione agostiniana dell'unità dei credenti in Cristo si dispiega in due prospettive complementari che, pur partendo da approcci logici diversi, convergono nella stessa verità teologica:

Unificazione della pluralità nell'unicità di Cristo:

  • Enfasi: mostra come i "molti" credenti siano integrati per costituire "un solo essere" in Cristo.
  • Logica: dal molteplice al singolare - come rami innestati su un unico tronco - i fedeli trovano la loro unione in Lui.

Identità unitaria derivata da Cristo:

  • Sottolinea che i credenti acquisiscono la loro vera identità solo appartenendo a "un solo Cristo" (Capo e Corpo).
  • Logica: dalla singolarità alla pluralità coesiva - come le cellule che formano un organismo - la singolarità di Cristo dà coesione al Corpo.

La distinzione fondamentale tra le due prospettive è che la prima, partendo dalla pluralità, suggerisce il contenimento in Cristo, mentre la seconda, partendo dall'unicità di Cristo, sottolinea la reciproca appartenenza e costituzione. 

Il fondamento biblico di "In illo Uno, unum". 

Questa concezione teologica non è una costruzione arbitraria, ma trova un solido fondamento in numerosi testi del Nuovo Testamento che Sant'Agostino magistralmente integrato nella sua esegesi:

Unità di molti in un unico essere (Cristo):

  • "Infatti, come il corpo è uno e ha molte membra, ma tutte le membra del corpo, essendo molte, sono un solo corpo, così anche Cristo". (1 Cor 12:12).
  • "Essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo...". (Rm 12,5).
  • "Non c'è Giudeo né Greco, non c'è schiavo né libero, non c'è maschio né femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù". (Gal 3, 28).
  • "Un solo corpo e un solo Spirito...". (Ef 4,4).

"Un solo Cristo" e "molti sono uno in Lui":

  • "Per mezzo di un solo Spirito siamo stati tutti battezzati in un solo corpo...". (1 Cor 12, 13).
  • "Voi dunque siete il corpo di Cristo...". (1 Cor 12, 27).
  • La preghiera sacerdotale di Gesù: "Perché tutti siano uno... in noi". (Gv 17, 20-21).
  • "Per riconciliare con Dio entrambi in un solo corpo...". (Ef 2,16).

La Chiesa come famiglia spirituale: simboli nuziali e fraterni

Proseguendo nella sua interpretazione, Agostino sviluppa il simbolo ecclesiale della sposa e della madre feconda: la Chiesa, come sposa mistica di Cristo, genera continuamente nuovi figli nella fede. Il "bambini intorno al tavolo esprimono la comunione sacramentale e spirituale dei credenti. In questo modo, il Salmo 127(128) diventa un'anticipazione del communio sanctorumLa famiglia spirituale, sotto l'unico capo che è Cristo, dove i "molti" partecipano all'"uno" e formano un solo corpo benedetto. 

Questa metafora familiare è particolarmente significativa perché stabilisce un legame tra l'esperienza quotidiana della casa - così centrale nel salmo originale - e la realtà soprannaturale della Chiesa. La tavola familiare diventa un simbolo eucaristico, la fecondità coniugale un'immagine dell'evangelizzazione e la benedizione domestica una prefigurazione della grazia ecclesiale. 

La teologia del motto papale 

Il motto scelto da Leone XIV, "In illo Uno, unum", non è una semplice espressione poetica o una formula devozionale. È una precisa affermazione teologica con profonde radici bibliche e patristiche. Questa frase dichiara solennemente che l'unità cristiana non è una semplice cooperazione strategica o un'affinità morale, ma un'unione ontologica in Cristo, attraverso il quale e nel quale tutti sono uno: 

  • In Cristo siamo riconciliati (Ef 2,14). 
  • Siamo innestati in Cristo (Rm 11,17). 
  • In Cristo siamo un solo corpo (1 Cor 12, 12-27). 
  • In Cristo, tutti sono uno (Gal 3,28). 

La scelta di un salmo sapienziale-familiare come fonte di ispirazione per esprimere una visione ecclesiale della comunione è tipicamente agostiniana. Tuttavia, l'adozione specifica di questo salmo da parte di Leone XIV come base per il suo motto

Si tratta di una rilettura spirituale che sottolinea la dimensione domestica, incarnata e quotidiana dell'unità cristiana: non è un'astrazione teologica, ma una benedizione da vivere nella carne, nella famiglia concreta che è la Chiesa. 

La coerenza agostiniana con la Scrittura 

La teologia di Agostino riesce ad unire armoniosamente entrambe le prospettive sull'unità in Cristo: 

  • Unità organica in Cristo Capo (1 Cor 12; Rm 12; Ef 4).
  • Unione personale e soprannaturale per grazia (Gal 2, 20; Gv 17). 
  • L'opera dello Spirito Santo nella communio sanctorum (1 Cor 12,13; Ef 2,18).
  • Superare le divisioni sociali ed etniche (Gal 3, 28; Col 3, 11).

Così, l'integrazione di molti credenti in Cristo e l'identità che deriva da Lui sono due facce della stessa realtà: la Chiesa come Corpo vivo sotto l'unico Capo, riconciliato e trasformato nell'"unico" che è Cristo. 

Conclusione: un messaggio per il nostro tempo 

Salmo 127(128), interpretato alla luce della visione agostiniana e ripreso nel motto pontificio "In illo Uno, unumci offre una profonda visione ecclesiale: i molti credenti, nella loro diversità, sono misteriosamente uniti nell'Unico che è Cristo. È questa eredità biblica e patristica che Leone XIV ci propone con il suo motto pontificio: una spiritualità di comunione radicata nell'unità del Corpo di Cristo. 

Nei nostri tempi segnati dalla frammentazione sociale, dall'individualismo e dalle divisioni ecclesiali, questo motto ci ricorda che la vera benedizione consiste in vivere e riconoscersi come membra di un unico Cristo. L'esegesi del Salmo 127(128) diventa così un invito spirituale a riscoprire il mistero dell'unità che costituisce il nucleo stesso dell'identità cristiana: essendo molti, siamo uno in Colui che è l'Unico. 

L'autoreRafael Sanz Carrera

Dottore in Diritto Canonico

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Spagna

José Luis Olaizola, il membro dell'Opus che ha lavorato con buddisti e gesuiti

Lo scrittore José Luis Olaizola Sarriá si è spento il 2 giugno 2025 all'età di 97 anni, lasciando un'eredità di oltre 70 opere letterarie. 

Javier García Herrería-3 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

José Luis Olaizola è morto. Con lui si è spenta non solo la voce di un grande narratore, ma anche quella di un uomo che ha saputo vivere la vita con coerenza e ampiezza di vedute. Era un membro dell'Opus Dei, sì, con nove figli a carico, e aveva anche vinto il Premio Planeta per il suo romanzo sulla vita di un generale repubblicano e cattolico, cosa che a molti non è piaciuta. Ma Olaizola era così, una persona aperta alle sfumature e disposta a cercare la verità anche se non giocava in squadre monocolore. 

Non tutti sanno che parte dei suoi sforzi sono stati dedicati ad aiutare le ragazze thailandesi a uscire dalla prostituzione minorile. Il suo lavoro "La ragazza nella risaiaIl libro "Cucho" è un resoconto sensazionale del dramma vissuto dall'altra parte del mondo. È stato coinvolto in questa avventura per caso, quando un insegnante di letteratura buddista, Rasami Krisanamis, gli ha chiesto di tradurre il suo romanzo "Cucho" in thailandese. Accettò a condizione che i profitti fossero devoluti a una causa benefica. È nata così un'alleanza improbabile ma profondamente umana: un romanziere spagnolo dell'Opus Dei e un buddista thailandese si sono uniti all'avventura di un missionario gesuita, Alfonso de Juan, che da decenni si dedica a sottrarre le ragazze alle reti di prostituzione che proliferano in Thailandia.

Nel 2006, Olaizola ha fondato la ONG Somos Uno, che ha iscritto a scuola più di 2.000 ragazze, 200 delle quali sono andate all'università. Lo ha fatto senza fare rumore, senza striscioni ideologici, senza pretendere etichette, perché, come esseri umani, ci unisce molto più di quanto ci separi.

Questa sua caratteristica - l'apertura mentale, la capacità di vedere l'altro senza pregiudizi - ha segnato sia la sua letteratura che la sua vita. Era capace di immaginare con rispetto e profondità un generale repubblicano che continuava a recitare il rosario, senza cadere nel riduzionismo che di solito contraddistingue i resoconti storici o ideologici. Per Olaizola, l'umano veniva sempre prima del partigiano.

In un'epoca segnata da trincee ideologiche, José Luis Olaizola osò costruire ponti: tra religioni, tra culture, tra passati apparentemente inconciliabili. Vide in un maestro buddista un alleato. In un missionario gesuita, un fratello. E nelle ragazze thailandesi, le sue stesse figlie.

È morto un cattolico che non si è fatto incasellare, uno scrittore che non ha cercato facili applausi, un attivista che non ha avuto bisogno di etichette. Riposa in pace José Luis Olaizola, testimone di sfumature, seminatore di speranza.

Autori invitatiLillian Calm

L'aborto in Cile, come sulle piste del Giappone

Chi discute di aborto in Cile deve iniziare a pensare anche alla sindrome post-aborto di cui soffriranno molte donne.

3 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Non capisco assolutamente nulla. Ieri mi sono seduto davanti alla televisione per ascoltare con coscienza l'ultimo resoconto pubblico annuale del presidente cileno Gabriel Boric. Fuori contesto, ha salutato la sua primogenita Violeta, che nascerà prima del 15 giugno. Ma poi ha invitato i parlamentari a non rifiutare una proposta di legge per porre fine all'illegalità e alla depenalizzazione dell'aborto..

Non sono riuscita ad arrivare alla fine delle sue dichiarazioni perché, mentre ricordavo che il Cile sta cercando di fissare un limite legale per l'interruzione libera della gravidanza a 14 settimane, la mia mente è andata improvvisamente in Giappone.

L'aborto in Giappone

Curiosi gli alti e bassi della memoria. Non sono mai stato in Oriente, ma sono atterrato vertiginosamente su uno dei suoi pendii. Anzi, in uno dei capitoli del libro "L'Oriente".Fiori di ciliegio", scritto dallo spagnolo José Miguel Cejas. Nelle pagine dedicate al Giappone, l'autore cita Shoji Tateishi, un pediatra che gestisce una piccola clinica a Kyoto. Egli sottolinea che lì, come nelle società occidentali, ci sono medici che, quando scoprono una malformazione in un nascituro, si limitano a suggerire l'aborto.

Tateishi spiega: "Questo non significa che tutti i medici giapponesi siano abortisti, ma molti non hanno convinzioni solide...", e alcuni pensano "che finché il bambino rimane nel grembo materno, non è un essere umano". Aggiunge che "questo non solo è falso, ma è anche contrario alle nostre radici culturali, perché sia il buddismo che lo shintoismo considerano il 'nasciturus' - un termine latino che significa 'colui che deve nascere' - come un essere umano".

Le racconta poi che vicino alla sua clinica, su una collina, c'è un tempio buddista che "non è uno di quei luoghi famosi che i turisti visitano di solito quando vengono a Kyoto". È un luogo semplice "con centinaia di piccole immagini. Queste statuette rappresentano i 'figli delle acque', cioè i bambini che sono stati strappati violentemente dal grembo della madre a causa di un aborto.

Il trauma dell'aborto

Il pediatra giapponese aggiunge che molte donne, giovani e meno giovani, si recano lì per cercare di liberarsi (non ci riescono mai), attraverso la preghiera, dal trauma psicologico di aver abortito.

"All'ingresso c'è un cartello buddista che ricorda di chiedere perdono e di pregare per quei bambini a cui è stata negata la possibilità di vivere"., commenti.

Segue un paragrafo straziante: "In altri templi, le donne iscrivono i loro nomi su statuette (che rappresentano i loro figli abortiti), li vestono con abiti per bambini e portano loro giocattoli e dolci per cercare di alleviare la loro sofferenza".

Queste sono le sofferenze delle madri, sofferenze che "non guariscono mai", dice Shoji Tateishi.

Si tratta della cosiddetta sindrome post-aborto.

I "figli delle acque" del Cile

È indispensabile che in Cile una legge sull'aborto come quella proposta preveda il budget per l'acquisto di un grande terreno, magari una collina, dove "si possano erigere centinaia di piccole immagini. Quelle statuette che rappresentano i 'figli delle acque', cioè i bambini strappati con violenza dal grembo della madre attraverso l'aborto".

Lì, forse, le loro madri potranno portare loro simbolicamente - perché quegli esseri irripetibili non vivranno più - palloncini, giocattoli, dolci (come fanno in altri Paesi) e, forse, questo permetterà loro di alleviare anche in minima parte il trauma post-aborto che le perseguiterà per sempre... perché anche le madri di quei bambini cileni non troveranno mai consolazione.

L'autoreLillian Calm

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Evangelizzazione

San Carlo Lwanga e i compagni martiri dell'Uganda

Il 3 giugno si commemora San Carlo Lwanga e compagni, martiri dell'Uganda nel XIX secolo. Furono vittime di una persecuzione anticristiana e furono bruciati a morte sulla collina di Namugongo. Si celebra anche Santa Clotilde, regina dei Franchi.  

Francisco Otamendi-3 giugno 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto

San Carlo Lwanga e i suoi compagni erano martiri laici ugandesi. Tra il 1885 e il 1887, quando iniziò la nuova evangelizzazione dell'Africa nera, un centinaio di cristiani ugandesi, cattolici e anglicani, furono condannati a morte dal re Mwanga. Il re Mwanga aveva deciso di eliminare tutti i cristiani, anche perché si opponevano alla schiavitù e alla vendita degli schiavi. 

Il 3 giugno si celebrò il gruppo di Carlo Lwanga e dei suoi dodici compagni, tutti di età compresa tra i quattordici e i trent'anni. Erano giovani e ferventi cattolici e si rifiutarono di cedere alla volontà del monarca. Alcuni furono sgozzati e altri bruciati vivi. I loro nomi Carlos Lwanga, Mbaya Tuzinde, Bruno Seronuma, Santiago Buzabaliao, Kizito, Ambrosio Kibuka, Mgagga, Gyavira, Aquiles Kiwanuka, Adolfo Ludigo Mkasa, Mukasa Kiriwanvu, Anatolio Kiriggwajjo e Lucas Banabakintu.

Con i Padri Bianchi

Le ultime parole pronunciate da San Carlo Lwanga sono state: "Ti prenderò per mano. Se dobbiamo morire per Gesù, moriremo insieme, tenendoci per mano". Charles era stato attratto dai missionari in Africa, meglio conosciuti come i Genitori bianchifondata dal Il cardinale Lavigerie. Dopo essere diventatoÈ stato un riferimento per gli altri e ha incoraggiato la fede dei convertiti.

Nel 1920, Benedetto XV proclamò Carlo Lwanga e i suoi compagni martiri beati. San Paolo VI li canonizzò nel 1964, durante il Concilio Vaticano II, e in Uganda (1969) consacrò l'altare maggiore del Santuario di Namugongo. Nel 2015, Papa Francesco ha celebrato la Messa nello stesso santuario dopo aver visitato la vicina chiesa anglicana, anch'essa dedicata ai martiri del Paese.

L'autoreFrancisco Otamendi

Mondo

Musica, danza e durata della Messa in Africa

Le messe in Africa si distinguono per la lunghezza, i canti e le danze, che esprimono gioia e gratitudine a Dio. La musica e il movimento sono essenziali nella cultura africana, quindi sono naturalmente incorporati nella liturgia, rendendo la celebrazione un atto di culto vivo.

Emmanuel Ojonimi-3 giugno 2025-Tempo di lettura: 10 minuti

Il fatto che gli africani dedichino molto tempo alle attività liturgiche, in particolare alla Messa domenicale, ha suscitato sia ammirazione che rimprovero da parte dei non africani. Per alcuni, la musica, il ritmo e l'allegria delle Messe africane sono memorabili; per altri, sono percepite come eccessive o una perdita di tempo.

Durante il mio soggiorno in Europa, ho avuto modo di incontrare alcuni ecclesiastici e fedeli laici che, avendo visitato l'Africa, continuano a commentare che le Messe sono lunghe e colorate, nel senso che si canta e si balla molto. Ammettono addirittura che se in Italia, in qualsiasi momento del canto, qualcuno prova ad agitare la mano o a scuotere la testa, tendono a pensare che sia africano o che abbia avuto un'esperienza africana. In ogni caso, mi ha fatto piacere notare che queste persone non hanno mai condannato le nostre pratiche, ma anzi ne sono rimaste affascinate, e ho persino passato molto tempo a cercare di spiegare loro cosa facciamo e perché lo facciamo. 

Questo articolo è una di queste opportunità. Come sappiamo, l'Africa è un continente ricco di culture e lingue. Questi elementi giocano un ruolo nella vita quotidiana delle persone e anche nella loro espressione di culto, e mentre queste differenze sono molto grandi tra gli oltre 50 Paesi del continente, potrebbero non essere significative qui, perché in Africa, tutti noi diamo un posto particolare a Dio nella nostra vita e sia la musica che la danza accompagnano naturalmente la nostra esistenza. 

Il posto di Dio nella vita quotidiana di un africano

La presenza del sacro è raramente assente nella cultura umana. Adorare Dio è naturale. In questo senso, la teologia considera la virtù della religione come quell'abitudine che ci permette di riconoscere l'esistenza di Dio, creatore e sostenitore del mondo, e ci porta a rendergli il dovuto culto e adorazione. 

Nella cultura africana, l'espressione del culto divino permea quasi ogni aspetto della vita: nella mente africana, nessun essere è più importante di Dio. A Lui dobbiamo la nostra esistenza e l'esistenza di tutte le cose. Coloro che praticano la religione tradizionale africana, sentendosi indegni di stare direttamente di fronte al Dio onnipotente, si rivolgono agli dei minori come intercessori tra l'Onnipotente e l'uomo. Naturalmente, nel cristianesimo questa idea non regge: abbiamo un solo vero Dio. Tuttavia, i cristiani, e in particolare i cattolici, hanno lo stesso desiderio di riconoscere e adorare Dio in ogni momento: tutto è rivolto a Lui ed Egli è visto dietro a tutto ciò che è buono: "Dio vide tutto ciò che aveva creato ed era buono" (cfr. Gen 1,31). Inoltre, le situazioni sfavorevoli sono viste come segni o punizioni divine per il male commesso da un popolo o da una comunità. Questa idea non è diversa da quella che leggiamo nella storia di Israele durante la cattività e l'esilio. 

Tra tutti i doni, la vita è quello più celebrato. Per questo motivo i nomi dati ai bambini coincidono il più delle volte con un attributo di Dio. La cultura "Igala" di Nigeriala mia cultura, - la mia cultura -, ha molto a cuore questo aspetto, soprattutto tra i cristiani. I nomi esprimono i bambini come doni di Dio, come manifestazioni della potenza, della bontà o della misericordia di Dio, e così via. Un bambino, pochi giorni dopo la nascita, viene portato in chiesa, dove viene presentato a Dio e alla comunità cristiana. Questa presentazione - distinta dal Battesimo - è una pratica frequente nelle comunità cristiane. Inoltre, tutte le cose materiali sono viste e trattate come doni di Dio. Per questo motivo, è consuetudine rendere grazie a Dio prima di utilizzare qualsiasi cosa acquistata, sia essa una casa, un'automobile o altri beni materiali. Allo stesso modo, quando i prodotti agricoli vengono raccolti, c'è sempre una celebrazione per dedicare a Dio i primi prodotti del raccolto.  

Questi esempi mostrano il posto dato a Dio nella cultura africana. Di conseguenza, la mente africana ritiene che tutto ciò che sarà dedicato a Dio o che ruota intorno al Suo nome debba essere il migliore. Sia che si tratti di beni materiali, sia che si tratti del dono del tempo o dei talenti intellettuali che riceviamo. Il punto è che diamo a Dio tutto ciò che abbiamo, tenendo presente che riceviamo tutto da Lui e gli diamo il meglio di noi stessi. 

Danza e canto nella cultura africana

Secondo Alfred Opoku, nella sua opera "La danza nella società tradizionale africana", "la danza è la più antica e, dal punto di vista africano, la più completa e soddisfacente delle arti... La danza è una forma d'arte spazio-temporale... per esprimere idee ed emozioni nel tempo e nello spazio attraverso l'uso di movimenti disciplinati dal ritmo del suono, della locomozione e dei movimenti del corpo". Non si tratta quindi di un semplice movimento disordinato del corpo: l'acquisizione di quest'arte richiede molto e, per questo motivo, non si danza in ogni occasione. 

I movimenti di danza, soprattutto quelli che vengono definiti unici per le loro tecniche o per il loro posto centrale nella cultura di un determinato popolo, sono riservati a occasioni speciali e a individui eccezionali. In Africa, i gruppi di danzatori non mancano mai: sono una consuetudine per ogni bambino africano. La danza è diventata un modo per esprimere gioia e gratitudine: nei giorni di grandi festeggiamenti davanti al re, al suo gabinetto e a tutto il popolo, la danza è un ottimo segno di intrattenimento e apprezzamento. 

Tipi di danza

Non è sbagliato affermare che l'arte della danza abbia avuto a che fare con il culto dei re come uno dei modi essenziali per esprimere i profondi sentimenti di ringraziamento. In effetti, la danza ha molto a che fare con le emozioni. Non basta imparare le abilità di movimento del corpo. Le emozioni - soprattutto la gioia e il ringraziamento - occupano un posto fondamentale nell'arte della danza. In questo senso Doris Green, nel suo lavoro "The Cornerstone of African Music and Dance", ha affermato che "ci sono due categorie distinte di danze all'interno della danza tradizionale. Le danze associate al ciclo della vita, come la nascita, la morte, le cerimonie di denominazione, l'iniziazione e la pubertà, hanno routine fisse che ogni società etnica possiede". Pertanto, le danze non sono solo occasionali, ma anche gli stili e i movimenti di ciascuna danza spesso differiscono da una cultura e da una società all'altra. 

L'altra categoria è quella delle danze legate alla "causalità dell'evento", per riprendere la sua espressione. Ovvero, "quelle danze che si basano su un evento o un avvenimento che i partecipanti scelgono di ricordare e che quindi creano il movimento e lo mettono in musica". 

La musica, quindi, è la risposta ai passi di danza; con questo non voglio dire che in Africa tutta la musica sia intrinsecamente legata alla danza. Per quanto vadano insieme, la musica è una forma d'arte diversa che può stare in piedi da sola. Cercando di definire la danza, Green afferma che "è la forma più antica e diffusa di movimento africano eseguito su musica. Esiste una relazione inseparabile tra danza e musica"; entrambe le arti si sono sviluppate contemporaneamente. Inizialmente, le fonti della musica erano fondamentalmente i "linguaggi dei tamburi, che sono repliche delle lingue parlate dalle popolazioni". 

Nel popolo Yoruba della Nigeria occidentale, ad esempio, ciò è facilmente riscontrabile: esiste uno strumento a percussione noto come "tamburo parlante". Questo strumento, per chi lo suona bene, è famoso per imitare il linguaggio parlato del popolo ed è persino usato per recitare adagi. Grazie a questo potere, alcune persone sono ben addestrate a suonare e a interpretare ciò che dice. Lo stesso si può dire dell'"oja" del popolo Igbo della Nigeria orientale. Questo strumento è un tipo speciale di flauto intagliato nel legno. 

Le funzioni della musica non sono molto diverse da quelle della danza nella cultura africana. La musica serve nella celebrazione della vita, dove svolge un ruolo molto importante sia nell'espressione della gioia sia nelle sepolture, dove vengono intonati canti funebri ed elogi. La musica non può essere eliminata dalle celebrazioni rituali; ha un ruolo essenziale nell'accompagnare i rituali che segnano le transizioni critiche della vita: trasmette messaggi, celebra le conquiste ed è sempre un mezzo di espressione emotiva collettiva. La musica viene naturale a ogni bambino africano. Non è difficile esprimere le proprie emozioni in forme musicali; basta il suono dei tamburi e le parole iniziano a fluire progressivamente, ovviamente in linea con ciò che si vuole esprimere. Il più delle volte, i tamburi non funzionano nemmeno. In armonia, le persone alzano la voce e si uniscono in coro per lodare Dio o per lamentarsi. 

Il "perché" della durata delle Messe: il posto del canto e della danza

Non era nostra intenzione tenere una lezione sulla musica e la danza in Africa, ma abbiamo pensato che solo quando si comprende il posto naturale che la musica e la danza hanno nella vita degli africani si possono capire alcuni degli aspetti fondamentali della "liturgia africana" e perché sono così enfatizzati, portando di conseguenza a un aumento della durata delle Messe. 

Non ricordo di aver mai partecipato a una Messa senza musica. Certo, sappiamo che con le riforme liturgiche del Concilio Vaticano II si sono aperte le porte all'inculturazione e questo ha fatto molto bene alla Chiesa, nel senso che ha portato a una grande crescita dei fedeli e a una rinascita della musica autoctona che esprimeva il sentimento popolare. I fedeli potevano ora ascoltare le Messe e le preghiere nella loro lingua madre e i canti liturgici venivano eseguiti nelle lingue locali. Oggi chiunque può esprimersi liberamente a Dio nel canto, senza sentirsi obbligato a cantare ciò che non ha mai capito (sia chiaro, non ho alcun pregiudizio nei confronti dei canti gregoriani latini: anzi, li amo e sono cantati in molte Messe africane, ma non tutti li capiscono).

Cosa fanno gli africani durante la Messa? Le Messe in Africa hanno la stessa struttura del resto del rito latino, quindi cosa cambia? Sostanzialmente non cambia nulla nella struttura o nella forma della Messa, ma cambia la "modalità" della celebrazione. La prima cosa che gli africani hanno in mente è che non sono davanti a chiunque, ma davanti a Dio, l'Essere supremo: quindi, se davanti al mio re danzo, esprimo gioia e canto a squarciagola e con energia, il modo in cui mi rivolgerò a Dio dovrà essere esponenziale, perché anche la vita del mio re è nelle mani del Dio davanti al quale mi trovo. L'idea della presenza di Dio cambia notevolmente il nostro atteggiamento in chiesa e persino il nostro modo di vestire. Se danziamo con energia davanti ai nostri re terreni, perché non moltiplicare questa energia nella lode al Re dei re?

La musica per ogni parte della Messa

Il rito introduttivo è sempre accompagnato dalla musica. I canti usati per la processione sono fortemente accompagnati da strumenti musicali e naturalmente incoraggiano il popolo a ballare. Fin dall'inizio della Messa, il popolo sta già danzando per lodare Dio. Ho sempre visto questo come una risonanza delle parole del salmista: "Quale gioia quando mi dissero: Andiamo alla casa del Signore" (cfr. Salmo 122, 1).

Alla fine del rito penitenziale, ci uniamo alle voci degli angeli per cantare la gloria di Dio. Può sembrare buffo, ma scegliere un brano di Gloria che sia accompagnato solo dall'organista è noioso. I canti preferiti sono accompagnati da tamburi e cimbali. Il motivo non è irragionevole. Come abbiamo sottolineato, i canti e le danze avevano il loro posto nei servizi di culto dei re; di conseguenza, quando gli africani vanno in chiesa e devono cantare il Gloria a Dio, lo fanno nel modo più gioioso possibile. Così, il canto del Gloria è solitamente accompagnato dal battito delle mani al ritmo della melodia, il corpo si muove al ritmo dei suoni armoniosi provenienti dagli strumenti musicali, sia locali che stranieri. 

Un'altra forma pratica, parte della liturgia della Parola, che sembra opportuno menzionare, è quella di accompagnare il libro del Vangelo poco prima della sua proclamazione con passi di danza dal fondo della chiesa. Questo avviene soprattutto nelle grandi feste e solennità per onorare la Parola del Signore. 

L'offertorio

L'offertorio è un altro momento di grande gioia. Quando sono arrivato in Europa, una delle parti della Messa che mi ha colpito è stato il modo in cui le persone offrivano i doni a Dio. Anche se ho visitato poche parrocchie, ho visto che di solito qualcuno va in giro a raccogliere ciò che la gente ha da offrire. Sebbene questa pratica sia presente anche in diverse Chiese africane, oserei dire che si tratta di un'usanza recente. 

Nelle chiese africane è comune che la cassetta delle offerte venga portata ai piedi dell'altare, nella navata centrale o nelle navate laterali della chiesa, e le persone si muovono ordinatamente dai loro posti per offrire a Dio ciò che hanno. Questo movimento, naturalmente, è accompagnato da canti gioiosi e da strumenti che incoraggiano la danza. Il motivo è che le persone non offrono solo qualcosa di materialmente adatto a Dio, ma offrono se stesse e tutto ciò che hanno: il dono di tutto il corpo, espresso in movimenti di danza, voci di canto, gioie e speranze. 

I canti utilizzati in questa parte della Messa esprimono un ringraziamento sia per il dono della vita sia per il dono di tutto ciò che hanno. È un riconoscimento del fatto che tutto ciò che hanno e sono appartiene a Lui e viene da Lui (Salmo 24, 1-2; Aggeo 2, 8; Giacomo 1, 17). Anche qui influisce l'idea del posto di Dio nella nostra vita.

Un esempio dal Ghana

Vorrei concludere questa sezione con un'osservazione di Amos Nyaaba, un seminarista ghanese. Amos ha riconosciuto che, nel contesto ghanese, la musica e la danza tradizionali sono legate a divinità o addirittura ad antenati che vengono invocati per ringraziare, per fare richieste, ecc. 

Tuttavia, con l'arrivo del cristianesimo, queste usanze sono state cristianizzate, pur mantenendo il loro significato o la loro forma originaria. Così, per i cristiani, le danze che prima venivano eseguite in nome degli dei e degli antenati per vari motivi, d'ora in poi sono state eseguite nel culto di Dio Onnipotente e, per noi cattolici, durante la Messa. Così, mentre un tipico ghanese di religione tradizionale ballava durante le cerimonie - come feste, funerali, matrimoni o cerimonie di assegnazione dei nomi - per ringraziare e pregare gli dei, un cattolico ghanese convinto o un cristiano protestante eseguivano le stesse danze durante la celebrazione di eventi simili a Messa o nei loro uffici, consapevoli però di fare tutto in lode del Dio Onnipotente, Uno e Trino.

Lasciatemi aggiungere rapidamente", ha detto Amos, "che per il cattolico ghanese di tutti i giorni, partecipare alla Messa, specialmente a quella domenicale, senza ballare (o almeno annuire o battere le mani e cantare con eccitazione) è anormale. La gente vede la Messa non solo come un'occasione per pregare, ma anche per esprimere la propria gioia e la volontà (il desiderio) di stare alla presenza di Dio. Un uomo, ad esempio, che un giorno partecipa alla Messa in Ghana e non balla, non dovrebbe sorprendersi se gli viene chiesto: "Fratello mio, sei malato? Questa frase è espressa con una voce ghanese, ma non mi sbaglierei a pensare che sia così nella maggior parte dell'Africa. 

L'omelia

Oltre a tutto questo, va sottolineato il ruolo dell'omelia in tutto questo discorso sulla durata della Messa. Chiunque abbia partecipato a una Messa in un contesto africano sarà d'accordo con me sul fatto che le omelie tendono a essere lunghe, soprattutto nelle domeniche, nei giorni di obbligo, nelle feste e nelle cerimonie. Il motivo è che queste occasioni vengono sfruttate per insegnare e istruire le persone sulla Parola di Dio. I vescovi, in particolare, tengono spesso omelie molto lunghe, perché sono i principali pastori del gregge di Dio. D'altra parte, molte persone trascorrono molto tempo a piedi per raggiungere la loro chiesa locale e sarebbero deluse se il sacerdote facesse un'omelia frettolosa.

L'ultima cosa che vorrei sottolineare è che per gli africani il tempo trascorso nella casa di Dio non è mai sprecato. È il loro modo di santificare il "sabato" (Deuteronomio 5:12-15). Lavorano sei giorni e offrono il settimo giorno al Signore nel modo migliore in cui possono esprimere questa offerta. Spiritualmente, il tempo non è nostro, è un dono di Dio e un giorno nella casa di Dio, dice il salmista, è meglio di mille altrove (Salmo 84, 10).

L'autoreEmmanuel Ojonimi

direttore del coro del Collegio Sedes Sapientiae di Roma

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Amore e unità

Amore e unità: missione che dà vita alla Chiesa, fragile barca guidata da Cristo, chiamata a essere segno di pace in un mondo ferito.

3 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

È proprio vero che in molte occasioni gli alberi non lasciano vedere la foresta. Le ultime settimane nella Chiesa cattolica potrebbero essere descritte, in larga misura, in questo modo: l'elezione e i primi momenti del pontificato di Leone XIV hanno occupato le prime pagine dei principali media del mondo.

L'universalizzazione dei mezzi di comunicazione, dei social network, della IA... si sono uniti all'attrazione che la Chiesa cattolica continua a suscitare in un mondo che osserva stupito la permanenza di un'istituzione che, se fosse solo umana, sarebbe scomparsa centinaia di anni fa. 

In questo vortice di informazioni e analisi, più umane che credenti, noi cattolici corriamo il rischio di dimenticare che tutto ciò che abbiamo vissuto è solo un altro anello della Storia concepita da Dio e che, al di là della politica, delle correnti di pensiero, delle filippiche e delle fobie, c'è il disegno di Dio, la guida dello Spirito Santo.

Inizia un nuovo capitolo della successione apostolica che Leone XIV ha segnato con due parole: Amore e unità, "le due dimensioni della missione che Gesù ha affidato a Pietro"..

Leone XIV prende il timone di una barca fratturata al suo interno, dove sono affiorati orgoglio, invidia e incomprensione, come nei litigi dei primi dodici per "...".che era il più importante". (cfr. Mc 9,34). Come allora, Cristo ci chiede il motivo delle nostre liti per ricordare "che il ministero di Pietro è segnato proprio da questo amore oblativo, perché la Chiesa di Roma presiede nella carità e la sua vera autorità è la carità di Cristo". (Cfr Leone XIV, Omelia della Messa di inizio Pontificato, 18-5-2025). Leone XIV ha posto ancora una volta l'accento sull'amore, su quella caritas del nuovo comandamento dato da Cristo nell'Ultima Cena e che è il segno distintivo della Chiesa di Cristo. Un amore che porterà a una "Il primo grande desiderio: una Chiesa unita, segno di unità e comunione, che diventi lievito per un mondo riconciliato"..

La situazione della Chiesa che cammina accanto a Leone XIV non è facile. Siamo in un cambiamento epocale simile a quello che ha segnato l'inizio del XX secolo e che ha segnato il pontificato di Leone XIII, da cui Robert Prevost ha preso il nome e, in un certo senso, lo spirito. Ma Dio è con noi, che "Una bellezza così antica eppure così nuova". che, come Sant'Agostino, amiamo sempre in ritardo e sempre imperfettamente, è colui che guida, insieme a "il pescatoreQuesta barca che invecchia e allo stesso tempo nasce. Con amore e unità.

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Mondo

La religione causa le guerre? Solo il 5%, dicono gli esperti

I centri di ricerca, le banche dati e gli intellettuali consultati da Omnes sostengono che, contrariamente a quanto riportato, le cause delle guerre non sono quasi mai religiose. La religione può aver giocato un ruolo nel 5% delle guerre, circa 100, ma non di più. Il resto sono state lotte di potere, politiche, economiche o etniche.  

Francisco Otamendi-2 giugno 2025-Tempo di lettura: 9 minuti

Alcuni scienziati, molti dei quali atei, hanno sostenuto negli ultimi anni che la fede e la religione sono state la causa della violenza e delle guerre nella storia, come Richard Dawkins, Sam Harris e Christopher Hitchens. Stiamo parlando di Richard Dawkins, Sam Harris o Christopher Hitchens: è vero che la religione causa le guerre? Studi rilevanti di intellettuali, cristiani e non, lo smentiscono. La religione è stata all'origine solo del 5% delle guerre.

La religione cristiana, il Dio del Vangelo, è un Dio di pace, alieno da ogni violenza. Il filosofo René Girard dice che "questa è la grande rivoluzione etica del cristianesimo". "Il Dio Padre del Vangelo è totalmente estraneo a ogni violenza, aborre il sangue, ama i pacifici e i miti (...), la vittima sacrificale è radicalmente innocente". 

È quanto ha scritto e discusso con Omnes il professor Alejandro Rodriguez de la Peña, docente di Storia Medievale presso l'Università CEU San Pablo, in uno dei suoi ultimi libri, intitolato "...".Iniquità. La nascita dello Stato e la crudeltà sociale nelle prime civiltà". 

Sul tema della violenza e della religione, è possibile consultare anche il recente lavoro intitolato '.Violenza e religionecurato dal teologo, storico e accademico José Carlos Martín de la Hoz, con contributi di vari autori. In queste righe ci concentreremo sulle guerre da un punto di vista globale.

Componenti religiose

In effetti, studi approfonditi e grandi banche dati dimostrano che, contrariamente alla tesi di collegare violenza e religione, le cause delle guerre non sono state principalmente religiose. Il fattore religioso può aver influenzato tra il 5 e il 7% dei conflitti, ma non di più. 

In ogni caso, le religioni possono essere state in parte all'origine delle guerre, ma non principalmente o esclusivamente. Anche se è vero che alcune hanno avuto evidenti componenti religiose, come le Crociate (cristiani contro musulmani) o le guerre di religione in Europa (protestanti contro cattolici, XVI-XVII secolo). Entrambi gli argomenti possono essere consultati nel già citato libro dello storico José Carlos Martín de la Hoz.

Numerose guerre, nella stragrande maggioranza dei casi, sono state causate da lotte di potere, conflitti politici, imperialistici, economici, etnici e di altro tipo. Anche alcune ideologie hanno provocato violenze di massa, come lo stalinismo in Unione Sovietica (ateismo), il regime di Pol Pot in Cambogia o il maoismo in Cina.

Le religioni non sono all'origine delle guerre

Storici e filosofi specializzati nella guerra e nell'etica della politica e della violenza rifiutano che le religioni siano all'origine delle guerre. Omnes ha recentemente consultato due specialisti che hanno pubblicato sull'argomento. Entrambi lavorano nello stesso gruppo educativo (CEU), ma operano in università e città diverse e hanno una propria autonomia.

Alejandro Rodriguez de la Peña, professore di Storia medievale presso l'Università CEU San Pablo, con sede a Madrid, è autore della trilogia "Compassione. Una storia" (2021), "Imperi della crudeltà" (2022) e "Iniquità. La nascita dello Stato e la crudeltà sociale nelle prime civiltà" (2023).

Una donna tiene in braccio un bambino durante l'evacuazione di Irpin, Ucraina, 28 marzo 2022. Dall'inizio della guerra, quasi 4 milioni di persone sono fuggite dall'Ucraina (Foto di OSV News/Oleksandr Ratushniak, Reuters).

Meno religione, più violenza

Dal punto di vista di un professore che studia la violenza e l'orrore, il professor Rodriguez de la Peña ritiene che "la religione attenua e riduce la violenza". "Si può senza dubbio affermare che "la religione è stata un fattore determinante tra il tre e il cinque per cento delle guerre nella storia, ma non più di questo"", ha spiegato a Omnes. 

L'autore di "Iniquità" sottolinea anche che "la violenza è la condizione umana, la condizione umana è bellicosa". Ma "la tesi che propongo nei miei libri è che 'meno religione, più violenza'. O formulata al contrario, "più religione, meno violenza". Sono d'accordo con "René Girard, per il quale la religione diminuisce la violenza, la attenua".

La pace perpetua (Kant) era un miraggio

Aquilino Cayuela, professore di etica e politica presso l'Universitat Abat Oliba CEU, lavora a Barcellona ed è il curatore dell'opera collettiva '.Etica, politica e conflittiIl rapporto era una "guerra alle cause delle guerre che stanno dissanguando il mondo". 

Il libro è scritto da diversi autori e tratta di diverse prospettive sulla scia dell'invasione dell'Ucraina. Nel 1995 ricorreva il 200° anniversario della "Pace perpetua" di Kant. All'epoca si pensava che la pace perpetua fosse arrivata solo 200 anni dopo. "Ma era una bella e desiderabile illusione che ci fosse già una pace duratura", ha detto a Omnes.

"Ora abbiamo conflitti armati: due molto forti, Ucraina e Israele sono i più visibili, ma ce ne sono altri nel resto del mondo. Ad esempio, c'è una situazione di tensione tra India e Pakistan. La lotta egemonica tra Cina e Stati Uniti nel Pacifico, e in particolare sull'isola di Taiwan, ecc.

"Dominato dalle ideologie".

"Siamo tornati a un'epoca di conflitto e di incertezza", aggiunge Cayuela, "che non si manifesta solo in questi conflitti visibili, armati e pericolosi, ma anche in una grande polarizzazione della politica in Europa oggi, per non parlare della Spagna, e negli Stati Uniti..... Sono tornate le ideologie frammentate, quando nel 1995 tutti pensavamo che il termine ideologie fosse un termine peggiorativo e sgarbato, che non sarebbe tornato. Eppure, siamo dominati dall'ideologia".

Per quanto riguarda le guerre e la religione, il professore di Abat Oliva afferma che "le grandi guerre e i grandi conflitti hanno avuto elementi religiosi, o una parte di motivazioni religiose, ma non sono stati il fattore determinante".

"È vero che se guardiamo alle guerre di religione in Europa, dopo la rottura protestante e il protestantesimo che ha trascinato altre nuove chiese, come quella calvinista, vediamo un'Europa con guerre e conflitti. Possiamo dire che il pretesto è religioso, ma alla fine non sono guerre di religione. Lo sono e non lo sono. In fondo, la realtà è una lotta per il potere".

"La religione non viene presa in considerazione nei conflitti".

Aquilino Cayuela aggiunge che, a suo avviso, "uno dei problemi che abbiamo è che i politici, e coloro che sono coinvolti nella politica internazionale, gli analisti, ecc. non tengono conto del fattore religioso nei conflitti esistenti, e questo deve essere preso in considerazione".

Ad esempio, "per quanto riguarda la questione dell'India e del Pakistan, è molto importante tenerne conto. Non perché sia la causa del conflitto, ma lo influenza in modo rilevante. Per esempio, per gli indù o per i pakistani, l'uso di un'arma nucleare non sarebbe così problematico come per i governi cristiani. Perché le loro credenze religiose non considerano problematica la distruzione di massa delle persone, quando si aspettano che ogni distruzione sia seguita da una nuova rinascita e da una catarsi.

Esplosione dopo un bombardamento israeliano a Gaza (foto OSV News / Omar Naaman, Reuters).

Israele e Gaza: la causa non è religiosa, anche se è motivata religiosamente

"Bisogna tenerne conto anche nelle interpretazioni dell'Islam più radicale o fondamentalista. O quando si tratta di capire la guerra di Israele contro Gaza, quando si deve tenere conto del fatto che la causa non è una causa religiosa, ma l'aspetto religioso ha un peso. Per loro, infatti, l'occhio per occhio è un precetto sacro. Il modo in cui Hamas ha ucciso le persone che ha ucciso era un modo religioso. Quello che hanno fatto è stato profanare i corpi di quelle persone.

Alejandro Rodriguez de la Peña ci ha anche sorpreso nella conversazione parlando di Israele e Gaza. La guerra in Medio Oriente "non è stata una guerra di religione, tra ebrei e musulmani. Almeno fino agli anni '80 non lo era. All'inizio non lo era, ora lo è. Ora lo è", afferma. È un argomento per un'altra conversazione.

La compassione, antidoto all'iniquità

Nel suo libro "Iniquità", Rodriguez de la Peña si addentra nell'origine del male, dell'orrore. Per un autore che si è occupato di crudeltà e massacri, del fratricidio di Abele da parte di Caino, o di quello commesso da Romolo quando fondò Roma, c'è un'origine ben precisa: il "peccato originale", e quello che "la tradizione cristiana ha battezzato come il 'mysterium iniquitatis'". Vale a dire, "che l'essere umano, pur educato alla virtù, può scegliere - e di fatto sceglie in molte occasioni - di fare il male senza esservi costretto".

Il professore osserva "evidenti parallelismi" tra i due fratricidi, analogie che lo stesso Sant'Agostino ha sottolineato ne "La città di Dio", e osserva alla fine: "Non riesco a pensare a un antidoto migliore della compassione per combattere la tendenza all'iniquità degli esseri umani, la cui realtà storica abbiamo contemplato in questo saggio sull'orrore". 

Qualche giorno fa, il Papa Leone XIV ha detto nella sua catechesi del mercoledì: la compassione per gli altri è "una questione di umanità, prima che di religione". E "prima di essere credenti dobbiamo essere umani". 

Statistiche e studi globali sulle guerre

Gli osservatori e gli studi che possono essere citati come fonti di dati sul numero di guerre e sulle loro cause sono i seguenti:

- Enciclopedia delle guerre (Charles Phillips e Alan Axelrod, 2004):

Ha analizzato 1.763 guerre nella storia dell'umanità. Solo 6-7 % (circa 123 guerre) sono state classificate come "principalmente religiose". Queste includono le Crociate, le guerre di religione europee (XVI-XVII secolo) e la prima jihad islamica.

- Database Correlates of War (COW):

Su 335 guerre interstatali tra il 1816 e il 2007, meno di 5 hanno avuto cause religiose come fattore dominante.

- Pew Research Center (2014):

Nel 2013, 23 % dei Paesi hanno vissuto gravi conflitti sociali legati alla religione (ad esempio, violenza settaria in Nigeria o Myanmar). 27 % dei conflitti armati globali (2013) includevano gruppi religiosi come attori principali.

- Studio dell'Università di Uppsala (2019):

Solo il 10 % dei conflitti armati (2007-2017) ha coinvolto gruppi religiosi come protagonisti principali.

- Enciclopedia del Genocidio, Israel W. Charny, Bloomsbury Academic, 2000. 

Note aggiuntive su alcune guerre

La guerra dei 30 anni (Francia e potenze protestanti contro Spagna e cattolici dell'Europa centrale, ma con varianti non religiose). 

Nove 'Guerre di religione' (XVI-XVII secolo in Europa).

- Guerre in cui compare L'Islam (più di 50, anche se dipende dall'entità: possono essere battaglie, guerre, ecc.). La motivazione è solitamente considerata religiosa. 

1.- Guerre di espansione musulmana (VII-VIII secolo)

Conquista del Levante (Siria, Palestina, Egitto)

Conquista del Maghreb (Nord Africa)

Conquista della Spagna/Ispania (711 - Battaglia di Guadalete)

Battaglia di Poitiers (732) 

2.- Riconquista (711-1492)

Campagne nella penisola iberica per recuperare territori dal controllo musulmano.

Tra gli altri: 

Battaglia di Covadonga (722)

Presa di Toledo (1085)

Battaglia di Las Navas de Tolosa (1212)

Presa di Granada (1492)

3. Crociate (1096-1291)

Campagne militari cristiane per recuperare la Terra Santa dal dominio musulmano.

Vengono prese in considerazione nove grandi crociate, tra cui la battaglia di Lepanto (1571), una vittoria navale cristiana.

4. Guerre tra gli imperi cristiani e l'Impero Ottomano

Guerre ottomano-asburgiche (1526-1791).

Guerre russo-turche (XVII-XIX secolo)

Assedio di Vienna (1529 e 1683)

5. Conflitti coloniali

Colonizzazione dei territori musulmani da parte delle potenze cristiane:

Francia in Algeria, Tunisia, Marocco

Regno Unito in Egitto, Sudan, Palestina, Iraq

L'Italia in Libia

Spagna in Nord Africa

Ribellioni e guerre d'indipendenza (XIX-XX secolo)

6. Conflitti contemporanei

Guerre balcaniche (anni '90) - Serbia (cristiano-ortodossa) contro Bosnia/Kosovo (musulmana)

Guerre in Medio Oriente con coinvolgimento occidentale (Iraq, Afghanistan)

Tensioni in Nigeria tra il nord musulmano e il sud cristiano, e altri Paesi africani.

Islam e società

Nonostante queste note, lo studio Pew Research del 2013 ha sottolineato che "i musulmani di tutto il mondo rifiutano fortemente la violenza in nome dell'Islam. Alla domanda specifica sugli attentati suicidi, nella maggior parte dei Paesi affermano che tali atti sono raramente o mai giustificati come mezzo per difendere l'Islam dai suoi nemici.

Nella maggior parte dei Paesi in cui è stata posta la domanda, aggiunge lo studio Pew, circa tre quarti o più dei musulmani rifiutano gli attentati suicidi e altre forme di violenza contro i civili. "Tuttavia, ci sono alcuni Paesi in cui consistenti minoranze pensano che la violenza contro i civili sia almeno a volte giustificata. Questa opinione è particolarmente diffusa ((al momento del sondaggio)) tra i musulmani nei territori palestinesi (40 %), in Afghanistan (39 %), in Egitto (29 %) e in Bangladesh (26 %)". A ciò si aggiungono gli attacchi dei terroristi islamici. 

Cimitero di Douament (Verdun, Francia) (Jean Paul GRANDMONT, Wikimedia commons).

Classifica dei morti di guerra

In cima alla triste classifica dei morti di guerra ci sono la Seconda e la Prima Guerra Mondiale, con 70 milioni di morti (di cui 50 milioni militari), tra cui il nazismo e il comunismo, e circa 15 milioni rispettivamente. Seguono: 

- due guerre in Cina (25 m. - dinastia Qing e 20-30 m. ribellione Taiping). 

- Conquista mongola (30-40 milioni). 

- Guerra civile cinese (8-12 milioni)

- Guerra dei 30 anni (4,5-8 milioni).

- Guerre napoleoniche (tra i 3,5 e i 6 milioni).

- Seconda guerra del Congo (3-5 milioni).

- Guerra di Corea (2,5-3 milioni).

L'autoreFrancisco Otamendi

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Vaticano

Il conclave ha generato un impatto economico di 600 milioni di euro.

Questo evento ha dimostrato la capacità di Roma di mobilitare risorse per i mega-eventi. L'eredità economica si estende oltre l'evento immediato, rafforzando l'immagine della città come destinazione globale per il turismo religioso e culturale.

Rapporti di Roma-2 giugno 2025-Tempo di lettura: < 1 minuto
rapporti di roma88

Il conclave ha generato un impatto economico stimato in 600 milioni di euro a Roma, rivitalizzando settori chiave come l'ospitalità, il commercio e i trasporti.

Inoltre, ha richiesto una logistica straordinaria in termini di sicurezza e pulizia urbana, attirando al contempo un massiccio afflusso di visitatori ai musei vaticani e una copertura mediatica globale. Sebbene abbia comportato costi operativi, l'evento ha consolidato Roma come epicentro del turismo religioso e ha lasciato in eredità infrastrutture rinnovate e occupazione temporanea.


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Evangelizzazione

I santi Marcellino e Pietro, Domenico Ninh e tre grandi santi francesi

Il 2 giugno la Chiesa celebra i santi Marcellino e Pietro, il giovane vietnamita Domenico Ninh, anch'egli martire, e San Felice di Nicosia. Inoltre, Papa Leone XIV ha ricordato l'anniversario della canonizzazione di tre grandi santi francesi: Teresa di Lisieux, Giovanni Eudes e il Curato d'Ars.  

Francisco Otamendi-2 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

La liturgia subito dopo la fine di maggio include alcuni martiri, tra cui i santi Marcellino, sacerdote, e Pietro, esorcista, martirizzati durante la persecuzione di Diocleziano all'inizio del IV secolo, secondo il papa San Damaso e il cappuccino San Felice di Nicosia.

Il calendario dei santi del 2 giugno celebra anche il giovane cristiano vietnamita San Domenico Ninh, un contadino che fu martirizzato all'età di 20 anni. Suo padre lo costrinse a sposare una ragazza che non amava, così non consumò il matrimonio. Accusato di essere cristiano e arrestato, confessò la sua fede in Cristo e fu decapitato nel 1862 ad Au Thi (Vietnam). 

Sfide in Francia 

D'altra parte, in un messaggio inviato alla Conferenza episcopale francese, Papa Leone XIV ha sottolineato in modo particolare l'anniversario della canonizzazione di tre santi francesi. "L'ampiezza delle sfide che la Chiesa francese si trova ad affrontare, un secolo dopo, e la pertinenza di questi tre modelli di santità nell'affrontarle, mi spingono a invitarvi a dedicare un'attenzione particolare a questo anniversario", inizia il testo.

Il Pontefice si riferisce al santa carmelitana Teresa di LisieuxFu canonizzata il 17 maggio 1925 da Papa Pio XI, proclamata Dottore della Chiesa e Patrona delle Missioni. Leone XIV la definì "il grande dottore nella scienza dell'amore di cui il nostro mondo ha bisogno". 

Poco dopo, lo stesso Papa Pio XI canonizzò altri due sacerdoti. San Giovanni Eudes (1601-1680), fondatore delle Congregazioni di Gesù e Maria (Eudisti) e di Nostra Signora della Carità. Y San Giovanni Maria Vianney (1786-1859), noto come il Curato d'Ars, famoso per il suo fervore pastorale, il suo dono per la confessione e la sua intensa preghiera. 

Dilexit noi

Papa Leone XIV rivela il desiderio di Pio XI di rendere questi santi "maestri di ascolto, modelli da imitare e potenti intercessori da invocare". E cita il ultima enciclica di Papa Francesco,Dilexit noisul Sacro Cuore di Gesù. "Far scoprire a ogni persona la tenera e amorevole cura che Gesù ha per lui, fino a trasformare la sua vita".

L'autoreFrancisco Otamendi

Vaticano

P. José-Antonio: "Durante la pandemia, Prevost ha aperto le chiese prima di chiunque altro in Perù, dando prova di grande coraggio".

Un sacerdote della diocesi di Chiclayo ricorda alcune storie del cardinale Prevost e di come sia ancora presente nel gruppo whatsapp dei sacerdoti della diocesi.

Javier García Herrería-2 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

Padre José-Antonio Jacinto, sacerdote della diocesi di Chiclayo (Perù) da 34 anni, è un uomo dalle molteplici vocazioni: parroco, professore di Storia della Chiesa presso l'Università Cattolica di Chiclayo (Perù), professore di Storia della Chiesa presso l'Università Cattolica di Chiclayo (Perù) e sacerdote della diocesi di Chiclayo (Perù) da 34 anni. San Toribio de MogrovejoÈ stato sacerdote e formatore nel seminario diocesano. La sua vita ha avuto una svolta inaspettata l'8 maggio 2025, quando l'allora vescovo di Chiclayo, Robert Prevost, è salito alla cattedra di Pietro, con il nome di Leone XIV. Don José-Antonio ha mantenuto uno stretto rapporto con il pontefice, forgiato in anni di collaborazione pastorale. In questa intervista racconta la sua esperienza con il Papa, i suoi aneddoti e l'eredità del suo servizio in una diocesi segnata dalla diversità e dalle sfide della fede.  

Come ha conosciuto Papa Leone XIV?

- L'ho incontrato per la prima volta nel 2014, quando è venuto a Chiclayo come vescovo. All'inizio non sapevamo molto di lui, ma la sua semplicità e apertura ci hanno colpito. In una delle nostre prime conversazioni, mi ha chiesto un sostegno per la cattedrale, anche se aveva già un carico di lavoro pesante. La sua umiltà e la sua gratitudine hanno caratterizzato il nostro rapporto fin dall'inizio.  

Quali aneddoti ricorda della sua relazione?

- Si è fidato ed è stato grato ai sacerdoti che lo circondavano fin dal primo momento. Ricordo, ad esempio, che mi commissionò una sintesi della sua biografia per il sito web della Conferenza episcopale peruviana. Quando glielo presentai, si limitò a correggere piccoli dettagli e mostrò grande gratitudine per questo piccolo servizio. 

Si è anche congratulato con i sacerdoti per i loro compleanni ed è stato vicino a loro via whatsapp. A Chiclayo siamo circa cento sacerdoti diocesani e venti religiosi, che assistono cinquanta parrocchie e due centri pastorali. La popolazione è di un milione e trecentomila persone, di cui un milione sono cattolici. 

Cosa ci direbbe del suo modo di lavorare?

- Con le inondazioni di El Niño ha dimostrato iniziativa e grande leadership. O durante la pandemia, soprattutto quando ha aperto le chiese prima di chiunque altro in Perù, dimostrando grande coraggio. 

Come ha vissuto la sua elezione a Papa? 

- Per me fu un grande shock. Gli scrissi il giorno dopo: "Santo Padre, dal santuario di Nostra Signora della Pace, ripeto le mie preghiere". Mi rispose: "Uniti nella preghiera. Che lo Spirito ci guidi. 

Pochi giorni dopo l'ho visto a Roma, all'incontro che ha avuto con le persone della diocesi di Chiclayo. Ci ha trattato con grande affetto. La sua fedeltà a noi, anche come Papa, è un tesoro. È ancora presente nel gruppo whatsapp dei sacerdoti e ha anche postato alcuni messaggi dopo la sua nomina a Papa. 

Che eredità lascia a Chiclayo?

- Ha rafforzato l'Università e la pastorale nelle parrocchie, continuando il lavoro pastorale che i vescovi precedenti avevano lasciato con la presenza di un clero giovane che si era formato nel seminario diocesano.

Era un grande gestore di risorse per le parrocchie, come auto e donazioni. Amava guidare e scherzava sul fatto che sarebbe stato ricordato per il numero di auto che aveva ottenuto per le parrocchie. Era molto altruista, come prova il fatto che ha offerto l'auto che usava quando andava a Lima perché noi la usassimo per il lavoro pastorale. 

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Cultura

Scienziati cattolici: María Teresa Vigón, dottore in Chimica

María Teresa Vigón, dottoressa in Chimica, docente del Corso di Ottica Avanzata presso il CSIC e poi suora. Questa serie di brevi biografie di scienziati cattolici è pubblicata grazie alla collaborazione della Società degli scienziati cattolici di Spagna.

Alfonso Carrascosa-2 giugno 2025-Tempo di lettura: 2 minuti

María Teresa Vigón era una scienziata cattolica, figlia del generale Vigón, un monarchico cattolico che partecipò all'educazione dei figli di Alfonso XIII e che promosse la ricerca scientifica, essendo presidente del Consiglio per l'energia nucleare e dell'Istituto nazionale di tecnologia aeronautica.

María Teresa era una donna di profonde convinzioni cattoliche, accolte fin da bambina nel suo ambiente familiare, e lavorò con donne come Piedad de la Cierva, dell'Opus Dei, o con sua sorella, María Aránzazu Vigón, anch'essa molto religiosa. Ha avuto a che fare con lo sviluppo dell'energia nucleare in Spagna, con l'Istituto di Ottica del CSIC e con il Laboratorio e l'Officina di Ricerca dello Stato Maggiore della Marina, nonché con José María Otero Navascués, che la scelse per partecipare ai compiti di ricerca dell'Istituto di Ottica, motivo per cui fa parte del gruppo de "Las ópticas de Otero", un nutrito gruppo di donne pioniere della ricerca scientifica che si formò intorno a lui, dato il suo fermo impegno per l'inserimento delle donne nel mondo scientifico.

Aveva otto fratelli, tutti, comprese le tre sorelle, hanno studiato all'università. Tra il 1947 e il 1948, María Teresa si è formata presso il laboratorio di fotografia del Politecnico Federale di Zurigo ed è stata responsabile della creazione e dell'equipaggiamento del laboratorio di fotografia e fotochimica della sezione di raggi X e magnetismo dell'Istituto di Ottica "Daza de Valdés". Questo laboratorio divenne la Sezione di Fotografia e Fotochimica dell'Istituto nel 1948, e María Teresa lo diresse. Nel 1947 partecipò alla Fiera di Barcellona per esporre i prototipi prodotti dall'Istituto di Ottica: sestanti, diversi tipi di binocoli e telemetri.

Dal 1949 in poi, ha partecipato come docente al corso avanzato di ottica che l'Istituto di Ottica del CSIC ha iniziato a offrire. Nel corso di ottica avanzata insegnò anche fotografia e sensitometria. Quando venne il momento, lasciò tutto e si fece suora nella Congregazione del Sacro Cuore di Gesù, dedicata all'insegnamento confessionale.

L'autoreAlfonso Carrascosa

Consejo Superior de Investigaciones Científicas (CSIC).

Vaticano

Il Papa chiede famiglia, "alleanza matrimoniale" e "matrimoni santi".

Nel Giubileo delle famiglie di questa settima domenica di Pasqua, quando molti Paesi celebrano l'Ascensione del Signore, Papa Leone XIV ha ricordato che la Chiesa propone "coppie sante come testimoni esemplari". Ha citato i coniugi Martin, Beltrame Quattrocchi e la famiglia polacca Ulma. "Il mondo di oggi ha bisogno dell'alleanza coniugale", ha sottolineato.  

Francisco Otamendi-1° giugno 2025-Tempo di lettura: 4 minuti

Papa Leone XIV questa mattina a Roma, in occasione del Giubileo delle famiglieIl messaggio della Chiesa ai bambini, ai nonni e agli anziani, la famiglia e il valore dei "santi matrimoni" che la Chiesa propone come testimoni esemplari. Così facendo, la Chiesa "ci dice che il mondo di oggi ha bisogno dell'alleanza coniugale per conoscere e accettare l'amore di Dio e per vincere, con il suo potere di unire e riconciliare, le forze che distruggono le relazioni e le società".

Alcuni dei matrimoni menzionati dal Papa furono Luigi e Celia Martin, genitori di Santa Teresa di Gesù Bambino, il Beato Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, e la famiglia polacca Ulma.

Il Papa ha anche sottolineato che "nella famiglia la fede si trasmette insieme alla vita, di generazione in generazione: è condivisa come il pane sulla tavola e gli affetti del cuore. Questo la rende un luogo privilegiato per incontrare Gesù, che ci ama e vuole sempre il nostro bene".

E ha ricordato che "abbiamo ricevuto la vita prima ancora di desiderarla". Come ha insegnato Papa Francesco: "Siamo tutti figli, ma nessuno di noi ha scelto di nascere" (Angelus, 1° gennaio 2025). Ha poi sottolineato che "il futuro dei popoli nasce dal cuore delle famiglie".

Avvolti dal loro amore in un grande progetto

All'inizio della sua omelia, in una vera e propria giornata di festa delle famiglie, che ha riunito circa cinquantamila persone in Piazza San Pietro, Papa Leone XIV ha fatto riferimento alle parole del Signore sull'unità, "ut omnes unum sint" (perché tutti siano uno), che San Giovanni riprende.

"Il Vangelo che abbiamo appena proclamato, ci mostra Gesù che, nell'Ultima Cena, prega per noi (cfr. Jn 17,20). Il Verbo di Dio fatto uomo, ormai prossimo alla fine della sua vita terrena, pensa a noi, suoi fratelli e sorelle, e diventa benedizione, supplica e lode al Padre, con la forza dello Spirito Santo", ha detto il Papa. "Anche noi, entrando con stupore e fiducia nella preghiera di Gesù, ci vediamo coinvolti, attraverso il suo amore, in un grande progetto che abbraccia l'intera umanità.

"Cristo chiede, infatti, che tutti possiamo essere "uno" (cfr. v. 21). Questo è il bene più grande che si possa desiderare, perché questa unione universale realizza tra le creature l'eterna comunione d'amore che è Dio stesso: il Padre che dà la vita, il Figlio che la riceve e lo Spirito che la condivide", ha proseguito.

La gioia del Papa

Più avanti, il Santo Padre ha sottolineato che, con le sue parole, "nella sua misericordia, Dio ha sempre voluto accogliere tutti gli uomini e le donne nel suo abbraccio; ed è la sua vita, che ci viene donata attraverso Cristo, che ci rende uno, che ci unisce gli uni agli altri. Ascoltare questo Vangelo oggi, durante il Giubileo delle famiglie e dei bambini, dei nonni e degli anziani, ci riempie di gioia".

Dopo la Santa Messa, il Papa ha anticipato il Regina caeli, cantato ancora una volta da Leone XIV, per il passaggio dei ciclisti del Giro d'Italia, occasione per ricordare alcune riflessioni dei Papi su questo sport, caro ai Pontefici. Nel 1946, Pio XII ricevette i partecipanti alla famosa corsa a tappe. E nel 1974, San Paolo VI diede il via al Giro. Papa Leone doveva salutare i ciclisti al loro passaggio.

Saluto alle famiglie nel Regina caeli

"Sono felice di accogliere tanti bambini, che riaccendono la nostra speranza. Saluto tutte le famiglie, piccole chiese domestiche, nelle quali si accoglie e si trasmette il Vangelo", ha detto Papa Leone XIV prima di intonare la preghiera mariana per i bambini che hanno ricevuto l'invito. Regina caeli.

Nelle sue parole, ha ricordato San Giovanni Paolo II. La famiglia", ha detto San Giovanni Paolo II, "ha la sua origine nell'amore con cui il Creatore abbraccia il mondo creato (cfr. Lettera di San Giovanni Paolo II). Gratissimam sane, 2). Che la fede, la speranza e la carità crescano sempre nella nostra vita. famiglie. Un saluto particolare ai nonni e agli anziani, che sono autentici modelli di fede e di ispirazione per le giovani generazioni, grazie per essere venuti", ha detto Papa Leone XIV.

Poi, dopo aver ricordato la celebrazione della Solennità dell'Ascensione del Signore, "una festa molto bella, che ci fa guardare verso la meta del nostro cammino terreno", il Pontefice ha citato una beatificazione avvenuta ieri a Braniewo (Polonia).

Sorelle che spendono la loro vita per il Regno di Dio

Questo sabato, infatti, "sono state beatificate Christophora Klomfass e quattordici suore della Congregazione di Santa Caterina, Vergine e Martire, uccise nel 1945 dai soldati dell'Armata Rossa nei territori dell'attuale Polonia. Nonostante il clima di odio e di terrore contro la fede cattolica, hanno continuato a servire i malati e gli orfani".

All'intercessione delle nuove beate martiri "affidiamo le religiose che in tutto il mondo spendono generosamente la loro vita per il Regno di Dio", ha aggiunto Papa Leone.

In conclusione, il Pontefice ha pregato la Vergine Maria di "benedire le famiglie e sostenerle nelle loro difficoltà. Penso in particolare a coloro che soffrono a causa della guerra in Medio Oriente, in Ucraina e in altre parti del mondo. Che la Madre di Dio ci aiuti a camminare insieme sulla via della pace".

L'autoreFrancisco Otamendi

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